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 Gian Giuseppe Filippi

Il Serpente e la Corda

Il libro di Gian Giuseppe Filippi, che qui pubblichiamo, vuole essere una introduzione al concetto di conoscenza (jñāna) secondo l’Advaita Vedānta risalente direttamente alla linea tradizionale di Śaṃkarācārya. Il libro è diviso in due parti: nella prima parte è esposto in temini piani in che modo la conoscenza rappresenti non soltanto la dottrina (siddhānta), ma anche il metodo stesso della via iniziatica vedāntica (sādhanā). La seconda parte consiste in una traduzione commentata del breve trattato Tattvamasi di Śaṃkarācārya.

0. Introduzione

Dopo la pubblicazione del libro di Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī Dottrina e Metodo del Vedānta da noi curato, e dei numerosi contributi apparsi sul nostro sito web Veda Vyāsa Maṇḍala, abbiamo potuto verificare che un certo numero di lettori, per quanto esiguo, ha espresso un vivo interesse per l’Advaita Vedānta, in particolare nella forma con cui…

1. Attuale situazione delle forme tradizionali e delle organizzazioni iniziatiche

Dalla fine della seconda guerra mondiale lo sgretolamento delle istituzioni tradizionali si è verifiata con velocità sempre crescente. Se René Guénon affermava nel 1947 che molte porte si erano ormai chiuse, egli stesso non avrebbe potuto immaginare la rovinosa situazione che si è prodotta dopo la sua scomparsa. È quindi opportuno aggiornare il quadro generale…

2. L’induismo contemporaneo e le sue organizzazioni iniziatiche

Tra le tradizioni viventi rimane ancora da esaminare la condizione in cui versa l’induismo. Certamente, nemmeno in questo caso la situazione è rosea: il regime secularist, indipendentemente da quale partito sia al governo, si dimostra scopertamente avverso alla tradizione. La stessa struttura delle istituzioni statali, nate dalla costituzione gandhiano-nehruviana, ha lavorato per decenni in quella…

3. La Conoscenza o esperienza intuitiva del Brahman

Il primo problema da affrontare consiste nel rispondere ai quattro quesiti che si pone chiunque per la prima volta si rivolge al Vedānta: ossia se si può conoscere il Brahman, come lo si conosce, in che cosa consiste questa conoscenza e chi può conoscerlo. Questo problema, tuttavia, è impostato male poiché pare dare realtà all’equivoco…

4. L’Intuizione che sorge dall’osservazione dei tre stati

Le precedenti considerazioni ci conducono ad affermare che al di sopra e al di là delle intuizioni mentali, ci deve essere qualcosa di costante che ci rende capaci di adempiere a quelle funzioni. Per comprendere questa affermazione produciamo come esempio l’idea della somiglianza o della differenza tra due oggetti collocati in due condizioni spaziali e…

5. Gli strumenti di conoscenza che rimuovono l’ignoranza

Questa, dunque, è l’essenza dell’Intuizione universale vedāntica: non si tratta affatto di qualcosa che è prodotto per mezzo d’uno sforzo. Ogni qual volta affermiamo di conoscere una cosa in quanto tale usiamo alcuni validi mezzi di conoscenza (pramāṇa), come, per esempio, la percezione sensoria. L’unica funzione di tali pramāṇa è semplicemente quella di rimuovere le…

6. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: śrāvaṇa

L’argomento di questo e dei prossimi capitoli riguarda la spiegazione del metodo usato nell’Advaita Vedānta per realizzare la conoscenza intuitiva ricevuta ascoltando (śrāvaṇa) l’insegnamento orale (upadeśa) da parte d’un guru, e indagata per mezzo della riflessione (manana) intellettuale dell’aspirante alla Liberazione, del mumukṣu. Quella conoscenza, che all'inizio appare quasi fosse soltanto di natura dottrinale, consiste…

7. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: manana

Passiamo ora a considerare manana. I discepoli (śiṣya) non eccezionalmente qualificati, e che perciò non hanno raggiunto il mokṣa durante il semplice ascolto dell’insegnamento magistrale, avranno una seconda opportunità impegnandosi in manana, la riflessione, su quanto appreso dal guru. A proposito delle tre opportunità per la realizzazione, Śaṃkara commentando una śruti, afferma: Perciò il Sé…

8. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: nididhyāsana

Se il sādhaka mediamente qualificato non avesse raggiunto il mokṣa durante manana, potrà cogliere una ulteriore opportunità per mezzo della tecnica dell’attenzione contemplativa o nididhyāsana. Non si tratta affatto della concentrazione (dhāraṇa) tipica dello Yoga darśana, che consiste nello sforzo di focalizzare la mente su un unico punto (aikāgrya). La contemplazione vedāntica, che è della…

9. Significato vedāntico di Yoga

In generale si suole collegare, in prima battuta, la parola Yoga alla dottrina di Patañjali e, in secondo luogo, al Rāja yoga, allo Haṭha yoga, al Laya yoga e ad altre discipline che da quella dottrina rilevano. Tuttavia nelle Upaniṣad, nella Bhagavad Gītā e nei Brahma Sūtra, cioè nella prospettiva vedāntica dei Prasthāna Traya, il…

10. Gradi di discriminazione tra Sé e non-Sé

L’iniziato al Vedānta, seguendo il suo proprio metodo, dovrà comportarsi in modo del tutto diverso sia dal profano sia dal sādhaka che segue una via del non-Supremo. Anzitutto, durante la prima fase di viveka, egli deve discriminare tra il Sé e gli oggetti esterni, mantenendo verso di loro un atteggiamento di distacco e indifferenza, respingendo…

11. Da manana a nididhyāsana

In qualunque modo nididhyāsana sia chiamato nei diversi testi, il punto di partenza su cui si basa è sempre l’Ātma pratyāya, vale a dire la certezza d’essere il Sé esistente e cosciente; questa è una esperienza indiscutibile, condivisa anche tra gli uomini comuni. Ma l’uomo comune confonde la certezza di esistere come Sé cosciente con…

12. Superamento delle opinioni erronee e delle difficoltà

Questo capitolo è espressamente dedicato a coloro che sono già discepoli di Advaita Vedānta o che, perlomeno, siano dei mumukṣu già iniziati che si trovino in una situazione spirituale di ricerca di un maestro qualificato e realizzato. Queste note, tuttavia, possono anche essere di un certo interesse per coloro che desiderino avere una informazione più…

13. Significato vedāntico di alcuni termini ricorrenti nei testi

Nell’Advaita Vedānta sono in uso molti vocaboli che si trovano ovunque nella śruti e nella smṛti. Essi, tuttavia, devono essere interpretati, in questo caso, sotto una luce del tutto particolare se si vuole comprendere a fondo la dottrina śaṃkariana. Per esempio, abbiamo già rilevato brevemente quanto l’uso vedāntico dei termini yoga e samādhi sia differente…

14. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (I)

Dedichiamo questa seconda parte alla traduzione e commento del capitolo XVIII dell’Upadeśa Sāhasrī, intitolato “Tattvamasi”. L’Upadeśa Sāhasrī è l’unico testo, assieme ai commenti ai Prasthāna Traya, incontestabilmente attribuito a Śaṃkara Bhagavadpāda. Abbiamo selezionato questo capitolo tra gli altri, per la straordinaria importanza dottrinale del suo contenuto e per il fatto che molti degli argomenti fin…

15. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (II)

Il vedāntin, nel confutare l’oppositore, parte dalla constatazione che le Upaniṣad, come abbiamo già dichiarato in precedenza, contengono due argomenti diversi in opposizione tra loro. Quasi tutte le Upaniṣad, infatti, a eccezione della Māṇḍūkya Upaniṣad, iniziano descrivendo delle vie che si basano su azioni rituali, siano esse azioni compiute con il corpo, con la parola…

16. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (III)

Davanti alle assurdità degli oppositori, Śaṃkarācārya decide di tagliar corto e di proseguire nel suo vicāra. Tuttavia, come ci si accorgerà facilmente, egli non rinuncerà del tutto a demolire la posizione dei suoi avversari, e più avanti ritornerà su quegli argomenti offrendo la corretta soluzione vedāntica ai quesiti da loro sollevati. Tornando alle considerazioni che…

17. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (IV)

Se si suppone che esista qualcosa che, usando come strumento l’azione conoscitiva, s’appresta a conoscere qualcosa di conoscibile, ossia di un oggetto che alla fine di questo processo d’indagine diventa conosciuto, con questo “qualcosa” si può intendere l’intelletto (buddhi), non certamente l’Ātman. Infatti l’Ātman non è agente, perciò non può essere ridotto a qualcosa che…

18. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (V)

La dottrina della contiguità impedisce ogni contatto tra il suo Testimone e il mondo in divenire. Perciò, per un sāṃkhya chi è colui che ascolta da un guru l’insegnamento della śruti, ascolto che costituisce ciò che il Vedānta definisce śrāvaṇa? Chi è che, consapevole della limitazione dell’esistenza trasmigratoria, cerca la liberazione da essa? Costui è…

19. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (VI)

La dottrina della contiguità impedisce ogni contatto tra il suo Testimone e il mondo in divenire. Perciò, per un sāṃkhya chi è colui che ascolta da un guru l’insegnamento della śruti, ascolto che costituisce ciò che il Vedānta definisce śrāvaṇa? Chi è che, consapevole della limitazione dell’esistenza trasmigratoria, cerca la liberazione da essa? Costui è…

20. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (VII)

La dottrina della contiguità impedisce ogni contatto tra il suo Testimone e il mondo in divenire. Perciò, per un sāṃkhya chi è colui che ascolta da un guru l’insegnamento della śruti, ascolto che costituisce ciò che il Vedānta definisce śrāvaṇa? Chi è che, consapevole della limitazione dell’esistenza trasmigratoria, cerca la liberazione da essa? Costui è…

21. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (VIII)

Quando quelle persone affermano “io ho conosciuto questo”, esse affermano che “questo” non è l’“io” e, di converso, che “io” non è “questo”. Laddove si riscontri questa distinzione tra aham e idam, quella conoscenza non può essere atemporale e simultanea, perciò si tratta senza alcun dubbio di un atto conoscitivo dell’“io”.

22. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (IX)

Se qualcuno affermasse d’essere il Sākṣin, questa illusione sarebbe imputabile soltanto a un’idea formatasi nel suo intelletto. Il Sākṣin non è differenziato in “io” e “lui” perché non è mutevole, perciò l’“io” non potrebbe indagare e alla fine riconoscere di essere il Sé; perché quest’ultimo non può essere l’oggetto di un conoscitore che lo conosca…

23. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (X)

La percezione sensoriale (pratyakṣa) e gli altri pramāṇa hanno tutto il diritto di contraddire un testo che afferma cose contrarie all’esperienza dei sensi ecc. Come, per esempio, l’affermazione: “Egli dovrebbe bollire dei pezzi d'oro”. Infatti non si può bollire l’oro. Perciò se si intende la frase in senso letterale, il pramāṇa avrà tutte le ragioni…

24. Commento al “Tattvamasi” di Śaṃkarācārya (XI)

Se si interpretasse śrāvaṇa come un’azione ingiunta da un guru, allora vorrebbe dire che questa azione ha lo scopo di produrre un cambiamento di stato nel discepolo che, a conclusione della sādhanā, da individuo relativo si trasformerebbe in assoluto. Ciò implica che all’inizio colui che riceve l’insegnamento per mezzo dell’ascolto deve essere differente da ciò…