12. Pitagora
Pitagora
Pitagora nacque nel 570 a. C. a Samo, la più orientale fra le isole greche, importante sito di scambi commerciali e culturali. Dato che le sue opere sono andate perdute, le informazioni sulla sua vita e sui suoi insegnamenti provengono da autori successivi che hanno trasmesso ciò che avevano appreso su di lui, per lo più attraverso le tradizioni orali e alcuni testi scritti che col tempo andarono poi anch’essi perduti.
Pitagora viaggiò a lungo e ed ebbe relazioni con diversi ambienti iniziatici in Egitto, dove rimase per ventidue anni, e a Babilonia in Caldea. Fu anche iniziato ai Misteri Eleusini e a quelli Orfici.
Fin dalla sua prima giovinezza fu tanto celebrato per la sua straordinaria bellezza e saggezza che fu chiamato “figlio del dio Apollo Iperboreo” o Apollo stesso, venuto tra gli uomini per insegnare la Conoscenza.
A quarant’anni si trasferì in Magna Grecia, a Crotone, dove divenne famoso e ammirato, circondato da molti discepoli, anche donne, ai quali impose il silenzio e la segretezza sugli insegnamenti ricevuti. Era un adoratore del Dio Apollo e nella Magna Grecia il culto di questa Divinità coincise con l’insediamento di questo saggio in quella terra, dove numerosi templi furono dedicati a quel Dio. Lì fondò la sua scuola iniziatica (sampradāya).
Sappiamo che il suo metodo (sādhanā) era basato sull’aritmetica e sulla geometria: il numero è il principio e la base della Realtà. Uno è il Tutto. Apollo, infatti, significa “Unico” senza eguali, senza molteplicità.
Importante per Pitagora era la tetraktys (τετρακτύς, leggi tetraktỳs), la serie numerica composta da 1 + 2 + 3 + 4 = 10, che poteva essere simbolizzata graficamente come un triangolo equilatero.
Il numero 1 corrisponde al punto aspaziale.
Il 2 è la dualità causale (kāraṇa dvaita) che produce tutta la molteplicità, rimanendo senza espansione, come la linea geometrica.
Il 3 è il dominio sottile (sūkṣma śarīra), la superficie geometrica bidimensionale.
Il 4 è la manifestazione grossolana (sthūla śarīra), rappresentata dal solido tridimensionale. Il dispiegamento di tutta la realtà è rappresentato dal numero 10.
Tetraktys era anche il nome della scuola (sampradāya) e i discepoli giuravano su questo simbolo. I numeri 7 e 10 erano tenuti in grande considerazione. Ma ogni singolo numero, in realtà, aveva un significato simbolico ed era un supporto per la meditazione, perché tutte le cose manifestate, che corrispondono ai numeri, possono essere simboli da usare come supporti per la meditazione. In particolare, il 7 era il numero di Apollo e Pitagora era nato il settimo giorno del settimo mese, sottolineando in questo modo il suo stretto legame con il Dio. Egli trovò la dimostrazione del famoso teorema che porta il suo nome. È importante sottolineare che nella sua dottrina i numeri e le figure geometrici non hanno mai avuto solo un valore quantitativo, ma sempre un significato qualitativo e simbolico.
La qualità principale di questi principi della Realtà rappresentati dai numeri è l’armonia, come equilibrio degli opposti in cui vi è il riflesso dell’intelligenza divina. Le relazioni geometriche sono armoniche come le proporzioni musicali. Tutto il cosmo è governato da relazioni numeriche: la musica, che scaturisce dalla rotazione dei pianeti e della Terra, unifica il macrocosmo e il microcosmo in un tutto ordinato e armonioso.
Come Orfeo incantò gli animali, la musica di Pitagora, imitando l’armonia dell’universo, fu in grado di curare e pacificare le anime. L’introduzione dell’uso della lira a sette corde era attribuita a Pitagora. Nicomaco ci ragguaglia sul fatto che la scala musicale usata da Pitagora includeva sette note, i cui nomi erano associati ai pianeti in base alla loro distanza dalla Terra. Gli insegnamenti venivano impartiti attraverso enigmi perché non dovevano essere compresi da coloro che non erano iniziati.
Giamblico riferisce di una distinzione importante tra coloro che erano semplici seguaci di Pitagora, chiamati acusmatici (ἀκουσματικοὶ, leggi akusmatikòi), ovvero i semplici ascoltatori o filosofi, e coloro che erano pienamente impegnati nella comunità pitagorica e obbedivano alle rigide regole di condotta: questi erano chiamati contemplativi o “esoterici”, (ἐσωτερικοὶ, leggi esoterikòi), i veri iniziati. Coloro che aspiravano agli insegnamenti segreti dovevano aspettare tre anni per essere ammessi; dopodiché dovevano mantenere un completo silenzio per cinque anni, dedicandosi solo a seguire una disciplina interiore. Solo alla fine di quegli otto anni ricevevano l’iniziazione. Il loro stile di vita doveva essere semplice, frugale; il cibo era rigorosamente vegetariano. Indossavano abiti bianchi come simbolo di purezza, anche perché il bianco costituisce la sintesi degli altri colori. Tutti rinunciavano al possesso di oggetti personali (mamakāra). Non avevano il permesso di uccidere alcun essere vivente perché sostenevano la dottrina della trasmigrazione dell’anima.
Giamblico riferisce che l’iniziato (dīkṣita) procedeva passo dopo passo sul sentiero spirituale: questo significa che i Misteri Pitagorici appartenevano alla conoscenza non-Suprema del Brahman (aparavidyā).
Pitagora era considerato come fosse lo stesso Apollo iperboreo. A questo proposito si dice che una volta mostrò la sua coscia d’oro al suo ospite Abaris, sacerdote di Apollo proveniente dalla regione iperborea. Questo sacerdote aveva consegnato a Pitagora una freccia sacra grazie alla quale aveva volato dalla regione iperborea sino alla Magna Grecia. Abaris aveva donato la freccia a Pitagora perché lo aveva riconosciuto come Apollo, il suo Signore iperboreo.
Dopo un periodo di diffuso fervore, i suoi insegnamenti, il suo incitamento a uno stile di vita semplice e ad un comportamento rispettoso delle leggi divine (dharma), attirarono su di lui l’antipatia e l’invidia dei politici che fomentarono un violento tumulto dei crotoniati contro i pitagorici: la folla impazzita bruciò l’edificio dove si radunavano i Pitagorici e molti di loro morirono. Pitagora riuscì a salvarsi, ma afflitto letalmente dal dolore, morì a Metaponto, città della Magna Grecia, nel 495 a.C.
I pitagorici furono perseguitati anche in seguito. Per questa ragione Platone, pur ammirando molto Pitagora e tramandandone la saggezza nelle sue opere (specialmente nel Timeo), non dichiarò mai apertamente di essere uno dei suoi successori; in tal modo, non tutto andò perso. Pitagora, come avatāra di Apollo, apportò degli adattamenti alla tradizione greca dei suoi tempi; istituì una via iniziatica e la sua paramparā è ben conosciuta grazie a una lunga serie di nomi di maestri.
La diffusione della sua Dottrina e dei suoi insegnamenti è stata incredibilmente ampia: Diodoro Siculo, parlando dei Druidi, afferma che persino costoro seguivano le dottrine pitagoriche.
La straordinaria considerazione di cui godeva Pitagora ha attraversato i secoli e la sua Dottrina, che è rimasta viva nell’antica Grecia e ancor più a Roma attraverso i suoi dodici secoli di storia monarchica, repubblicana e imperiale; in una forma cristianizzata continuò a vivere fino al Medioevo. Dante (1265-1321 d. C.), il più grande poeta italiano, è stato l’ultimo importante maestro di questa paramparā.
Durgadevi