Vai al contenuto
Pythagoras

12. Pitagora

    Pitagora

    Pitagora nacque nel 570 a. C. a Samo, la più orientale fra le isole greche, importante sito di scambi commerciali e culturali. Dato che le sue opere sono andate perdute, le informazioni sulla sua vita e sui suoi insegnamenti provengono da autori successivi che hanno trasmesso ciò che avevano appreso su di lui, per lo più attraverso le tradizioni orali e alcuni testi scritti che col tempo andarono poi anch’essi perduti.
    Pitagora viaggiò a lungo e ed ebbe relazioni con diversi ambienti iniziatici in Egitto, dove rimase per ventidue anni, e a Babilonia in Caldea1. Fu anche iniziato ai Misteri Eleusini e a quelli Orfici.
    Fin dalla sua prima giovinezza fu tanto celebrato per la sua straordinaria bellezza e saggezza che fu chiamato “figlio del dio Apollo Iperboreo” o Apollo stesso, venuto tra gli uomini per insegnare la Conoscenza.
    A quarant’anni si trasferì in Magna Grecia2, a Crotone3, dove divenne famoso e ammirato, circondato da molti discepoli4, anche donne, ai quali impose il silenzio e la segretezza sugli insegnamenti ricevuti. Era un adoratore del Dio Apollo e nella Magna Grecia il culto di questa Divinità coincise con l’insediamento di questo saggio in quella terra, dove numerosi templi furono dedicati a quel Dio. Lì fondò la sua scuola iniziatica (sampradāya).
    Sappiamo che il suo metodo (sādhanā) era basato sull’aritmetica e sulla geometria: il numero è il principio e la base della Realtà. Uno è il Tutto. Apollo, infatti, significa “Unico” senza eguali, senza molteplicità5.

    Importante per Pitagora era la tetraktys (τετρακτύς, leggi tetraktỳs), la serie numerica composta da 1 + 2 + 3 + 4 = 10, che poteva essere simbolizzata graficamente come un triangolo equilatero.
    Il numero 1 corrisponde al punto aspaziale.
    Il 2 è la dualità causale (kāraṇa dvaita) che produce tutta la molteplicità, rimanendo senza espansione, come la linea geometrica.
    Il 3 è il dominio sottile (sūkṣma śarīra6), la superficie geometrica bidimensionale.
    Il 4 è la manifestazione grossolana (sthūla śarīra7), rappresentata dal solido tridimensionale. Il dispiegamento di tutta la realtà è rappresentato dal numero 108.
    Tetraktys era anche il nome della scuola (sampradāya) e i discepoli giuravano su questo simbolo. I numeri 7 e 10 erano tenuti in grande considerazione. Ma ogni singolo numero, in realtà, aveva un significato simbolico ed era un supporto per la meditazione, perché tutte le cose manifestate, che corrispondono ai numeri, possono essere simboli da usare come supporti per la meditazione. In particolare, il 7 era il numero di Apollo9 e Pitagora era nato il settimo giorno del settimo mese, sottolineando in questo modo il suo stretto legame con il Dio. Egli trovò la dimostrazione del famoso teorema che porta il suo nome. È importante sottolineare che nella sua dottrina i numeri e le figure geometrici non hanno mai avuto solo un valore quantitativo, ma sempre un significato qualitativo e simbolico.
    La qualità principale di questi principi della Realtà rappresentati dai numeri è l’armonia, come equilibrio degli opposti in cui vi è il riflesso dell’intelligenza divina. Le relazioni geometriche sono armoniche come le proporzioni musicali. Tutto il cosmo è governato da relazioni numeriche: la musica, che scaturisce dalla rotazione dei pianeti e della Terra, unifica il macrocosmo e il microcosmo in un tutto ordinato e armonioso.
    Come Orfeo incantò gli animali, la musica di Pitagora, imitando l’armonia dell’universo, fu in grado di curare e pacificare le anime. L’introduzione dell’uso della lira a sette corde era attribuita a Pitagora. Nicomaco10 ci ragguaglia sul fatto che la scala musicale usata da Pitagora includeva sette note, i cui nomi erano associati ai pianeti in base alla loro distanza dalla Terra11. Gli insegnamenti venivano impartiti attraverso enigmi perché non dovevano essere compresi da coloro che non erano iniziati.
    Giamblico12 riferisce di una distinzione importante tra coloro che erano semplici seguaci di Pitagora, chiamati acusmatici13 (ἀκουσματικοὶ, leggi akusmatikòi), ovvero i semplici ascoltatori o filosofi, e coloro che erano pienamente impegnati nella comunità pitagorica e obbedivano alle rigide regole di condotta: questi erano chiamati contemplativi o “esoterici”, (ἐσωτερικοὶ, leggi esoterikòi), i veri iniziati. Coloro che aspiravano agli insegnamenti segreti dovevano aspettare tre anni per essere ammessi; dopodiché dovevano mantenere un completo silenzio per cinque anni, dedicandosi solo a seguire una disciplina interiore. Solo alla fine di quegli otto anni ricevevano l’iniziazione. Il loro stile di vita doveva essere semplice, frugale; il cibo era rigorosamente vegetariano. Indossavano abiti bianchi come simbolo di purezza, anche perché il bianco costituisce la sintesi degli altri colori. Tutti rinunciavano al possesso di oggetti personali (mamakāra14). Non avevano il permesso di uccidere alcun essere vivente perché sostenevano la dottrina della trasmigrazione dell’anima.
    Giamblico riferisce che l’iniziato (dīkṣita) procedeva passo dopo passo sul sentiero spirituale: questo significa che i Misteri Pitagorici appartenevano alla conoscenza non-Suprema del Brahman (aparavidyā).
    Pitagora era considerato come fosse lo stesso Apollo iperboreo15. A questo proposito si dice che una volta mostrò la sua coscia d’oro al suo ospite Abaris, sacerdote di Apollo proveniente dalla regione iperborea. Questo sacerdote aveva consegnato a Pitagora una freccia sacra grazie alla quale aveva volato dalla regione iperborea sino alla Magna Grecia. Abaris aveva donato la freccia a Pitagora perché lo aveva riconosciuto come Apollo, il suo Signore iperboreo16.
    Dopo un periodo di diffuso fervore, i suoi insegnamenti, il suo incitamento a uno stile di vita semplice e ad un comportamento rispettoso delle leggi divine (dharma), attirarono su di lui l’antipatia e l’invidia dei politici che fomentarono un violento tumulto dei crotoniati contro i pitagorici: la folla impazzita bruciò l’edificio dove si radunavano i Pitagorici e molti di loro morirono. Pitagora riuscì a salvarsi, ma afflitto letalmente dal dolore, morì a Metaponto, città della Magna Grecia, nel 495 a.C.
    I pitagorici furono perseguitati anche in seguito. Per questa ragione Platone17, pur ammirando molto Pitagora e tramandandone la saggezza nelle sue opere (specialmente nel Timeo), non dichiarò mai apertamente di essere uno dei suoi successori; in tal modo, non tutto andò perso. Pitagora, come avatāra di Apollo, apportò degli adattamenti alla tradizione greca dei suoi tempi; istituì una via iniziatica e la sua paramparā è ben conosciuta grazie a una lunga serie di nomi di maestri18.
    La diffusione della sua Dottrina e dei suoi insegnamenti è stata incredibilmente ampia: Diodoro Siculo, parlando dei Druidi19, afferma che persino costoro seguivano le dottrine pitagoriche.
    La straordinaria considerazione di cui godeva Pitagora ha attraversato i secoli e la sua Dottrina, che è rimasta viva nell’antica Grecia e ancor più a Roma attraverso i suoi dodici secoli di storia monarchica20, repubblicana e imperiale21; in una forma cristianizzata continuò a vivere fino al Medioevo. Dante (1265-1321 d. C.), il più grande poeta italiano, è stato l’ultimo importante maestro di questa paramparā22.

    Durgadevi

    1. Regione meridionale dell’antica Mesopotamia; [talora usato come sinonimo di Babilonia, la voce Kaldu (KaldiKalda) doveva originariamente suonare Kashdu e alla lettera significare “la regione dei Cossei o Cassiti”. Kashdu progressivamente si trasformò secondo le leggi fonetiche del linguaggio assiro, in Kaldu, Caldea; il nome etnico “i Caldei” fu Kaldū; [N. d. T.].[]
    2. I greci chiamavano l’Italia meridionale “Magna (cioè la grande) Grecia”.[]
    3. Città della Calabria nell’Italia meridionale.[]
    4. Si dice che fossero seicento.[]
    5. I Pitagorici pregavano rivolti a est, da dove sorge il sole, l’astro con cui identificavano Apollo.[]
    6. Il corpo sottile, tutte le componenti sottili o psichiche dell’individualità. [N. d. T.].[]
    7. deha, il corpo grossolano, pesante; il corpo mortale, fisico, materiale che mangia, respira, si muove e agisce. È l’aggregato dei cinque elementi grossi, pañcabhūta. Pitagora, a differenza della maggior parte dei filosofi greci che ne conoscevano solo quattro, ignorando l’elemento etere, sosteneva l’esistenza di tutti e cinque gli elementi [N. d. T.].[]
    8. Ciò coincide perfettamente con i numeri che caratterizzano un ciclo completo nella tradizione hindū. Infatti, kṛta yuga è equivalente a 4, il treta a 3, il dvāpara a 2, il kali a 1, e all’intero ciclo corrisponde il 10.[]
    9. Secondo l’antica astrologia greca, il sole, che rappresenta Apollo, è il più nobile dei sette pianeti.[]
    10. Famoso matematico greco della scuola Tetraktys.[]
    11. Per esempio, Kronos (Saturno), il più distante e lento dei pianeti, coincide con la nota più bassa della scala musicale.[]
    12. Filosofo neoplatonico nato in Siria (250-330 a. C.) [scrisse una Vita di Pitagora. N.d.T.].[]
    13. Derivato di ἄκουσμα «percezione uditiva, voce», nome con cui venivano indicati (anche secondo Porfirio di Tiro) gli allievi di Pitagora che si limitavano ad ascoltare le lezioni del maestro, venendo così a conoscenza dei soli precetti pratici della dottrina; mentre i «matematici» erano i discepoli iniziati alle dottrine segrete [N. d. T.].[]
    14. L’estensione dell’egoismo sugli oggetti esterni [N. d. T.].[]
    15. Il nome di Pitagora significa “colui che parla attraverso la Pizia”, cioè Apollo stesso.[]
    16. Apollo era rappresentato con la faretra, le frecce e l’arco che simboleggiano i raggi del sole.[]
    17. Fozio di Costantinopoli ci informa che Platone era il nono maestro della paramparā dopo Pitagora.[]
    18. Tra questi citiamo Empedocle che è stato considerato un Dio, Eraclito e Parmenide. In un frammento, il pitagorico Parmenide afferma che la Dea gli aveva rivelato che doveva fare l’esperienza intuitiva dell’Essere (τό Ἐόν, leggi tò Eòn) al di là del tempo e del divenire: “Non nato e indistruttibile […], intero e perfetto, mai stato e che mai sarà perché Egli è ora, tutto intero, uno e continuo […], indivisibile […], in tutti uguale a se stesso […], pieno di essere […] senza inizio o fine”. La somiglianza con il Vedānta è davvero sorprendente![]
    19. Rappresentanti della casta sacerdotale dei Celti, popolazione che risiedeva nell’Europa occidentale e settentrionale e nelle isole britanniche.[]
    20. Numa Pompilio, il secondo Re di Roma, fu discepolo diretto di Pitagora; riorganizzò l’antica religione latina secondo il Pitagorismo. Da ciò si deduce che i Misteri Pitagorici erano la forma originale di iniziazione romana.[]
    21. Qui dobbiamo menzionare il più importante maestro pitagorico latino, il grande poeta Virgilio (70-19 a.C.) che visse all’inizio del periodo imperiale romano.[]
    22. Cfr. R. Guénon, L’esoterismo di Dante, cap. II: “Possiamo nondimeno considerare che, senza dubbio alcuno, da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante la «catena della tradizione» in terra italiana non fu mai interrotta” [N. d. T.].[]

    0. Introduzione

      Il Serpente e la Corda

      I  PARTE

      Introduzione

      Gurur Brahmā, Gurur Viṣṇu, Gurur Devo Maheśvaraḥa
      Guruḥa Sākṣāt Paraṃbrahman Tasmai, Śrīguruve Namaḥa

      Il Guru è Brahmā, il Guru è Viṣṇu, il Guru è l’autoluminoso Maheśvara,
      Venerazione al Guru che è Testimone del Supremo Brahman

      Dopo la pubblicazione del libro di Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī Dottrina e Metodo del Vedānta1 da noi curato, e dei numerosi contributi apparsi sul nostro sito web Veda Vyāsa Maṇḍala, abbiamo potuto verificare che un certo numero di lettori, per quanto esiguo, ha espresso un vivo interesse per l’Advaita Vedānta, in particolare nella forma con cui questa dottrina è descritta da coloro che ancor oggi sono iniziati a questa via spirituale, nonostante i tempi tenebrosi che corrono. La dottrina, che è argomento di questi scritti, lungi dall’essere una vuota elaborazione filologica2, appare ricca di spunti di riflessione per chiunque ne tenti un approccio con sincero desiderio di conoscenza. In questi scritti si può attingere a una fonte indiana diretta, usufruendo di un linguaggio piano e alla portata di tutti, basato sull’esperienza di vita condivisa, anche se quasi nessuno è più in grado di riconoscerla. Prima però d’affrontare la dottrina vedāntica, ci si dovrà chiedere come mai, se il linguaggio è semplice e l’esperienza è comune, così pochi siano in grado di comprendere gli argomenti proposti.
      In verità l’attuale umanità è travolta da una fase della moderna civiltà “dannatamente” complicata, frammentata, composita e sottoposta alla tirannia della molteplicità. L’essere umano contemporaneo è allevato, fin dalla sua più verde infanzia, a una mentalità ottusamente analitica, che persegue nei più infimi dettagli lo studio del mondo di cui fa parte; questo mondo, poi, è considerato sotto l’aspetto meno qualificato, ridotto a sola massa ed energia, e sottoposto a continua interferenza da parte dello psichismo inferiore3. Il seggio della conoscenza che nobilita l’animo umano è stato usurpato dalla tecnologia, ammirata per le sue ricadute utilitarie immediate e per le sue sempre più fatue e ingannevoli magie4. Un materialismo pratico invade tutti i campi dello scibile, con conseguenze irreversibili. Sarà sufficiente dare uno sguardo alle ultime generazioni occidentali, ahimé non molto diverse ormai da quelle orientali, per rendersi conto della gravità irreparabile della situazione. La gioventù di oggi è stata sistematicamente istruita e preparata a non riconoscersi in una specie, l’umana, perché il darwinismo ha convinto capillarmente tutte le vittime della scuola dell’obbligo a pensare che le specie non sono categorie fissate e che tra noi e i primati o i placentati non esiste una vera barriera invalicabile, nonostante che l’evidenza dimostri il contrario. Ugualmente costoro non si identificano con una razza umana5; anzi si è arrivato a negare accademicamente l’esistenza stessa delle razze, sotto pena di essere tacciati di “razzismo”; anche questo contro ogni evidenza, soprattutto oggi in cui nelle nostre città possiamo facilmente riconoscere e distinguere un negro da un estremorientale o da un indigeno.
      I giovani sono stati anche istruiti a non sentirsi parte d’una nazione, ma di una entità globale amorfa priva di qualità comuni, che si vuole sovranazionale, ma che in realtà è solo antinazionale. Per cancellare anche l’ultimo baluardo di identità nazionale, si agevola nel privato e si impone nel pubblico l’impoverimento e l’imbastardimento della lingua dei padri con il broken english, il miserabile e cacofonico gergo planetario alla portata delle menti più elementari, confezionato in modo da impedire la trasmissione di qualsiasi pensiero che vada oltre le più brute necessità; e anche in questo sono evidenti la bruttezza e la povertà di questo idioma artificiale6 paragonandolo con la ricchezza, duttilità ed eleganza delle lingue nazionali.
      Anche l’appartenenza a una forma religiosa è oggi negata, perfino dalle stesse sfere più elevate delle istituzioni ecclesiastiche cattoliche o riformate7, nella diffusa convinzione relativistica che “una religione vale l’altra”8. D’altronde se quelle forme religiose o confessioni, come preferiscono definirsi, hanno rinunciato del tutto a ogni meta e a ogni dottrina di ordine spirituale per trasformarsi in associazioni a fini sociali, è evidente che, nell’appiattimento operato verso il basso, tra loro si considerino equivalenti. Il missionarismo, prodotto velenoso del Rinascimento che, a scopi colonialistici, fin dall’inizio era finalizzato a distogliere aderenti alle tradizioni ancora intatte per offrire loro un frettoloso battesimo e nessuna formazione religiosa, da diversi decenni si è trasformato unicamente in uno strumento per la penetrazione delle ideologie e delle teorie scientifiche del mondialismo ateo al fine di estirpare dalle tradizioni viventi ogni traccia del sacro.
      Ugualmente è stato sradicato il concetto di classe sociale poiché, attraverso ripetute rivoluzioni, a partire da quella francese, si sono abolite le caratteristiche naturali dell’aristocrazia prima, della borghesia poi, e infine anche quelle del popolino, riducendo la società a una poltiglia informe, uniformata nella maleducazione, ignoranza e ottusità. L’unica differenza che persiste è il censo, anche se ricchezza e povertà non comportano alcuna distinzione qualitativa tra i ceti.9
      Ma l’opera di eversione più tenace è stata portata contro quello che, a pieno diritto, è il fondamento sociale di qualsiasi tradizione, vale a dire la famiglia. La propaganda ha logorato a lungo le generazioni successive alla seconda guerra mondiale, con un’opera di convincimento sulla bontà del divorzio e sul diritto allo scioglimento del vincolo matrimoniale considerato come una anacronistica mancanza di libertà. Così la letteratura, il cinema e i mezzi d’informazione hanno martellato le deboli menti degli occidentali sulla famiglia aperta, in cui la mamma è sposata con un altro, papà con un’altra e i figli, con l’aiuto dissolvente del “tribunale per minori” e degli “assistenti sociali”, scelgono con chi stare o, alternatamente, di stare ora con gli uni, ora con gli altri secondo il capriccio, con fatali ripercussioni sulla loro educazione. Educazione che nessuno più impartisce né sa più impartire perché è considerata una “imposizione autoritaria”, e la cui assenza totale fa apparire, al confronto, nobile, generoso ed elegante il comportamento degli animali.
      Ma questo era soltanto il passo iniziale, perché, ovviamente, ciò portava fatalmente all’abrogazione totale del matrimonio, sostituito dal concubinato più sregolato. Il terzo passo susseguente al dissolvimento della famiglia (detta “tradizionale”, anche senza alcuna consapevolezza di quanto corretta sia tale definizione) è consistito nel riconoscimento legale dello status di famiglia a qualsiasi connubio, preferibilmente mostruoso e innaturale. Per ultima è arrivata l’ideologia “gender” a mettere in dubbio perfino l’esistenza di due soli sessi, il maschile e il femminile, in sfacciata contraddizione con le evidenze naturali10.
      Tutte queste ripugnanti fantasticherie morbose, diventate realtà, sono state imposte dall’alto con leggi ingannevoli, criminalizzando l’ordine normale delle cose, grazie al patrocinio di tutte le organizzazioni internazionali e sovranazionali e da una infinità di ONG, inspiegabilmente legalizzate ovunque.
      Demoliti così la società, la famiglia e l’individuo, le nuove generazioni appaiono un vero e proprio polipaio infraumano, in cui le distinzioni tra individuo e individuo sono ormai delegate a un numero esiguo di nomi propri, rigorosamente slegati dal cognome familiare, e indistinguibili tra loro per la moda stracciona11 con cui si abbigliano con vestiti comprati già a brandelli, turpiloquiendo orrendamente per scarsezza di lessico e di ragione, e tutti, indistinguibilmente lobotomizzati dall’imprescindibile cellulare12. È dunque un vero miracolo se, soprattutto nei paesi “tecnologicamente più avanzati”, sopravvive ancora qualche sparuto individuo che cerca la conoscenza.
      La cerca della conoscenza è un percorso interiore e solitario, a cui si può accedere grazie alle proprie qualifiche innate, fatte emergere tramite un processo di purificazione della mente, con l’aiuto di un maestro che conosca le tecniche necessarie a tal fine. Una volta che il discepolo abbia raggiunto tale stato di consapevolezza, gli sarà possibile dedicarsi alla conoscenza metafisica pura sotto la guida di un guru realizzato, unico mezzo per raggiungere la Liberazione dall’ignoranza. La metafisica non ha forma, non ha stato né condizione; è del tutto libera in quanto essa stessa è il Supremo Brahman. Il Vedānta insegna questa metafisica. Ed è perciò che, prendendo come base il Sanātana Dharma, la Tradizione primordiale, al tempo stesso la trascende, esattamente come gli ativarṇāśrami trascendono del tutto la società castale. Come si diceva in nota, se Dio è un concetto dipendente dalle attribuzioni che le diverse religioni e tradizioni gli accordano; se, come concetto, è solo un prodotto dell’intelletto; se il non-Supremo è una illusoria proiezione per potersi raffigurare l’Assoluto secondo parametri individuali, e quindi come tale è non-reale (asat), il Supremo Brahman è Realtà non-duale, libero, eterno, esistente, cosciente e somma beatitudine. La metafisica come scienza dell’Assoluto non dipende da nulla. In questo senso si deve intendere l’affermazione che il Vedānta trascende non solo l’Induismo, unico erede diretto della Tradizione primordiale, ma tutte le altre tradizioni secondarie. Prova ne è che in nessuna altra tradizione vivente è presente l’insegnamento palese della metafisica pura, svincolata da formulazioni pie, teologiche, fideistiche o limitate da una dogmatica esteriore.
      Alcuni ignoranti della tradizione hindū, ripetono ossessivamente che non si può accedere a una iniziazione di quel Dharma senza prima essere stati aggregati a una casta. A parte il fatto che l’aggregazione alla casta è perfettamente percorribile13, questa argomentazione non ha alcuna base. Sopratutto manca la prova dharmicamente autorevole: la scrittura non lo afferma mai in nessuna parte.

      Il Sanāthana Dharma non data a partire da un certo momento temporale né dipende da un fondatore. Essendo eterno è anche universale né ha limitazioni territoriali. Tutti gli esseri che nascono e che devono nascere gli appartengono. Nessuno scappa a questa regola, anche se non la riconoscono. Il fatto che il fuoco bruci non dipende dal fatto che ci crediamo o meno. Se riconosciamo questa verità, meglio per noi; se non la accettiamo, tanto peggio per noi. In ogni caso la regola è quella, immutabile, universale ed eterna. Questo è il Sanāthana Dharma. (Domanda:) Se tutti sono hindū, perché c’è la restrizione del sistema castale? (Risposta:) Io ho solo detto che tutti sono hindū e perciò hanno diritto a cercare un maestro nella nostra religione. Non ho detto che tale guida debba essere la stessa per tutti. Illimitate sono le varietà di indoli, abitudini, ambienti, legami ereditari, tendenze prenatali ecc., perciò non ci si può aspettare che per tutti ci sia un solo metodo omogeneo. Perciò ci sono due parti del Dharma: quella universale (Sāmānya Dharma) e quella particolare (Viśeṣa Dharma). Alla prima appartiene tutta l’umanità. Alla seconda, chi appartiene a una determinata casta. Tuttavia, entrambi trovano la loro guida nel sistema delle caste” (Dialogues with the Guru, Chennai 2014, p. 14)14.

      1. Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī, Dottrina e Metodo del Vedānta, G.G. Filippi (a cura di), Aprilia, Novalogos ed., Quaderni di Indoasiatica, 2015.[]
      2. Per essere più espliciti, il presente lavoro non ha nulla a che fare e a che spartire con le inutili e distorte traduzioni e interpretazioni degli indologi e sanscritisti accademici d’Occidente e d’Oriente. La migliore conoscenza filologica si rivela del tutto insufficiente a rendere in traduzione i veri significati anche dei testi più elementari, visto che l’unico vero mezzo di conoscenza in questo dominio è l’Intuizione.[]
      3. Per molti lo psichismo inferiore, ossia quell’aspetto deteriore della psiche umana, abusivamente definito “inconscio”, che la moderna psicoanalisi pretende di studiare, ha sostituito per rovesciamento l’antica psicologia in quanto studio dell’anima.[]
      4.  “… faranno grandi segni e miracoli tanto da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (Vangelo di S. Matteo, 24.5-11; 24.25). Questo monito evangelico è del tutto attuale, tanto che persino molti, che si dichiarano “tradizionali”, arrivano ad affermare che la scienza moderna sta confermando le antiche dottrine d’Oriente e di Occidente come, per esempio, l’ipotesi del “Big Bang”, la natura vibratoria della massa, o la teoria quantica, senza accorgersi che tutte queste congetture speculative hanno un unico scopo: quello di dimostrare che tutto è spiegabile “scientificamente”, prescindendo dai principi spirituali. Recentemente è stata anche ipotizzata da certo Dr. Robert Lanza, dichiarato “genio universale” in base al suo curriculum universitario, che la coscienza sarebbe immortale e che perciò la morte è una illusione. Tutto ciò sarebbe stato dedotto dallo scienziato menzionato come risultato delle sue speculazioni sulla teoria dei quanti. Ecco dunque che si pretende che perfino l’immortalità sia dimostrabile dalla scienza tecnologica senza far appello a Dio o a una dottrina metafisica, che così diventano “enti e preoccupazioni inutili”! Ovviamente tutto ciò è artefatto e fasullo: infatti né la scienza né la logica possono essere in grado di dimostrare ciò che le trascende. Il Lanza sarebbe arrivato volutamente a scimiottare il concetto vedāntico che la coscienza è immortale in base a una ricerca sedicente “scientifica” sulla sostanza che compone gli oggetti, considerata smultaneamente come energia e come massa. Il “genio” sarebbe riuscito, perciò, a fare dell’Ātman non solo un oggetto, ma adirittura un “oggetto da laboratorio”! Tuttavia non ci si deve stupire che si lancino di continuo simili sciocche suggestioni per manipolare ancor più la mentatiltà corrente, grazie anche alla servile opera dei divulgatori scientifici.[]
      5. Specifichiamo “umana” perché, incoerentemente, si continua a riconoscere diverse razze di gatti, cani, equini ecc.[]
      6. Queste considerazioni valgono anche per le arti attuali che vogliono esprimere esclusivamente ciò che è brutto, decomposto, sconcio e sacrilego.[]
      7. “Dio non è cattolico”, ha affermato di recente il principale dirigente di ciò che fu la Chiesa Cattolica, forse intendendo dire che, a suo modestissimo parere, Dio dovrebbe essere ateo.[]
      8. In realtà questa affermazione è profondamente errata, perché, come vedremo in seguito, le forme tradizionali sono adattamenti della Tradizione unica a umanità, tempi e luoghi profondamente diversi tra loro, il che le rende differenti anche qualitativamente tra loro. Non per nulla, se per esempio si esaminano le tre religioni monoteistiche che scaturiscono dalla medesima radice, noteremo che nel giudaismo, per lo meno fino a un certo periodo storico, ci fu un vero e proprio sacerdozio stabilito per diritto di nascita; nel cristianesimo c’è un sacerdozio sussidiario, in quanto chiunque, in base a scelte e inclinazioni individuali, può liberamente accedervi ed essere consacrato; e nell’islam, invece, vi è assenza di sacerdozio. Ciò non può non riflettersi sulla natura dei rituali e della dottrina così diversamente trasmessi.[]
      9. L’assenza di un sacerdozio cattolico per nascita comporta di conseguenza che anche gli ecclesiastici siano parte di questa poltiglia informe. Se nel cristianesimo una distinzione era stata riconosciuta tra un “alto clero” e un “basso clero”, il primo è stato spazzato via da almeno due secoli, e il clero più “basso” ha occupato i vertici della Chiesa, con i risultati che stanno davanti agli occhi di tutti. Riguardo all’assenza di un sacerdozio, queste considerazioni possono essere estese, nelle attuali condizioni, a tutte le forme tradizionali, con una sola eccezione: nonostante il continuo lavorìo di logoramento perpetrato dall’interno e dall’esterno, la struttura castale in India mantiene di fatto, se non di diritto, il suo mandato naturale. In questo modo, nonostante la confusione delle caste dilagante in tutto il mondo, i brāhmaṇa conservano ancor oggi gran parte del loro prestigio, svolgendo regolarmente le loro funzioni rituali e sapienziali. Vâlsan, con la sua consueta ignoranza dell’induismo, in uno dei suoi articoli di “propaganda” in favore della shari’a islamica afferma: “En tout état de cause, dans l’intégration finale dont il s’agit, l’Hindouisme ne peut jouer aucun rôle sur le plan formel de la tradition : sur ce plan, sa définition, conditionnée par le régime des castes, est non seulement inextensible hors le monde hindou actuel, mais aussi destinée à disparaître dans l’Inde même : ses modalités sociales et culturelles spécifiques ne pourront malheureusement pas survivre à la dissolution qui se poursuit à notre époque. Dans la phase actuelle du Kali-Yuga, les choses devant aller jusqu’à l’état, annoncé dans les Livres sacrés de l’Inde, « où les castes seront mêlées et la famille n’existera plus », la base indispensable même de la tradition hindoue, le régime des castes disparaîtra et lorsqu’un redressement traditionnel deviendra possible, il ne pourra l’être que dans la formule fraternitaire d’une législation sacrée comme celle de l’Islam.” (Michel Vâlsan, “Le Triangle de l’Androgyne et le Monosyllabe «OM»” II,  Etudes Traditionnelles, mai-juin et nov.-déc. 1964). Questa “profezia” vâlsaniana fortunatamente in India non s’è verificata nonostante la tristezza dei tempi; al contrario, la confusione delle caste, diffusa in tutto il resto del mondo, è stata sancita come regola sociale proprio nell’egualitarismo islamico (nella citazione addolcito in “formule fraternitaire”), come adattamento legislativo per l’ultima religione monoteista alla situazione caotica del kali yuga. Sul filo del suo teorema, Vâlsan (ibid. n. 32) si rallegra che l’islam “… depuis le 8e siècle gagne, dans l’espace hindou, continuellement des positions nouvelles”.  Senza precisare che quella penetrazione è avvenuta per mezzo di eccidi e distruzioni catastrofiche prima, e tramite il più aggressivo missionarismo e terrorismo salafita, oggi. Questo spiega molto dell’ambigua posizione dei seguaci di Vâlsan nei confronti delle deviazioni della shari’a contemporanea.[]
      10. Ciò avviene anche con la colpevole copertura degli ambienti “scientifici”, disposti a qualunque falsificazione pur di non essere privati dei conclamati “fondi per la ricerca” erogati da politici manovrati da agenti nemmeno poi tanto occulti. Basti pensare alla grottesca teoria per cui il “buco nell’ozono” sarebbe stato (parliamo al passato, perché, nel frattempo, ahimé, il “buco” si è richiuso da solo!) provocato dai gas delle flatulenze dei duecento milioni di vacche che vivono in India, all’unico scopo evidente di colpire qualcosa che ritengono sia “sacro” per gli hindū. Ma gli “scienziati” ecologici si sono mai interrogati, invece, sui medesimi effetti provocati da sette miliardi e mezzo di umani?[]
      11. Le altre mode che i giovani seguono al giorno d’oggi, tendono a camuffarli da guerriglieri, terroristi o delinquenti, che evidentemente rappresentano per loro modelli da emulare, pur dichiarandosi tutti regolarmente “pacifisti”.[]
      12. Se le sostanze intossicanti producono l’effetto di incapacitare la mente dalle sue normali funzioni con effetti dissolventi, la multimedialità invece è strumento per “programmare” la mente a funzionare in modo rovesciato. A dimostrazione della maggiore pericolosità di questi strumenti di stregoneria tecnologica.[]
      13. I sostenitori di questa teoria si spingono alle affermazioni più avventate. Parlano a vanvera di “adozioni” per entrare in una casta, quando le adozioni sono sempre e solo tra gotra appartenenti alla medesima jāti. Parlano di “fuoricasta”, categoria esistente solo nella fantasia degli occidentali. Infatti, tutti gli esseri umani nascono indistintamente di casta śūdra. Con il rito upanayana possono essere accolti nella casta dei genitori e nel gotra paterno. “Possono”, perché se non ottengono l’upanayana rimangono di casta śūdra. Poiché l’ignoranza è sempre difficile da sradicare, aggiungeremo che, probabilmente, essi confondono i supposti “fuoricasta” con gli “intoccabili” (caṇḍāla). I quali non sono fuori delle caste, ma sono semplicemente śūdra che svolgono mansioni impure, ossia becchini, macellai, conciatori di pelli, barbieri ecc. Il passaggio di casta è possibile con vari rituali, sia per quanto riguarda un singolo sia per gruppi di individui. Questi “volutamente mal informati” dovrebbero chiedersi com’è che nell’Induismo sono entrati nel corso della storia birmani, thai, cambogiani, malesi indonesiani e altri ancora.[]
      14. Quella citata era la parola dello Śaṃkarācārya Śrī Śrī Cāndraśekara Bhāratī Mahāsvāmīgal (1892-1954), Jagadguru di Śṛṅgerī, massima autorità vedāntica, che non era né un falso guru, né un esponente del neo-Induismo vivekānandiano, né un guru new age, rispettato e venerato anche da Śrī Ramaṇa Maharṣi. Al contrario, assistiamo a una contraffazione in senso opposto, sostenuta proprio da chi nega la possibilità appena descritta dal Jagadguru sulla base di una tradizione muḥammadiana: “Ognuno nasce in uno stato di naturale disposizione all’innocenza (fitrah): sono i genitori a fare di lui un ebreo, un cristiano o uno zoroastriano” (Bukhari 1292; Muslim 2658). “O un musulmano”, aggiungeremo noi. Infatti questa ḥadīth è stata interpretata tendenziosamente come se tutti nascessero musulmani. Ciò è contraddetto dalla necessità della pronuncia rituale della shahāda davanti a due testimoni per poter entrare a far parte della comunità islamica, pronuncia a carico del padre se si tratta di infanti. Presso gli ambienti pseudosufici europei la tendenziosità è estesa all’interpretazione del termine fitrah come Tradizione Primordiale. Lo stesso dicasi per il termine dinul qayyimah, che definisce il monoteismo come fondamento comune alle rivelazioni religiose semitiche. È evidente il maldestro tentativo di emulare le caratteristiche del sanātana dharma.[]
      Pythagoras

      12. Pythagoras

        Pythagoras

        Pythagoras was born in 570 a. C. in Samo, the easternmost among the Greek Islands, important site of commercial and cultural exchanges. His works have been lost. The information about his life and his teachings comes from later authors who handed down what they knew about him mostly by oral traditions and by some written texts lost over the time.
        Pythagoras traveled for a long time and contacted several initiatic environments, in Egypt, where he stayed for twenty-two years and in Babylon of Chaldea1. He was also initiated to the Eleusinian and the Orphic Mysteries.
        From his earliest youth he was so much celebrated for his extraordinary beauty and wisdom that he was called son of the God Apollo Hyperborean or Apollo himself, who came among men to teach Knowledge.
        At the age of forty he moved to Magna Greece2, in Crotone3, where he became famous and admired, surrounded by many disciples4, even women, to whom he imposed silence and secrecy on the received teachings. He was an Apollo worshiper and the worship of this Deity in Magna Greece coincided with the settle of such a wise man in that land, where numerous temples had been dedicated to that God. There he founded his initiatic school (sampradāya).
        We know that his method (sādhanā) was based on arithmetic and geometry: the number is the beginning and the basis of Reality. One is the Whole. Apollo, in fact, means “the only one” without anything else, without multiplicity5. Important for Pythagoras  was the tetraktys (τετρακτύς, read tetraktǘs), the numerical series composed by 1 + 2 + 3 + 4 = 10, which could be graphically symbolized as an equilateral triangle. The number 1 corresponds to the point,  beyond the space. The 2 is the causal duality (kāraṇa śarīra) that produces all multiplicity, remaining without extension, as the geometric line. Three is the subtle (sūkṣma śarīra), the two-dimensional geometric surface. Four is the gross manifestation (sthūla śarīra), represented by the three-dimensional solid. The whole Reality is represented by the number 106.
        Tetraktys was the name of the school (sampradāya) and the disciples swore on this symbol. The numbers 7 and 10 were hold in high regard. But every number, in reality, had a symbolic meaning and was a support to meditation because all things exist in analogy to it. In particular, the 7 was the number of Apollo7 and Pythagoras was born on the seventh day of the seventh month, emphasizing in this way his close bond with the God. The wording of the famous theorem concerning the rectangle triangle bears his name. It is important to point out that in his doctrine the geometric figures and numbers never had only a quantitative value, but always a qualitative and symbolic meaning.
        The main quality of these principles of Reality represented by the numbers is the harmony as the balance of opposites and reflection of divine intelligence. The geometric relationships are harmonic as well as the musical proportions. All the cosmos is governed by numerical relationships: music, which springs from the rotation of planets and Earth, unifies the macrocosm and microcosm in an orderly and harmonious whole.
        As Orpheus enchanted animals, so the music of Pythagoras, imitating the harmony of the universe, was able to cure and appease souls. The use of the seven-string lyre was attributed to Pythagoras. Nicomachus8 claimed that the musical scale, used by Pythagoras, included seven notes whose names were associated with the planets based on their distance from Earth9. The teachings were given in riddles because they had not to be spread among the uninitiated.
        Iamblichus10 reports a distinction between those who were simple followers of Pythagoras, called philosophers or “acusmatics” (ἀκουσματικοὶ, read akusmatikòi), i.e. the listeners, and those who were fully engaged in the Pythagorean community and obeyed to the strict rules of conduct, these were called contemplatives or “esoterics”, (ἐσωτερικοὶ, read esoterikòi), the true initiates. Those who aspired to the secret teachings had to wait three years for admission; after that they had to maintain full silence for five years, to experience self-control. Only at the end of those eight years they received the initiation. Their lifestyle had to be simple, frugal; food was strictly vegetarian. They wore white clothes as symbol of purity as synthesis of all colors. Everyone renounced to the possession of personal belongings (mamakāra). They were not allowed to kill any living being because they supported the doctrine of the soul transmigration.
        Iamblichus relates that the dīkṣita proceeded step by step on the spiritual path: this means that the Pythagorean Mysteries belonged to the non-Supreme Brahman knowledge (aparavidyā).
        They considered Pythagoras as Hyperborean Apollo himself11. In this regard it is said that once he showed his gold thigh to his guest, the Hyperborean Abaris. This priest had given a sacred arrow  to Pythagoras by which he had flown from Hyperborea to Magna Greece. Abaris had given the arrow to Pythagoras because he had identified him with his Hyperborean Lord Apollo12.
        After a period of general enthusiasm, his teachings, his incitement to a simple life style and to a behavior according to the divine laws (dharma), addressed towards him the antipathy and the envy of politicians. These people prompted the Crotonians to a revolt against the Pythagoreans: the crazed crowd burned the building where the Pythagoreans were gathering. Many of them died. Pythagoras managed to save himself, but, stroke by sorrow, he died in Metapontum, a city of Magna Greece, in 495 B. C.
        The Pythagoreans were persecuted also later. For this reason Plato13, who admired Pythagoras and who revealed the Pythagorean wisdom in his works (especially in the Timaeus), conveyed many teachings of the Master without ever openly declaring to be one of his followers. In this way, all was not lost. Pythagoras, as Apollo’s avatāra, adapted the Greek Tradition to its own time. He established an initiatic path and its papamparā is well known through a long series of guru’s names14.
        The diffusion of his thoughts and teachings has been incredibly wide: Diodorus Siculus, speaking of the Druids15, states that all they followed the Pythagorean doctrines.
        The extraordinary reputation of Pythagoras has crossed the centuries and his doctrine, which remained alive in ancient Greece, and even more in Rome throughout its twelve centuries of monarchic16, republican and imperial history17; in a Christianized form it continued alive until the Middle Ages. Dante (1265-1321 A.D.), the greatest Italian poet, has been the last important master of this paramparā.

        Durgādevī

        1. Southern Region of ancient Mesopotamia.[]
        2. The Greeks called Southern Italy “Magna (i.e. Great) Greece”.[]
        3. City of Calabria in southern Italy[]
        4. It is said that they were six hundred.[]
        5. The Pythagoreans prayed facing East, from where the sun, aster identified with Apollo, rises.[]
        6. This perfectly coincides with the numbers characterizing a complete cycle in the Hindū Tradition. In fact, kṛta yuga is equivalent to 4, the treta to 3, the dvāpara to 2, the kali to 1, and the whole cycle applies 10.[]
        7. According to ancient Greek astrology, the sun, representing Apollo, is the noblest of the seven planets.[]
        8. Famous Greek mathematician of the Tetraktys school.[]
        9. For instance Kronos (Saturn), the most distant and slow of the planets, coincides with the lowest note of the musical scale.[]
        10. Neoplatonic philosopher, born in Syria (~250-330 B.C.).[]
        11. The name of Pythagoras means “the one speaking through the Pythia”, that is, Apollo himself[]
        12. Apollo was represented with the quiver with the arrows and the bow symbolizing the the striking rays of the sun.[]
        13. Photius of Costantinople informs us that Plato was the ninth master of papamparā after Pythagoras.[]
        14. Among them we mention Empedocles, who has been considered as a God, Heraclitos and Parmenides. In a fragment the Pythagorean Parmenides states that the Goddess had revealed to him that he had to make the intuitive experience of the Being, (τό Ἐόν, read tò Eòn) who does not know either the time or the becoming: “Unborn and indestructible […], whole and perfect, never was or will be because He is now, all together, one and continuous […], indivisible […], all equal to himself […], full of being […] without beginning or end.” The resemblance with Vedānta is really amazing![]
        15. Members of the priestly caste of the Celts, a population who settled in Western and Northern Europe, and in the British Isles.[]
        16. Numa Pompilius, the second king of Rome, was immediate disciple of Pythagoras; he reorganized the ancient Latin religion according to the Pythagoreanism. Hence, the Pythagorean Mysteries were the original form of Roman initiation.[]
        17. Here we have to mention the most important Latin Pythagorean master, the great poet Virgil (70-19 B.C.) who lived at the beginning of the Roman imperial period.[]