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Brahmajñākavi Śrī Deva Rao Kulakarni (Hombala)

2. Adhyātma Yoga

A cura di Maitreyī

Adhyātma Yoga

Abbiamo già esaminato il significato della parola Adhyātma. Ora conosceremo il significato di Adhyātma Yoga. Di solito con la parola Yoga si denota lo Yoga di Patañjali, il rāja yoga, lo haṭha yoga ecc. Ma nei Prasthānatraya Bhāṣya con yoga s’intende qualcosa di molto diverso. Come si è già accennato, nel Vedānta Śāstra, Śaṃkara ha riconosciuto l’uso delle prime cinque ‘membra’ (aṅga) del pātañjala yoga, vale a dire: yama (il controllo degli organi di senso), niyama (il controllo degli organi di azione), āsana (tecniche per stare seduto comodamente per lungo tempo), prāṇāyāma (regolazione del respiro per ottenere la calma della mente), pratyāhāra (la cessazione del desiderio di godere degli oggetti esterni). Queste cinque ‘membra’ del pātañjala yoga sono indispensabili anche per i discepoli del Vedānta, in particolare per chi pratica l’Adhyātma Yoga. Per sviluppare queste capacità, per l’uomo comune sono utili il karma yoga e le upāsanā. Questo è anche confermato nella Bhagavad Gītā, dove s’afferma che il karma yoga porta al dhyana yoga. Il dhyana yoga, per mezzo del bhakthi yoga, conduce al jñāna. Nel linguaggio della Gītā, infatti, il dhyana yoga indica lo stesso Adhyātma Yoga.

Secondo Patañjali, nello yoga ci sono otto membra o gradini. I primi cinque sono stati già descritti. I rimanenti tre sono dhāraṇādhyāna e samādhi, che il Vedānta Śāstra non riconosce. I termini dhāraṇā e dhyāna si trovano nei Prasthānatraya Bhāṣya. Per esempio, nel preambolo di Śaṃkara al nono capitolo della Bhagavad Gītā, si legge:

Nell’ottavo capitolo è stato dichiarato che lo yoga della concentrazione o dhāraṇā…

Anche nella Taittrīya Upaniṣad (I.11.4), oltre alle pratiche di concentrazione, di meditazione ecc, le parole dhāraṇā e dhyāna sono usate con lo stesso significato che hanno nello Yoga di Patañjali. Esse sono applicate solo come concentrazione e meditazione su Oṃkāra o su qualsiasi altra forma del Signore prescritte nei Veda. Śaṃkara, nel suo Brahma Sūtra Bhāṣya, ha dichiarato che lo Yoga di Patañjali è una corrente dualistica, perché i pātañjala yogin sostengono la molteplicità dei Sé e accettano, oltre all’esistenza di Īśvara e dei puruṣa, la realtà della materia primordiale dell’universo, la Prakṛti. Invece il Vedānta, stabilisce che l’unico Brahman non-duale appare sotto tutte queste forme a causa dell’ignoranza. Abbiamo già visto che nel Brahma Sūtra Bhāṣya si afferma che i seguaci del Sāṃkhya e dello Yoga sono dualisti e non percepiscono l’unità del Sé. Perciò, i termini Sāṃkhya Yoga usati nel Vedānta -come, per esempio, nella Bhagavad Gītā– non hanno nulla a che fare con il Sāṃkhya di Kapila o con lo Yoga di Patañjali, ma designano la discriminazione [viveka] e la contemplazione [nididhyāsana] vedāntiche basate sull’esperienza intuitiva universale e sulla visione globale della vita. Di conseguenza, deve essere ben chiaro che l’Adhyātma Yoga non è in alcun modo collegabile allo Yoga di Patañjali.

Esaminiamo ora il significato di Adhyātma Yoga secondo le Upaniṣad. Tale binomio è descritto nella Kaṭha Upaniṣad (I.2.12) come la fissazione della mente sul Sé e, quindi, è [come fosse] una meditazione. Śaṃkara nel commento alla stessa Upaniṣad ha dichiarato che:

Adhyātma Yoga è la fissazione della mente sul Sé dopo averla ritirata dagli oggetti esterni. (KUŚBh I.2.12)

Il modo di praticare questo Yoga è stato descritto in Kaṭha Upaniṣad (I.3.13).

Colui che discrimina dovrebbe riassorbire la parola nella mente; dovrebbe riassorbire la mente (manas) nel sé conoscente (buddhi, ovvero l’intelletto); dovrebbe poi riassorbire il sé conoscente nel grande Ātman (mahān Ātman, ovvero Hiraṇyagarbha1); dovrebbe riassorbire il grande Ātman nel Sé in pace (Śānta Ātman, ovvero Paramātman)(KU I.3.13)

Il medesimo concetto è chiaramente spiegato anche nel commento di Śaṃkara ai Brahma Sūtra:

L’idea implicita è la seguente: “Dovrebbe ritrarre la facoltà della parola nella mente”, significa che il vivekin dovrebbe rinunciare a tutte le attività esterne delle facoltà d’azione, come la parola, e continuare ad agire solo attraverso la mente. Ma poiché la mente ha la tendenza a pensare agli oggetti, dovrebbe rendersi conto dell’errore di pensare ai pro e ai contro e tenere la mente saldamente sotto controllo dell’intelletto che ha la facoltà di determinazione e a cui ci si riferisce qui con il termine di ‘sé conoscente’. A sua volta, dovrebbe ritirare l’intelletto nel grande ātman, lo sperimentatore o intelletto pervadente, raggiunto per mezzo della meditazione. [Il vivekin] deve comunque reintegrare il grande Ātman nel Sé pacifico, nel Puruṣa Supremo di cui si parla, cioè nella Meta suprema (KU I.3.11). (BSŚBh I.4.1)

Perciò, l’Adhyātma Yoga non è come le altre meditazioni, che sono della natura del Kartṛ Tantra, in quanto non dipende dalla volontà e dal desiderio di chi lo fa; è, invece, della natura del Vastu Tantra, il che significa vedere i fatti così come sono osservandoli con la mente per conoscerli nella loro vera prospettiva.

L’Adhyātma Yoga è chiamato nididhyāsana e nel sesto capitolo della Bhagavad Gītā è denominato dhyāna yoga. L’intero sesto capitolo della Gītā è dedicato alla descrizione del dhyāna yoga e delle sue caratteristiche. Il tema dell’Adhyātma Yoga, sotto la denominazione di dhyāna, è ripreso anche negli śloka XIII.24 e XVIII.52. Gauḍapāda preferisce definire l’Adhyātma Yoga come metodo di soppressione della mente (manonigraha yoga) nelle sue Kārikā (III.41-48) a commento della Māṇḍūkya Upaniṣad. In tutti questi passaggi scritturali sono così descritti l’Adhyātma Yoga, i suoi accessori, gli ostacoli alla sua pratica e la rimozione di tali ostacoli.

Per praticare l’Adhyātma Yoga (nididhyāsanadhyāna yoga o manonigraha yoga che dir si voglia), un aspirante jñāni (jijñāsu) dovrebbe prima ottenere l’Ātma pratyaya (la ferma consapevolezza sulla propria reale natura in quanto Sé) con l’ascolto (śravaṇa) del metodo di discriminazione insegnato dal Guru e dagli Śāstra. Deve, quindi, praticare manana, cioè il metodo di riflessione sulla base dell’intuizione e adottando la logica in accordo con gli insegnamenti del Guru e dello Śāstra. Infine, per riconoscersi nella sua vera natura di Sé e conoscere la pervasività del Sé in tutte le parvenze duali, deve praticare l’Adhyātma Yoga. L’esatta messa in pratica del nididhyāsana è descritta come segue. La totalità dell’esperienza del mondo esterno è costituita essenzialmente dai cinque tipi di sensazioni: auditiva, tattile, visiva, gustativa e olfattiva. Se si prescinde da queste cinque sensazioni, un mondo in quanto tale non esiste affatto. I nostri sensi sono gli unici strumenti per provare l’esistenza del mondo esterno. Senza le cinque percezioni ottenute attraverso gli organi di senso, non è disponibile alcuna altra prova sull’esistenza del mondo. Perciò gli organi di senso sono “il Sé del mondo esterno”.

Da ciò si trae che le caratteristiche significative del Sé sono come segue: 1) il Sé risiede all’interno; 2) pervade l’oggetto esterno; 3) è privo di dipendenza; 4) è sottile2. Per contro, le caratteristiche significative del non-sé (anātman) sono del tutto diverse dal Sé. Per esempio: 1) appare esterno; 2) è pervaso dal Sé; 3) dipende dal Sé; 4) è grossolano. Secondo questi criteri si dovrebbe determinare la natura del Sé considerando l’intera gamma di oggetti, dal mondo esterno al Sé più profondo. In questo processo il primo passo è l’eliminazione del mondo esterno per mezzo degli organi di senso. Vale a dire, si riconosce che il mondo esterno si sperimenta solo attraverso le modificazioni o sensazioni degli organi di senso e che non c’è un mondo esterno come tale al di fuori di queste percezioni dei sensi. Una volta determinato questo, non si è attirati né dal mondo esterno né dagli oggetti che paiono comporlo. Il risultato di questa ferma convinzione si chiama eliminazione del mondo esterno per mezzo delle facoltà di sensazione.

In secondo luogo si dovrebbe indagare la fonte dei cinque sensi per arrivare alla conclusione che la mente è il sé degli organi di senso. Anche il manas risiede all’interno, pervade i sensi senza dipendere da essi ed è più sottile. Ovvero il manas ha le quattro caratteristiche comuni per essere considerato il sé delle facoltà di senso. Applicando così al manas il metodo già descritto per riconoscere gli organi di senso in quanto sé delle cose esterne, il sādhaka raggiunge la ferma consapevolezza che la mente sola appare come facoltà di sensazione e come mondo esterno assieme ai correlati concetti di tempo infinito, spazio, causalità ecc. Questo è chiamato eliminazione dei sensi per mezzo della mente. Qui il sādhaka s’identifica soltanto alla forma della mente. Egli, per così dire, è la mente stessa e, a parte la mente, il mondo e i sensi non hanno alcuna esistenza indipendente.

Si deve poi procedere ulteriormente verso l’interno, verso l’intelletto. A questo livello, la facoltà che determina e oggettiva l’agitazione della mente è detta buddhi. L’intelletto è il sé della mente. Con osservazione acuta si deve annullare la mente per mezzo dell’intelletto, adottando sempre il medesimo metodo. Qui l’aspirante al mokṣa ristà come intelletto. Per lui non c’è mente né organi di senso né mondo esterno indipendenti a parte l’intelletto.

A questo punto il sādhaka deve discernere e comprendere il substrato dell’intelletto cioè il senso dell’‘io’ o ego. L’ego oggettiva l’intelletto nel seguente modo: “Il mio intelletto è capace di comprendere tale cosa, mentre è incapace di capire talaltra”. Quindi questo senso dell’ego è interno all’intelletto ed è anche colui che gode del piacere o del dolore. Cioè, anche se il piacere e il dolore sono collegati all’organo interno (antaḥkaraṇa), il senso dell’ego s’identifica con le sensazioni di piacere e di dolore ecc. Per questa ragione è chiamato bhoktṛ (fruitore)3. Quando questo senso dell’ego è descritto dal punto di vista del microcosmo (individuo), allora è chiamato jīva, ma quando il senso dell’ego è descritto dal punto di vista macrocosmico (cioè come ego cosmico o senso dell’‘io’di tutte le creature prese come un tutt’uno o come il primo ‘io’ universale) è chiamato Hiraṇyagarbha o mahān Ātman4. Quest’ultima è un’espressione peculiare del Vedānta ovvero un termine tecnico. Per riassumere, si elimina il proprio intelletto per mezzo dell’ego. Durante tutti questi passaggi si dovrebbero osservare tutte e quattro le caratteristiche descritte sopra. Quindi il senso dell’ego è il Sé di tutti i fenomeni. Dove c’è l’‘io’, invariabilmente appare tutto il seguito del suo rispettivo mondo. A questo punto è essenziale ragionare intuitivamente ricordando che l’ego della veglia e l’ego del sogno non sono la stessa cosa. Infatti, non c’è alcuna relazione tra essi. Ogni ego proietta il suo rispettivo mondo; quindi, dove non c’è il senso dell’ego non c’è traccia di alcun mondo. Perciò il metodo peculiare del Vedānta è che si deve prendere il macrocosmo e il microcosmo come un unico oggetto. Per averne conferma dobbiamo osservare la vita con una visione globale sulla base dell’accettazione universale dell’esperienza intuitiva. Quando appare l’ego della veglia, insieme a esso viene in esistenza tutto il mondo della veglia. Lo stesso accade nello stato di sogno. E nel sonno profondo, quando quei due ‘io’ scompaiono, non c’è alcuna traccia di mondo o di dualità. Quindi è evidente che il senso dell’ego è il Sé di tutti i fenomeni.

Alla fine, l’aspirante dovrebbe oggettivare il suo senso dell’ego collocandosi nella vera natura del proprio Sé, che è il Testimone del senso dell’ego. Per oggettivare il senso dell’ego l’unico metodo è discriminare con profonda attenzione: quando ci si rende conto che c’è il senso dell’ego, allora automaticamente si prende posizione nella reale natura del Sé che è il Testimone dell’ego. Non c’è alcun bisogno di sforzarsi per stabilirsi nella reale natura del Sé, perché questa è la propria natura di Essere che è sempre Quello. A causa della sua errata identificazione con i non-sé come l’ego ecc., si pensa erroneamente che “io sono così e così”. Adottando tale metodo di discriminazione, con mente fissa in questo Adhyātma Yoga com’è stato descritto, si annulla la propria identificazione con l’ego e con tutto il resto. Per esempio, quando si discrimina che il senso dell’ego appare sia nello stato di veglia sia nello stato di sogno (separatamente) e scompare completamente nel sonno profondo, allora in quel momento cessa la propria identificazione con l’‘io’. Ma quando si vuole esprimere questa intuizione, subito si prende la forma del senso dell’ego e a tal scopo si usa lo stesso senso dell’ego e i suoi strumenti per esprimersi. Allora ci si confonde e si sostiene: “ho conosciuto l’assenza dell’io nel sonno profondo attraverso il mio intelletto o la mia mente”. Ma il fatto è ben diverso. Quindi, per prendere posizione nella vera natura del Sé, non c’è alcun altro metodo che il viveka. Questo è chiaramente spiegato da Śaṃkara nel suo commento ai Brahma Sūtra che abbiamo citato all’inizio di questa argomentazione e che si conclude come segue:

[Il vivekin] deve comunque reintegrare il grande Ātman nel Sé pacifico, nel Puruṣa Supremo di cui si parla, cioè nella Meta suprema (KU I.3.11). (BSŚBh I.4.1)

Spieghiamo di seguito il significato di questa frase. Attraverso la pratica dell’Adhyātma Yoga alla fine si riconosce che “la mia vera natura di Essere è al di là dell’ego”. Quando si riconosce questa verità, allora si rimane della natura di Testimone dell’ego. Quindi “conoscere il Sé è essere il Sé ed essere il Sé è cessare l’identificazione con il non sé”. Questa affermazione di Śrī Ramaṇa Maharṣi deve essere ricordata dal sādhaka di Adhyātma Yoga. Qui il sādhaka si è, per così dire, rivolto con mente concentrata verso l’interno e, tramite discriminazione, è arrivato al limite di tutte le dualità e al centro stesso della vita. Egli stesso sta lì come Testimone dell’ego ossia come puro Sé.

Dopo questo, deve osservare, come ha fatto nei passi precedenti, la natura pervasiva del Testimone in tutte le cose, dall’ego al mondo esterno. Quindi, a parte la vera natura del Sé, non c’è esistenza indipendente del cosiddetto non-sé. Non c’è neppure la possibilità di distinguere il Sé dal resto nel tempo o nello spazio, perché i concetti di tempo, spazio e causalità sono nella giurisdizione del solo senso dell’ego. Così l’anātman non è nel tempo né nello spazio, perché i concetti di tempo, spazio e causalità sono inclusi nel non-sé. Quindi lo stesso non-sé non è nel tempo o nello spazio: le idee stesse di tempo, spazio ecc. sono incluse nel non-essere (asat)5. La vera natura del Sé, in quanto al di là dell’ego, non è nella giurisdizione del tempo e dello spazio. Quindi è impossibile dire che il Sé è primo e il non-sé è secondo. In senso stretto, l’intera apparenza dei non-sé è pervasa solo dal Sé, proprio come l’acqua pervade le onde dentro e fuori o l’argilla pervade i vasi. Quindi non esiste nessun non-sé in quanto tale separato dal vero Sé. Quando non si conosce la vera natura del Sé, allora si concepisce erroneamente il Sé come se fosse il non-sé. Questa verità è confermata nel seguente passaggio della śruti:

Perché quando c’è dualità, per così dire, allora si sente qualcosa […] si pensa qualcosa, si conosce qualcosa, (ma) quando per il conoscitore del Brahman tutto diventa il Sé, allora cosa si dovrebbe vedere e attraverso che cosa? […] Cosa si dovrebbe conoscere e attraverso che cosa?” (BU IV. 5. 15)

Per questo motivo Śaṃkara nel Brahma Sūtra Bhāṣya si è espresso nel modo seguente, circa la causalità tra Brahman (il Sé) e il mondo:

… come gli spazi all’interno di vasi o di giare non sono diversi dallo spazio cosmico o come l’acqua in un miraggio non è diversa dal deserto. Poiché essi a volte appaiono e a volte scompaiono e, come tali, la loro natura non può essere definita, allo stesso modo si deve comprendere che questo apparente mondo diversificato dell’esperienza e delle cose sperimentate, non ha esistenza separatamente dal Brahman. (BSŚBh II. 1. 14)

Da questo possiamo concludere che il Brahman-Ātman è la Realtà e il mondo è una falsa apparenza. Con questo processo, quando si riconosce la falsità di tutti i fenomeni del mondo duale, incluso il senso dell’ego, allora ci si stabilisce naturalmente nell’assoluto Sé non-duale. Questo è il risultato finale dell’Adhyātma Yoga nididhyāsana.


  1. Con la formula mahān Ātman (KU I.3.10) si vuol intendere qui l’intelletto del primo nato Hiraṇyagarbha che è la base più elevata per gli intelletti di tutti gli esseri, in accordo con la smṛti: “Ciò che viene letto dai sapienti come potere di pensare, pervasivo, potere di determinare il futuro, potere animante, rifugio, intelletto, potere di determinare il presente, gloria, sovranità, intuizione delle cose del triplice tempo, potere di espressione, coscienza, memoria del passato” (MBh XIII.10 .11) e in accordo con l’Upaniṣad “Colui che creò Hiraṇyagarbha in principio e gli trasmise i Veda” (ŚU VI.18). (BSŚBh I.4.1) [N.d.C.].[]
  2. Per queste quattro caratteristiche significative si rilegga il passaggio già citato di Kaṭha Upaniṣad (I.3.10) e vedasi Bhagavad Gītā: “I saggi dicono che i sensi sono superiori [al corpo grossolano]; la mente è superiore ai sensi e l’intelletto è superiore alla mente. Ma chi è superiore all’intelletto è il Sé” (BhG III.42) [N.d.C.].[]
  3. A questo punto saranno evidente al lettore attento le strette relazioni tra la pratica dell’Adhyātma Yoga e quella del pañcakośa: infatti all’eliminazione del mondo esterno corrisponde il controllo del prāṇomayātman, all’annullamento dei sensi il controllo di manomayātman, a quello della mente il controllo di vijñānamayātman, all’eliminazione della buddhi il controllo di ānadamayātman, e all’eliminazione dell’ego-fruitore (bhoktṛ) lo stabilirsi nell’Ātman supremo, il mokṣa. [N.d.C.].[]
  4. L’intelletto individuale quale strumento dell’ego è detto buddhi. Analogamente, mahat è il nome che si attribuisce all’intelletto universale di mahān Ātman-Hiraṇyagarbha. [N.d.C.].[]
  5. Non-essere è semplicemente ciò che non esiste, l’irreale, e non una categoria di esistenza di diversa realtà come alcuni filosofi hanno imprudentemente sostenuto. Cfr. l’articolo “Essere o Non-essere?” di Enzo Cosma, pubblicato su questo stesso Sito. [N.d.C.].[]