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Brahmajñākavi Śrī Deva Rao Kulakarni (Hombala)

1. Adhyātma Yoga

A cura di Maitreyī

Prefazione

Il Brahmajñākavi (poeta conoscitore del Brahman) Śrī Deva Rao Kulakarnijī fu un celebre compositore di musica tradizionale e discepolo advaitin di Pūjya Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī.Oltre a questo saggio, il Brahmajñākavi ha pubblicato in kannaḍa il libro Śaṃkara Vedānta Saurabha. Il presente breve trattato Adhyātma Yoga è stato pubblicato per la prima volta in kannaḍa nel 1963 e in inglese nel 1980, seguendo la traccia dei Prasthānatraya Bhāṣya. Deva Raojī voleva così far chiarezza sul termine e sul concetto di adhyātma, oggi spesso usato per tradurre ciò che, nelle lingue occidentali, esprime il senso vago e ambiguo di ‘spirito’ e di ‘spirituale’1. Nell’induismo in generale si può dire che con adhyātma si intende tutto ciò che è interiore rispetto al corpo e al mondo esterno composti dai cinque elementi. L’uomo comune, così, definisce interiori le facoltà di senso e d’azione, le percezioni e i soffi vitali, la mente (manas) con i suoi istinti, sentimenti ed emozioni, l’intelletto (buddhi) con le sue valutazioni, intellezioni e volizioni, nonché l’idea del proprio ‘io’ individuale (ahaṃkāra) che l’intelletto immagina sia il Sé. A un livello più dotto e sulla base della śruti è compreso nel termine adhyātma anche l’intelletto universale (mahān ātman o Hiraṇyagarbha) che, in quanto jīva ghana, riunisce in sé l’interiorità di tutti gli esseri viventi, oltre all’intero stato di sogno (svapna avasthā). Si deve però precisare che il senso di interiorità è applicato in modo del tutto relativo, in quanto l’oggettivazione delle diverse componenti sottili le rende esteriori e non reali alla stessa maniera degli oggetti ‘esterni’. Adhyātma, in questi casi, può ben essere tradotto come il ‘sé’ o l’’essenza’ di ciò che è oggettivato. Perciò troveremo nel testo del Brahmajñākavi che i sensi sono il sé degli oggetti esterni, la mente il sé dei sensi, l’intelletto il sé della mente e così di seguito2, man mano che quanto è oggettivato viene rimosso dal viveka.

Nel Vedānta, invece, con la formula Adhyātma Yoga s’intende con precisione la presa di coscienza della realtà dell’Ātman supremo (Paramātman) a cui ‘si giunge’ per mezzo del metodo conoscitivo del ‘neti neti’, al di là di ogni sforzo o concentrazione mentale. L’Adhyātma Yoga (o dhyāna yoga, nel linguaggio della Bhagavad Gītā) è Vastu Tantra, ovvero conoscenza di una cosa così com’è, indipendentemente dalla volontà o dal desiderio di chi la raggiunge. Non è, quindi, un Kartṛ Tantra, cioè una meditazione o una qualsiasi altra azione compiuta per volontà o desiderio di un esecutore o agente. L’Adhyātma Yoga non appartiene, dunque, al dominio dell’azione né produce alcun risultato nuovo anteriormente inesistente. Consiste nel riconoscere la reale natura del Sé attraverso un procedimento peculiare e unico di attenta osservazione secondo le indicazioni upaniṣadiche.

Ci sono centinaia di organizzazioni iniziatiche i cui Guru prescrivono ai discepoli vari procedimenti, metodi e tecniche di meditazione. In generale, i maestri di tali meditazioni si dividono in due categorie: appartengono alla prima coloro che sostengono l’acquisizione di esperienze interiori per entrare in transe (samādhi) tramite tecniche di interiorizzazione. Quelli della seconda categoria insegnano a raggiungere esperienze, sentimenti, emozioni e concezioni tramite meditazioni basate su oggetti del mondo esterno. Entrambi, tuttavia, usano meditazioni del tipo Kartṛ Tantra, i cui risultati, essendo relazionati al tempo, sono non eterni. L’Adhyātma Yoga è anche conosciuto in alcuni testi sotto il nome di dhyāna yogamanonigraha yogasamādhi yoga e nididhyāsana e per questa ragione oggidì è scambiato, da chi non ha dimestichezza con il Vedānta, per un qualsiasi dhyāna samādhi yogico tipico delle Kartṛ Tantra Sādhanā.

Al contrario di ciò, in tutta l’opera di Śaṃkara l’Adhyātma Yoga è trattato come l’unica Vastu Tantra Sādhanā. Quali sono, dunque, le ragioni per tale deviata interpretazione? I commentatori delle opere di Śaṃkara successivi a Sūreśvarācārya, come gli autori della Pañcapādikā, del Vivaraṇa e della Bhāmatī, vale a dire rispettivamente lo pseudo-Padmapāda, Prakāśātman e Vācaspati Miśra, hanno interpretato erroneamente l’Adhyātma Yoga alla luce degli aṣṭāṅga dello yoga darśana di Patañjali. Śaṃkara aveva riconosciuto validi i primi cinque degli otto aṅga come strumenti d’avviamento all’Adhyātma Yoga, ma non gli ultimi tre, dhāraṇādhyāna e samādhi. Ha dichiarato con enfasi che la pātañjala prakriyā insegna dottrine nettamente dualistiche. Nel suo Brahma Sūtra Bhāṣya si legge:

Perciò i seguaci del Sāṃkhya e dello Yoga sono dualisti e non percepiscono l’unità del Sé. (BSŚBh II.1.3)

Contraddicendo nettamente Śaṃkara, la Bhāmatī, invece, afferma:

Śravaṇa (l’ascolto) e manana (la riflessione) devono essere interpretati come dhāraṇā, quando si deve fissare la mente sul Sé. La parola nididhyāsana è uguale al dhyāna dello Yoga di Patanjali, in cui si dovrebbe mantenere il flusso del proprio pensiero sul Sé continuamente e senza interruzione. La parola darśana definisce la realizzazione o sākṣātkara, quando il sādhaka entra in samādhi attraverso un flusso di pensiero unico in cui, alla fine, la mente stessa cessa di esistere.

Alcune correnti hanno ormai preso da secoli come autorevoli questi tipi di interpretazioni e ciò spiega perché ci sia tanta confusione sulla vera natura dell’Adhyātma Yoga. Per tutti coloro che condividono questo errore la verità della natura del Sé è stata completamente perduta. La verità essenziale di tutto ciò è che:

  1. Il Sé non può mai diventare un oggetto della pratica meditativa del saṃyama, ossia della combinazione di dhāraṇādhyāna e samādhi del pātañjala yoga.
  2. La vṛtti o concezione dello sākṣātkara non è un fattore essenziale per conoscere o intuire la vera natura del Sé, che è diretta e immediata per chi la conosce: anche perché il concetto di sākṣātkara appartiene al meditante e quindi fa parte del Kartṛ Tantra. È vero che nelle Upaniṣad sono menzionate varie meditazioni appartenenti al Kartṛ Tantra, e che, in tal caso è detto che deve essere raggiunto il sākṣātkara, la visualizzazione o realizzazione.
  3. Al contrario, la natura di nididhyāsana ossia l’Adhyātma Yoga appartiene al Vastu Tantra. Dato che la natura del Sé è immediata e diretta, non vi è alcuna necessità di modificazioni mentali (mānasa vṛtti) come sākṣātkara per provare o determinare la natura del Sé.

Queste sono le tre ragioni principali per respingere l’interpretazione errata. Questo breve studio prende inizio con una spiegazione del termine Adhyātma usata genericamente, per poi soffermarsi sul significato specificatamente advaita dell’Adhyātma Yoga. Infine, si conclude con una nota sui fraintendimenti più comuni in chi legge i Prasthānatraya e alcune considerazioni sugli aspetti più rilevanti della pratica di śravaṇa e di manana, a beneficio dei neofiti del Vedānta.

Maitreyī

Adhyātma

Anzitutto, dobbiamo conoscere il significato della parola ‘Adhyātma’, composto da adhi e da Ātmā. L’Ātmā denota il proprio Sé, e anche la cosa o l’entità che si identifica con la propria natura è chiamata Adhyātma. Per esempio, il corpo, la forza vitale, gli organi di azione, gli organi di senso, la mente, l’intelletto e l’ego, ivi inclusi percezioni, sentimenti e intellezioni, tutti questi insieme sono chiamati piano corporeo. A partire dal corpo fino all’ego, tutte queste cose ed entità sono incorporate o aggregate insieme in un tutto. Lo stesso individuo si identifica con questo aggregato come “io sono così e così”.

A volte l’uomo si identifica anche con le cose esterne e ha la sensazione “io sono ricco o io sono povero”, ecc. Tuttavia l’identificazione con cose o entità che vanno dal corpo all’ego è predominante, mentre l’identificazione con oggetti esterni rimane secondaria, perché si concepisce come ‘io’ (aham) il fatto di essere il corpo o altre componenti della propria natura (individuale, svabhāva), mentre come ‘mio’ (mama) è considerato tutto il resto. Talvolta si pensa di quelle componenti individuali che stanno tra il corpo e l’ego, come fossero ‘mie’. Questo tipo di comportamento è dovuto al modo in cui ci si relaziona con esse nel corso della vita. Per esempio, quando si dice “sono pallido, alto, basso, forte, ecc.” ci si identifica con il corpo, mentre quando si dice “il mio corpo è diventato debole”, allora si oggettiva il proprio corpo. Così, inconsapevolmente, ci si pone dalla parte della propria vera natura, che è diversa e separata dal corpo. Ogni oggetto esterno può essere considerato o sentito come ‘questo è mio’, ma non è possibile per alcuno identificarsi con una cosa esterna e concepirla come se fossi ‘io’, cioè come il proprio Sé. Invece, chiunque può prendere le entità che vanno dal corpo all’ego e identificarsi a esse dicendo “io sono questo (per es. la vista) o quello (per es. la mente)”. Quindi questo piano corporeo, cioè dal corpo all’ego è chiamato ādhyātmika prapañca (mondo interiore).

La scienza, il cui oggetto è l’indagine sulla vera natura del Sé, è chiamata Adhyātma Śāstra; ciò significa che è chiamata Adhyātma la conoscenza che tratta prevalentemente della natura del Sé su basi autorevoli (gli Śāstra).

Da questo punto di vista, l’anatomia e la fisiologia sono il primo gruppo di scienze coinvolte nell’indagine che comincia dal corpo, in quanto tutti iniziano identificandosi come “io sono così e così [il corpo]”. Dopo di queste, il secondo gruppo di scienze riguarda le varie facoltà della parola ecc. [karmendriya] e degli organi di senso [jñānendriya]. Viene poi il terzo gruppo, come la psicologia che indaga sulle varie funzioni della mente e sui loro effetti. Il quarto gruppo è quello che, anche nel buddhismo, studia l’intelletto (buddhi o vijñāna) e i suoi aspetti, quali il funzionamento momentaneo ecc. Infine, le Upaniṣad determinano la vera natura del Sé, trascendendo l’’io’ o senso dell’ego, sul solido terreno dell’esperienza intuitiva universale, indagando con una visione onnicomprensiva della vita (avasthātraya dṛṣṭi). Qui le indagini sul Sé culminano nell’intuizione finale che non lascerà traccia di dualità quali l’indagatore, l’indagato e l’indagine.

Così gli insegnamenti delle Upaniṣad sulla vera natura del Sé sono l’unica scienza dell’Adhyātma in senso proprio e non gli altri quattro gruppi di scienze sopra menzionati. Adhyātma, dunque, significa la conoscenza che indaga principalmente e su base autorevole la vera natura del Sé. In alcuni passaggi delle Upaniṣad è indicato il metodo della meditazione a beneficio di discepoli incapaci di conoscere la vera natura del proprio Sé. In quei contesti le scritture prescrivono anche alcune categorie di meditazioni applicate al piano corporeo. Per esempio:

La mente è certamente infinita [nelle sue modificazioni] e i Viśve Devaḥ3 sono infiniti. Con questa meditazione si conquista un mondo infinito. (BU III.I.9)

Oppure la meditazione su “La Mente è Brahman” (ChU III.18.1)4 e altre simili. Analogamente, [la śruti] ingiunge di meditare anche su oggetti esterni [o simboli, in quanto supporti per la meditazione] che possono appartenere al piano divino o al piano materiale, come si trovano, per esempio, nei brani che seguono:

“Il Sole è Brahman” (ChU III.19.1-4)5; “In verità l’aria è ciò in cui si riassorbe […]. In verità il prāṇa è ciò in cui si riassorbe…” (ChU IV.3.1-4)6.

Per distinguere le meditazioni sugli oggetti del piano divino e quelle sugli oggetti relativi al piano corporeo, la śruti sottolinea che:

Poi viene l’ingiunzione analogica7 nel piano del sé individuale (Adhyātma): questo fatto noto per cui la mente sembra andare a Lui (Brahman)8, e il fatto che Esso (Brahman) è ripetutamente ricordato per mezzo della mente9; come è anche pensato10, (che la mente ha nei confronti di Brahman). (KeU IV.5)

Qui lo śloka stabilisce le istruzioni sulla meditazione Adhyātma. Per distinguere le meditazioni sulle cose del piano materiale da quelle del piano divino, la scrittura usa l’espressione “Ora la meditazione sull’ Adhyātma”, intendendo le meditazioni sulle cose come la mente ecc., che hanno un senso di relazione con il Brahman ossia la reale natura del Sé.

Quindi bisogna chiarire che sia nel caso della conoscenza della reale natura del Sé, sia nel caso delle meditazioni, le entità interne collegate al piano corporeo sono chiamate ādhyātmika prapañca. Quando, invece, ci si riferisce esclusivamente alla scienza ādhyātmika o, semplicemente, all’Adhyātma, allora si vuole trattare inequivocabilmente della scienza che indaga la vera natura del Sé. Quindi Adhyātma denota la scienza del Sé (Ātma vidyā).

La parola Adhyātma è usata genericamente per significare ‘spirituale’. Questa parola denota l’anima o spirito che vive nel corpo e che, dopo la morte, dal corpo si diparte. La scienza che si occupa di quest’anima o spirito è chiamata ‘la scienza spirituale o Adhyātma Śāstra’; ma anche in questo caso la fonte di tutte le categorie di ciò che si definisce ‘spirito’ o ‘forza vitale’ è la vera natura del Sé, che è al di là e al di sopra dell’ego o del senso dell’’io’. Quindi la vera scienza spirituale consiste nell’indagare la reale natura del Sé. Questa Realtà Ultima è indicata soltanto nelle Upaniṣad, non esistendo altra scienza che permetta di far emergere la reale natura del Sé così com’è, sulla solida base dell’intuizione universale e dell’esame onnicomprensivo dell’esperienza di vita.

Quindi, l’Adhyātma Śāstra è una scienza peculiare del tutto soggettiva, che coglie il centro stesso della vita. L’insieme degli insegnamenti soggettivi è disponibile nelle dieci Upaniṣad principali e nei Prasthānatraya Bhāṣya11. Prima di concludere questo argomento, citiamo un estratto dal Sūtra Bhāṣya:

Obiezione dell’oppositore: Non è provato che il Sé sia conosciuto solo dalle Upaniṣad in quanto è contenuto nella stessa idea di ‘io’. Risposta del Vedāntin: Non è così, perché questo è già stato confutato dicendo che il Sé è il Testimone di quell’idea. Se si prescinde dalla conoscenza (errata) del Sé in quanto agente (o autore delle azioni), contenuta nell’idea di ‘io’ presente in tutte le creature, (un tale Sé) non è conosciuto da nessuno come il Sé di tutti nella sezione dei Veda che tratta delle azioni virtuose o nei testi di logica, (quel Sé) che non è differenziato in gradi e che è Coscienza unica, immutabile, eterna e onnipervasiva. Quindi questo Sé non può essere negato da nessuno né può essere preso come parte di alcuna ingiunzione. E poiché è il Sé di tutti, è al di là di ogni rifiuto e accettazione. (BSŚBh I.1.4).

I risultati di certe upāsanā come la ‘meditazione trascendentale’ di Mahesh Yogi o le pratiche occulte del rāja yoga e di tutti quegli atti che maturano in seguito come prodigi di Śakti patha12 ecc. sono detti benefici ‘spirituali’. In una certa misura questi possono anche essere utili nella vita quotidiana e sono molto attraenti. Ma dal punto di vista della vera scienza dell’Adhyātma si tratta di cose transitorie. La regola generale è: “Ciò che viene compiuto o viene raggiunto è non eterno”. Quindi, quando l’aspirante vuole la Verità Eterna, che è al di là del triplice tempo, allora invariabilmente deve seguire gli insegnamenti delle Upaniṣad sulla vera natura del Sé, l’Essere interiore, il centro stesso della vita.

Finché non si trascende il regno della dualità, cioè il corpo, la mente, l’intelletto, l’ego e il mondo esterno insieme ai concetti di tempo infinito, spazio, causalità ecc., non è possibile raggiungere la Verità Eterna. Quindi, il vero aspirante, per conoscere questa Verità, deve allontanarsi da tutti i risultati non eterni che sono materiali, occulti o mondani. Deve fissare la sua attenzione sulla conoscenza della vera natura del Sé. Allora soltanto potrà ottenere la completa libertà dalla schiavitù del saṃsāra. Questa verità è esposta nella Kaṭha Upaniṣad. Il fanciullo Naciketas pone la seguente domanda a Yamadharma, la divinità della Morte:

Se io sono qualificato e se anche voi, Signore, siete soddisfatto di me, allora insegnatemi quella cosa che sapete essere diversa dal dharma, diversa dall’adharma, diversa dalla causa e dall’effetto e diversa dal passato e dal futuro. (KU I.2.14)

È cosa molto importante che stabilirsi fermamente nella vera natura eterna del Sé sia agevole, ascoltando l’insegnamento di un Guru di conoscenza. Guru è chi è fermamente fissato nella sua vera natura di Sé. Questo è anche detto nella medesima Kaṭha Upaniṣad (I.2.8-9) e nel commento di Śaṃkara a queste strofe. Perciò è estremamente difficile raggiungere la meta più alta dell’Adhyātma per l’uomo ordinario senza l’aiuto degli insegnamenti delle Upaniṣad e del Guru. Se ha l’idea corretta sulla rinuncia, cioè che tutte le conquiste sono di natura non eterna, e se ha retta attitudine nei confronti del Signore, allora troverà il Guru appropriato e conoscerà facilmente la vera natura del proprio Sé eterno e non duale. Questo è il sommo bene finale dell’Adhyātma Śāstra.


  1. L’ambiguità del termine latino spiritus-spiritualis (gr.πνεύμα, πνευματικός e i suoi composti nelle altre lingue) consiste nel fatto che nelle diverse culture occidentali non sono stati chiaramente specificati i limiti di tale dominio a causa dell’uso contraddittorio a cui è stato sottoposto in epoche e da correnti di pensiero diverse. Spiritus copre una vasta gamma, comprendente creature e Creatore, che a partire dal soffio che anima gli arti del corpo, si estende all’anima, alle creature angeliche e allo stesso Spirito di Dio. Ciò ha prodotto molteplici confusioni, come quella di credere che l’intelletto possibile dell’aristotelismo, essendo ‘spirituale’, possa riguardare una supposta realtà sopraindividuale. Similmente, nella filosofia ermetica rinascimentale la triade corpus, anima et spiritus appare spesso indifferentemente citata come corpus, spiritus et anima.[]
  2. Similmente, nel celebre passo della Taittirīya Upaniṣad (II.8.5) che illustra il metodo dei pañcakośa, ogni involucro è definito ātman del precedente, proprio per intendere che ne è l’essenza. C’è una stretta rispondenza tra la pratica del metodo dell’Adhyātma Yoga e quello dei pañcakośa, come si potrà apprezzare più avanti nel testo.[]
  3. La categoria di divinità identificata con questo nome collettivo indica la illimitata molteplicità degli oggetti esterni corrispondenti all’infinità delle vṛtti mentali od oggetti interni [N.d.C.].[]
  4. Il testo citato dichiara più dettagliatamente: “Si dovrebbe meditare sulla mente come Brahman per quanto riguarda il piano corporeo (adhibhūta). Si dovrebbe meditare sull’ākāśa come Brahman per quanto riguarda il piano degli Dei (adhidaiva). Così vengono insegnate entrambe, la meditazione riferita al piano corporeo e la meditazione riferita al piano degli Dei” [N.d.C.].[]
  5. Il testo dichiara più dettagliatamente: “Il sole è Brahman: questo è l’insegnamento. Vi è la seguente spiegazione: in principio questo universo non esisteva: cominciò a esistere, crebbe e si trasformò in un uovo. Rimase uovo per il periodo di un anno e poi si ruppe. Delle due metà del guscio dell’uovo, una era d’argento e l’altra d’oro. Quella d’argento divenne la terra e quella d’oro, il cielo. Quella che era la spessa membrana bianca divenne le montagne; la membrana sottile del tuorlo, la bruma e le nuvole. Le vene divennero i fiumi; l’albume l’oceano. E ciò che nacque là in mezzo fu Aditya, il sole. Quando nacque si levarono grida di esultanza, insieme a tutti gli esseri e a tutti gli oggetti del desiderio. Perciò al suo sorgere e ad ogni suo ritorno si alzano grida di esultanza insieme a tutti gli esseri e a tutti gli oggetti del desiderio. A colui che conosce questo meditando sul sole come Brahman, gli si avvicineranno rapidamente suoni piacevoli che continueranno a deliziarlo, sì, continueranno a deliziarlo” [N.d.C.].[]
  6. Il testo dichiara più dettagliatamente: “In verità, Vāyu (l’aria) è ciò in cui si riassorbe (saṃvarga). Perché quando il fuoco si spegne in verità è riassorbito dall’aria. Quando il sole tramonta è riassorbito dall’aria. Quando la luna tramonta è riassorbita dall’aria. Quando l’acqua si asciuga è riassorbita dall’aria. Infatti, l’aria li riassorbe tutti. Questo per quanto riguarda il piano degli Dei (adhidaiva). Ora, per quanto riguarda il piano corporeo (adhibhūta), in verità, il prāṇa è ciò in cui si riassorbe. Quando un uomo dorme, la parola va nel prāṇa, la vista va nel prāṇa, l’udito va nel prāṇa e la mente va nel prāṇa. Perché in effetti il prāṇa li riassorbe tutti. Questi due sono quelli che riassorbono: l’aria tra gli Dei, il prāṇa tra i sensi” [N.d.C.].[]
  7. ‘Questa ingiunzione analogica’ (eṣaḥ ādeśaḥ) si riferisce alle analogie intercorrenti tra le ingiunzioni meditative nei tre piani corporeo, divino e interiore. Sebbene riguardino piani gerarchicamente sovrapposti, le ingiunzioni alla meditazione mantengono le analoghe caratteristiche della conoscenza non suprema: nell’adhibūta, nell’adhidaiva e nell’adhyātma la mente dell’upāsaka suppone di procedere verso il Brahman, ripete in continuazione la Sua reminiscenza e la sua concettualizzazione [N.d.C.].[]
  8. Si allude qui a rituali fatti con il corpo, in cui il meditante agisce in modo da raggiungere apparentemente una meta, percorrendo una via di avvicinamento [N.d.C.].[]
  9. Si tratta di un metodo basato sulla ripetizione di un mantra, al fine di restaurare un ricordo perduto della memoria [N.d.C.].[]
  10. In questo caso si evoca la meditazione che prescinde dal simbolo. Questi tre gradi sono noti come yantramantra e tantra [N.d.C.].[]
  11. I commenti di Śaṃkara alle dieci Upaniṣad maggiori, ai Brahma Sūtra e alla Bhagavad Gītā [N.d.C].[]
  12. Trasferimenti di potenza da una persona ad un’altra.[]