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Brahmajñākavi Śrī Deva Rao Kulakarni (Hombala)

4. Avasthatraya Viveka

A cura di Maitreyī

4. Determinazione della natura di Turīya

Il sogno appartiene a chi conosce la Realtà erroneamente e il sonno a chi non conosce affatto la Realtà. Quando la conoscenza errata di questi due viene rimossa, si raggiunge lo stadio che è Turīya chiamato il “Quarto”.

Per spiegare questa Kārikā, qui verranno esposti alcuni punti importanti riguardanti l’Avasthātraya e la natura di Turīya.

A. Descrizione dei tre stati da quattro diversi punti di vista:

I tre stati sono descritti nella Māṇḍūkya Upaniṣad e nelle Kārikā di Gauḍapāda secondo quattro diversi aspetti o angoli di osservazione:

  1. Come tutti sanno, lo stato presente è quello di veglia. Quando si dice ‘entrare in sonno profondo’ e di non conoscere nulla, si parla dello stato di sonno profondo. Dopo di esso, ma prima del risveglio, si sperimenta a volte il sogno: questo è lo stato di sogno. A partire da questa credenza condivisa da tutti, il Vedānta inizia a insegnare qual è la reale natura di ciascuno, che è il sostrato di quei tre stati. Spiega anzitutto che l’apparizione della vera natura del Sé in forma di stato di veglia è Vaiśvānara pāda, mentre la sua apparizione in forma di stato di sogno è Taijasa pāda. Quando entrambi quegli stati sono assorbiti nel Sé, ciò si chiama Prājña pāda. Questo è un tipo di discriminazione che riguarda i tre stati.
  2. Secondo Śrī Gauḍapāda, i tre stati sono spiegati tramite le loro caratteristiche particolari. Da questo punto di vista, le funzioni dei sensi nei confronti del mondo esterno sono la veglia, le funzioni della sola mente al suo interno sono il sogno e la fusione della mente nel proprio Sé è il sonno profondo. In quest’ottica, possiamo considerare le esperienze di tutti e tre gli stati partendo dal solo attuale stato di veglia. Questo è detto nella Kārikā I.2. e, ancor più dettagliatamente, nel commento alla stessa Kārikā dello Svāmī di Holenarsipur, nel suo Māṇḍūkya Rahāsya Vivṛtiḥ. Questo è il secondo tipo di descrizione dei tre stati.
  3. Dal punto di vista del Vyavāhara, secondo gli Śāstra, per ottenere il mokṣa bisogna ottenere la conoscenza o la realizzazione della propria vera natura di Sé. Śrī Gauḍapāda spiega i tre stati, da questo punto di vista, nelle sue Kārikā I.11-16. Secondo questa parte, la non percezione della vera natura del Sé è il sonno profondo, l’errata conoscenza della natura del Sé sono il sogno e la veglia insieme (entrambi compresi nel termine ‘sogno’), e la realizzazione della vera natura del Sé attraverso il viveka, è il vero risveglio. Quando questo risveglio alla Realtà ha luogo, il cercatore stesso ristà come Turīya. Quando una persona si risveglia alla Realtà, non sperimenta più né il sonno come assenza di conoscenza né il sogno come falsa conoscenza, assumendo il punto di vista dell’intuizione di Turīya, l’Ātman reale. Questo è il terzo tipo di discriminazione dei tre stati. Dal punto di vista della terza descrizione dell’Avasthātraya, i caratteri generici e specifici sono attribuiti a Viśva, a Taijasa e anche a Prājña, cioè ai tre stati di coscienza di veglia, sogno e sonno profondo. In base a ciò, quando siamo nello stato di veglia non conosciamo la nostra vera natura di Sé. Non solo, ma abbiamo anche frainteso la nostra vera natura così: ‘Io sono un uomo, compio azioni, sono felice, sono infelice’, ecc. Quindi c’è sia una conoscenza sbagliata della vera natura del Sé sia assenza di conoscenza. La prima, la conoscenza sbagliata, corrisponde al caso della veglia e del sogno. L’assenza di conoscenza che si crede di sperimentare in sonno profondo, è chiamata allora ignoranza causale (kāraṇāvidyā) e l’errata conoscenza è chiamata ignoranza-effetto (kāryāvidyā). Il punto di vista vyāvahārika a proposito del mokṣa, è che non esisterebbe la possibilità di ottenere la conoscenza del Sé in sonno profondo. Pertanto, ciò che viene qui sovrapposto è l’assenza di conoscenza nel sonno della reale natura del Sé profondo. È da questo punto di vista che si dice che “Prājña è vincolato dall’ignoranza causale” (MUGK I.11). Invece, dal punto di vista della śruti e dei realizzati, nel sonno profondo, l’Ātman della natura della Pura Coscienza sta solo lì. In questo modo, l’assenza di conoscenza della vera natura del Sé è caratteristica generica comune a tutti e tre gli stati, mentre la conoscenza errata è la natura specifica di Viśva e Taijasa. Invece l’assenza di conoscenza è la caratteristica specifica del solo Prājña. Pertanto, i tre stati sono raggruppati solo in due categorie e vengono deliberatamente attribuiti al Sé esclusivamente a scopo di insegnamento. Tutti questi modi di attribuzione sono elencati qui sopra (cap. I, punto c). Quando l’errore dell’assenza di conoscenza e quello di conoscenza errata vengono cancellati al sorgere della vera conoscenza, allora si realizza di essere veramente il Turīya, il Quarto al di là di tutti gli stati illusori di coscienza.
  4. I tre stati sono descritti da Gauḍapāda anche nel quarto capitolo delle Kārikā della Māṇḍūkya, utilizzando una terminologia buddista come laukikaśuddha laukikalokottara. Questi termini sono utilizzati da Śrī Gauḍapāda nel contesto dello studio comparato tra Buddismo e Vedānta per mostrare la differenza tra le due dottrine. Nell’ultima parte del libro, Śrī Gauḍapāda vuole mostrare il proprio metodo (prakriyā) insegnato nel Vedānta: il metodo tribasico. Ma la sua intenzione qui è evidenziare che le parole come laukikaśuddha laukikalokottara, sono usate nella letteratura buddista in un senso particolare per poter, con la pratica del loro Yoga, ottenere l’esperienza interiore di tre stati che riguardano l’individuo; ma le stesse parole possono essere usate qui per indicarne l’applicazione al metodo tribasico del Vedānta e non alla filosofia buddhista. Infatti, conoscenza della natura di Turīya è il principale scopo di questa descrizione. Questo è chiaramente affermato anche da Śaṃkara nel suo commento alle Kārikā 87-89 del quarto Prakaraṇa.

Gauḍapāda applica i termini laukika (esperienza mondana), śuddha laukika (esperienza pura) e lokottara (esperienza trascendente) rispettivamente a veglia, sogno e sonno profondo, a differenza dei vijñānavādin che riconoscono tre gradi di coscienza individuale. I tre stati non sono in realtà stati di coscienza. Sono solo la Pura Coscienza del Testimone che assume l’apparenza di quegli stati, poiché la Pura Coscienza non è toccata dalla loro alternata apparizione e scomparsa. I tre stati non ammettono né la loro giustapposizione nello spazio né la loro successione nel tempo.

Questo è il quarto tipo di descrizione delle avasthā.

B. Determinazione della reale natura del Sé tramite viveka:

Prima di determinare la vera natura di Turīya attraverso il viveka, che è uno strumento importante nel Vedānta, dobbiamo ricordare alcuni punti cruciali:

  1. a) Turīya non è affatto uno stato, come di solito viene inteso da molti vedāntin d’oggidì quale quarta avasthā. È, invece, la reale natura del Sé.
  2. b) Il sostrato della veglia è Turīya, come anche del sogno.
  3. c) Dal punto di vista della veglia e del sogno, il sonno profondo è attribuito allo stesso Turīya.
  4. d) La Realtà, che appare all’ignorante sotto forma di tre stati, essa stessa è Turīya, in quanto è il sostrato di tutti e tre gli stati.
  5. e) Turīya è assolutamente libero dalle contaminazioni delle avasthā, cioè non è influenzato dalla alternata comparsa e dalla scomparsa dei tre stati.
  6. f) Turīya, in relazione con questi tre stati, che sono concepiti come realmente esistenti a causa dell’ignoranza, è detto essere il Quarto a solo scopo di insegnamento.
  7. g) Poiché Turīya non è un’avasthā, l’identificazione popolare con il nirvikalpa samādhi è del tutto infondata.
  8. h) Turīya non ha caratteristiche specifiche che possano essere descritte a parole (cfr. “Infatti (Turīya), essendo privo di qualsiasi caratteristica che possa essere resa tramite l’uso di un termine, è del tutto indescrivibile a parole.” MUŚBh 7).
  9. i) Turīya è il Sé più intimo ed è evidente1: quindi, non è necessaria alcuna descrizione, definizione o prova della sua esistenza. Non può essere riacquisito con alcuno sforzo.

Nello stesso testo si dice (MUGK I.15) che “quando i due errori (cioè l’assenza di conoscenza e l’errata comprensione della Realtà) che vengono deliberatamente attribuiti a Turīya allo scopo di insegnare, si raggiunge lo stato di Turīya”. In senso stretto non è affatto uno stato e non può essere raggiunto con qualche sforzo come fosse qualcosa di nuovo. Ma, assumendo [per adhyāropa] il punto di vista della sovrapposizione dei tre stati, si dice “si raggiunge lo stato di Turīya”. Questi errori sono annullati nella seguente Kārikā (l.16): “Quando il jīva, dormiente per influenza della Māyā senza inizio, si risveglia, allora realizza il non duale, non nato, esente da sogno e da sonno.” Ossia, quando l’anima individuale si sveglia dal suo sogno illusorio senza inizio, allora diventa consapevole della verità grazie all’insegnamento ricevuto dalle Scritture e dal maestro, vale a dire che essa è realmente l’uno senza secondo (la non-dualità), eternamente non nato, non contaminato e intatto dall’assenza di conoscenza del sonno e dalla conoscenza errata del sogno. Quindi, negando la falsa apparenza di questi tre stati per mezzo del viveka, si può rimanere nella propria reale natura, proprio a conclusione della discriminazione, e questa reale natura è il sempre luminoso Turīya. Śaṃkara afferma chiaramente che Turīya non è uno stato diverso da quei tre. È il sostrato dei tre stati. Se fosse il quarto stato (cioè una ulteriore esperienza al di là di questi tre stati) non ci sarebbe modo di realizzare la natura di Turīya. Di conseguenza, l’insegnamento degli Śāstra sarebbe un esercizio inutile e Turīya sarebbe un vuoto, una Realtà ultima non esistente. Quindi non è uno stato separato, la Realtà ultima stessa appare nelle forme di questi tre stati di coscienza2 e, inoltre, nello stesso luogo Śaṃkara dice che questi tre stati sono solo immaginazioni, cioè vikalpa e quando questa cosa viene realizzata attraverso il viveka e l’apparenza di questi tre stati viene negata o falsificata per mezzo della giusta conoscenza intuitiva, allora la Realtà ultima si manifesta così com’è; cioè, in quel momento si rimane come Turīya e non c’è più bisogno di cercare altri mezzi di conoscenza o altre discipline per la realizzazione di Turīya, dopo aver compreso il significato dei testi vedāntici3. Nella sua traduzione in kannada del BhāṣyaŚrī Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī ha indicato che, a parte il viveka, non è necessario ottenere la ‘quarta avasthā’ come fosse il samādhi, ecc. e non c’è nemmeno bisogno di discipline come il prasaṃkhyāna (la ripetizione dello studio sui vākya del Vedānta), ecc. Altrove ha affermato: “Le persone che non hanno compreso questa verità immaginano che il testo vedāntico fornisca solo una conoscenza indiretta (parokṣajñāna, teorica) dell’Ātman e che quindi siano necessarie la pratica ripetuta della conoscenza dei mahāvākya (vākyajñānābhyāsa prasaṃkhyāna), il riassorbimento del mondo della molteplicità nell’Ātman per mezzo della meditazione (prapañca pravilaya layacintana) o la pratica del pātañjala yoga, ecc. per ottenere l’Ātma-Sākṣatkāra [realizzazione dell’Ātman] o la quarta avasthā come il samādhi”. In un altro passaggio, Śaṃkara afferma esplicitamente che “colui che è il Prājña che ha la forma di seme del mondo e ha l’ignoranza causale (forma seminale dell’ignoranza o avidyā bīja), quello stesso Prājña nella sua vera natura è Turīya, quando non viene preso in considerazione quale seme potenziale del mondo”. Si veda la seguente citazione dal suo Bhāṣya alla seconda Māṇḍūkya Kārikā dell’Agama Prakāraṇa:

Di Quello stesso, definito Prājña, si parlerà a parte (nel prosieguo) come Turīya (il Quarto), in quanto Realtà suprema, privo di ogni causalità, assolutamente privo di qualsiasi relazione con il corpo ecc.

Per questo si rimanda al quarto punto di vista sulla suṣupti, spiegato in precedenza nel terzo capitolo. Quando si conosce la vera natura del Sé come Turīya, si eliminano i due tipi di errori: l’assenza di conoscenza e la conoscenza errata della vera natura del Sé. La stessa cosa è anche attestata nella Kārikā I.15, citata all’inizio di questo capitolo.

C. Procedimento per determinare la natura di Turīya (Turīyatva Pratipatti Kramaṣ):

Le Upaniṣad insegnano la natura essenziale di Turīya (Ātman) attraverso il rovesciamento delle caratteristiche (ataddharma nivartana), ossia negando tutte le qualità di anātman che si sovrappongono al nostro Ātman o che sono concepite erroneamente nell’Ātman a causa di avidyā.

Il processo di determinazione della natura di Turīya è descritto molto bene da Śrī Svāmījī nel suo Māṇḍūkya Rahasya Vivṛtiḥ. Riferirò in breve il senso di quel capitolo (Turīya pratipattikramaḥ) che contiene sei tipi di negazioni sulla base dell’esperienza intuitiva della vera natura del Sé. A questo scopo Śaṃkara dichiara nel suo Māṇḍūkya Upaniṣad Bhāṣya, al mantra 7, che:

Allo stesso modo, quando insorge nel Sé la corretta conoscenza (vijñāna) per mezzo della negazione di attributi quali “è cosciente del mondo interno”, nello stesso istante avviene la cessazione dell’apparente mondo di sofferenza, e quindi non c’è bisogno di cercare altri mezzi di conoscenza (pramāṇa) o [di seguire] qualsiasi altra disciplina (come la costante meditazione) per la realizzazione di Turīya.

Pertanto, si stabilisce che la cancellazione degli attributi non reali sovrapposti all’Ātman avviene contemporaneamente alla manifestazione della conoscenza che, di per sé, è il mezzo per la negazione della dualità. Vijñāna, qui, significa l’esperienza intuitiva della propria vera natura. Su questo solido terreno avrà luogo la negazione (pratiṣedha) dell’apparenza sovrapposta. Per negare questa concezione errata, il pramāṇa è costituito dai mahāvākya del Vedānta e dagli isegnamenti del guru. Quindi gli Śāstra e gli ācārya sono i pramāṇa che negano gli upādhi sulla solida base dell’esperienza intuitiva. Śaṃkara osserva, inoltre:

La non realtà della dualità è stabilita da vari testi della śruti […]. Origine e dissoluzione possono essere attribuite solo a un oggetto che ha reale esistenza, e non a uno che è del tutto non esistente come le corna di una lepre.

La funzione della śruti è quella di eliminare la dualità e non di affermare qualcosa sulla non-dualità, perché sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto è che la negazione degli upādhi sovrapposti è l’unico modo per dirigere l’attenzione del cercatore verso Turīya, che è il Sé evidente nel suo intimo. Da qui l’aforisma della corretta tradizione: “La sua validità è comprovata dalla negazione di descrizioni errate.” Infine, allo stesso tempo, ci si stabilisce nella propria vera natura, che è Turīya. Quindi il viveka è l’unico mezzo per ottenere Turīya. Questo è il significato della frase del commento al settimo mantra della Māṇḍūkya citato sopra4.

Ora, per quanto riguarda il Turīyatva pratipattikramaḥ, si fornirà di seguito i significati dei sei tipi di negazione (ṣaṭ nirākaraṇa) di cui tratta Svāmījī nel suo già citato commento al mantra settimo della Māṇḍūkya Upaniṣad.

Turīya, essendo privo di qualsiasi caratteristica che possa essere resa tramite l’uso di un termine, è del tutto indescrivibile a parole.

  • I. Pramātṛtva nirākaraṇa

Secondo l’esperienza comune, siamo pramātṛ, cioè conoscitori degli oggetti esterni attraverso i mezzi validi di conoscenza come gli indriya e l’antaḥkaraṇa. Grazie a questa conoscenza vediamo il mondo dualistico come se fosse realmente esistente. Ma, secondo la śruti, tutti questi oggetti sono Brahman e non esiste alcuna molteplicità5, anche se noi qui vediamo la molteplicità. Questa è dunque un’idea sbagliata: per eliminare questo equivoco il jijñāsu deve osservare il seguente procedimento: La conoscenza che appare nello stato di veglia o di sogno è dovuta all’adhyāsa, ossia all’identificazione errata con l’antaḥkāraṇa e al trasferimento reciproco delle nature dell’antaḥkaraṇa e del Sé reale. Perciò, pramātṛtva è ādhyāsika. Quando un jijñāsu realizza la sua vera natura, che è la testimonianza di quei due stati dal punto di vista della Realtà assoluta, egli è la natura pura e assoluta della Coscienza. Conoscendo questa verità, falsifica il suo stesso pramātṛtva (la caratteristica dell’azione di conoscere). In questo modo si rimuove l’errore di vedere il mondo della dualità. Vedere il mondo della dualità, come se fosse lì davanti a noi, è come un sogno, perché è un errore dovuto all’adhyāsa. Questa specie di sogno svanirà per mezzo della discriminazione che abbiamo descritto. Questo primo tipo di negazione si chiama pramātṛtva nirākaraṇa (o pramātṛtva pratiṣedaḥ, negazione o abrogazione della funzione di conoscere). Il mondo della dualità può essere presente solo dal punto di vista del pramātṛ, ma non dal punto di vista del Testimone. Questo è il segreto.

  1. II. Agrahaṇa nirākaraṇa e bījabhāva nirākaraṇa

Dal punto di vista degli stati di veglia e di sogno, si dice che nel sonno profondo non conosciamo nulla. Questa non percezione del mondo della dualità è attribuita allo stato di sonno profondo solo dal punto di vista della veglia e del sogno. Questa nozione errata è chiamata agrahaṇa (non comprensione) o nidrā (torpore, onnubilazione). Per eliminare questa nozione errata si deve osservare che l’Essere puro è la nostra vera natura, sul quale solo appaiono e sono sostenuti gli stati di veglia e di sogno e in cui, alla fine, si riassorbono. Così, la falsa apparenza degli stati scompare ed essi diventano tutt’uno con l’Essere. Questo puro Essere che sta nel sonno profondo è chiamato avyākṛtātmā, che significa che ha la forma seminale non manifesta di entrambi gli stati. Questa attribuzione viene fatta solo dal punto di vista dell’apparizione e della scomparsa degli stati della dualità, cioè la veglia e il sogno. Ma dal punto di vista dell’esperienza intuitiva del sonno profondo in quanto tale, l’avyākṛtātmā è la Pura e Assoluta Coscienza senza secondo, la quale è la reale natura di ognuno. Da questo punto di vista, non c’è affatto ricerca di conoscere o non conoscere, perché essa è la Pura Coscienza. Con questo processo di discernimento ci si libera dell’idea sbagliata che in sonno profondo non si conosce nulla. Questo è l’Agrahaṇarūpa Nidrāviparyāsa kṣayāha (rimozione dell’errore dell’onnubilazione nella forma della non comprensione);con questo, si può osservare che anche l’attribuzione della forma seminale dell’Universo, che dal punto di vista vedico del Vyavahāra è una sovrapposizione, sarà rimossa perché la percezione dell’Universo è solo una falsa apparenza. Perciò, anche la sua forma seminale è una falsa attribuzione. Poiché nel sonno profondo il Sé è di natura non-duale, questa natura continua ininterrottamente anche mentre appaiono gli stati di veglia e di sogno. Così anche l’attribuzione del mondo seminale (jagat bīja) viene rimossa. Quando si comprende che la natura del Sé è Pura Coscienza assoluta e non duale, allora ci si libera dell’idea di non conoscere la natura non duale del Sé, chiamato ignoranza causale o bījāvidyā o avidyā bīja. Poiché il Sé è Pura Coscienza, non ha agrahaṇa (non comprensione) né anyathāgrahaṇa (comprensione sbagliata), proprio come per il sole, la cui natura è sempre splendente, non ci può essere alcuna possibilità di non brillare o di brillare in un modo diverso da quello suo naturale6.

Questo secondo tipo di negazione è chiamato agrahaṇa nirākaraṇa (negazione della non comprensione) e bījabhāva nirākaraṇa (negazione dell’esistenza seminale). Qui bīja significa la forma seminale del mondo e anche avidyā bīja (ignoranza causale).

  1. III. Anekātmatva nirākaraṇa anekātmatva pratiṣedaḥ

In veglia e in sogno pensiamo che ci siano tanti sé in questo mondo. Secondo il Sāṃkhya, il Vaiśeṣika, il Pātañjala Yoga ecc., questa teoria è presa per reale; quindi tutti quei darśana concordano sul fatto che c’è una molteplicità di anime (anekātmavāda), perché non hanno la visione globale della vita com’è indicata nelle Upaniṣad. Secondo il Vedānta, quando dal punto di vista empirico si crede che “io sono in questo mondo”, ecc., identificandosi al corpo, allora si può dire che ci sono tante altre persone e creature in questo mondo. Ma, dal punto di vista della vera natura del Testimone dell’intero stato, lo stesso è chiamato Vaiśvānara in quanto Testimone della veglia e Taijasa in quanto Testimone del sogno, perché esso è il sostrato e l’essenza di quegli stati. Da questo punto di vista, lo stesso Testimone appare sotto la forma delle molteplici anime (jīva) sia in veglia sia in sogno, senza perdere la Sua vera natura. Quindi, il solo Viśva è il Sé di tutti gli esseri che appaiono nella veglia e il solo Taijasa è il Sé di tutti gli esseri che appaiono nel sogno. ci si libera della nozione errata di molteplicità dei Sé. Questo terzo tipo di negazione della molteplicità dei Sé è chiamato anekātmatva nirākaraṇa (negazione della molteplicità dei Sé).

  1. IV.Viśvādi sthānidharma nirākaraṇa viśvādi sthānidharma pratiṣedaḥ

A causa degli upādhi degli stati di veglia, di sogno e di sonno profondo, che sono sovrapposti da avidyā sulla vera natura del Sé, dal punto di vista di queste false apparenze, il vero Sé appare come se avesse preso la forma di ViśvaTaijasa e Prājña. Queste tre apparizioni hanno tra loro delle differenze, com’è affermato nelle seguenti śruti:

Il primo pāda è Vaiśvānara il cui campo è lo stato di veglia (jāgarita sthāna), in cui la Coscienza è rivolta agli oggetti esterni. Possiede sette membra e diciannove bocche e fruisce degli oggetti grossolani.” (MU 3);

Il secondo pāda è Taijasa, il cui campo è lo stato di sogno (svapna sthāna), in cui la Coscienza è rivolta agli oggetti interni. Possiede sette membra e diciannove bocche e fruisce degli oggetti sottili.” (MU 4);

Il terzo pāda è Prājña (il Cosciente), che ha come campo il sonno profondo (suṣupta), in cui tutto diventa unificato, che è soltanto una massa di mera coscienza indifferenziata, che è pienezza di beatitudine (Ānanda), della cui beatitudine gode, e che è la porta (mukha) verso l’esperienza (degli altri due stati di sogno e di veglia).” (MU 5).

Questo è dato per scontato, ma se, invece, lo osserviamo dal punto di vista della vera natura del Sé, in quanto sostrato di queste false immaginazioni, Egli è sempre privo di tutti gli upādhi. In questa prospettiva non c’è alcuna differenza tra ViśvaTaijasa e Prājña che si manifestano in questi tre stati e che non possono essere considerati appartenenti alla natura essenziale dell’Ātman, perché allora rimane solo l’Ātman della natura di Pura Coscienza. Tutti questi Sé apparenti sono essenzialmente identici a Turīya. Realizzando questa verità ci si sbarazza dell’illusione di prendere il Sé come ViśvaTaijasa e Prājña. Questo quarto tipo di negazione è chiamato viśvādi sthāṇidharma nirākaraṇa (negazione della sovrapposizione degli attributi universali).


  1. Allusione all’Ātma pratyaya, la consapevolezza di esistere e di essere cosciente [N.d.C.].[]
  2. Se Turīya fosse davvero diverso dal Sé nei tre stati, per il fatto di non avere caratteristiche descrivibili, allora non ci sarebbe alcun mezzo per conoscere Turīya, quindi l’insegnamento scritturale sarebbe inutile e Turīya sarebbe ridotto a essere vuoto di esistenza. (MUŚBh 7)[]
  3. Come le diverse immaginazioni, quali un serpente, un rivolo d’acqua, ecc., sono sovrapposte sulla corda, così i tre stati che appaiono sul Sé, si escludono reciprocamente, anche se sono in sostanza uno con la Coscienza-Testimone e, poiché la Coscienza-Testimone nella sua essenza è immutabile in tutti gli stati, ne consegue che la testimonianza è vera. (MUŚBh Ibid.)[]
  4. Per maggiori dettagli si veda il prossimo paragrafo IV).[]
  5. In Lui non esiste alcuna differenza (nānā).” BU IV.4.19.[]
  6. Per questa ragione Turīya è privo del seme della non conoscenza della Realtà; e, proprio per quell’assenza, è privo anche della conoscenza erronea prodotta dalla non percezione, come nel sole sempre splendente non può esserci alcuna possibilità di tenebra a esso opposta né di un splendore diverso dal suo.” (MUGKŚBh I.12)[]