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Brahmajñākavi Śrī Deva Rao Kulakarni (Hombala)

3. Avasthatraya Viveka

A cura di Maitreyī

3. Quattro aspetti dello stato di sonno profondo

Secondo i Bhāṣya di Śaṃkara esistono quattro punti di vista sul sonno profondo.

A. Il punto di vista della stanchezza corporea.

Assopimento (nidrā) significa tamoguṇa1. Quello che segue è il punto di vista del corpo: quando nello stato di veglia si è stanchi del lavoro e nel corpo prevale il tamoguṇa, allora gli organi di senso smettono di lavorare e la mente desidera spegnersi. Questo stadio inizia con gli sbadigli, il torpore, ecc. La gente comune lo chiama nidrā. È essenziale per la nostra vita, ma dovrebbe essere controllato osservando le regole del cibo, dell’attività, ecc.2 L’assopimento è, dunque, una modificazione del corpo che si verifica a causa della stanchezza. Si prova l’esperienza del tamoguṇa in stato di veglia prima e dopo di entrare in sonno, perciò l’assopimento non riguarda lo stato di sonno profondo, bensì solo lo stato di veglia. Ma la maggior parte delle persne ha idee confuse su questo punto. Secondo loro nello stato di sonno profondo c’è tamoguṇa perché si ricorda questo tamoguṇa dopo il risveglio. Da ciò si dovrebbe comprendere chiaramente che l’esperienza di tamoguṇa avviene prima e dopo il risveglio, cioè che si verifica prima e dopo il sonno e che, essendo connessa al corpo, appartiene allo stato di veglia. Non è affatto l’esperienza intuitiva diretta del sonno profondo.

B. Il punto di vista della forma seminale del mondo e delle vāsanā

Secondo l’esperienza dell’uomo ordinario, chi dorme si risveglia com’era prima. Grazie a questa esperienza, la forma seminale dell’ego, con le sue vāsanā e tutto il resto, durante il sonno profondo riposa senza perdere la sua potenzialità di differenziazione, in quanto appare di nuovo in varie forme proprio com’era prima. Questo si deduce dal punto di vista dell’adyāropa del jīva e dei suoi stati, la veglia, il sogno, il sonno profondo. Śaṃkara accetta tale punto di vista empirico (vyāvahārika) nel suo Brahma Sūtra Bhāṣya (II.1.9), in particolare quando dice:

Come in suṣupti e in samādhi si raggiunge lo stato interiore di assenza di distinzioni, anche se poi le distinzioni ricompaiano nella veglia come prima, a causa della mancata rimozione di mithyājñāna (conoscenza errata), così accade anche durante la dissoluzione (pralaya). […] Come accade quando si è riassorbiti nell’Ātman Supremo senza alcuna distinzione [in suṣupti], anche nella vita pratica della veglia e nel sogno si osserva che le distinzioni, basate sulla falsa conoscenza (mithyājñāna, avidyā o adhyāsa, sovrapposizione), funzionano senza ostacoli durante il periodo di mantenimento del mondo (sthiti). In questo modo si può capire la potenza di quelle distinzioni dovute a mithyājñāna anche durante il periodo del pralaya.

E nel suo Brahma Sūtra Bhāṣya (III.2.9) Śaṃkara afferma:

Non esiste alcuna entità come il jīva, diversa dall’Ātman supremo, che debba essere separata dalla Pura Esistenza come una goccia d’acqua da una massa d’acqua: è stato dimostrato più di una volta che è la Pura Esistenza stessa a essere chiamata jīva a causa dell’intervento di elementi limitanti (upādhi). Questo stesso insieme di fattori aggiunti persiste negli stati di sonno profondo e di veglia come nell’esempio del germoglio latente nel seme, cosicché è ragionevole sostenere che lo stesso jīva si risvegli dal sonno profondo.

Questa forma seminale è chiamata jagadbījaavyakta, ecc.: quest’ultimo termine è usato nel Veda dal punto di vista empirico (vaidikavyāvahārika dṛṣṭi).

C. Il punto di vista dell’ignoranza causale

L’attribuzione dell’ignoranza causale al sonno profondo è fatta dal punto di vista del vaidika vyavahāra, cioè al fine di ottenere la conoscenza del Sé (MUGK l.11), quando, invece, dal punto di vista della śruti e delle persone illuminate, suṣupti non è altro che il Sé non-duale, Pura Coscienza, e non è affatto sonno profondo. Ma dal punto di vista dell’uomo comune, che è ignorante riguardo alla sua vera natura di Sé e che deve ancora ottenere tale conoscenza, suṣupti è l’ignoranza causale; cioè la non percezione della vera natura del Sé è attribuita al sonno profondo. Nella veglia e nel sogno l’uomo comune non ha soltanto l’ignoranza causale, vale a dire la non percezione della vera natura dell’Ātman, ma anche la percezione errata3 com’è confermato proprio dal commento di Śaṃkara alla stessa Kārikā appena citata (MUGKŚBh l.11). Nel sonno profondo, non si prova una falsa identificazione con il corpo, con la mente, ecc. Tuttavia, in sonno profondo non si ha la corretta conoscenza della sua vera natura e, in tale stato è impossibile ottenere la conoscenza del Sé a causa dell’assenza della mente e degli insegnamenti del Guru, degli śāstra e del metodo (sādhanā). In questa prospettiva si pensa che nel sonno profondo rimanga l’ignoranza causale. Per questa ragione nella medesima Kārikā si dice che Prājña è limitato solo dall’ignoranza causale. Quando si conosce la propria vera natura tramite gli insegnamenti del Guru e degli Śāstra, allora la precedente idea di suṣupti sarà rimossa, insieme alle attribuzioni di forma seminale dell’intelletto e del mondo (vāsanābīja e di jagadbīja); così, dunque, l’ignoranza causale (tattva agrahaṇa lakṣaṇa) sarà rimossa.

Quello che, nella suṣupti avasthā, veniva definito il Cosciente (Prājña) in forma seminale, quello stesso Prājña sarà riconosciuto come Turīya, sempre libero da qualsiasi attributo di forma seminale o di germoglio, ecc. Si veda in particolare la seguente affermazione del:

Ciò che è concepito come Prājña (quando è visto come causa del mondo fenomenico) sarà descritto separatamente come Turīya allorché non è più visto come causa in quanto è libero da ogni relazione fenomenica, cioè nella sua natura assolutamente reale. (MUGKŚBh I.2)

Qui Śaṃkara dice chiaramente che lo stesso Prājña è riconosciuto come Turīya per mezzo del viveka. Dal punto di vista dell’ignoranza, la forma seminale dell’ignoranza (o ignoranza causale) e la forma seminale dell’universo, ecc. sono usate dagli Śāstra soltanto a scopo di insegnamento. Solo per questo motivo, Śaṃkara ha mostrato le principali differenze tra il sonno profondo e lo stato di illuminazione, cioè Turīya, nel suo commento alle Kārikā di Gauḍapāda (III.34-35).

Quindi, l’attribuzione allo stato di suṣupti della forma seminale mentale (vāsanābija) e della forma-seminale dell’Universo (jagadbīja), ossia dell’ignoranza causale (tattva apratibodha, lett. non coscienza della Realtà), sono tutte sovrapposizioni sulla Pura Natura del Sé, dal punto di vista molteplice del mondo della veglia, a solo scopo d’insegnamento.

D. Il punto di vista dell’intuizione diretta del sonno profondo

Ora abbandoniamo il punto di vista dello stato di veglia per osservare l’esperienza intuitiva del sonno profondo. Da questo punto di vista la śruti così lo descrive:

Così questo Essere infinito vola in questo stato in cui, addormentandosi, non brama alcun desiderio e non vede alcun sogno. (BU IV.3.19; MU 4)

Qui suṣupti significa la propria reale Natura priva di veglia e di sogno. Come gli stati di veglia e di sogno sono false apparenze proiettate da avidyā sulla vera natura del Sé, così anche le forme seminali della mente e del mondo ecc. sono false immaginazioni dello stato di veglia. Quindi suṣupti significa la vera Natura del Sé. Si usa il nome di suṣupti al posto di Sé reale dal punto di vista dello stato di veglia. Poiché questa è la nostra vera Natura, è impossibile negarla. Così afferma Śaṃkara nel suo Brahma Sūtra Bhāṣya (III.2.7):

Inoltre, non c’è alcun momento in cui il jīva non sia uno con il Brahman, perché la sua reale Natura non può mai scomparire. Solo dal punto di vista illusorio di esso si può di dire che raggiunge la propria vera Natura alla dissoluzione della falsa apparenza che assume in sogno e in veglia al contatto con le associazioni condizionanti (upādhi).

Nell’insegnamento della śruti da parte del Gurujīva è sempre il Brahman nella sua reale Natura. Ma dal punto di vista degli upādhi, come la veglia e il sogno, che sono immaginate per ignoranza e che sono solo false apparenze, lo stesso Brahman appare come se avesse preso la forma di jīva nel senso di anima individuale. Così, che il jīva si addormenti e torni alla veglia, ecc., sono tutte false idee.

Note conclusive:

  1. Dal punto di vista dell’uomo ordinario, la forma seminale del mondo è attribuita al puro Sé. Dal punto di vista empirico descritto dalla śruti (vaidika vyavahāra), che si assume [quale adhyāropa] al fine di ottenere la conoscenza del Sé in questa vita, l’ignoranza causale è proiettata sul Sé. Il Sé è così considerato come il sostrato della forma seminale del mondo e delle sue apparenze. Da questo punto di vista il Sé è descritto come “Quello che, manifestandoli, differenzia i nomi e le forme che prima erano in forma seminale”. Perciò a Prājña sono attribuiti tutti questi tre tipi di definizioni: forma seminale (vāsanā ca jagadbīja), ignoranza causale (tattvāpratibodha) ed Essere Onnisciente (Sarvajña Īśvara) a seconda dei vari punti di vista dell’Universo creato da avidyā.
  2. Ma dal punto di vista della diretta esperienza intuitiva del sonno profondo, esso è solo il puro Sé, puro Essere, pura Coscienza e pura Beatitudine (BUŚBh III.4.22-32). In questo caso Śaṃkara si pone dal punto di vista dell’intuizione diretta e asserisce che la vera Natura del sonno profondo è il puro Sé. Questo è il punto di vista del mokṣa. In BUŚBh (I.1.9) afferma:

Quando scompaiono i due tipi di upādhi, cioè la veglia e il sogno, il Sé rimane nella sua pura Natura nel sonno profondo. È come se in sonno profondo il jīva si riunisse alla sua Natura reale.

Śaṃkara aggiunge:

Quando quei due tipi di associazioni condizionanti (upādhiappaiono come se fossero presenti nel Sé, allora il Sé sembra assumere la forma di jīva; mentre si dice che riprenda la propria natura in sonno profondo allorché questi due tipi di upādhi scompaiono. (BUŚBh III.2.7)

Quindi, solo dal punto di vista dell’ignoranza si dice che nel sonno profondo il jīva rimane nella sua vera natura o si fonde o rientra, ecc. Ma quando abbandoniamo il punto di vista degli upādhi, esso è sempre Brahman e non cessa mai di essere Brahman. Per realizzare questo punto di vista è sufficiente la sola esperienza quotidiana di suṣupti. Secondo i commentatori vedāntin, non è per nulla necessario fare a tal fine una ulteriore superflua esperienza di transe priva di coscienza (asamprajñāta samādhi) ecc., ma, anzi, è possibile tale conoscenza semplicemente seguendo gli insegnamenti degli śastra tramite il Guru e il viveka. Per questo si rimanda alle seguenti citazioni tratte da Śaṃkara. L’esperienza intuitiva del sonno profondo è descritta come esempio del mokṣa (BUŚBh IV.3.21-32), vale a dire come riconoscimento della propria vera Natura, così com’è qui ora, com’era in sonno profondo; e ciò vale quale esempio che il Sé non è minimamente influenzato dall’apparizione in lui degli stati di sogno e di veglia, proprio come uno schermo cinematografico non è modificato dalla proiezione del film. Questo riconoscimento avviene solamente tramite il viveka insegnato dal Guru in base agli Śāstra. A questo riguardo citiamo i seguenti passaggi tratti dai commenti di Śaṃkara:

Chi in sonno profondo vede Se stesso come eterna Pura Coscienza, diventa Brahman. Un liberato, dopo la morte non cambia di condizione diventando qualcosa di diverso da ciò che era in vita; semplicemente non assume un altro corpo. Questo si intende con ‘si identifica con il Brahman’. (BUŚBh IV.4.6)

Stiamo dimostrando che suṣupti è il Brahman. Questa conoscenza ha uno scopo, vale a dire che così di prova che il jīva individuale è identico a Brahman ed è sempre libero da ogni relazione con gli stati di sogno e di veglia. Perciò il sonno profondo del jīva significa Ātman. (BSŚBh III.2.7)4

Da questo punto di vista, il fatto che in sonno profondo non si percepisca o che, come dice l’uomo ordinario, “In sonno profondo io non conoscevo nulla”, non è affatto dovuto all’ignoranza causale (bīja avidyā), bensì è perché lì c’è l’unico Sé e nient’altro [da conoscere]. Ciò è esposto chiaramente in BUŚBh (IV.3.23-30).

E, ancora:

A proposito dell’obiezione secondo la quale la gente in sonno profondo ecc. non ha alcuna coscienza […] questa apparente assenza di coscienza è dovuta all’assenza di oggetti da conoscere e non all’assenza della Coscienza. (BSŚBh II.3.18)

Qui Śaṃkara fa l’esempio di una torcia accesa e puntata verso il cielo nel buio della notte. Benché ci sia luce, nessuno vede niente, in quanto non c’è nient’altro che possa essere illuminato da quella torcia. Similmente, anche nel sonno profondo la natura del Sé è totale Pura Coscienza, ma non c’è altra cosa che possa essere conosciuta oltre al Sé.

In sonno profondo l’individuo è liberato dall’ignoranza che è la causa della dualità. L’Ātman è Pura Coscienza ed è capace di vedere ogni cosa. Non vede nulla in sonno profondo perché non esiste lì null’altro da vedere che l’Ātman. Il jīva è uno con l’Essere e solo Essere. Per questo non conosce null’altro. (BUŚBh IV.3.21)

Śaṃkara aveva anche detto nel Bhāṣya alla seconda Kārikā di Gauḍapāda dell’Āgama Prakaraṇa della Māṇḍūkya:

Lo stato causale è anche veramente sperimentato nel corpo allorché colui che si risveglia ha un ricordo di “Io lì non conoscevo nulla”. Per questa ragione si dice che l’unico Ātman è percepito in tre modi diversi (ViśvaTaijasa e Prājña) in questo corpo e solo nello stato di veglia. (MUGKŚBh I.2)

Solo dal punto di vista empirico si attribuisce al Sé la non percezione nello stato di sonno profondo. Tuttavia, come si è detto in precedenza, ora il punto di vista è cambiato da quello empirico a quello dell’Ātman. Così, nell’ottica della discriminazione (viveka), la tamasatva di suṣupti è rimossa e quest’ultima è allora riconosciuta in quanto reale Natura del Sé. Questo è il quarto punto di vista che riguarda suṣupti.

Poiché hanno trascurato questi diversi punti di vista, i sub-commentatori post śaṃkariani hanno assunto il punto di vista empirico come fosse la regola. Così hanno sostenuto che in suṣupti, assieme all’Ātman, c’è la causa seminale del mondo; questa stessa causa seminale la chiamano mūlāvidyā, vāsanābīja oin altri modi ancora, e la considerano essere la causa di questo universo. Secondo loro si dovrebbe fare l’esperienza dello stato di transe privo di coscienza(asamprajñāta samādhi), in cui non c’è né sonno profondo né apparenza del mondo dualistico; in questo modo si trascenderebbe l’avidyā. Perciò non ritengono sufficiente l’esperienza intuitiva di suṣupti per ottenere la conoscenza del Sé. Propagano tutte queste nozioni sbagliate, compresa l’idea che il jīva vada in suṣupti e poi torni indietro, ecc. L’autore del Vivaraṇa, commentando la Pañcapādikā, ha scritto:

Secondo il Vivaraṇa, l’intuizione della non dualità dell’Ātman si trova nella transe yogica dell’asamprajñāta samādhi, mentre la percezione della dualità è dovuta al difetto generato dal prārabdha karma (cioè il karma che sta già dando i suoi frutti nella presente vita).

Questa spiegazione del Vivaraṇa, contraddice direttamente Śaṃkara che, in termini inequivocabili afferma:

Il Sé non può essere raggiunto in alcuno stato o condizione particolare, poiché l’identità del Sé e del Brahman dichiarata da “tu sei Quello” non è condizionata ad alcuno stato particolare. (BSŚBh II.1.14)

Questa innovazione è anche diametralmente opposta a quanto ha dichiarato Gauḍapāda (MUGK l.17) per il quale l’Ātman è sempre libero dal mondo (niṣprapañca), vale a dire libero da ogni dualità. Secondo gli insegnamenti di Śrī Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī, basati sui commenti di Śaṃkara, se cerchiamo di comprendere i vari punti di vista adottati a fine di insegnamento, allora tutti i nostri dubbi saranno eliminati.


  1. D’altra parte, sappi che tamas, che illude tutti gli esseri incorporati, nasce dall’ignoranza. O Bhārata, sappi che è ciò che vincola per mezzo d’inerzia, di onnubilazione e del sonno.” (BhG XIV.8); “Si dice che il piacere che ha inizio da tamas, che prosegue e si esaurisce, è illusorio e sorge dal sonno, dall’inerzia e dall’ onnubilazione.” (BhG XVIII.39).[]
  2. Lo yoga rimuove la sofferenza a chi mangia e si muove in modo regolare, il cui sforzo nel lavoro viene moderato e il cui sonno e veglia sono equilibrati.” (BhG VI.17).[]
  3. Per questa ragione è detto che suṣupti è condizionata dalla sola causa, mentre sogno e veglia lo sono sia dalla causa sia dall’effetto [N.d.C.].[]
  4. “È questa esattamente la posizione del Vedānta, secondo cui ciò che è identico a Brahma[n] non è l’anima individuale (jīvātman), ma il Sé supremo e incondizionato (Ātman)”. Così scriveva un avventizio collaboratore della Rivista di Torino, improvvisandosi esperto di Advaita, esibendo orgogliosamente la sua colossale avidyā.[]