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49. L’Origine dell’Ermetismo

Non è certamente facile definire con esattezza cosa si sia inteso con ermetismo nel corso dei secoli; infatti a seconda delle epoche e delle aree tradizionali, questo termine ha assunto significati diversi. Come si è già fatto notare, le tradizioni che si sono avvicendate in Occidente hanno avuto tutte un carattere prevalentemente cosmologico. Prigioniere delle condizioni insuperabili di tempo e spazio, sono segnate profondamente da continui cambiamenti. Perciò, anche nel caso dell’ermetismo, non si può prescindere dalla prospettiva storica per poterne sondare i continui adattamenti1. Procederemo, dunque, ad affrontare questo argomento così sfuggente seguendo i suoi sviluppi nel corso della storia. Quel ch’è certo, nondimeno, è che ciò che si denomina in questo modo ha una indubbia origine dall’antica tradizione egizia. Questa era ancora vivente durante il regno della dinastia macedone dei Tolomei (323-30 a.C.), instaurata in terra d’Egitto alla morte di Alessandro Magno. Come si è già scritto su questo Sito2, ad Alessandria si era formato un nucleo di filosofi greci d’estrazione pitagorico-platonica che aveva studiato le dottrine egizie e le aveva commentate in numerosi testi, ellenizzandone le forme simboliche.

Passato l’Egitto sotto il dominio romano, Alessandria divenne un ambiente cosmopolita, nodo d’incontro tra culture e tradizioni diverse. Accanto alla gnosi teurgica ermetica, neoplatonica e cristiana, si svilupparono le forme più disparate di sincretismo, come le molteplici sette di gnosticismo cristiano, ebraico, caldaico ecc. Ciò non toglie che anche la tradizione autenticamente egizia continuasse a esistere, divisa dalle altre correnti dal fattore linguistico3. Nell’ermetismo, pur ellenizzato, le tracce della tradizione egizia rimanevano evidenti4. Con ermetismo s’intende una scienza tradizionale della salute, il cui aspetto pratico era espresso dall’arte dell’alchimia5 e dell’astrologia6. Lo scopo più immediato consisteva nella ricerca della medicina7 che avrebbe consentito di raggiungere la longevità o l’“eterna giovinezza”. Ottenuto un corpo sano ed artificialmente più longevo, l’iniziato poteva dedicarsi a pratiche più specificatamente spirituali. Per confezionare l’elisir di lunga vita era necessario trovare nella caverna, situata al proprio interno o nei cunicoli e miniere sotterranee, la pietra filosofale. La pietra aveva il triplice potere di condurre alla longevità e sanità corporea, alla trasmutazione dei metalli vili in oro e all’ottenimento della sapienza iniziatica8. Questo, in origine, rappresentava soltanto il percorso interiore da compiere in vita. Infatti al momento della morte, “[l’iniziato abbandona il] corpo materiale alle forze naturali dell’alterazione, così come la sostanza dei suoi sensi corporei e le facoltà inferiori fanno ritorno alle loro rispettive sorgenti cosmiche. L’«uomo» si lancia quindi attraverso le sfere planetarie, spogliandosi delle energie, delle passioni e degli impulsi che da esse gli erano derivate; dalla concupiscenza di Venere alla brama di ricchezze di Giove, dalla collera di Marte alle menzogne insidiose di Saturno. E così, – ormai «privo degli effetti della compagine delle sfere» e della fatalità determinata dalle configurazioni dello zodiaco celeste – egli può giungere all’ottavo cielo e proseguire ancora oltre. Può consegnarsi alle «potenze» divine e diventare, lui stesso, una dúnamis, una «potenza» specifica del mondo superiore, rinascendo definitivamente in Dio.”9 Appare in tutta evidenza che in origine l’ermetismo rappresentava una via della conoscenza del non-Supremo (sskrt. aparabrahma vidyā), con forti caratteristiche paragonabili al tantrismo śākta dell’India. Infatti la potenza iniziatica evocata nella citazione era personificata dalla dea Iside, la fanciulla (Kóre) divina. Kóre in greco indica anche la pupilla, la finestra attraverso cui l’anima percepisce gli oggetti esterni10, mentre in cielo Iside corrisponde alla Luna11. Dalla lettura dei testi ermetici elaborati nel II-III secolo d.C.12 si evince, tuttavia, che all’espressione dottrinale non corrispondevano le tecniche del metodo alchemico altrettanto elevato. Infatti il raggiungimento della conoscenza (o gnosi) della realtà al di là delle apparenze illusorie, vale a dire la vera immortalità, rimaneva poi lettera morta, non trovandosi alcun riferimento a un metodo che non fosse rituale. Perciò la vera gnósis viene abbassata al grado di immortalità relativa (sskrt. āpekṣika amṛtatva), in uno stato di associazione permanente con la luce divina13.

Il processo iniziatico offerto dal metodo alchemico inizia con l’opera al nero14, la morte iniziatica sotto la guida di Anubis, il dio-sciacallo della morte; segue l’opera al bianco, una purificazione rituale basata su una complessa simbologia, la cui divinità guida è Iside. Infine l’opera al rosso, in cui i rituali sono interiorizzati seguendo la conduzione di Osiride15. Le tre fasi sono rappresentate da Saturno, Luna e Sole o da piombo, argento e oro. Tuttavia tutta l’attenzione è concentrata su Iside e sul suo ridondante simbolismo cosmologico. C’è da considerare, inoltre, che anche la rubedo, che pretenderebbe essere la trasmissione dell’intera conoscenza sacerdotale egizia, è definita ‘opera’ (sskrt. karma). Il passaggio dalla tradizione egizia all’ermetismo ha dunque comportato la perdita dell’ars sacerdotalis (sskrt. brahma jñāna). Questo spiega il senso in cui si deve intendere l’ars regia alchemica. C’è un’altra considerazione ulteriore da fare per rispondere al quesito di come una via iniziatica del non-Supremo abbia potuto essere trapiantata da una tradizione, l’egizia, ad altre, siano esse la greco-romana, l’ebraica, la cristiana e, più tardi, l’islamica. Il fatto è che, nonostante il Corpus Hermeticum faccia allusione alla meditazione diretta (sskrt. aliṅga upāsanā), il metodo alchemico non supera mai il livello simbolico. Il significato dei simboli non viene mai spiegato, dando ai testi ermetici il loro caratteristico aspetto involuto, impenetrabile, artificiosamente misterioso: ermetico, appunto.

Dopo la prima fioritura alessandrina, l’ermetismo migrò, dunque, presso le altre tradizioni, non più come una completa via del non-Supremo, ma ridimensionandosi a essere una scienza16 e arte particolare. Solamente assumendo la forma d’una via di mestiere, una scienza particolare può trasferirsi e integrarsi in una tradizione completa: medicina, farmacopea, architettura, pittura, scultura, musica, metallurgia, carpenteria, tessitura, ceramica, sartoria ecc. non hanno bisogno della connotazione d’una determinata forma tradizionale: arti e mestieri si integrano in una tradizione per il semplice fatto che agiscono su oggetti composti dai cinque elementi17 e perciò sono condivisi da tutti indipendentemente dalle fedi professate. In questo processo di adattamento e di autolimitazione, Thoth, la divinità egizia che sovrintendeva alle scienze intermediarie e che i greci avevano riconosciuto equivalente al loro dio Ermete, fu trasformato in una figura umana. Fu denominato Ermes Trismegisto (lat. Mercurius Termaximus), tre volte grandissimo, mentre gli dei Iside e Osiride, in questa prospettiva, si mutarono nei suoi due primi discepoli umani. Secondo questa nuova versione, Ermes Trismegisto sarebbe stato un profeta egizio contemporaneo di Mosè o di lui un po’ più antico. Grazie alla sua realizzazione, era riuscito a trascendere ogni contingenza, a incontrare il Dio ‘pastore di uomini’, Poimándres, e a riceverne la conoscenza18. In questo modo, a partire dal III secolo, l’ermetismo modificò progressivamente il suo aspetto per incorporarsi ai monoteismi. Gli stessi testi, il corpus Hermeticum e l’Asclepius attribuiti a Ermes Trismegisto19, assunsero una forma che imitava la letteratura profetica della Bibbia, mascherandone l’origine sacerdotale egizia20.

A seguito del decreto di Teodosio (380 d.C.) che dichiarò l’illegalità dei culti pagani in tutto l’Impero Romano, l’ermetismo si adattò ulteriormente alle nuove circostanze. Tuttavia, questo adattamento non comportò solamente la limitazione della portata dottrinale sopra descritta, ma si appoggiò maggiormente alla teurgia, che la gnosi ermetica precedente aveva utilizzato per affiancare il metodo. L’ermetismo cristianizzato progressivamente perse il suo contenuto iniziatico per declinare verso la magia, con la stesura di oroscopi, la confezione di amuleti e talismani e la ricerca della fabbricazione dell’oro per procurare ricchezza. La decadenza si aggravò a causa dell’ostilità delle chiese cristiane nei confronti della magia d’origine pagana21. È in questa forma larvale che l’ermetismo fu trasmesso al medioevo.

Gian Giuseppe Filippi

  1. Dall’Ordine al Caos, “5. L’approccio Storico”.[]
  2. Dall’Ordine al Caos, “27. La separazione di esoterismo ed essoterismo nella Chiesa primitiva.”[]
  3. L’uso dell’egizio e dei geroglifici anziché del greco. L’iniziazione egizia fu presente in tutte le principali città dell’Impero di Roma, a partire dalla stessa capitale, grazie allo spirito ecumenico della romanità. Apparentemente prese le forme misteriche note con il nome di Misteri Isiaci e Osiriaci, ma, sebbene ne fossero ammessi anche sudditi non egizi, tale iniziazione non può essere definita ancora ermetica, essendo genuinamente amministrata da sacerdoti provenienti dall’Egitto. Apuleio nelle Metamorfosi (XI) attesta che a Roma fin dall’epoca di Silla si era stabilito un collegio sacerdotale egizio.[]
  4. Gli studiosi accademici dell’ermetismo, affetti dal pregiudizio classico, ne ridimensionano l’origine egizia, incapaci di concepire altre civiltà degne d’essere considerate tali, se non quella ellenica. Tuttavia sarebbe sufficiente considerare le tre fasi dell’iniziazione ermetica, l’opera al nero, al bianco e al rosso, per riconoscerne l’autentica fonte. Portiamo a esempio un’altra componente importante della dottrina ermetica, ossia la distinzione tra la ‘via secca’ e la ‘via umida’. Ben lungi da rappresentare la via iniziatica e quella mistica, esse si riferiscono a quelle che nell’induismo sono chiamate devayāna e pitṛyāṇa. Nel Libro delle due Vie, uno dei tanti testi sul post mortem dell’antichità egizia, una categoria di anime subito dopo il trapasso si dirige attraverso la calura del deserto fino a raggiungere l’immortale regno di Horus, da cui più ‘non farà ritorno’. Un’altra categoria di anime, invece, s’alza nell’aria sotto forma di vapore acqueo. Questi vapori vengono spinti dai venti verso sud, risalendo il Nilo in direzione delle sue sorgenti, fino a raggiungere i mitici monti della Luna (il Castello della Luna). Dopo aver stazionato colà nel regno di Osiride, il dio morto o Re dei morti, con il cambio del vento, condensate sotto forma di nuvole, le anime dei defunti ritornano verso l’Egitto, precipitando con le piogge torrenziali e provocando la piena del Nilo. Con l’esondazione le anime dei defunti ritornano sulla terra dove rinascono (Eadweard Khimsc (Ed. by) Il Libro Egiziano delle due vie, Tricase (LE), Youcanprint, 2014). Questa dottrina, assai simile a quella che il re Pravahaṇa insegnò ad Āruṇi (BU VI.2.2 e segg.; CHU V.3.4 e segg.), spiega anche perché l’ermetismo sia considerato un’arte regale.[]
  5. Con scienza si deve intendere una dottrina (sskrt. vāda) e con arte il suo metodo (sskrt. prakriyā). Così, anche la scienza indiana della salute, l’Āyurveda è dotata, tra le diverse pratiche, di una chiamata rasa vidyā, l’alchimia indiana, spesso coadiuvato dal vedāṅga jyotiṣa, l’astrologia.[]
  6. Si tratta di un metodo basato sulle potenze dei diversi corpi celesti, di cui l’astrologia giudiziaria, quella degli oroscopi, è un’applicazione del tutto secondaria ed esteriore.[]
  7. Tale medicina, a partire dal medioevo, fu definita elixir, parola tratta da al-´athir, corruzione araba del bizantino ‘etere’ (αἰθήρ, leggi aithīr). Alcuni sostengono che derivi dall’altro termine arabo, d’incerta etimologia, al-iksīr, ‘essenza’.[]
  8. Julius Evola, La Tradizione Ermetica, Roma, Ed. Mediterranee, 2006, pp. 61-62. Al di là delle immaginifiche descrizioni simboliche, anche la pietra filosofale in realtà doveva essere forgiata nell’antro del forno alchemico, l’atanór (arab. at-tannūr). Titus Burckhardt, Alchemie, Sinn und Weltbild. Olten, Walter Verlag, 1960, cap. XIII. Se alla lettura dei libri di Evola e di Burckhardt si aggiunge quella di Forgerons et Alchimistes di Mircea Eliade (Paris, Flammarion, 1950), si prova con mano come ci si possa perdere nei labirinti della simbologia. Trattando dello stesso argomento, i tre autori riescono soltanto a manifestare le loro inclinazioni individuali. Per Evola l’ermetismo è magia eroica; per Burckhardt è un prestito sufico, definito in modo sospetto ‘alchimia spirituale’; per Eliade è l’esperienza della transe di fabbri-sciamani![]
  9. Davide Susanetti, La via degli dei, Roma, Carocci, 2017, p. 222.[]
  10. La via degli dei, cit., p. 227.[]
  11. Ciò corrisponde con esattezza al puruṣa nell’occhio (viśva), identificato in cielo al Sole (Virāṭ) del Māṇḍūkya Upaniṣad Śaṃkara Bhāṣya (I.III). Tuttavia il punto di vista ermetico differisce da quello vedāntico in un particolare importante: sostituisce il dio con la dea, il sole con la luna. Come s’è già detto, ciò ricorda da vicino lo śaktismo hindū, nella cui prospettiva l’entità attiva è la Śakti, mentre il dio Śiva appare inerte. Idea che è espressa iconograficamente dalla dea danzante sul corpo esanime del dio. Anche nella antica tradizione egizia Iside è la divinità dinamica, mentre il suo paredro, Osiride, è un dio morto. Questo è un altro particolare che rafforza l’ipotesi di una origine indiana arcaica per una corrente della tradizione egizia, di cui s’è già accennato su questo Sito (Dall’Ordine al Caos, “8. Atlantide: altre fonti (II)”).[]
  12. André-Jean Festugière O.P., La Révélation d’Hermès Trismégiste, 4 voll., Paris, Les Belles Lettres, 1950-1954, I vol. pp.85-88.[]
  13. La via degli dei, cit., p. 223. “… per conseguire questo secondo tipo di conoscenza che è il risultato di certe upāsanā [meditazioni], intese al raggiungimento di una identificazione (abhimāna) con una particolare divinità, è necessario che il discepolo zelante si sforzi in continuazione a contemplare quella devatā [divinità] come oggetto di meditazione (upāṣya viṣaya), impedendo l’interferenza di qualsiasi idea, pensiero, sentimento ed emozione.Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī, La Via della Conoscenza e le altre Vie, Milano, Ekatos Ed. Pr., 2019, p. 51. Questa è la descrizione della meditazione al di là del simbolo (sskrt. aliṅga upāsanā).[]
  14. In lingua copta (tardo egizia), nero si diceva kem-it. Da questo termine proviene l’arabo al-kīmyā´. Kem-it, la ‘terra nera’,era anche il nome dell’Egitto faraonico.[]
  15. Si noti l’inversione dei colori bianco e rosso rispetto all’ordine dei guṇa del Sāṃkhya. Quest’ultima dottrina appare dottrinalmente più corretta, poiché il nero è assenza di colore, il bianco concentrazione di tutti i colori e il rosso è un colore mediano.[]
  16. Con scienza, in questo caso, si intendeva la dottrina che aveva preso la forma di una ‘filosofia naturale’, in modo da non entrare in conflitto con la teologia basata sulla rivelazione. Come si vedrà in seguito, la scissione della scienza dall’arte, vale a dire dal metodo, si tradurrà davvero in una filosofia o speculazione teorica. La filosofia ermetica surrogò l’assenza del metodo con la magia cerimoniale, prudentemente ridefinita teurgia e angelologia. Assistiamo, perciò, ai primi prodromi della scissione fede-scienza che ha minato l’intellettualità occidentale.[]
  17. Meglio sarebbe dire quattro, visto che il quinto elemento per gli ermetisti si è mutato in un misterioso elixir a cui si ambisce di arrivare per via artificiale.[]
  18. La via degli dei, cit., pp. 219-221.[]
  19. Questi libri sono un centone di testi provenienti da fonti ed epoche diverse, armonizzati e rielaborati certamente dall’alchimista Zosimo (III-IV sec. d.C.), il più dotto rappresentante della gnosi ermetica alessandrina.[]
  20. Lattanzio, infatti, a più riprese affermò che Ermes Trismegisto era un profeta pagano che aveva preannunciato la venuta di Gesù, figlio di Dio (Divinæ Institutiones, I.6; IV.6; VIII.18). Al contrario S. Agostino condanna severamente Ermes come mago ed evocatore di Dei pagani (De Civitate Dei, VIII.23-26).[]
  21. Un grave colpo fu la chiusura dell’Accademia d’Atene deliberata dall’Imperatore Giustiniano nel 529. Tale misura fu motivata proprio per colpire certe risorgenze precristiane e magiche contro il cristianesimo.[]