Śrī Śrī Svāmī Jñānānandendra Sarasvatī Mahārāja
3. Vedānta Jijñāsa
Capitolo II – Mūlāvidyāvāda opposto all’Advaita di Śaṃkara
Domanda: è stato sostenuto nel Mūlāvidyābhāṣya Vārtikaviruddha che la teoria sulla Mūlāvidyā dei sub-commentatori post-śaṃkariani è contraria all’Advaita Vedānta di Śaṃkara.
Risposta:
Teoria di Mūlāvidyā
La teoria di Mūlāvidyā, interpolata nei commentari di Śaṃkara dai sub-commentatori post-śaṃkariani come il Pañcapādikakāra, il Vivaraṇācārya, il Bhāmatīkāra etc., è contraria all’Advaita Vedānta. Secondo loro māyā è avidyā. L’uno è sinonimo dell’altro. Māyā è la causa materiale del mondo così come dei tre tipi di avidyā, cioè, l’assenza di conoscenza (jñāna abhāva), la conoscenza erronea (mithyā jñāna o adhyāsa) e il dubbio (śaṃkā o saṃśaya). Questa māyā, o avidyā, è senza inizio. È chiamata col nome di mūlāvidyā [ignoranza originaria, ignoranza-radice], in quanto è la causa materiale sia del mondo sia di adhyāsa, o conoscenza falsa [o sovrapposizione]. Adhyāsa è anche indicata come kāryāvidyā [ignoranza-effetto], la cui causa materiale è mūlāvidyā. Essa è una materia indescrivibile (anirvacanīya), in quanto non può essere descritta né come sat, esistenza, né come asat, non-esistenza. Esiste nella Realtà (Brahman) trattando la Realtà come fosse un suo oggetto. È subordinata al Brahman e perciò può essere vanificata dalla conoscenza del Brahman (jñāna bādhyatva). Esiste coestensivamente ai tre stati di Coscienza di veglia, sogno e sonno profondo. Avvolge il Brahman ed è colei che proietta l’azione e la fruizione sulla Realtà. Si appoggia sul Brahman, anche se è una materia a Lui esteriore. Possiede tre qualità chiamate sattva, rajas e tamas. La si indica coi nomi di māyā, avidyā, mūlāvidyā, prakṛti, avyakta, avyākṛta, śakti, tamas, akṣara etc. Secondo il Vivaraṇācārya, māyā è una fantasmagoria proiettata da adhyāsa. Perciò può essere rimossa dalla conoscenza, anche se è accettata come causa materiale della proiezione o adhyāsa.
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Ora mostrerò le differenze tra l’autentica e originale visione di Śaṃkara e quelle dei sub-commentatori post-śaṃkariani, per dimostrare che la teoria mūlāvidyā è contraria all’Advaita Vedānta di Śaṃkara.
La teoria Mūlāvidyā contrapposta all’Advaita śaṃkariano
1. Śaṃkara dice: adhyāsa o, in altre parole, l’ignoranza (avidyā) è confondere mutuamente Ātman e anātman. È la causa di tutte le nostre attività (karma) e del mondo. Śaṃkara inizia la propria indagine dalla costatazione che c’è una forma mentale erronea chiamata adhyāsa, l’ignoranza soggettiva o del soggetto.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: mūlāvidyā è un’indescrivibile, primordiale materia (anādi dravya) ed è indicata col nome di avidyā. È la causa materiale del mondo, ma anche dell’adhyāsa, o conoscenza errata. Costoro sostengono che questa materia primordiale riposi, si fondi sul Brahman. Secondo loro avidyā non è l’ignoranza soggettiva, ma è qualcosa di oggettivo (di positivo) che avvolge la natura essenziale dell’Ātman. Danno inizio alla loro riflessione a partire da una materia esterna, proprio come gli altri dualisti (dvaitin).
2. Śaṃkara dice: adhyāsa è senza inizio e senza fine (in Adhyāsa Bhāṣya). Essa è sperimentata da tutti. Adhyāsa è la causa sia dell’individualità sia del mondo. Perciò, nulla può essere conosciuto ‘prima’ di adhyāsa. Adhyāsa non richiede alcuna causa materiale per la sua presenza, per la sua occorrenza, dato che è solo una forma di ignoranza.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: mūlāvidyā è anādi, senza inizio, e la causa materiale di adhyāsa (karyāvidyā) e del mondo.
3. Śaṃkara dice che l’adhyāsa è “Mithyā jñāna nimittaḥ”, cioè che mithyā ajñāna (ovvero conoscenza erronea che prende il Sé per il non-sé e il non-sé per il Sé), è nimittaḥ, cioè la “causa efficiente”1 della nostra individualizzazione. L’assenza di conoscenza è anch’essa un’illusione immaginata, perciò viene con adhyāsa e se ne va con adhyāsa.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: la parola “mithyājñāna” deve essere divisa in “mithyā ajñāna”. “Mithyā” significa indescrivibile (anirvacanīya, letteralmente impossibile da dire, da definire). “Ajñāna” significa una materia indescrivibile e “nimittaḥ” significa causa materiale (upādāna kāraṇam).
4. Śaṃkara dice che avidyā e māyā sono alquanto differenti. Avidyā esiste in tre forme: conoscenza erronea, assenza di conoscenza e dubbio. Sono tutte e tre forme mentali erronee. Māyā è una materia immaginata a causa dell’ignoranza (avidyā kalpita). Questa “causa materiale”, cioè la māyā che produce l’apparenza del mondo di nomi e forme, è sempre ritenuta un’immaginazione generata dall’assenza di conoscenza. Si dice che essa sia il seme, o forma potenziale, del mondo. Essa non ha una reale esistenza. Māyā (illusione) significa ciò che non esiste, ma che [per errore] appare come se fosse una cosa esistente (MUGKŚBh II. 31; IV. 58).
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: la māyā è una sostanza indescrivibile, in quanto non può essere descritta né come sat né come asat. È la causa materiale sia del mondo sia delle tre forme di ignoranza, cioè conoscenza erronea, assenza di conoscenza e dubbio. Māyā e avidyā sono un’unica e medesima cosa.
5. Śaṃkara dice: la causa materiale chiamata Prakṛti, māyā o avyakta (non manifestato) è nata dal Brahman, e dunque non è affatto anādi: “Da ciò sorse il non-manifestato (avyakta), possessore dei tre guṇa, e il non-manifestato è riassorbito nel Puruṣa senza attributi” (BSŚBh II.1.11): “Prakṛti senza nascita (ajā) che è l’origine degli elementi, derivò dal Supremo Signore” (BSŚBh I.4.9).
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: Prakṛti, o māyā, è anādi, senza origine.
6. Śaṃkara dice: la māyā è “indefinibile come identico (tattva) o diverso (anyatva)” cioè, non può essere mai definita né come Brahman né come altro dal Brahman e perciò è inesprimibile.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: māyā è “sadasatbhyām” cioè è una materia indescrivibile, in quanto non può essere descritta né come esistente (sat) né come (asat).
7. La Śruti e gli Śaṃkara Bhāṣya dicono: “C’era solo il Brahman prima della creazione” (BU. I.4.10); “C’era solo Ātman prima della creazione” (AiU. I.1).
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: mūlāvidyā c’era prima della creazione in quanto essa è anādi, senza origine e bhavarūpa, esistente positivamente.
Ciò equivale ad ammettere la dualità, e la Realtà, o Brahman, diventa “vastu paricinna”, ovvero limitata da un’altra cosa.
8. Śaṃkara dice: Brahman è la causa materiale ed efficiente del mondo. L’universo è immaginato erroneamente attraverso l’adhyāsa nel Brahman, perciò una materia immaginata come fondamento (ādhāra) è sia la causa materiale sia quella efficiente. Per esempio, la corda è la causa materiale ed efficiente della corda-serpente. La causa è reale, mentre i suoi effetti o prodotti sono mere denominazioni. Così il Brahman è reale e tutti gli effetti sono solo nomi.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: mūlāvidyā è la causa materiale del mondo come anche di adhyāsa. Quindi mūlāvidyā deve per forza essere una cosa reale e i suoi effetti sono meri nomi. Dicono che il Brahman è la causa materiale attraverso mūlāvidyā. Dunque, Brahman è reale e tutti gli effetti sono mere denominazioni.
9. Śaṃkara dice: c’è una sola e unica Realtà (Sattā) e non ci sono affatto gradi di esistenza: “Una volta che sia stata stabilita la non-distinzione [di causa ed effetto] prima della creazione, si deve riconoscere che l’effetto è non-distinto dalla causa anche dopo la creazione. Come il Brahman, in quanto causa, non vede mai cessare la sua natura di puro Essere nemmeno nei tre momenti [di creazione, conservazione e dissoluzione dell’universo], così anche l’effetto, in quanto effetto, è sempre in identità col puro Essere anche nelle tre fasi dell’esistenza. L’Essere, in quanto tale, è unico; da ciò consegue che non può mai verificarsi alcuna [reale] distinzione dell’effetto dalla causa” (BSŚBh. II.1.17). Il mondo è comparabile al miraggio, o alla fatamorgana, o ancora agli oggetti visti in sogno: “Esso è affatto non-reale al pari degli elefanti proiettati dal potere di suggestione di un illusionista, o di oggetti percepiti in sogno, o simile alla cittadella celeste dei Gandharva, ecc., ma [soltanto] appare come reale; per chi ha compreso a fondo, grazie alla contrapposizione con l’autentica conoscenza che gli è stata esposta, la falsa conoscenza si dissolve” (BhGŚBh. XIII. 26). Tutti questi fenomeni sono solo visti, ma non sono reali. Perciò, la conclusione è che il mondo non ha esistenza o sattā.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: ci sono tre realtà (sattā): pāramārthika sattā (la Realtà Assoluta), vyāvahārika sattā (la realtà empirica o relativa) e prātibhāsika sattā (la realtà meramente illusoria e apparente).
10. Śaṃkara dice: la corda-serpenteè solo una nozione errata, in quanto la corda non è affatto cambiata nel serpente. È il substrato sul quale il serpente immaginario è sovrapposto dal percipiente a causa dell’illusione. Non c’è alcun serpente. Dice Gauḍapādācārya: “Questa dualità [tra mondo manifestato e Brahman] è solo una apparenza paragonabile all’arte dell’illusionista [māyā]. In verità esiste solo la non-dualità. La distinzione (in cui talvolta ci si imbatte negli Śāstra) deve scomparire poiché si tratta dell’opinione degli ignoranti. La descrizione della differenziazione è soltanto uno strumento d’insegnamento in quanto, allorché si conosce la Realtà, non esiste affatto alcuna dualità” (MUGK. I.17-18). E Śaṃkara commenta: “Se la conoscenza della non-dualità si ottiene dopo che viene negato il mondo fenomenico, com’è possibile accettare la non-dualità finché quest’ultimo persiste? Ecco la risposta: invero, ciò sarebbe impossibile se il mondo avesse esistenza [reale], ma, non essendo altro che rappresentazione mentale (manasarga), paragonabile all’immaginazione del serpente al posto della corda, non può dirsi che esista realmente; infatti, se avesse un’esistenza, senza dubbio cesserebbe di esistere. Ma il serpente immaginato per un’errata visione al posto della corda non ha alcuna reale esistenza; di conseguenza esso non sparisce quando si realizza la giusta comprensione, come non sparisce la rappresentazione illusoria evocata dal mago2. Parimenti, questa dualità non è altro che māyā, chiamata anche mondo fenomenico. Turīya è paramārthaḥ, la sola Realtà suprema, è non-dualità, come il mago e la corda; per cui non vi è un reale mondo molteplice che debba apparire o scomparire” (MUGKŚBh. I.17).
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: un serpente indescrivibile è nato per un certo tempo in luogo della corda-serpente.
[Essi lo creano per dare un esempio della distruzione di mūlāvidyā, materia positiva senza inizio, attraverso la conoscenza].
11. Śaṃkara dice: l’ignoranza esiste in tre forme: conoscenza erronea, assenza di conoscenza e il dubbio. Tra queste, la conoscenza erronea è la più dannosa, quindi è l’ignoranza principale. Tutte queste sono forme mentali erronee. Anche la conoscenza è una [corretta, giusta] forma mentale. Una è opposta all’altra. Esse non possono risiedere nel medesimo luogo o supporto allo stesso tempo. Dunque, la conoscenza rimuove l’ignoranza. La conoscenza non distrugge una cosa, descrivibile o indescrivibile, dipendente o indipendente che sia. Semplicemente essa la porta alla luce per come è. Dice Śaṃkara: “Non si riscontra mai che la conoscenza del Brahman sia in grado di rimuovere direttamente le proprietà di un oggetto o di crearne di nuove, mentre si constata ovunque che essa elimina l’ignoranza. Similmente, anche in questo caso, la conoscenza del Brahman può eliminare soltanto la nozione di non essere il Brahman e di non essere tutto ciò che è prodotto dall’ignoranza, ma la stessa conoscenza del Brahman non può né creare né distruggere la reale natura d’un oggetto.” (BU. I.4.10).
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: mūlāvidyā può essere vanificata dalla conoscenza in quanto consiste in una indescrivibile e dipendente materia, proprio come la corda-serpente. La conoscenza sorge nell’individuo. Mūlāvidyā si è ritirata nel Brahman. Anche allora la conoscenza può rimuovere mūlāvidyā dal momento che è chiamata col nome di avidyā. Noi (mūlāvidyāvādin) accettiamo mūlāvidyā in quanto opposta alla conoscenza.
12. Śaṃkara dice: nel sonno profondo un individuo perde la propria individualità e si riassorbe nel Brahman, o “diventa” uno con il Brahman, senza sapere di esserlo diventato. È sempre il Brahman per propria natura. Non si può perdere o mettere da parte la propria vera natura. A causa degli upādhi [le condizioni limitative aggiunte, dovute ad avidyā, a cui si è associati negli stati di veglia e sogno] l’individuo appare come se fosse differente in veglia e in sogno. Nessun upādhi invece esiste nel sonno profondo, perciò lì si dice di essere uno col Brahman. “Ora, poiché sia in veglia sia in sogno, in virtù dell’identificazione con le sovrapposizioni [come oggetti, corpo, sensi, mente, ecc.] è come se [per il jīva] si verificasse l’acquisizione di un’altra natura, è proprio da questo punto di vista che si parla di realizzazione della propria natura autentica, dato che si ha la cessazione di quello [stato di erronea associazione con una falsa natura sovrapposta] come si sperimentata proprio in sonno profondo. Pertanto non è conforme a ragione sostenere che nello stato di sonno profondo l’identificazione con l’Essere a volte si verifica e a volte non si verifica” (BSŚBh. III.2.7). In verità [il jīva] è sempre il Brahman, anche se conosce Sé stesso in modo erroneo, prendendosi per un individuo, a causa di adhyāsa.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: l’individuo esiste in quanto individuo ed egli non si riassorbe nel Brahman in sonno profondo. Mūlāvidyā (l’ignoranza causale) esiste nella sua forma sottile anche nel sonno profondo. Questo fa sì che uno si risvegli nella forma della medesima individualità.
13. Śaṃkara dice: “Io non conoscevo nulla in sonno profondo”; “Ho dormito profondamente”: queste affermazioni esprimono e dimostrano l’esistenza della Realtà nel sonno profondo.
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: Queste frasi sono affermazioni autorevoli per sostenere che lì era esistente una materia positiva come mūlāvidyā, tale da impedire l’unità del jīva col Brahman.
14. Śaṃkara dice: non appena la conoscenza della Realtà è realizzata, allora il mokṣa è nelle proprie mani; cioè, nel nostro caso, l’essere rimane come puro Essere, pura Coscienza, pura Beatitudine. “Il frutto che consiste nell’ottenimento del Brahman si realizza fuori della contingenza temporale definita dal sorgere della conoscenza. L’attimo in cui l’Ātman è conosciuto, quello è invero l’attimo della sparizione dell’ignoranza relativa all’Ātman” (BU. I.4.10).
I mūlāvidyāvādin, invece, dicono: “la Liberazione, mentre uno è in vita (jīvanmuktiḥ), è secondaria, relativa. La vera Liberazione è ottenibile soltanto dopo la morte (videhamuktiḥ)”3.
Questa posizione dei mūlāvidyāvādin è inaccettabile per Śaṃkara, il quale ritiene che la vera Liberazione (sadyomuktiḥ) si ottiene nel momento in cui adhyāsa (avidyā) scompare e sorge la Conoscenza di Sé, l’Intuizione che dice: Io sono della natura di Saccidānanda, il Supremo Sé.
Conclusione
Se la mūlāvidyā di queisub-commentatori fosse accettabile, essa avrebbe dovuto essere chiaramente specificata [da Śaṃkara]. Egli avrebbe dovuto menzionare i suoi (di mūlāvidyā) caratteri distintivi, le prove della sua validità e come essa potesse essere rimossa dalla vera conoscenza nel modo sostenuto dal Pañcapādikakāra e dal Vivaraṇācārya. Invece non ha mai fatto alcun accenno a mūlāvidyā. Al contrario, ha chiaramente dimostrato che avidyā è solamente conoscenza errata (cioè adhyāsa) e che essa può essere rimossa solo dalla vera conoscenza com’è nell’esperienza di tutti. Nei commenti di Śaṃkara non c’è alcuna menzione di avidyā o di māyā intesi nel senso di mūlāvidyā. Quindi è impossibile accettare che Śaṃkara abbia mai riconosciuto mūlāvidyā, e ancora meno che l’approvasse. Noi diciamo che chi non trova i punti di vista degli studiosi post-śaṃkariani negli scritti di Śaṃkara, costui deve chiamare Śaṃkara Brahmavādin e non māyāvādin o mūlāvidyāvādin. Secondo Śaṃkara, qualsiasi cosa sia esistita, esiste o esisterà mai, è solamente il Brahman, e non māyā o mūlāvidyā. Śaṃkara afferma che māyā non esiste (MUGKŚBh. IV.58). Śaṃkara, che chiaramente disapprova e nega l’esistenza di una māyā–mūlāvidyā, che chiama invece la māyā falsa apparenza (proiettata dall’ignoranza) e non-esistente, non può essere definito māyāvādin o mūlāvidyāvādin.
- Tra virgolette, perché lo Svāmījī,dopo aver negato ogni realtà di una presunta causa materiale, non poteva certamente intendere nimittaḥ in senso causale. Se non c’è causa materiale non può nemmeno esistere la causa efficiente, essendo tra loro correlate. Che nimittaḥ non sia “causa efficiente” in senso letterale è provato anche dal fatto che sia Śaṃkara sia Svāmī Satchidānandendra affermano che tale termine indica semplicemente la situazione, la condizione o la circostanza in cui ci si trova individui [N.d.C.].[↩]
- Celebre gioco illusionistico indiano, in cui il mago suggestiona il pubblico e gli fa vedere una corda eretta in verticale. Il mago pare salire lungo la corda e, arrivato alla fine, scompare. L’assistente del mago lancia allora una spada in alto che, a sua volta, sparisce. Poi cominciano cadere dall’alto pezzi del corpo dell’illusionista. L’assistente raccoglie i pezzi del corpo che si uniscono e l’illusionista si rialza intero. Chi ha assistito a questa magia senza lasciarsi suggestionare ha visto l’illusionista rimanere sempre seduto a terra.[↩]
- Advaita Siddhi: “videhatākālīna eva mokṣo mukhyo mokṣaḥ jīvanmukter gauṇatvāt”.[↩]