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62. Le deviazioni della Qabbalah

Nel 1666 la Borsa di Amsterdam è in grande agitazione: i sensali e gli speculatori ebrei sono fuori di sé dall’entusiasmo, i giocatori al rialzo e al ribasso dimenticano le loro operazioni finanziarie e si abbandonano a estatiche danze di giubilo: corrispondenze commerciali dal Levante annunciano che agli ebrei di Smirne è apparso il Messia. I cauti negozianti di Amsterdam scrivono ancora una volta ai loro corrispondenti per averne notizie più sicure, per convincersi che non vi sia errore, che colui ch’è apparso a Smirne sia veramente il Messia atteso da millenni da tutti il popolo d’Israele. La risposta suona: «Hu velo acher», «È lui e non altri». Il lieto messaggio si diffonde con la rapidità del lampo per mari e per paesi, in ogni luogo dove si venera la Torà. A Parigi, a Livorno, a Vienna, da per tutto si ripetono le medesime scene: gli uomini abbandonano gli affari, le donne lasciano i bimbi e la casa, e tutti danzano nell’ebbrezza d’un entusiasmo senza freni.

Con queste vivide e storicamente ineccepibili frasi, un autore inizia a descrivere l’incredibile avventura di un falso Messia1. Šabbetay Ṣewi (1626-1676), figlio di un agiato mercante di pollame di Smirne, fin dall’infanzia sperimentò alcune aperture psichiche sotto forma di visioni non controllate. Per cercare di fare un po’ d’ordine in quelle esperienze, si dedicò fin dall’adolescenza allo studio della Qabbalah. La Qabbalah ch’egli seguiva non era quella tradizionale iniziatica, bensì quella misticheggiante e apocalittica che traeva la sua fonte dagli insegnamenti di Abulafia, deviazione dell’antica tradizione2. Già quindicenne ricevette le prime rivelazioni mistiche che lo convinsero di essere la manifestazione terrena dell’aspetto saturnino di Dio3. Šabbetay, infatti, è il termine ebraico per il pianeta infausto della distruzione. E, infatti, il suo comportamento fu sempre quello della melancolia da cui erano stati affetti tutti i qabbalisti cristiani ed ermetisti rinascimentali4.

A ventidue anni si proclamò Messia alla sua cerchia di ammiratori di Smirne. Il suo concetto di Messia si differenziava notevolmente da quello dei falsi Messia che lo avevano preceduto: infatti egli affermava esserci una identità essenziale tra il suo essere tale e Dio stesso5. Affermava che, tramite la rotazione delle lettere dell’alfabeto ebraico, era riuscito a pronunciare il tetragramma, il nome impronunciabile di Dio. Colpito da herem (scomunica rabbinica), Ṣewi cominciò una vita errabonda tra Bisanzio, Salonicco, Gerusalemme e il Cairo. Con la sua predicazione attirò un esiguo numero di seguaci, che però, abbienti e influenti, lo protessero dagli ambienti ortodossi rabbinici e qabbalistici, e dall’amministrazione ottomana. Nel 1663 il suo destino s’incontrò con quello di Nathan di Gaza, che divenne rapidamente il suo profeta e braccio destro. L’anno 1666 che, secondo alcune “profezie”, sarebbe stato l’inizio dell’era messianica, fu quando cominciò il grande successo del falso Messia. L’illusione che il Messia avrebbe rapidamente riscattato gli ebrei dallo stato di emarginazione in cui si trovavano nei paesi islamici e cristiani, sollevò un improvviso entusiasmo in tutti i territori della Diaspora6. Rientrato con tutti gli onori della nativa Smirne, depose il rabbino capo a lui ostile e iniziò a regnarvi come un sovrano. Sposò diverse donne, ma la moglie principale doveva presentarsi a Smirne con grande pompa. La prostituta livornese Sara, fin da bambina, aveva proclamato il suo destino di diventare la moglie regnante del Messia. Finanziata da banchieri e mercanti di Amsterdam e di Livorno, accompagnata da un corteo di dotti rabbini e saggi qabbalisti, Sara si presentò al divino sposo7. Dopo le fastose nozze “della Tōrāh”, Smirne, cittadina marginale e miserabile dell’Impero ottomano, cominciò a rifiorire. Navi dall’Europa, dall’Egitto e dal Maghreb, cariche di merci preziose sbarcavano i loro tesori nel suo porto, mentre banche, uffici di cambio e agenzie finanziarie olandesi, inglesi, genovesi e catalane vi aprivano nuove rappresentanze. Nella convinzione generale, la miseria del popolo ebraico stava per essere riscattata dalla sola presenza del Messia e del suo Profeta8. La gran parte dei rabbini, allora, si schierò o finse di schierarsi dalla parte di Šabbetay, mentre solo una piccola minoranza rimase ancorato alle posizioni della loro tradizione. In particolare questi vedevano con orrore le alterazioni dei rituali che si stavano adottando per volontà del Messia e di Nathan di Gaza.

Nella primavera di quell’anno Šabbetay Ṣewi si recò a Istambul al fine di farsi riconoscere Messia dal Sultano ottomano e per farsi cedere la corona imperiale. Denunciato dalla comunità giudaica della capitale e immediatamente arrestato, dopo due mesi di prigione dorata, il falso Messia chiese di essere ammesso al cospetto del Sultano Mehmet IV. Lì pubblicamente si convertì all’islam, assumendo come neo musulmano il nome di Aziz Mehmet Effendi. Tutte le comunità ebraiche della diaspora subirono un cocente disinganno9. Vi furono due tipi di reazioni: gli ambienti tradizionali rabbinici condannarono senza riserve Šabbetay come impostore e imbroglione. I rabbini, a partire da quel momento presero decisamente le distanze dalla Qabbalah estatico-mistica e di questo irrigidimento fu vittima anche quanto rimaneva dell’autentico esoterismo qabbalistico medievale che, ancor più emarginato, entrò in una sorta di letargia. Allo stesso tempo, i più fanatici seguaci del falso Messia, cercarono di trovare una spiegazione simbolica di quel gesto sconvolgente, attribuendogli significati misteriosofici profondamente inquietanti. Lo stesso Nathan di Gaza fece circolare la voce che la funzione di Messia doveva arrivare a coinvolgere nell’azione redentrice anche le qelippot10. Questa giustificazione, che solo in apparenza somiglia a una discesa agli inferi, dipinge invece un quadro inquietante dell’intera missione di Šabbetay in collaborazione attiva con forze infernali. Ma la capacità critica di chi è onnubilato dal fascino del fanatismo è incapacitata a vedere i fatti come sono; in tutti i modi, nella sua esaltazione, trova significati simbolici sublimi ed esempi da imitare11. Fu così che i seguaci del falso Messia seguirono l’esempio del loro Signore e Dio, convertendosi ipocritamente all’islam per continuare l’opera di redenzione sotto copertura. Tutto sommato fecero rivivere l’esperienza dei loro antenati marranos di Spagna; effettivamente le comunità di Tessalonica e di Smirne erano composte da sephardim, ebrei di origine spagnola12. Quei falsi seguaci dell’islam sono chiamati in turco dönmeh, letteralmente ‘convertiti’, parola che con il tempo ha però assunto il senso di ‘apostati’13. Anche dopo la morte del loro Messia, i dönmeh continuarono a premere sui loro simpatizzanti, inducendoli a uscire dai ghetti14. Durante il XVII e XVIII secolo anche nell’Europa orientale tale propaganda indusse molti a integrarsi all’ambiente cristiano15 convertendosi o meno16. In seguito, essi assunsero con entusiasmo lo spirito antireligioso diffusosi durante l’illuminismo17; questa corrente sotterranea si adeguò alla situazione generale, integrandosi alla nuova civiltà agnostica, spesso prendendone la guida, mantenendo nascostamente un legame formale con la loro religione e, soprattutto, con l’etnia d’origine18. Al contrario, gli ebrei ortodossi continuarono a professare pubblicamente la loro fede, incorrendo spesso nelle critiche, nell’ostilità e perfino nelle delazioni da parte dei cripto-seguaci di Šabbetay Ṣewi.

Jakub Lejbowicz (1726-1791), è più conosciuto come Jacob Franck19. Suo padre, che apparteneva alla prima generazione dei seguaci di Ṣewi, era stato accusato di eresia20 dai rabbini della tradizione ebraica ortodossa e costretto a riparare nella Bucarest ottomana, ove nacque Jacob. Il fanciullo, di temperamento selvaggio e ribelle, covò per tutta la sua vita un profondo rancore contro i rabbini e il giudaismo regolare a causa del trattamento riservato a suo padre. Jacob non seguì una regolare educazione né si attenne mai alle regole della convivenza sociale, decantando la sua ignoranza e la sua sfrenatezza come segno di elezione divina. Nel 1753 raggiunse Salonicco, il centro dei dönmeh da cui era stato espulso suo padre.

Assunse subito il modo di pensare e di agire dei dönmeh e, sentendosi intimamente affine a Šabbetay Ṣewi, dapprima proclamò d’essere una sua reincarnazione, per poi dichiararsi a sua volta Messia. Ṣewi era stato il Messia della tribolazione, mentre egli sarebbe stato il Messia della potenza, il Messia-Re. Egli rivelò che l’epoca della legge era definitivamente conclusa e con il suo regno i suoi seguaci erano assolti da qualsiasi prescrizione, fatta eccezione per l’obbedienza totale ai voleri del Messia. La comunità che si raccolse attorno a lui viveva della sua luce riflessa e si abbandonava a ogni licenza, soprattutto, naturalmente, in ambito sessuale. Franck portò agli estremi limiti il libertinaggio che già era comparso con Ṣewi. Oggetto di scomuniche e di denunce da parte dei seguaci della tradizione rabbinica, dopo varie vicende, egli decise di emigrare con la folla sei suoi debosciati seguaci in Polonia. In quell’epoca il regno di Polonia, considerata la refrattarietà degli ebrei a convertirsi al cattolicesimo, prometteva a coloro che si fossero fatti battezzare lo status nobiliare e proprietà terriere. Franck intavolò un negoziato con il re Augusto III. Egli, assieme a circa trentamila suoi discepoli, avrebbe abbracciato il cattolicesimo. Oltre alle terre e alla nobilitazione di massa, egli chiedeva che le proprietà fossero tutte adunate in un unico feudo, sempre vassallo del Re di Polonia, ma in cui gli unici proprietari dovevano essere franckisti. Il Re fu lusingato di fare una così bella figura davanti al soglio pontificio; rimaneva il problema geopolitico di concedere un’intera regione a gente proveniente dall’Impero Ottomano, con parenti e amici al di là del confine. Comprendendo le perplessità della Corona su questo ultimo argomento, i rabbini polacchi denunciarono come eretico il franckismo davanti al Santo Uffizio. Il confronto tra rabbini e franchisti avvenne nella cattedrale di Lemberg sotto l’arbitrato del canonico Mikulski. Con grande spudoratezza gli oratori franckisti assunsero posizioni religiose chiaramente ricalcate sulla fede cristiana21 ed ebbero così facilmente la meglio sui pur più colti e preparati rabbini regolari. Il vero pensiero di Franck era invece come segue:

Nostro Signore e Re Sabbataï Zevi dovette passare alla fede degli Ismaeliti [musulmani], ma io, Jacob, più perfetto, devo passare alla fede dei nazareni perché Gesù di Nazareth era la pelle o scorza del frutto e che la sua venuto fu permessa solo per aprire la via al vero Messia. Noi dobbiamo dunque accettare pro forma questa religione nazarena, osservarla meticolosamente in modo da sembrare buoni cristiani quanto i buoni cristiani. Tuttavia non dobbiamo sposare nessuna delle loro puttane né divertirci con loro né mescolarci con le altre nazioni. Anche se professiamo il Cristianesimo e seguiamo regolarmente i loro comandamenti, non dobbiamo mai dimenticare nei nostri cuori i tre pilastri della nostra fede, i Signori e Re Sabbataï Zevi, Berakhya [il suo successore] e Jacob Frank, il più perfetto dei tre.22

I riti insegnati da Franck, che avevano surrogato quelli tradizionali ormai abrogati, sono così descritti:

“I riti religiosi dei Frankisti consistevano in canzoni estatiche accompagnate da applausi selvaggi, con partecipazione femminile che terminavano in un rito orgiastico. Il rituale cominciava abitualmente così: Frank s’inginocchiava fissando due candele accese su una panca di legno, affondava nel legno un chiodo e brandendo una croce in tutte le direzioni esclamava «Forsa damus para verti, seibul grandi asserventi!»  (in ladino, il dialetto spagnolo degli ebrei sephardim: «Dacci la forza di vederti, il privilegio di servirti»). Poi le luci venivano spente e si scatenava il pandemonio. Uomini e donne si svestivano del tutto “per arrivare alla nuda verità” e copulavano nel guazzabuglio e solo il capo se ne asteneva in mezzo a tutto ciò.”23

Dopo il battesimo, ormai controllore di un grande feudo vassallo del Re di Polonia, Franck decise di organizzare un suo esercito personale. Esso fu così ben organizzato che molti franchisti servirono qualche decennio più tardi, come ufficiali polacchi nell’esercito napoleonico24. Generosamente finanziato da Mayer Amschel, fondatore della Banca Rothschild, Jacob Franck e le sue mogli vivevano nello sfarzo degno di una corte regale. Durò poco. I suoi seguaci, ormai convinti d’essere al di sopra della legge, cominciarono a rivelare il segreto che egli, in realtà, era il Messia. Franck fu imprigionato e sottoposto a un processo dell’Inquisizione. Cercò, invano, di promettere allo Czar la conversione collettiva sua e dei suoi alla chiesa ortodossia, ma tutto fu vano. In attesa del verdetto papale, intanto, il prigioniero della fortezza di Czenstokhova viveva principescamente: ormai aveva buttato la maschera e non accedeva più ai riti cattolici. Viveva maledicendo la Polonia e profetando la sua cancellazione dalla mappa. E così accadde. La Russia invase la Polonia che fu divisa tra le altre potenze e così Franck si trovò nuovamente libero. Si stabilì nella Moravia che ora era diventata una provincia dell’Impero Austriaco. Jacob Franck, infatti, aveva a Brünn un cugino acquisito, Salomon Dobruška, ricco mercante di tabacco e speculatore finanziario. Il figlio di costui, Moses25, svolgerà una misteriosa funzione destabilizzante durante la Rivoluzione francese; ma qui inizia un’altra storia.

Gian Giuseppe Filippi


  1. René FülöpMiller, Capitani fanatici e ribelli, Milano, Mondadori, 1936, p. 69.[]
  2. Gershom Scholem, Sabbatai Sevi, the Mystical Messiah, Princeton, Princeton University Press, 1973.[]
  3. Moshe Idel, Mistici messianici, Milano, Adelphi, 2004, pp. 250-254. Scholem ripetutamente sottolinea che la melancolia di cui Šabbetay era affetto, ovvero l’instabilità psichica e il comportamento continuamente contraddittorio, era sintomo di uno stato maniaco depressivo o di personalità bipolare.[]
  4. Cfr. Dall’Ordine al Caos, n° 54. La pseudo religione riformata e il suo pseudo esoterismo.[]
  5. Il concetto della divinità del Messia, elaborato da Šabbetay, assomiglia stranamente a quello cristiano dell’Uomo-Dio. Idel si pone il problema di come potesse essersi esercitata su Ṣewi un’influenza di ritorno della Qabbalah cristiana. Ibid. 265-267.[]
  6. John Freely, The Lost Messiah, New York, Overlook TP, 2004, pp. 49-58.[]
  7. FülöpMiller, cit., pp. 70-72.È noto che nella Qabbalah tradizionale la relazione tra Dio e il mondo, tra Creatore e creatura, era simboleggiata da un rapporto fortemente caratterizzato da simboli erotici. Nella corrente eterodossa di Šabbetay Ṣewi il simbolismo si trasformò in prassi, con le caratteristiche di ‘libertà orgiastica’ permessa dall’imminenza della fine dei tempi. Moshe Idel, Eros e Qabbalah, Milano, Adelphi,2007, pp.265-267; 304-309.[]
  8. Tutto ciò avveniva davanti gli occhi affascinati e incuriositi dei protestanti, sempre morbosamente attratti dal profetismo ebraico o ebraizzante sugli ultimi giorni, che, in qualche modo, partecipavano emotivamente a tanto giubilo. J.S. Mebane, Renaissance Magic and the Return of the Golden Age, Lincoln, University of Nebraska Press, 1989.[]
  9. “Gli ebrei d’Europa, perfino quelli lontani, di Amsterdam e di Amburgo, furono presi da una frenesia selvaggia; molti vendettero la casa, imballarono i loro beni e si misero in cammino per raggiungere il Messia, solo per apprendere la spaventosa notizia della sua conversione all’Islam!”. Arthur Mandel, Le Messie Militant ou La Fuite du Ghetto, Milano, Archè, 1989, p. 17.[]
  10. I ‘gusci’ o residui larvali di potenze malefiche che infestano i mondi inferiori.[]
  11. “La delusione iniziale, lungi da segnare la fine dell’avventura di Sabbataï Zevi, si mutò rapidamente in una fede rinnovata e ostinata. Non si era parlato mille volte delle sofferenze del Messia, delle afflizioni della sua nascita? Delle cose strane che avrebbe dovuto fare per portare la salvezza? Della necessità di discendere nell’abisso del peccato e del suo passaggio attraverso le 49 porte dell’abominio? Come lo scandalo era diventato il simbolo della salvezza agli occhi dei discepoli di Cristo, i discepoli di Sabbataï Zevi accettarono l’apostasia del loro maestro come una prova supplementare della sua veracità; e anche la sua morte, lungi dallo scuotere la loro credenza, fece rivolgere i loro sguardi con fede verso la sua seconda venuta.” A. Mandel, cit., pp. 17-18.[]
  12. A. Mandel, cit. p. 43. Questo autore aggiunge: “I riti dei Doemne si concludevano in danze orgiastiche, cantando il Cantico dei Cantici.Ibid.[]
  13. Effettivamente questa comunità chiusa ha operato nei confronti dell’Impero ottomano come il bruco nella mela. Per loro iniziativa si fondò il movimento dei Giovani Turchi che prese il potere alla fine del XIX secolo, depotenziando l’autorità sultanale. Furono essi che spinsero a partecipare alla prima guerra mondiale, da cui l’impero turco uscì con le ossa rotte. Fu il governo dei Giovani Turchi a scatenare il genocidio degli armeni, provocando una ferita inguaribile tra musulmani e cristiani. Furono sempre loro che decretarono la fine del Califfato islamico, sostenendo, poi, la dittatura di Kemal Atatürk. E ancor oggi essi ispirano la pericolosa politica panturanica della Turchia. Nonostante l’alternanza degli eventi politici contingenti, è un fatto che la Turchia è il paese a maggioranza islamica che mantiene i migliori rapporti diplomatici e geopolitici con Israele.[]
  14. Marc David Baer, The Dönme: Jewish Converts, Muslim Revolutionaries, and Secular Turks, Stanford, Stanford University Press, 2010.[]
  15. Questo fu agevolato dall’Inghilterra cromwelliana, dall’Olanda e, in generale, dai paesi protestanti. Il percorso per l’integrazione, come s’è visto nel capitolo precedente, furono le grandi vie del commercio, dell’espansione delle borse e la nascita della Banche nazionali, spesso con la copertura delle società segrete ermetico-qabbalistiche d’origine rosacruciana.[]
  16. Gershom. Scholem, “Die krypto-jüdische Sekte der Dönme (Sabbatianer) in der Türkei”, Numen 7.II, Leiden, Brill Ed., 1960, pp. 93-122.[]
  17. Mi sia consentito ritornare ancora una volta sulla via verso l’abisso» come la intendeva Frank. Questa via presenta per lui e per i suoi seguaci due aspetti: uno storico e uno morale. Quello storico si esprime nella speranza di un generale rovesciamento di tutti i rapporti umani e, in modo caratteristico, nella visione del crollo della Chiesa cattolica e della sua gerarchia alla quale pure, come abbiamo visto, Frank si era esteriormente sottomesso. Non sorprende, perciò, che i frankisti, tanto quelli rimasti fedeli [formalmente] al giudaismo quanto quelli battezzati, sviluppassero una psicologia assai vicina a quella degli illuminati rivoluzionari in Germania e in Francia. […] Ciò conferì al sogno frankista un dinamismo peculiare non fu il suo contenuto positivo, che non è mai stato definito con precisione, bensì la carica visionaria presente nella sua idea di distruzione e sovversione.” Gershom Scholem, “La metamorfosi del messianismo eretico sabbatiano in nichilismo religioso nel XVIII secolo”, in Le tre vite di Moses Dobrushka, Milano, Adelphi, 2014, p. 152.[]
  18. È da questo ambiente apparentemente agnostico o persino ateo che ha origine il sionismo moderno e contemporaneo. John Rose The Myths of Zionism, London, Pluto Press, 2004, pp. 54-55; Vicente Risco, Historia de los Judíos desde la destrucción del Templo, Valladolid, ed. Maxtor, 2005, pp. 384-397.[]
  19. Il ‘franco’, ossia l’europeo, poiché era di famiglia ebraica d’origine polacca. “In numerosi studi ho analizzato la metamorfosi del messianismo eretico professato dai seguaci del messia cabbalistico Shabbatay Zevi in una forma di nichilismo religioso, sviluppatosi all’interno di un movimento underground, il frankismo, che prende il nome dal suo ‘profeta’ Jacob Frank, attivo principalmente in Polonia e in Austria nella seconda metà del XVIII secolo, alla vigilia della Rivoluzione Francese. Sin dall’inizio delle mie ricerche sulla storia del movimento frankista, mi ha colpito la particolare combinazione dei due elementi che ne determinano la natura, poco prima e subito dopo la Rivoluzione francese; l’inclinazione verso le dottrine esoteriche e cabbalistiche da una parte e il richiamo dello spirito della filosofia dei Lumi dall’altra.” G. Scholem, Le tre vite, cit., p. 13. Lo stupore di Scholem è dovuto al fatto ch’egli non si rende conto dello scopo unico di quei due elementi: la volontà di spargere il caos.[]
  20. Furono due le eresie ebraiche che sorsero durante il ‘700: “Il Hassidismo e il Frankismo, i due movimenti che turbarono profondamente gli Ebrei d’Europa durante il XVIII secolo e oltre, che risalgono ai primi cristiani e agli gnostici” “Comunque sia , che si trattasse dei Khlysti russi, degli«Hüpfer» tedeschi, degli «Jumpers» (Saltatori) inglesi o degli «Shakers» (Tremanti) americani, tutti mostrano rassomiglianze stupefacenti con questi ebrei miserabili dei villaggi abbandonati da Dio della Galizia orientale, tanto in senso spirituale quanto in quello formale.” (A. Mandel, cit. p. 21; p. 23). Quest’ultima osservazione di Mandel è di grande interesse: pare che durante la prima metà di quel secolo si fosse sparsa un po’ ovunque in Occidente, una nuova forma di “possessione” da parte di forze sottili evidentemente fuori di ogni controllo rituale. L’ignoranza della cultura generale moderna riguardo tutto ciò che riguarda il dominio del sacro fa sì che si sia diffusa la convinzione che i hassidim debbano essere considerati ebrei ‘ultraortodossi’, invece di eretici quali sono. Anche l’assunzione di abiti antiquati e obsoleti, come accade anche tra le sette protestanti summenzionate, conferma i moderni in questo equivoco, convinti come sono che ‘ortodosso’ sia forzatamente chi è ‘fuori moda’.[]
  21. Essi ebbero l’accortezza di riferirsi al Messia come seconda persona della Trinità, alla sua morte e resurrezione, alla sua missione di Redentore, senza mai citare il nome di Gesù Cristo. Con questa ambiguità fecero credere al clero cattolico che stavano trattando del Messia dei cristiani, mentre, invece, intendevano parlare di Jackob Franck. In realtà l’“eresia cabbalistica dei sabbatiani aveva sviluppato una trinità teosofica, indubbiamente assai diversa da quella cristiana. Questa trinità era costituita dal «Vecchio nascosto» (ovvero il deus absconditus), dalla sua emanazione, chiamata «Re santo», identificato con il Dio della rivelazione, e dalla sua compagna femminile, la Shekhinah”. G. Scholem, Le tre vite, cit., p. 146. Chi volesse chiedersi da dove procedono certe eresie cattoliche recenti circa una Trinità formata da uno Spirito Santo femminile (spesso identificato alla Vergine), trova in questa nota la sua risposta.[]
  22. A. Mandel, cit., pp. 92-93.[]
  23. A. Mandel, cit. pp. 60-61. La lubricità di tali pratiche non ebbe limiti. Lo stesso falso Messia compiva riti sessuali incestuosi con sua figlia Eva! In quegli anni Eva Franck fu nominata da suo padre Messia femminile e sua erede della missione. Sarebbe interessante se qualcuno indagasse l’origine della teoria psicanalitica sulla libido di Sigmund Freud che era di famiglia franckista.[]
  24. A. Mandel, cit., pp. 105-107. “Frank è il primo militarista ebreo a noi noto, e lo è senza alcuna riserva. Non mi è possibile, in questa sede, approfondire i rapporti tra tale ideologia militarista e le speranze specificamente ebraiche di Frank, da lui mantenute nel cuore stesso del suo sogno di evasione dagli antichi confini. Il pensiero di Frank, infatti, non è improntato in alcun modo a categorie cosmopolite. Persino nei suoi accessi antirabbinici più virulenti egli rimase sempre un ambasciatore degli ebrei, e pensò unicamente al loro destino.” G. Scholem, Le tre vite, cit., p. 154.[]
  25. Moses Dobrushka ricevette nella casa paterna un’educazione ebraica e rabbinica; allo stesso tempo fu iniziato a quello che i settari chiamavano il «segreto della fede» sabbatiana, e alla letteratura dei «fedeli». Questa doppia educazione era d’uso nelle molte famiglie che, pur continuando a praticare un ebraismo ortodosso do facciata, avevano aderito in segreto alla setta.” (G. Scholem, Le tre vite, cit., p. 19). Nel corso della sua vita movimentata, Dobrushka assunse anche i nomi Franz Thomas barone von Schonfeld, quando frequentava la corte asburgica, e Sigmund Gottlob Junius Frey (ovvero Frank) quando, a Parigi, partecipava alle attività dei giacobini. Diederichsen, suo avvocato e braccio destro, di lui scriveva di vedere “un’autentica immagine di Satana «padre delle menzogne»”. G. Scholem, Le tre vite, cit. p. 80.[]