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58. La reazione cattolica. La controriforma

Se si leggono i libri di storia contemporanei, le vicende che abbiamo descritto nei precedenti capitoli sono narrati con faziosità spudorata. La riforma protestante appare come una iniziativa per la palingenesi di un’Europa più libera e più giusta, ben presto aggredita dalla spietata reazione oscurantista della chiesa cattolica inquisitoria spalleggiata dalle mire espansionistiche della casa d’Asburgo. È esattamente l’opposto della verità. Fu l’eresia che sconvolse la cristianità e il Sacro Romano Impero con la caccia ai cattolici e con la violenza delle soldatesche dei principi tedeschi ribelli. Gli eversori si fingono vittime e i mantenitori dell’ordine sono dipinti come repressori1.

La chiesa di Roma tentò in tutti i modi di dialogare con i fanatici, come anche l’Impero dimostrò pazienza e sopportazione verso i ribelli. Questo comportamento tollerante fu un errore e permise all’eresia e ai nazionalismi di stabilizzarsi. La scomunica a Lutero arrivò soltanto nel 1521, quattro anni dopo la pubblicazione delle sue tesi2. Come è già stato descritto, l’Imperatore Carlo V, per non mancare al salvacondotto che gli aveva elargito, consentì a Martin Lutero di eclissarsi con la protezione dei principi ribelli. Subito dopo cominciò l’aggressione delle soldatesche a conventi, monasteri, cattedrali, e alla città di Treviri, feudo del Vescovo Elettore. La rivolta dei cavalieri e dei contadini fu indirizzata contro l’Impero e la Chiesa, fino a quando questi insorti, ormai inutili, furono abbandonati e traditi da Lutero e dai feudatari che lo sostenevano.

La controriforma iniziò dopo vent’anni di patteggiamenti, diplomazia, profferte di conciliazione e prese di posizione timide che rappresentarono un grave ritardo nella reazione alla provocazione teologica e alla devastazione dell’Europa centrale. Il movimento controriformistico ufficialmente iniziò nel 1542, con una prima incerta convocazione del Concilio di Trento e si concluse nel 1563. Tuttavia questi ventun anni furono caratterizzati da accelerazioni decise e da improvvise frenate: tutto dipendeva dalle posizioni politiche dei cinque papi che si alternarono in quegli anni3. Lo stesso Imperatore fu obbligato a prendere tempo nel reprimere all’interno la fellonia dei suoi vassalli, essendo costantemente aggredito all’esterno dalla ‘cristianissima’ Francia4, sempre pronta ad appoggiare i protestanti, e sotto la minaccia dall’Impero ottomano in espansione nei Balcani.

Alla fine il Concilio di Trento stabilì che:

1. La fonte della religione non poteva essere ridotta alla sola lettura della Bibbia, ma che era indispensabile la trasmissione ininterrotta dei riti e della dottrina che costituisce ciò che è la tradizione. Perché la tradizione fosse mantenuta intatta era necessario che la trasmissione avvenisse tramite persone ritualmente consacrate, ossia tramite i vescovi e i loro delegati, preti e diaconi. In questo modo la controriforma denunciava il carattere antitradizionale delle diverse sette protestanti, prive di clero regolarmente consacrato, perciò prive di trasmissione rituale e dottrinale.

2. La lettura del testo sacro doveva seguire l’ininterrotta interpretazione della chiesa docente garantita dalla trasmissione dei pontefici e insegnata dal clero. Perciò le interpretazioni personali della Bibbia, basate sulle inclinazioni proprie a ciascun individuo, erano arbitrarie e prive di alcun valore.

3. I sacramenti erano sette sulla base del Nuovo Testamento e delle disposizioni trasmesse dagli apostoli. I sacramenti erano rituali efficaci capaci di produrre effetti reali in questa vita e nella vita dopo la morte; non erano, perciò, soltanto vuote cerimonie commemorative, come gli unici due sacramenti riconosciuti dagli eretici.

4. L’eucarestia era confermata quale sacramento centrale. Cristo era nato per sacrificarsi per l’umanità decaduta. Il rito di consacrazione del pane e del vino era l’effettivo rinnovarsi del sacrificio del venerdì santo e di quello della croce e non semplicemente una cerimonia in ricordo dell’ultima cena, come vuole il protestantesimo.

5. Essendo i riti operativi, essi permettevano di accumulare meriti al fine di raggiungere i cieli dopo la morte. La fede, dunque, non era sufficiente per ottenere la salvezza, come invece sostenevano i protestanti. Come s’è già osservato, la negazione protestante dell’efficacia dei riti è strettamente connessa alla loro credenza nella predestinazione. L’individuo, perciò, se non ottiene da Dio la grazia della fede, non può agire per migliorare il proprio destino postumo.

6. Il rito, quindi, per essere efficace, doveva essere preservato da ogni volontaria o involontaria modifica. Il prete celebrante, perciò, doveva seguire scrupolosamente il canone romano, a eccezione delle poche varianti rituali consacrate dalla tradizione5.

7. La lingua usata ritualmente doveva essere obbligatoriamente il latino6 e la Vulgata latina di San Girolamo era dichiarata il testo canonico per la Bibbia. L’uso del volgare era interdetto7.

Questi punti riguardano la dottrina e la liturgia cattolica. Come si può notare il Concilio di Trento non modificò nulla in questo ambito; si limitò a riaffermare con forza la tradizione in netta contrapposizione con la riforma. I punti che seguono sono invece le innovazioni che consistono in modifiche organizzative e comportamentali per riparare ai difetti della chiesa e alle sue corruzioni che erano stati oggetto delle accuse moralistiche mossele dagli eretici8.

8. Il clero doveva essere istruito nella dottrina, nella pratica rituale e nella morale. La dottrina doveva essere illustrata con chiarezza, semplicità e al di là d’ogni incertezza. A questo proposito la ponderosa teologia medievale veniva sintetizzata e unificata da articoli di fede insegnati dal catechismo. La centralizzazione del rito romano poneva fine alle diversità di prassi tra diocesi e tra nazioni. Nuova importanza era attribuita alla teologia morale per definire senza dubbi il comportamento dei consacrati. I vescovi erano preposti alla vigilanza sull’istruzione del clero, con il controllo dei nuovi centri di studi per aspiranti preti, i seminari.

9. I vescovi dovevano promuovere una costante attenzione su seminari, monasteri e conventi, allontanando e punendo i soggetti indegni.

10. Le parrocchie e le diocesi dovevano impegnarsi a coltivare e istruire i fedeli, adoperandosi per il recupero delle frange sociali deboli o moralmente deviate. A questo scopo sorsero numerosi ‘ordini religiosi’9 che si dedicarono a una azione di bonifica sociale.

11. Garante unico e sovrano assoluto di tutti i cattolici si proclamava il pontefice romano, in piena continuità con la secolarizzazione iniziata cinque secoli prima da Gregorio VII; con l’aggravante che allora il prestigio del Sacro Romano Impero era insidiato dai regni nazionali che si erano venuti a formare in quei secoli. Il prestigio imperiale era ormai di ordine simbolico e morale, ma nella pratica non osservato. Il papa, rendendosi conto di ciò decise di allineare l’Imperatore nel numero dei diversi re e principi regnanti, tutti rigorosamente suoi subordinati. Purtroppo non si rese conto che anche l’autorità pontificia ormai era considerata alla stessa stregua e che, politicamente, lo Stato della Chiesa non aveva più un potere reale, ma solamente morale. Negando la primazia imperiale il papa demolì anche la sua stessa autorevolezza.

Il risultato delle decisioni del Concilio di Trento fu un arroccamento del cattolicesimo in una nuova forma cristallizzata. La chiarezza della dottrina semplificata in catechismo si espresse nel proliferare dei dogmi, ossia di postulati di fede indimostrabili. La società cattolica, assumendo regole più austere, parve purificarsi. Tuttavia, senza rendersene conto, la conduzione della controriforma s’inclinò verso un comportamento moralistico che andava nella medesima direzione di quello protestante. L’educazione delle masse ignoranti al catechismo rappresentò un vantaggio per il popolino e per il basso clero; tuttavia, costituì una notevole limitazione intellettuale in comparazione con la scolastica del medioevo com’era stata coltivata da domenicani e francescani.

L’assenza ormai da vari secoli di un esoterismo sapienziale cattolico diede origine a due fenomeni tra loro opposti. Il primo è quello a cui abbiamo dedicato i precedenti scritti di questa serie a partire dal 48° capitolo: il desiderio di supplire all’assenza di iniziazione conoscitiva o, almeno, devozionale, spinse gli umanisti alla creazione da fonti libresche di un occultismo magico anticattolico basato sul sincretismo ermetico-qabbalistico. Il secondo fu la nascita del misticismo, talvolta spontanea, talaltra, indotta con determinate pratiche. Gli ordini religiosi reagirono correttamente contro le pseudo iniziazioni protestanti o agnostiche. Tuttavia, in questo modo costruirono attorno alla chiesa cattolica un muro che avrebbe anche impedito qualsiasi interscambio con una iniziazione regolare. Qualsiasi forma d’una autentica iniziazione che sopravvivesse in Occidente da allora fu confusa dalla chiesa post-tridentina con l’occultismo e con il satanismo, tacciati tutti insieme senza alcuna seria discriminazione, di ‘gnosticismo’. Questo, di fatto, costituì una vera incompatibilità tra cattolicesimo e iniziazione.

Misticismo10: diamo per scontato che il lettore sia a conoscenza che mistica e miste11 corrispondono a una condizione iniziatica, mentre misticismo e mistico descrivono un fenomeno spontaneo di ordine psicologico. Il mistico fin dalla nascita manifesta determinate caratteristiche e inclinazioni mentali che lo spingono a esperienze sottili involontarie e che, come tali, sono considerate elargite della grazia divina. Generalmente queste esperienze si intensificano durante l’adolescenza, determinando nei giovani scelte riguardanti la vita adulta. Le esperienze, sebbene molteplici e tipiche di ciascun soggetto, possono essere divise in due categorie: esperienze sensibili rimanendo in stato di veglia -diremmo noi-, come la percezione di visioni, voci e suoni, profumi, toccamenti12 ecc. Oppure esperienze definite contemplative, sperimentate durante l’estasi13.

In termini specificamente iniziatici, l’uso del termine ‘esperienze contemplative’ è erroneo, in quanto la contemplazione è desiderio di conoscenza14 e non recezione passiva della grazia divina. La scolastica definisce l’estasi ‘separazione dell’anima dal corpo’, che è ugualmente un concetto inesatto, in quanto tale separazione porterebbe alla morte immediata. Tuttavia la descrizione teologica, per quanto limitata e fallosa, è utile per comprendere ciò che è il misticismo per il cattolicesimo. Per usare un linguaggio antropologico culturale, ormai dilagante nella pseudo teologia contemporanea, l’estasi è, dunque, uno stato alterato di coscienza15. Questo colloca correttamente il misticismo nel novero di analoghi fenomeni spontanei, quali la transe sciamanica, quella medianica e altri tipi di possessione passiva. Sarà dunque l’educazione religiosa del mistico a determinare se le sue esperienze sensibili o estatiche debbano essere considerate ortodosse16 o eterodosse17. Ciò nonostante, rimane sempre incerto, anche presso i mistici ortodossi, distinguere quali delle loro esperienze sottili debbano essere considerate di origine divina e quali di origine demonica18.

Il misticismo spontaneo, già presente nel cattolicesimo verso la fine del medioevo quando l’iniziazione sapienziale si era ritirata, divenne piuttosto frequente in periodo rinascimentale, quasi a controbilanciare la diffusione della stregoneria a livello popolare e dell’occultismo rinascimentale tra gli eruditi.

In questo stesso periodo apparve un altro tipo di misticismo cattolico, non spontaneo ma indotto da pratiche di preghiera e di ascesi ricalcate da ambienti ebraici. Ne sono esempi gli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola19 e le pratiche per favorire l’estasi20 di S. Teresa d’Avila21. Non si deve però confondere questo misticismo con la qabbalah cristiana fondata dal marchese della Mirandola. Infatti quello dei mistici spagnoli fu una importazione di tecniche ebraiche a sussidio di pratiche religiose cattoliche del tutto essoteriche, mentre la qabbalah cristiana rappresentò una giudaizzazione della magia ermetica con pretese esoteriche. Gesuiti e carmelitani, in breve tempo, diffusero questo tipo di preparazione al misticismo in tutto il mondo latino al fine di contenere l’espansione protestantica.

Gian Giuseppe Filippi

  1. Si vuole anche addossare all’Impero il sacco di Roma, quando invece Carlo V e il papa Clemente VII erano ancora alleati. La responsabilità dell’accaduto va, invece, addossata al connestabile di Borbone che era al comando dei mercenari lanzichenecchi. Fu ucciso durante l’assalto alle mura romane, per cui le sue truppe, prevalentemente protestanti, prive di ogni controllo si scatenarono in un terrificante saccheggio. (André Chastel, Il sacco di Roma 1527, Torino, Einaudi, 2010)[]
  2. Per inciso, la scenografica affissione delle tesi sulla porta della cattedrale di Wittenberg nel 1517 storicamente non è mai avvenuta, anche se è un episodio immancabile nei testi scolastici di storia. L’episodio, infatti fu narrato solo trent’anni dopo da Melantone, unica fonte che, oltretutto, in quella data non era nemmeno presente a Wittenberg. “Præfatio Melanthonis in ‘Tomum secundum omnium operum R. D. Martini Lutheri”, in Corpus Reformatorum 6, Halis Saxonum, C. A. Schwetschke, 1839, pp. 161 e segg.[]
  3. I papi del ‘partito mediceo’, profondamente influenzati dalla cultura laica rinascimentale e simpatizzanti per la Francia, si adoperarono a ostacolare la naturale alleanza con il Santo Impero, dimostrandosi tiepidi nei confronti dell’eresia protestante, favorendo in questo modo il suo consolidamento. Al contrario, i papi del ‘partito spagnolo’, più rigorosi nelle tematiche religiose, spingevano decisamente per l’eradicazione dell’eresia con l’aiuto imperiale.[]
  4. Ricordiamo che il papa attribuì il titolo di Re cristianissimo a Carlo VII di Francia, come riconoscimento per aver combattuto conto gli inglesi e i borgognoni, entrambi cattolici, durante l’inquietante avventura di Giovanna d’Arco.[]
  5. Per esempio si erano mantenuti gli antichissimi riti ambrosiano, valido nel milanese, quello greco, nel ravennate, quello di Braga, in Portogallo e quello medievale dell’Ordine Certosino.[]
  6. L’insieme dei rituali cristiani che il prete consacrato celebra in favore dei fedeli è denominato ‘liturgia’. Letteralmente significa azione in favore del popolo (Gr. λαίτος-οὐργία). Poiché il latino era usato anche per i riti individuali sia parlati sia mentali, è riduttivo considerarlo una lingua liturgica. Finché nel medioevo esistette una pratica iniziatica, questa usava formule in latino o, alternativamente, in greco. Il latino, perciò, deve essere considerato a tutti gli effetti la lingua sacra del cristianesimo romano. L’apparizione dell’ebraico nelle iscrizioni pseudoiniziatiche o nelle evocazioni magiche rinascimentali è tarda ed è da attribuire al sincretismo della qabbalah cristiana.[]
  7. Pietro Sforza Pallavicino, Istoria del concilio di Trento: con aggiunte inedite e note tratte da varii Autori, [Reprint] (1846), Delhi, True World of Books, 2020.[]
  8. Si ricorderà che il movimento sovversivo luterano partì dalla pretestuosa critica alla vendita delle indulgenze. Nel caso specifico si trattava della raccolta di fonti per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma. Senza quelle indulgenze la basilica non sarebbe stata costruita a meraviglia dei secoli futuri. I moralisti protestanti, invece, s’impadronirono delle chiese già cattoliche trasformandole in ‘templi’ riformati, distruggendo dipinti e sculture antiche, invisi alla loro iconoclastia e all’odio per il culto dei santi. Questo spiega l’angosciante squallore da hangar o da garage dei loro ‘templi’. Invece il moralista in capo, Martin Lutero, preferì trasformare il monastero in cui visse da frate agostiniano in lussuosa residenza per la sua famiglia.[]
  9. Con il declinare del medioevo gli ‘ordini monastici contemplativi’ avevano perduta la scienza sacerdotale, la dottrina della patristica e l’iniziazione corrispondente. Per ovviare a questa perdita sorsero gli ‘ordini pauperistici mendicanti’ del tutto essoterici, il francescano e il domenicano; certamente alcuni di quei frati ottennero una iniziazione, ma cavalleresca o di mestiere e del tutto al di fuori dell’ordine di cui facevano parte. I francescani si dedicavano alla conduzione delle anime nelle città, indicando una vita retta e semplice; i domenicani, invece, si specializzarono nell’insegnamento della teologia e della speculazione filosofica. Entrambi conversero nella fondazione delle Università e nella professione della scolastica. I nuovi ‘ordini religiosi’ cinquecenteschi, invece, si dedicarono ad attività sociali come, per esempio, l’insegnamento basico del catechismo per bimbi, mense per sfamare gli indigenti, asili per il recupero delle prostitute, assistenza ai carcerati, istituti per la raccolta dei trovatelli ecc. Questa tendenza al sociale con l’andare dei secoli è diventato l’unico scopo del cattolicesimo a discapito di tutte le altre attività realmente religiose.[]
  10. Argomento in parte già trattato nel terzo articolo di questa serie “Iniziazione e misticismo”.[]
  11. San Tommaso d’Aquino con mistica intendeva l’interpretazione non letterale dei misteri della religione: “E in questo senso abbiamo di essi ragioni di ordine figurale o mistico: sia che vengano desunte da Cristo e dalla Chiesa, dando luogo all‘allegoria, sia che si riferiscano ai costumi del popolo cristiano, concretandosi in ragioni morali, sia che riguardino lo stato della gloria futura in cui Cristo ci introduce, dando luogo all‘anagogia.” (Summa T. CII.2.3). Dante perciò, pur con una interpretazione più precisamente iniziatica, si era rifatto a questa definizione teologica tomista. È perciò corretto considerare mistica la dottrina di Eckhart e lui stesso come miste, sebbene i suoi seguaci, Taulero, Suso, gli ‘Amici di Dio’, nonché il beghinaggio, siano da annoverare più correttamente tra le correnti del misticismo.[]
  12. In alcuni casi si sono manifestate le stimmate cristiche o altre ferite riportate da santi martiri del passato. Come tutti coloro che ricevono esperienze in stato di passività, anche il mistico, nel caso che il fenomeno non si produca, è spinto alla frode e alla simulazione dei ‘segni divini’.[]
  13. San Tommaso d’Aquino (Summa T., XXVIII. 3) distingue tre gradi dell’estasi: sospensione dei sensi esterni, sospensione sia dei sensi esterni sia di quelli interni, diretta contemplazione dell’essenza divina. Significativamente però l’Aquinate sottolineava: “L‘estasi implica una certa alienazione. L‘amore invece non sempre produce alienazione: ci sono infatti degli amanti in piena coscienza.” (Ibid. XXVIII.3.1). Ciò è molto significativo se interpretato nell’ottica dei Fedeli d’Amore.[]
  14. Ricordiamo che la jijñāsā è pur sempre un’attività mentale (mānasa kriyā) nonostante che sia considerata non azione (akarma) in quanto non produce altra azione (karma phala).[]
  15. Quanto gli pseudo teologi cattolici contemporanei siano corrotti dallo scientismo è provato dalla seguente esposizione: “Questa necessità è così determinante che per l’Aquinate: È chiaro che le facoltà sensibili ci sono necessarie per pensare, non solo nella fase di acquisizione del sapere ma anche nell’utilizzare la conoscenza già acquisita. Qui Tommaso ha un’intuizione che solo le moderne scienze mediche, in particolare la neurofisiopatologia, hanno acquisito. […] Oggi sappiamo come e perché una lesione di parti del cervello comporti serie difficoltà nel suo funzionamento complessivo…” (Don Sergio Simonetti, “La conoscenza mistica in San Tommaso d’Aquino”, Roma, Teresianum 57, 2006/2, pp. 599-612).[]
  16. Queste considerazioni sono valide per le religioni monoteiste, fatta eccezione per il cristianesimo ortodosso orientale e per la sunnah islamica, dove il fenomeno non s’è manifestato. Perciò è lecito considerare mistiche le tendenze post qabbalistiche dell’ebraismo e quelle della shi῾a islamica a seguito del declino del sufismo in ambiente imamita.[]
  17. Ossia riformate: tra queste ultime sono noti casi come quelli di Jakob Böhme, George Fox, Emanuel Swedenborg e altri ancora.[]
  18. Da un punto di vista metafisico non si può affatto accettare la paternità di certi fenomeni psichici a Dio o al diavolo, come si fa in ambito teologico. Noi preferiremo interpretarli come proiezioni delle tendenze sāttvika, rājasa o tāmasa della natura propria (svabhava) del singolo individuo.[]
  19. Ignazio era un hidalgo discendente da una famiglia ebrea convertita al cristianesimo ed il suo segretario, Diego Laínez, era ebreo di nascita. (C. Carrete y C. Fraile, Los judeoconversos de Almazán. 1501-1505. Origen familiar de los Laínez, Salamanca, Universidad Pontificia, 1987). L’isolamento meditativo richiesto per gli esercizi spirituali di S. Ignazio è la trasposizione cristiana dell’hitbonenuth qabbalistico.[]
  20. Le evidenti caratteristiche sensuali di questi stati estatici ha sempre lasciato il dubbio che fossero influenze della lubrica corrente eretica degli alumbrados di Toledo; pur se Santa Teresa fu spesso tenuta sott’occhio dal Santo Offizio per questa ragione, il tribunale ecclesiastico non riuscì mai a provare la veridicità di tale sospetto.[]
  21. “Nel corso delle indagini, emerse che l’ebreo Juan Sánchez, ricco mercante di sete vivente a Toledo e convertito al cristianesimo, cioè converso, era accusato di essere ritornato di nascosto alla pratica dell’ebraismo e quindi considerato marrano. Dopo una retata della Suprema, cioè del Tribunale dell’Inquisizione, Juan Sánchez aveva scelto per la confessione e quindi, giudicato colpevole, aveva espiato la sua colpa il 20 luglio 1485: fustigato in pubblico, costretto a rivestirsi del sambenito nero (sacco benedetto) pagò una notevole multa. Dopo questa amara vicenda, Juan Sánchez, con tutta la famiglia, si trasferì ad Ávila, cambiò cognome e i suoi figli vissero da nobili e sposarono donne appartenenti alla cerchia sociale più importante di Ávila. Il marrano altri non era che il padre di don Alonso de Cepeda, quindi nonno di doña Teresa de Cepeda y Ahumada. […] Teresa era a conoscenza di questo passato familiare, ma non ne parlò mai nei suoi scritti, anche se alcuni segnali rivelano i legami con la tradizione religiosa della sua famiglia. Si notano infatti delle consonanze fra l’ebraismo e la mistica teresiana, quali la preghiera ebraica e l’orazione teresiana; il «faremo e ascolteremo» della Torah e «le opere» teresiane; la halachà, il cammino dell’ebreo nell’esistenza e il Cammino di perfezione di Teresa; la kavannáh e la deveqúth come adesione alla divina Presenza, alla shekinah, e il raccoglimento che Teresa pratica e insegna; la berachà, la benedizione che ritma la giornata del pio ebreo e che costella tutte le opere della carmelitana; il tzimtzum, il contrarsi di Dio nella propria essenza profonda per lasciare spazio e autonomia alla creazione a cui corrisponde la contrazione nella vita di Teresa in uno spazio delimitato, accettando lo tzimtzum del proprio corpo e del proprio spirito nel celibato. Tutto vissuto all’interno della storia per restaurare il mondo, nel tikkun ‘olam, nella comunione con l’Altissimo. (Vito Luigi Valente, “Nonno marrano”, L’Osservatore Romano, 2.10.2014)[]