59. Il Missionarismo – I
Prima di affrontare questo argomento spinoso, è necessario compiere una rettifica nell’uso dei termini. Al giorno d’oggi presso tutte le lingue occidentali, la parola di origine greca ‘proselitismo’ ha assunto un deciso tono negativo: con esso si intende quell’opera di zelo propagandistico per acquistare nuovi seguaci con sottile persuasione, con astuzia e con inganno. Lo scopo del ‘proselitismo’, secondo questa interpretazione del termine, è quello di aumentare il numero di ‘proseliti’, in modo da compattare una massa che con il suo peso numerico possa sconvolgere o rovesciare una situazione non esclusivamente religiosa, ma anche politica, sociale, economica ed etnica. Quindi il proselitismo è sottilmente collegato all’idea di eversione o, addirittura, si sovversione1. In realtà, almeno in origine, il significato genuino di ‘proselitismo’ corrispose a qualcosa di perfettamente lecito e perfino benefico. La parola deriva da ‘proselito’ (Gr.: προσήλυτος, leggi prosèlütos), che significa ‘nuovo venuto’, del tutto sovrapponibile al senso di ‘neofita’ (nuovo germoglio). Proselitismo, dunque, significa esporre un pensiero in modo da permettere ad altri di valutarne la giustezza ed, eventualmente, approvarlo e condividerlo. Poiché solitamente è applicato all’ambito del cristianesimo, vediamo come è descritto il proselitismo nei Vangeli e in qual senso esso sia stato indicato quale attività apostolica:
Non andate per la via dei Gentili e non entrate in nessuna città dei Samaritani: ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele2. E mentre andate, predicate, dicendo: “Il regno dei cieli è vicino”. Guarite i malati, purificate i lebbrosi, risuscitate i morti, scacciate i demoni: gratuitamente avete ricevuto, liberamente date. Non mettete nelle vostre borse né oro né argento né rame né denaro per il viaggio né due vestiti né due mantelli né scarpe né bastoni; perché chi lavora merita di guadagnarci il cibo3. E in qualunque città o paese voi entrerete, domandate chi in essa è persona degna; e restate lì finché non ve ne andrete. E quando entrate in una casa, salutatela. E se la casa è degna, la vostra pace sia su di essa; ma se non è degna, la vostra pace ritorni a voi. E di chiunque non vi accoglierà e non ascolterà le vostre parole, quando uscirete dalla sua casa o città, scuotete la polvere dei vostri piedi4. (S. Matteo, X.5-14)
Come si può vedere, il proselitismo era allora attività non soltanto lecita, ma benefica5. Infatti il proselito doveva poter aderire al nuovo messaggio in tutta libertà6. Ciò è avvenuto presso tutte le tradizioni. In India, per esempio, tramite i suoi paṇḍita, guru e ācārya si esposero pubblicamente le diverse dottrine in occasione dei pellegrinaggi (yatra), in sfide pubbliche tra esponenti di correnti diverse (ānsīkṣikīm) o presso le corti regali (rājādhiṣṭhānam). Così si diffusero il sanātana dharma e le diverse correnti del buddhismo rispettivamente nel sudest asiatico e in estremo oriente.
Nel tempo la parola ‘proselitismo’ assunse progressivamente una tonalità negativa; degenerò infine nel missionarismo a seguito dell’invenzione protestantica della propaganda. A quest’ultima si aggiunsero in seguito il convincimento di massa di matrice marxista, che divide l’umanità in oppressori e oppressi facendo leva sui sentimenti elementari d’invidia e di rivalsa, e infine, con la nascita della psichiatria, le tecniche di suggestione collettiva e le pratiche di lavaggio del cervello per mezzo di strumenti tecnologici.
Un altro termine è stato usato per riferirsi alla medesima prassi di proselitismo, ma che comunemente ne è considerato come l’aspetto virtuoso, la facciata buona, il riflesso positivo: il missionarismo. La parola deriva dal latino mittere, inviare, e in origine si collegava all’idea di un’ambasceria. Tuttavia, nella prassi, ‘missionario’ ha assunto un significato ben diverso. Il missionario è inviato da una organizzazione religiosa cristiana7 allo scopo non di esporre la verità, ma di convincere a convertirsi, usando tutti gli strumenti leciti e illeciti. Il fine è quello di spingere le persone ad abbandonare con vergogna la propria tradizione d’origine, definita superstiziosa e arretrata, ispirando complessi d’inferiorità. E ‘missione’, lungi dal significare più un incarico di rappresentanza in qualche modo temporaneo, ha preso la forma di una infiltrazione permanente e destabilizzante presso le civiltà in cui pianta radici. Eppure, nella fantasia popolare, è stata fatta circolare la convinzione che il missionario sia persona che generosamente si sacrifica per il benessere spirituale, morale, economico e sociale delle popolazioni meno fortunate, che non godono di altrettanto benessere per colpa della loro ‘religione primitiva’ o ‘superstizione pagana’8. In parte può essere vero che il singolo missionario sia anche persona altruista: “l’inferno è lastricato di buone intenzioni”, dice la saggezza popolare. Ma egli è una rotella di un meccanismo perverso creato per l’espansione planetaria del cristianesimo. O, per meglio dire, della civiltà atea, del cancro che ha metastatizzato l’intero globo, che usa il cristianesimo come cavallo di Troia.
Il proselitismo alle persone ‘degne’ fu la forma tradizionale di predicazione cristiana dalle origini fin tutto il medioevo9. Esso consisteva nell’esporre la novità del pensiero cristiano ai sovrani e alle classi dominanti, conquistandoli con l’elevatezza del pensiero, con la nobiltà del sentimento e con l’esempio di una condotta ineccepibile, giusta e mite. La conversione del sovrano o della oligarchia comportava, in tempi più o meno lunghi, l’accettazione della nuova religione anche da parte dei sudditi10.
Accanto a questo proselitismo delle élites11, il cristianesimo delle origini si dedicò parallelamente al convincimento della plebe. Predicando l’umiltà, richiedendo ‘giustizia sociale’ e il rigetto dell’antica religione pagana, questa forma strisciante di proselitismo si insinuò nella società civile romana denigrando l’antica religione e minando l’autorità dello stato. In questa forma di proselitismo dal basso, eversivo dell’ordine imperiale, si può riconoscere l’origine prima del missionarismo come poi si manifestò a partire dal Rinascimento e che si diffuse con il colonialismo. Questa attività, di fatto rivoluzionaria, che negava il diritto divino delle istituzioni romane e, in primis dell’Imperatore, fu la causa delle persecuzioni che lo stato scatenò contro i cristiani12.
Il proselitismo tramite ‘persone degne’ ebbe successo: per decisione del monarca, avvennero la cristianizzazione del Regno di Edessa (201 d.C.), del Regno d’Armenia (301), del Regno di Georgia (326), dell’Impero Etiope (330). Naturalmente l’imposizione del cristianesimo13 quale religione ufficiale dell’Impero Romano non può essere annoverata tra le libere scelte di conversione di un sovrano, come quelle enumerate in precedenza. Fu il risultato di una logorante infiltrazione nei gangli dello stato di convertiti sleali che, anzi, operavano per distruggerlo dall’interno. Ciò indebolì l’Impero lasciandolo senza difesa davanti alla minaccia delle invasioni barbariche.
Invece tra i popoli barbari, germani e celti delle isole (irlandesi e scozzesi), prima della caduta dell’Impero, e dopo, nel medioevo, tra gli angli e sassoni, ungari e slavi, la conversione al cristianesimo fu sempre determinata dalla scelta del sovrano o dall’oligarchia. L’ultimo episodio ben noto di questa forma di proselitismo dall’alto fu il vano tentativo di San Francesco d’Assisi nel 1219 di convertire il sultano Malik al-Kamil e con lui tutto l’Egitto14.
Alla fine del medioevo, il proselitismo cattolico fu di fatto esercitato proprio dagli ordini mendicanti, Francescani e Domenicani. Così nel 1245 papa Innocenzo IV inviò il francescano Giovanni da Pian del Carpine alla capitale dei Mongoli, Karakoram, per invitare Güyük Khan, successore di Gengis Khan, a convertirsi assieme al suo popolo15. Il Khan declinò la richiesta, ma trattò con rispetto il frate e gli consentì di ripartire con doni per il papa. Nel 1294 un altro francescano, Giovanni da Montecorvino, si stabilì come primo arcivescovo a Pechino presso la corte dell’Imperatore Timur con il permesso di predicazione. Anche in questo caso l’Imperatore mongolo della Cina rifiutò di convertirsi assieme ai suoi sudditi. Tuttavia un vassallo, il principe di Tenduk, si fece battezzare con il nome di Giorgio e tutto il suo popolo ne seguì l’esempio16.
Sarà utile soffermarsi un po’ sulla predicazione del cattolicesimo nelle Americhe, soprattutto in favore dei nostri lettori indiani. Infatti, tutto quello che essi sanno su questo argomento proviene esclusivamente dalla colossale falsificazione inglese della storia che i protestanti hanno compiuto e continuano a compiere in perfetta malafede, e a cui sono stati condizionati dalla colonizzazione britannica del loro Paese. Il fatto, poi, che gli indios americani siano stati colonizzati dalla Spagna e dal Portogallo come l’India dalla Gran Bretagna, fa scattare nei nostri lettori indiani un malinteso senso di solidarietà ‘terzomondista’. Infine, quarant’anni di subordinazione politica e culturale dell’India del Congresso all’Unione Sovietica ha istillato anche presso gli ambienti tradizionali hindū la miserabile ideologia che vuole l’umanità intera divisa in oppressori e oppressi; e, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’ecologismo, il globalismo e la predicazione del ‘meticciamento’, sotto la cui mascheratura l’internazionale comunista sta imponendo la sua nuova dittatura mondiale, continuano a diffondere i veleni della ‘teologia della liberazione’17, del ‘riscatto’ delle minoranze, della distruzione delle tradizioni religiose o dharmiche. Sarà bene che questi nostri amici indiani riflettano attentamente sulle righe che seguono.
Nel 1492, la definitiva riconquista dei territori occupati dai musulmani pose il Regno di Spagna di fronte a un nuovo pericolo interno. Da diversi decenni molti ebrei, avvalendosi della possibilità di simulazione permessa dal Talmud, finsero di convertirsi al cattolicesimo. Poiché agli ebrei era stata demandata la gestione dell’usura e delle banche, la loro situazione di censo era generalmente opulenta. Convertendosi, poterono accedere alle più alte cariche dei due regni di Castiglia e di Aragona, della gerarchia ecclesiastica, nonché imparentarsi con le più prestigiose famiglie dell’aristocrazia. Di fatto, poi, essi continuavano a praticare la loro religione in segreto, facevano lobby in favore della loro comunità, traendo benefici dalla loro duplice condizione. Questa situazione aveva provocato numerose sollevazioni popolari contro questi nuovi privilegiati.
Fu così che i Re Cattolici diedero un ultimatum agli ebrei di Spagna. O si convertivano sinceramente, sottoponendosi volontariamente a controlli o sarebbero stati espulsi dai territori della corona. Dei circa 180.000 ebrei, tre quarti decisero di espatriare, vendendo i beni immobili e portando con sé quelli mobili. Circa 50.000 di essi preferirono convertirsi e accettare i controlli pur di non svendere i beni immobili agli immancabili sciacalli che se ne stavano approfittando18. È certo che ben pochi furono coloro che si convertirono davvero, avvalendosi dell’arte della simulazione19. C’è tutta una letteratura che illustra i diversi trucchi ed espedienti da loro usati per ingannare i controlli.
Lo stesso problema riguardava l’assimilazione di sudditi spagnoli di fede islamica20. I musulmani che rimasero sotto i nuovi sovrani erano in massima parte di origine iberico-latina e visigota, cristiani che erano stati obbligati a convertirsi alla religione islamica, i cosiddetti mulades. Costoro, per decreto contemporaneo a quello dell’espulsione degli ebrei, furono obbligati a riconvertirsi al cattolicesimo. Con un comportamento del tutto simile a quello degli ebrei, essi simularono la conversione, accettando di farsi battezzare. Rimasero però fedeli all’islam nel privato, rifacendosi al principio della taqiyyah, ossia alla simulazione della propria intima credenza. Questi cripto-musulmani, definiti moriscos, assunsero un comportamento opposto a quello dei marranos: preferivano, infatti, isolarsi in comunità rurali onde evitare i controlli regi, pronti al sabotaggio, al brigantaggio, alla ribellione21 e a fare da testa di ponte a pirati e cacciatori di schiavi nordafricani e turchi. Ben presto la monarchia, la chiesa e il popolo cristiano impararono a diffidare dei falsi convertiti cripto-ebrei e cripto-musulmani22.
Questi antefatti devono essere ben compresi se si vuole avere una idea equilibrata sui modi dell’espansione del cattolicesimo nell’ibero-America, soprattutto nella conquista di due grandi imperi quali quello Mexika-Atzeco del Messico e quello incaico nell’America meridionale. In entrambi i casi la tendenza dei conquistadores fu quella di convertire i rispettivi Imperatori alla religione cristiana. Se in seguito vi fu violenza nei loro confronti, ciò accadde per l’atteggiamento inizialmente incline alla conversione dei sovrani: entrambi Moctezuma II, per i Mexika, e Atahualpa Inca, dopo un’iniziale accettazione, diedero prova di voler ritornare sui loro passi. Ciò convinse gli spagnoli che gli Imperatori indios si stavano comportando ipocritamente, come facevano i marranos e i moriscos in Spagna. Hernán Cortés fece arrestare Moctezuma, che più tardi fu ucciso da una freccia azteca.
Anche Francisco Pizarro, in Perù fece arrestare Atahualpa che, per alcuni gesti considerati sacrileghi per la religione cattolica, fu poi condannato a morte. Tuttavia i difensori dei poveri oppressi indios, facilmente manipolati dalla propaganda protestante, non si capacitano di come poche centinaia di spagnoli ebbero la meglio sulle centinaia di migliaia di soldati degli eserciti Mexika o Inca. Per quel che riguarda il Messico, l’Impero azteco aveva assoggettato molti regni di antica civiltà, istituendo un regime di assoluto terrore in tutta l’America centrale. Annualmente, nella sola città di Mexico erano sacrificate più di ventimila vittime umane scelte tra i popoli asserviti23. Le loro carni erano poi distribuite ai mexika perché se ne cibassero24. Molti si stupiscono per la facile vittoria sugli aztechi di soli settecento spagnoli tra cui tredici archibugieri e sedici cavalieri. Costoro deliberatamente dimenticano che più di duecentomila guerrieri delle popolazioni vittime si erano uniti a loro in una vera guerra di liberazione dall’incubo dei sacrifici umani e del cannibalismo25.
Lo stesso dicasi per l’avventura di Francisco Pizarro in Perù che conquistò l’Impero incaico di recente formazione con solo duecentocinquanta fanti e venti cavalieri. Anche in questo caso egli trovò numerose popolazioni sottomesse da poco all’Inca che lo considerarono un liberatore, affiancando i suoi scarsi effettivi con decine di migliaia di guerrieri. Oltre a tutto l’Imperatore Atahualpa era impegnato in una guerra civile contro suo fratello Huáscar, che contribuì grandemente allo sgretolarsi dell’impero andino26. A questi avvenimenti non seguì alcun genocidio di massa come vuole la ‘Leyenda negra’, anzi: come Cortés si era sposato con una figlia dell’imperatore mexika, Isabella de Moctezuma, dando origine alla dinastia Cortés Moctezuma, così Francisco Pizarro si unì alla principessa inca Inés Huaylas, sorella di Atahualpa. Ebbe così inizio la famiglia dei marchesi Pizarro Yupanqui27. Anche l’Inca Garcilaso conte de la Vega, celebre storico e aristocratico spagnolo, fu un nipote del penultimo Imperatore Inca Huayna Cápac. Il visconte Juan Cano Moctezuma era figlio di Juan Cano de Saavedra e di Isabel di Moctezuma. Egli si sposò con la duchessa Elvira di Toledo, appartenente alla seconda famiglia di Grandi di Spagna per nobiltà. Ebbe così inizio la casata dei duchi di Toledo Moctezuma28.
Se lo storico è in buona fede e ha il coraggio di contraddire le menzogne della storiografia anglosassone, potrà scoprire che questa non fu l’eccezione, ma la regola a qualsiasi livello sociale nell’intero Regno di Spagna29. Se prendiamo come esempio la situazione attuale della composizione etnica del Messico, il 60% è rappresentato da meticci, il 25% da indios, il 10% da discendenti degli spagnoli e il 5% discendenti da altre popolazioni europee. Nel Perù le percentuali sono le seguenti: 45% indios, 35% meticci, 8% discendenti di spagnoli, 7% discendenti da altre popolazioni europee, 3% cinesi, mulatti, zambo, africani ecc.
Negli Stati Uniti le percentuali sono come segue: i bianchi sono l’80%, i negri il 12,3%, gli amerindi lo 0,8%, gli oriundi dall’Asia il 3,9% e dalla colonia hawaiana il 3%30. Sarà opportuno che i nostri amici che ci leggono dall’India riflettano su questi dati e correggano le false informazioni che hanno ricevuto dai loro ex-colonizzatori.
In tutta l’epopea della conquista spagnola dell’America centrale e meridionale e della prima azione di proselitismo cattolico, francescani e domenicani ebbero una funzione determinante. In particolare vi furono generosi personaggi, come fra’ Bartolomé de Las Casas31, che si prodigarono per evitare gli immancabili abusi di potere e le ingiustizie che spesso erano perpetrate a causa delle distanze dalla corte di Madrid. Abusi, peraltro prontamente puniti dalla Corona32. Ciò che si deve sapere è che gli originari abitanti godevano della piena cittadinanza spagnola con tutti i diritti annessi e che avevano la garanzia della conservazione dei beni privati che avevano posseduto prima della conquista.
Tuttavia, con la Controriforma comparve il nuovo fenomeno del missionarismo, forma degenerata del proselitismo in uso durante l’età eroica dei conquistadores33.
Maria Chiara de’ Fenzi
- Per questa ragione, dopo la controriforma, i cattolici preferirono chiamare la loro predicazione ‘apostolato’, assegnando ai protestanti il termine ormai spregiativo di ‘proselitismo’. Giovanni Perrone, L’apostolato cattolico e il proselitismo protestante, Genova, D.G. Roddi ed., 1862.[↩]
- L’istruzione di Gesù agli apostoli indica come destinatari della predicazione esclusivamente gli ebrei della diaspora; e fra questi le persone degne, ovvero i capi religiosi e i responsabili delle comunità qualificati. Fu con la riforma di San Paolo che la predicazione si estese anche ai gentili. In tal caso con ‘degna’ s’intendeva la persona dotata di una qualche dignità. Non per nulla San Paolo, cittadino romano, a Roma si era rivolto all’ambiente di corte e alle famiglie senatoriali. Tuttavia la modalità della predicazione era rimasta inalterata: chi non riconosceva la verità del messaggio evangelico non doveva più essere considerato ‘degno’.[↩]
- Vale a dire che coloro che avessero accolto l’Evangelo, avrebbero provveduto al sostentamento degli apostoli.[↩]
- Gli ebrei consideravano che solo la loro patria fosse terra consacrata. Perciò, ritornando da un viaggio nel paese dei gentili, essi si scuotevano dai loro calzari la polvere della terra profana. Questa usanza era stata ereditata dai cristiani, che però non la interpretavano nel senso limitato del legalismo religioso. Essi consideravano impura la polvere del suolo di coloro che, dopo aver ascoltato la verità, la rifiutavano.[↩]
- Si deve ricordare che nel I-II secolo d.C. la predicazione del cristianesimo comprendeva anche i misteri divini dell’iniziazione e non solamente l’esposizione della dottrina generale alla portata a tutti. Fu grazie a quest’opera di proselitismo che i popoli tedeschi, scandinavi anglosassoni e celtici delle isole si latinizzarono e uscirono per alcuni secoli dalla loro barbarie d’origine.[↩]
- Ciò escludeva qualsiasi proselitismo che portasse a una conversione forzosa sotto la minaccia della spada, come accade nelle altre forme religiose semitiche. Non si deve dimenticare, tuttavia, che il cristianesimo delle origini era una dottrina e una prassi iniziatica; nemmeno presso le vie iniziatiche degli altri monoteismi è concepibile una adesione coatta.[↩]
- In questo il cattolicesimo può vantare una ben triste primazia rispetto alle ‘confessioni’ protestantiche. Queste ultime sono arrivate in ritardo, rese fragili dalla loro frammentazione e reciproca concorrenza ‘liberale’, anche se, in seguito hanno recuperato il terreno perduto. È doveroso però precisare che le innumerevoli fazioni protestantiche non sono affatto religioni, essendo sprovviste di qualsiasi tipo di trasmissione sacerdotale e, tanto meno, iniziatica; di conseguenza sono prive di riti atti a poter operare in vista della salvezza, riducendosi a una morale comportamentale mondana. Lo stesso dicasi del cattolicesimo, che clamorosamente si è suicidato nel corso del XX secolo, tanto da non conservare di religioso nemmeno più la parvenza. Al contrario, le chiese autocefale orientali, ortodosse, copte, assire d’oriente e altre che hanno mantenuto un assetto tradizionale cristiano e che ancora conservano un legato iniziatico, non a caso, sono prive dell’anomalia missionaria.[↩]
- Il termine religione è usato qui per omologare altre forme tradizionali ai parametri della religione cristiana, in modo da avere almeno un terreno comune. Invece ‘cultura’ indica l’insieme di arti, scienze, strutture sociali, regole di comportamento e altro ancora, tipici di raggruppamenti etnici non progrediti. Infatti, in quest’ottica, solamente il cristianesimo è provvisto di civiltà. Non a caso questa parola durante l’illuminismo ha assunto un senso moderno per definire ciò che è ‘civile’ e non ‘religioso’. La verità si trova esattamente all’opposto. Infatti il cristianesimo, come anche i suoi congeneri semitici ebraismo e islam, è una religione, e come tale è ben diversa dal concetto di dharma o di tsung chiao (宗教) estremo orientale. In queste due diverse forme orientali l’intenzione ritualistica è rivolta al benessere di tutto l’ordine cosmico, compresi gli oggetti insenzienti (jaḍa), gli esseri senzienti, le piante, gli animali, gli esseri sottili e gli Dei. Quanto al cristianesimo, ha sviluppato una civiltà che non è se non parzialmente religiosa, mentre tra dharma, ordine cosmico e civiltà non intercorre alcuna distinzione. Tralasciamo qui di trattare della ‘cultura’ sia che con essa s’intenda il significato ideologico spregiativo in uso nell’antropologia culturale sia che s’intenda con esso l’erudizione scolare e autodidattica profana.[↩]
- Nell’alto medioevo questa missione di proselitismo fu operata dai monaci culdei anche a livello iniziatico. Nuccio D’Anna, Il cristianesimo celtico. I pellegrini della luce, Alessandria, Ed. dell’Orso, 2010.[↩]
- Questa fu anche la forma con la quale il sanātana dharma, per nulla propenso al proselitismo, si diffuse pacificamente nell’Asia meridionale, in Indocina e nell’Insulindia, già dai secoli precedenti l’era volgare. Ciò è dimostrato dai numerosi rājā e mahārājā presenti in quella vasta area prima dell’invasione islamica e definitivamente detronizzati poi dal colonialismo britannico e olandese. Nel Laos, invece, la monarchia fu soppressa dalla rivoluzione comunista armata al servizio del colonialismo sovietico. Di tutti questi paesi rimangono solamente le monarchie buddhiste-hindū di Cambogia e Thailandia. Da parte sua il bauddha dharma, che invece ha una forte componente proselitistica, convertì i sovrani del Tibet e dei grandi Imperi dell’Estremo Oriente. Tra questi sopravvive il solo Impero nipponico, essendo stati gli altri Imperi sovvertiti dal colonialismo sovietico e cinocomunista.[↩]
- Ricordiamo a questo proposito la predicazione di San Paolo all’Areopago. In origine questa assemblea rappresentava il senato degli eupatridi, gli antichi nobili. Nonostante l’invadenza delle classi mercantili e l’abrogazione della monarchia dovute alla progressiva democratizzazione, rimase sempre l’alta corte controllata dagli aristocrati.[↩]
- La stessa insubordinazione all’autorità statale era fatta propria anche dagli ebrei mosaici che, per questa ragione, durante le persecuzioni, i romani non distinguevano dai cristiani. L’esclusivismo è congenito nelle religioni semitiche: sta di fatto che dopo il riconoscimento del cristianesimo come religione ufficiale dello stato da parte dell’Imperatore Teodosio (380), i cristiani, arrivati al potere, si vendicarono pesantemente. Da allora i seguaci dell’antica tradizione, sprezzantemente definita ‘pagana’ (rustica, rozza, villana), furono oggetto di una continua persecuzione. Sta di fatto che, a partire dall’inizio del medioevo, il paganesimo scomparve completamente come religione, rituale e mitologia, lasciando dietro di sé solamente residui di pratiche magiche o superstiziose. Tuttavia molte componenti iniziatiche sopravvissero all’interno delle iniziazioni cristiane cavalleresche o di mestiere.[↩]
- In tempi così antichi la conversione al cristianesimo romano, a quello greco o alle forme meno ortodosse dell’arianesimo, del monofisismo o del nestorianesimo non faceva una grande differenza. Le differenze cominciarono a diventare sempre più dogmatiche solo dopo i Concili di Nicea (325), Efeso (431), Calcedonia (451) e il Secondo di Costantinopoli (553).[↩]
- Certamente il sultano accolse il ‘poverello’ prendendolo per un faqīr, per un sufi cristiano. Le argomentazioni del frate non convinsero Malik al-Kamil, che era un dotto iniziato al sufismo e conoscitore di Ibn ‘Arabi. Il fatto che il sultano lasciasse andare liberamente San Francesco, nonostante che fosse in corso la quinta crociata, fu solo una dimostrazione di magnanimità. Ben diversamente si svolse, dieci anni dopo, il colloquio alla pari tra Malik al-Kamil e Federico II in cui, oltre alla contingenza politica, i due sovrani trattarono temi di ordine spirituale, con reciproca soddisfazione. Tale convergenza non si ripeté nel dialogo epistolare con il re almohade ‘Abd al-Wahid ar-Rashid. Messo in difficoltà dall’esposizione della dottrina federiciana sull’eternità del mondo, il sultano consultò il controverso sufi andaluso Ibn Sa’bin al-Mursi, il quale rispose sostenendo con irritante supponenza la superiorità della concezione creazionistica. L’Imperatore non rimase affatto soddisfatto da quello scambio epistolare. Karla Mallette, The Kingdom of Sicily, 1100-1250; A Literary History, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2005, pp. 58-63.[↩]
- In second’ordine il papa invitava il Gran Khan a stringere un’alleanza contro la minaccia islamica.[↩]
- AA.VV., I francescani e la Cina. 800 anni di storia, Assisi, Ed. Porziuncola, 2001.[↩]
- Vogliamo ricordare che questa repellente ideologia non solamente ha istigato il terrorismo in quasi tutte le repubbliche del centro e sud America contro i ‘padroni’, ma anche in Africa e in Asia. Lo stesso problema naxalita in India è il frutto naturale di questo processo di putrefazione del cattolicesimo, dilagante con il valido appoggio del maoismo.[↩]
- Per la verità, prima dello scadere del XV secolo, più di un terzo degli espatriati ritornò nei domini spagnoli, dato che, eccetto l’Olanda, Venezia e l’Impero ottomano, in nessun altro paese d’Europa gli ebrei avevano accesso.[↩]
- I pochi convertiti sinceri erano definiti conversos, mentre coloro che si mimetizzavano tra i cattolici furono detti marranos.[↩]
- Quando Granada si arrese ai Re Cattolici, nel suo territorio non viveva più alcun ebreo, mentre i cristiani mozarabes, cioè sudditi del regno musulmano, erano ridotti a un numero del tutto trascurabile, a dimostrazione della mistificazione del mito della convivenza edenica delle tre religioni in el-Andalus. I moros, di origine araba e berbera, che preferirono seguire Boabdil nell’esilio africano, lasciarono un regno di Granada quasi disabitato, che si dovette ripopolare con migrazioni di spagnoli dalla Galizia e dalla Castiglia. Serafin Fanjul, Al-Andalus, L’invention d’un mythe, Paris, Éd. L’Artilleur, 2017.[↩]
- La sanguinosa ribellione dei cripto-musulmani dell’Alpujarra del 1568 produsse come risultato anche l’espulsione dalla Spagna dei moriscos nel 1609. Questa povera gente, emigrata nel Maghreb e in Algeria, invece di essere ben accolta, fu sterminata a decine di migliaia dai loro confratelli musulmani arabi, cabili e berberi dediti alla pirateria e al brigantaggio.[↩]
- Il nascondimento della propria religione era visto come ripugnante da parte dei cattolici che considerano virtuoso il rifiuto di rinnegare la propria fede, arrivando fino al martirio. Questo riprovevole peccato di codardia è personificato nei Vangeli da S. Pietro che rinnegò Cristo tre volte nella stessa notte. Devin J. Stewart, Baber Johansen, Amy Singer, Law and Society in Islam, Princeton, Markus Wiener Publishers, 1996.[↩]
- Pietro Scarduelli, Gli Aztechi e il sacrificio umano, Torino, Loesher, 1980. Per la verità gli Incas sacrificavano più raramente vittime umane in paragone agli Aztechi. Sacrificavano schiavi per onorare i funerali dei principi della casa imperiale o, in caso di calamità naturali, alla dea della terra, Pachamama. Alfred Métraux, Gli Inca, Torino, Einaudi ed., 1998.[↩]
- L’imbecillità dei difensori degli oppressi, ovviamente, non ha alcuno scrupolo morale. Per giustificare il cannibalismo, l’antropologo statunitense Michael Harner arrivò a sostenere che gli indios avevano una dieta carente di proteine, per cui essendo largamente dipendenti dall’alimentazione con il mais, a base di carboidrati, dovevano ricorrere ai sacrifici umani. “The Ecological Basis for Aztec Sacrifice”, American Ethnologist, Vol. 4, No. 1, Human Ecology (Feb., 1977), pp. 117-135. Numerosi scienziati ecologisti hanno accolto con entusiasmo questa spiegazione per condannare così irrimediabilmente il colonialismo spagnolo. D’altra parte, cosa ci si può aspettare da chi sostiene malthusianamente aborto ed eutanasia per contenere l’’allarmante’ incremento demografico nei paesi emergenti? Alla fin fine il bolscevismo e il nazional socialismo risultano ormai trionfanti![↩]
- È perciò facile capire perché queste popolazioni abbandonarono rapidamente questi culti feroci per abbracciare il cattolicesimo.[↩]
- John Hemming, La fine degli Incas, Milano, B.U. Rizzoli, 1992.[↩]
- José Maria Ochoa, Francisco Pizarro, Montijo, Barrantes Cervantes Ed.s, 2009; Manuel Ballestreros, Francisco Pizarro, Madrid, Ed. Quorum, 1987.[↩]
- Quanti aristocratici, borghesi e proletari britannici, e quanti proletari statunitensi si sono meticciati con i pellerossa dallo sbarco dei “padri pellegrini” a oggi?[↩]
- Perfino il barone Alexander von Humboldt, protestante e fanatico sostenitore della superiorità razziale degli anglosassoni, che visitò l’America meridionale al servizio dell’intelligence statunitense dal 1799 al 1804, a malincuore dichiarò: “In virtù di un pregiudizio molto diffuso in Europa, c’è la convinzione che pochissimi indigeni color del rame si siano conservati in America. Nella Nuova Spagna, il numero di indigeni ammonta a due milioni, contando solo quelli che non hanno alcuna mescolanza di sangue europeo. E ciò che è ancora più consolante, lungi dall’essere estinta, la popolazione indigena è aumentata considerevolmente durante gli ultimi cinquant’anni, come è dimostrato dai registri di capitazione e tributi.” Laura Dassow Walls, The passage to Cosmos: Alexander von Humboldt and the shaping of America, Chicago, University of Chicago Press, 2009, p. 60.[↩]
- Nell’America anglosassone la festa principale è il ‘Giorno del Ringraziamento’. Essa cade l’ultimo giovedì di novembre e celebra il seguente evento: i ‘Padri Pellegrini’, fanatici calvinisti-puritani, fuggendo dalla persecuzione anglicana, salparono dall’Inghilterra nella primavera del 1621. Avevano portato con loro dei semi che piantarono nella loro nuova patria al di là dell’Atlantico. Tuttavia, il risultato del raccolto fu disastroso e rischiarono di morire di fame durante l’inverno che si avvicinava. Una grande delegazione di nativi locali arrivò all’accampamento degli immigrati disperati, portando agli affamati abbastanza mais, tacchini, frutta e selvaggina per farli sopravvivere all’inverno. Le tavole furono imbandite e i nativi e i puritani celebrarono insieme la nuova fratellanza del Nuovo Mondo. Il “Ringraziamento” fu stabilito come segno di gratitudine per l’aiuto ricevuto. Il Ringraziamento fu storicamente realizzato poi con lo sterminio scientifico degli abitanti originali del Nord America. Arcangelo Mafrici, Genocidio degli Indiani d’America, Roma, Gangemi ed. 2017; Gianfranco Peroncini, Al Dio degli inglesi non credere mai. Storia del genocidio degl’Indiani d’America 1492-1972, Sesto S. Giovanni, Oaks ed., 2017.[↩]
- Le denunce di abusi da parte di Las Casas, ovviamente, diventarono la fonte privilegiata per la propaganda anticattolica protestante inglese e olandese. In cambio, nessun pastore protestante inglese o olandese ha mai denunciato le crudeltà commesse nelle loro colonie, come invece fecero in tutta libertà i frati spagnoli. È altresì vero che questo francescano ammetteva lo schiavismo per i deportati dall’Africa. Ma si deve comprendere che la mentalità dell’epoca consentiva queste contraddizioni. Julián Juderías, La leyenda negra: estudios del concepto de España en el extranjero, Valladolid, Madrid, Ed. La Esfera de los Libros, 2014; William S. Maltby, La leyenda negra en Inglaterra. Desarollo del sentimiento antihispánico 1558-1660, Mexico, Fondo de Cultura Economica, 1982. C’è da aggiungere che la massima parte dei negrieri, dal XVI al XIX secolo erano inglesi e portoghesi, che si recavano sulle coste del golfo di Guinea ad acquistare dai mercanti arabi gli schiavi negri da portare in America.[↩]
- Lo stesso Cristoforo Colombo finì in prigione per aver reso suoi schiavi alcuni indigeni. Invece, più tardi, il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington, visse nella sua fattoria sul Potomac attorniato dai suoi schiavi negri. Don Pedro de Heredia, governatore della Nuova Andalusia, fu condannato e incarcerato assieme al fratello. Il viceré di Nuova Granada, don José Manuel Solís Folch de Cardona, che alla scadenza del suo mandato si era fatto frate di clausura, fu condannato, portato fuori dal convento e mandato in prigione. (María Elvira Roca Barea, Imperiofobia y leyenda negra, Mardid, Siruela, 2016, pp. 306-307).[↩]
- Letta al di fuori di ogni pregiudizio, la conquista spagnola fu una vera epopea. I suoi protagonisti sono stati gli ultimi esempi in Occidente di comportamento kṣatriya, paragonabile a quello delle saghe cavalleresche medievali. Lewis Hanke, La lucha española por la justicia de America, Madrid, Grech, 1987. È fatale che, nell’attuale atmosfera effemminata, codarda e pacifista del mondo contemporaneo, i conquistadores siano oggetto di odio e di condanna. Philip Wayne Powell, El árbol del odio, Madrid, Porrua, 1972.[↩]