Śrī Śrī Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja
La Luce della Realtà
Il metodo delle tre avasthā
D. Per chi è il Vedānta
15. È qualificato per il Vedānta chi desidera conoscerlo ardentemente
S’è detto che il Vedānta è l’indagine sulla Realtà, ed essendo la Realtà l’Ātman del mondo, è anche il nostro Ātman. Questo implica che chiunque sia desideroso di conoscere l’Ātman, cioè la propria natura essenziale, è persona qualificata per questa indagine. In altre parole, tutti coloro che desiderano e sono capaci di indagare, sono qualificati per intraprenderlo. Tuttavia, ora dovremmo delineare le qualifiche particolari a tal fine.
Obiezione: dato che le Upaniṣad sono la fonte della dottrina vedāntica, e sono parte della śruti, coloro che non sono qualificati allo studio della śruti, cioè śūdra e mleccha (stranieri), non sono qualificati per questa indagine.
Risposta: no, non è corretto, perché:
- Essendo Ātman la nostra natura essenziale, è senza senso affermare che una persona non sia qualificata a indagare sul suo proprio Sé e a intuirlo.
- Se consideriamo l’obiezione dal punto di vista dei varṇa-āśrama, la restrizione ingiunta dagli śāstra riguarda solo la recitazione e le altre attività vediche, per le quali sono qualificati esclusivamente i dvija. Questo riguarda rituali e doveri che sono stabiliti dalla śruti, in quanto si devono avere le specifiche qualifiche richieste per ogni singolo rituale e dovere. Invece, qui non stiamo parlando né dell’apprendimento della recitazione vedica, né della pratica di rituali e doveri stabiliti nel Veda: stiamo esclusivamente trattando dell’indagine sul Sé com’è insegnata nel Vedānta. Nessuno śāstra ha mai stabilito che una persona dotata delle giuste qualifiche, come disciplina e comportamento di vita, non sia qualificata per l’indagine sul Sé. E anche qualora fosse stato così stabilito, non avrebbe alcuna ragione d’essere, quindi non sarebbe valido.
- I qualificati per la recitazione del Veda possono condurre la cerca direttamente per mezzo della Upaniṣad. Coloro che non sono qualificati per la recitazione dei Veda, possono ascoltare o studiare i Purāṇa e altri Śāstra e fare la cerca per loro tramite. Quelli che non possono fare neppure questo, possono acquisire la conoscenza necessaria su testi vedāntici anche in altre lingue e procedere con la cerca. In tutti questi casi l’aspirante al Vedānta potrà trovare l’ispirazione a lui adatta per intraprendere la via della conoscenza.
- Dato che l’esperienza dell’intuizione è ciò che si deve raggiungere nella cerca spirituale, non è necessario sottolineare che le qualifiche più necessarie sono il desiderio e la capacità di condurre una cerca in armonia con l’esperienza.
16. La quadruplice disciplina necessaria al discepolo del Vedānta
1) Coloro che leggono il Vedānta solo per curiosità o per interesse accademico non sono considerati adatti a essere discepoli. Realmente qualificati sono quelli che sentono profondamente la necessità di capire assolutamente la Realtà qui insegnata. Il Vedānta chiama queste persone mumukṣu, ovvero aspiranti alla Liberazione; in altre parole, sono coloro che desiderano liberarsi dal legame dell’ignoranza. È naturale che possono compiere la cerca del Sé con grande amore e rispetto solo coloro che sono certi che tutte le colpe delle loro vite sono dovute all’ignoranza della vera Realtà e che soltanto la sua conoscenza è il mezzo per liberarsi da tutte quelle colpe.
2) L’aspirante alla conoscenza deve essere pronto a lasciare qualsiasi cosa per la Realtà; questo è il vairāgya, la rinuncia.
3) La Realtà è eterna, quindi non è corretto distrarsi dalla cerca per attrazione della vita transitoria di godimento. Comprendere ciò è viveka, la discriminazione che aiuta il vairāgya.
4) Oltre a queste, il Vedānta richiede le seguenti sei discipline: śama, il controllo della mente; dama, controllo dei sensi; uparati, l’impegno nella cerca, escludendo tutte le azioni che le sono contrarie; titikṣā, la sopportazione di dolore e piacere, essendo devoti alla verità; śraddhā, l’ascolto dell’insegnamento upanisadico con rispetto, apertura mentale e senza alcun pregiudizio; samādhāna, il mantenimento della concentrazione mentale sulla cerca.
È facile capire che il nostro intelletto dovrebbe avere la capacità discriminativa per compiere la cerca del Sé, ma non è altrettanto facile comprendere perché anche queste sei discipline siano necessarie. Ciò diventerà evidente al culmine della cerca; ma, a questo punto, si può affermare che qualsiasi indagine s’intraprenda, si potrà essere spinti in diverse direzioni a seconda delle vāsanā della mente. Di fatto anche gli esperti nell’indagine si possono allontanare per impulso delle loro vāsanā e prendere decisioni errate. Quindi le discipline come śama ecc. sono necessarie per cautelarsi da ciò.
Il Vedānta afferma che coloro che possiedono la precedente quadruplice disciplina, saranno sicuri di intuire la verità vedāntica qui, proprio in questa vita, e di raggiungere la beatitudine. Procedendo nella lettura, si potrà riconoscere quanto ciò sia vero.
2. Indagine sulla Verità
A. La visione dei tre Stati
17. I vedāntin non esaminano gli stati per mezzo dei pramāṇa
Fra le vie atte a scoprire la Realtà, la dottrina che si basa sulle Upaniṣad è riconosciuta unica per autorevolezza, in ragione della sua visione universale. Quest’ultima non è altro che la visione dei tre Stati in armonia con l’intuizione e la ragione. Le altre scuole, non avendo una visione universale, non sono in grado di contestare al Vedānta la validità dell’esperienza e della ragione. In questa sezione discuteremo su:
- La natura della visione dei tre Stati e sua superiorità rispetto alle altre prospettive.
- La base per cui la si può definire visione universale.
- Come questa dottrina procede nell’indagine in base a tale prospettiva.
- Le principali conclusioni che emergono da questa indagine.
In primo luogo è necessario spiegare cosa s’intende per visione dei tre stati. Se si trattasse di un’indagine scientifica, filosofica o religiosa, gli stati non sarebbero importanti, ma solo i validi mezzi di conoscenza (pramāṇa). Gli scienziati e i filosofi limitano la loro osservazione agli oggetti dei sensi, perché pensano che la percezione sia il solo mezzo per affrontare l’argomento dell’indagine. Per quanto validi siano gli strumenti esterni, sono solo estensioni della percezione. Scienziati e filosofi non esaminano nulla se non ciò che è percepito dai sensi e dalla mente. Osservano con grande precisione gli oggetti dei sensi, fanno esperimenti, raccolgono dati in quantità consistente e ne determinano la loro verità. Gli scienziati selezionano gli oggetti per categorie e ne studiano le caratteristiche, e i filosofi li considerano come un tutto e ne studiano la natura generale. A parte tale differenza, si comportano in modo simile, e percezione e deduzione sono comuni a entrambi.
Invece, nell’indagine teologica delle varie religioni, si discute sulle rispettive credenze e sulle esperienze personali, basandosi sull’autorità dei testi sacri e delle parole dei loro profeti. In breve, possiamo dire che il metodo di tutti costoro si appoggia sui seguenti pramāṇa: percezione, deduzione e insegnamento dei profeti, basandosi soltanto su oggetti. I buddhisti idealisti (vijñānavādin) compiono la loro indagine includendo ogni cosa nell’idea (vijñāna): anch’essi si rifanno solo ai pramāṇa. I vedāntin seguono un metodo diverso: non esaminano le cose solo attraverso i pramāṇa, ma, poiché indagano gli stati come un tutto, vi includono i pramāṇa e i loro oggetti. Perciò gli stati non sono indagabili per mezzo dei pramāṇa. Inoltre, i vedāntin indagano i loro propri stati e non quelli altrui. Questa è la natura della visione dei tre stati.
18. Caratteristiche della visione dei tre stati
La peculiarità di questa visione è di dare il giusto valore all’esperienza e di indagarla in quanto tale. Alcuni pensano che si dovrebbero usare solo i pramāṇa, quali la percezione, la deduzione e gli śāstra.
Domanda del vedāntin: come possiamo determinare la validità dei pramāṇa come mezzi di conoscenza?
Risposta del sostenitore dei pramāṇa: questa è una domanda complessa. Se non si accetta il principio basilare per cui qualsiasi cosa dovrebbe essere esaminata solo attraverso i pramāṇa, non si può venire a capo di nulla.
Vedāntin: questo non è esatto, perché quello che è definito per mezzo dei pramāṇa da parte di qualcuno, è contraddetto da un altro con gli stessi pramāṇa.
Sostenitore dei pramāṇa: in tal caso il primo punto di vista deve essere logicamente sbagliato, e perciò è confutato da un’argomentazione più efficace.
Vedāntin: ciò non è corretto: come si può sapere se la prima definizione era sbagliata per un difetto dei pramāṇa o per un ragionamento difettoso? Questa difficoltà non sorge con il metodo della visione dei tre stati. Infatti quelli, che sostengono che qualcosa sia vero solo quando è rivelato dai pramāṇa, accettano che debba essere riconosciuta1 anche l’esperienza immediata, ovvero la coscienza (anubhava) scaturita da un pramāṇa. In altre parole, perché il pramāṇa sia valido deve rivelare una certa esperienza. Perciò l’anubhava è la conclusione finale di cui si dovrebbe riconoscere la decisiva importanza.
Le caratteristiche della visione dei tre stati sono, dunque:
- La comprensione immediata o coscienza dei tre stati di veglia, sogno e sonno profondo. Per averne la visione universale è necessario considerarli tutti e tre, al fine di capire la coscienza e tutti i suoi oggetti. Questa è la caratteristica principale.
- La seconda caratteristica è che nell’esame degli stati deve essere incluso tutto ciò che appartiene a ogni stato; i vedāntinattribuiscono molta rilevanza a questo perché altrimenti la conclusione sarebbe difettosa.
- Se per assurdo qualcuno credesse che si lascia fuori qualche altro stato, dimostreremo con questa dottrina che tutto è incluso nei tre stati (§ 40), non essendoci alcun altro stato2.
Per le caratteristiche peculiari summenzionate i vedāntin affermano, dunque, che la visione dei tre stati è completa e universale.
19. Il metodo dell’indagine vedāntica
Il metodo consiste dapprima nell’osservazione dei tre stati dal punto di vista dell’Intuizione universale. In seguito si armonizza ciò che si è compreso con tale osservazione. Allora la Realtà totale è capita esattamente com’è. Quando esaminiamo uno stato alla volta, otteniamo qualche conoscenza-coscienza di esso, senza però aver la sicurezza che quella conoscenza sia conclusiva e inoppugnabile. Per conoscere ciò, dobbiamo combinarla con la conoscenza degli altri due stati, discriminare la non-conoscenza e cercarne la concordanza con la ragione. Solo allora la conclusione emergente sarà quella finale e priva di difetti. Questo processo appartiene unicamente al metodo vedāntico.
20. La conclusione dell’indagine vedāntica
La conclusione finale dell’indagine è che il nostro Ātman è anche la natura essenziale di tutto il mondo, vale a dire Brahman.
Brahman è la fonte di tutta l’esistenza, di tutta la conoscenza e di tutta la felicità che c’è nel mondo.
Sostanza, attributi, azioni del mondo sono le false apparenze di Brahman. Coloro che non poterono capire ciò si limitarono a esaminare aspetti parziali del mondo, su cui scrissero diversi śāstra.
In tutte le religioni questo Brahman è chiamato con un nome indiretto, il Signore, Īśvara. Questo Brahman è il sostrato di tutte le qualità divine che sono attribuite a Īśvara, come anche di tutte le qualità positive del mondo. Tuttavia il Brahman, nella sua propria natura, è privo di qualsiasi divisione, di qualsiasi qualità, atto e relazione. Conoscere quella natura è lo scopo e il compimento più elevato della vita umana. Con questa conoscenza nessuna aspirazione umana resta incompiuta.
B. La necessità di indagare tutti e tre gli stati
21. La natura dà eguale importanza a tutti e tre gli stati
Coloro, che volessero accertare la verità dell’intero universo, non dovrebbero accontentarsi di esaminarne solo una parte. Allo stesso modo non è sufficiente esaminare un solo stato per determinare la verità di tutte le esperienze in tutti gli stati. Tuttavia gli esseri umani hanno istintivamente solo un’eccessiva identificazione con la veglia. Quindi pensano che soltanto il mondo della veglia meriti d’essere esaminato, mondo che, per sua natura, ogni giorno assume forme diverse. Innumerevoli creature vi nascono e muoiono a ogni istante e ‘io sono uno fra essi’. Per quanto piccolo possa essere il mondo in cui vivono, pensano che sia bene usufruire di tutto ciò che conoscono e di cui dispongono. Si domandano anche come l’esame degli stati di sogno e di sonno profondo possa aiutarli a conoscere la verità del mondo. ‘Non è forse vero che il sonno profondo è solo uno stato di riposo, quando il corpo e i sensi sono stanchi del lavoro? Non è forse che il sogno sia dovuto a disturbi nervosi causati da cibo e bevande pesanti o da eccessiva tensione?’
Se si va un po’ più a fondo, ci si rende conto che queste obiezioni sono prive di fondamento, perché tengono in considerazione un solo punto di vista, quello della veglia. In realtà gli esseri umani, come tutti gli altri esseri viventi, sperimentano tutti e tre gli stati, non uno solo. Se bastasse la veglia, perché Dio avrebbe creato gli altri due stati?
Se il sonno profondo fosse solo uno stato di riposo, una persona che lavora sodo, un maniaco del lavoro, dovrebbe rimanere più a lungo in sonno profondo di un ozioso. Similmente i neonati che non si affaticano, dovrebbero stare in sonno profondo di meno, mentre i vecchi, che hanno lavorato molto durante tutta la vita, dovrebbero riposarsi di più. Ma di fatto non è così. Le persone pigre dormono di più, i vecchi dormono di meno e i neonati passano la maggior parte del loro tempo in sonno profondo. La gente, dopo il sonno, si sente rinfrancata, felice e in miglior salute. Quindi è ovvio che non è semplicemente uno stato di riposo, ma racchiude qualcosa di più importante ed essenziale.
Così il sogno non è un’alterazione o un disturbo nervoso, perché anche le persone sane e che seguono una dieta morigerata, sognano. Il sogno e il sonno profondo vengono naturalmente, non sono cercati e sono indipendenti dalla nostra volontà; ciò prova che sono essenziali e naturali quanto la veglia.
Perciò, invece di considerare il sogno e il sonno profondo appendici favorevoli o sfavorevoli della veglia, si deve considerarli indipendenti e con un loro proprio scopo.
22. I tre stati devono essere trattati alla pari
Poiché i tre stati riguardano soltanto la nostra persona, non si deve considerare come nostro solo lo stato di veglia e accordare un trattamento servile agli altri due. È vero che gli oggetti della veglia ci sono utili per la vita della veglia; ma è altrettanto vero che gli oggetti del sogno ci sono utili nello stato di sogno. Come gli oggetti del sogno sono inutili per la veglia, è altrettanto vero il contrario. Stando così le cose, dare maggior importanza alla veglia e sottovalutare il sogno provano solo il nostro pregiudizio e la nostra parzialità in favore della veglia.
Nel sonno profondo, diversamente, non c’è alcuna presenza di jīva, avvenimenti e cose. In veglia si compie ogni tipo d’azione e, in sogno, azioni apparenti. Quindi generalmente si considera che le attività, con cui si sperimentano dualità e varie interrelazioni, siano per noi naturali e che, al contrario, esserne privi sia innaturale. Ancora una volta si dimostra il pregiudizio in favore della veglia. Da ciò deriva che, se si vuole trovare la verità, dobbiamo imparare a considerare tutti e tre gli stati con una visione equanime, per quanto lo stato di veglia possa essere utile per la vita pratica.
23. Limiti dei metodi diversi da quello dei tre stati
Si dimostra la grandezza del metodo dei tre stati raffrontandolo con gli altri metodi.
- a. Poiché gli scienziati considerano la veglia solo una cornice e del mondo hanno una visione limitata, per esaminarlo lo dividono in piccole parti. Quindi non hanno alcuna possibilità di andare oltre qualche minuscola particella subatomica del mondo esterno né di andare oltre la nozione dell’ego nel mondo interno.
b. I filosofi occidentali ugualmente considerano solo la veglia.
2) a. Dato che gli scienziati analizzano solo gli oggetti esterni, procedono con esperimenti e osservazioni e, coordinando i dati raccolti, arrivano a una conclusione provvisoria, accettabile dalla maggioranza. E, sebbene questa conclusione subisca cambiamenti in continuazione, essa è accettata unanimemente, avendo tutti gli scienziati il medesimo punto di vista.
b. La logica è importante per i filosofi, ma ciascuno, applicandola al proprio sistema, rende impossibile una unanimità di vedute. Perciò, non avendo il medesimo punto di vista non si può affermare che le loro filosofie progrediscano o regrediscano.
Oltre a queste, non ci sono altre differenze tra i metodi investigativi degli scienziati e dei filosofi. Per entrambi solo lo stato di veglia è utile a capire la verità. Non pensano neppure agli altri due stati o, se li prendono in considerazione, li valutano solo dal punto di vista della veglia. Molti filosofi pensano che la veglia e il sogno siano due differenti livelli d’esistenza, uno del tutto reale, l’altro falso. Il sogno sarebbe una falsa apparenza e il sonno non conta affatto. Spiegano il mondo della veglia come appare a ognuno di loro. Perciò la filosofia non può mai avere la parola definitiva. La maggioranza di loro ha cominciato a riconoscere che la filosofia non può raggiungere la verità del mondo. Alcuni sono arrivati a dire che essa avanza assieme alla scienza.
Se prendessero in considerazione anche gli altri due stati e li osservassero da un punto di vista imparziale, emergerebbe la verità; ma non ci si può aspettare questo risultato da una indagine compiuta da un punto di vista incompleto.
24. Tutti e tre gli Stati contengono cose degne di essere investigate
Anzitutto bisogna convincersi che i tre stati contengono in egual misura cose degne di essere esaminate. Lo stato di veglia contiene:
- l’io-il conoscitore, gli oggetti di conoscenza e gli strumenti di conoscenza.
- l’io-il fruitore di dolore e piacere, gli oggetti che causano sofferenza e piacere, e le esperienze di sofferenza e piacere che provengono da essi.
Così, nella veglia vediamo una varietà di cose, come la coscienza, l’esistenza, l’azione, gli agenti e i frutti d’azioni, la fruizione, il piacere, la sofferenza ecc. Qual è la verità di questo fenomeno (dṛṣyarāśi)? Qual è la natura essenziale dell’io, che è al centro di tutte queste cose? Qual è la verità che sta dietro alle loro mutue differenti relazioni? Tutte queste cose devono essere congiunte e investigate nella veglia. Questo è accettato pressocché da tutti i filosofi, ma essi trascurano il sogno e il sonno profondo, chiedendosi cosa ci sia da conoscere su di essi. Tuttavia, se li si osserva attentamente, anche in essi si può trovare qualcosa. Quando si è nel vasto mondo della veglia, a un certo momento, improvvisamente, ci si addormenta e tutte le cose della veglia sono cancellate. Dove sono andati il mondo della veglia, gli attaccamenti che c’erano in esso e tutti i nostri pensieri? Dove e in che forma essi e noi esistiamo? Qual è la natura del potere meraviglioso che spazza via il mondo e le nostre relazioni al suo interno e che apporta un’indescrivibile esperienza ogni giorno? Come si lascia quello stato e si ritorna indietro? E, ancora, qual è la relazione tra la veglia e il sonno profondo? Queste e altre domande devono essere investigate. Se si considera il sogno, esso appare come uno straordinario scenario. Lì non c’è nulla della veglia, ma vi si vede una copia esatta di questo mondo: tempo, spazio, causa, atti, agenti, risultati di azioni, coscienza, felicità e sofferenza, tutti sorgono in un attimo. È vero che il sogno è solo un’illusione e che non ha sostanza; tuttavia, mentre lo si vede si è illusi e non si sospetta che è un sogno, e lo si considera reale. Che magia di un misterioso illusionista ci mette in questa situazione ipnotica giorno dopo giorno? Chi dispiega davanti a noi scene inimmaginabili in veglia? In questo spettacolo, anche noi svolgiamo un ruolo senza saperlo. Alcuni degli oggetti del sogno sembrano simili a quelli della veglia. Qual è la relazione tra loro? Ogni sogno sembra reale, ma a ogni risveglio lo si considera falso. Perché? Ci sono innumerevoli sogni con molte bizzarrie, ma, mentre si è in sogno appaiono come se fossero sempre esistite. Com’è possibile? Queste e altre domande sul sogno devono trovare risposta. Quindi, si può trovare la completa verità, che appare come tre stati, solo dopo aver indagato sulle precedenti domande, dopo averne armonizzato i risultati, non esaminando solo lo stato di veglia.
- Una percezione, un’emozione o un giudizio sperimentati da sensi, mente e intelletto, al loro livello sono infatti esperienze immediate [N.d.C.].[↩]
- Il Vedānta riconosce l’esistenza anche di alcuni stati minori, intermedi tra la veglia e il sogno, come il samādhi yogico, lo svenimento, il coma o lo stato allucinatorio. Tuttavia questi stati sono considerati modalità secondarie dei tre stati di veglia, sogno e sonno profondo [N.d.C.].[↩]