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Śrī Śrī Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja

La Luce della Realtà

Il metodo delle tre avasthā

B. Vantaggi della Conoscenza vedāntica

8. Diversi frutti della Conoscenza vedāntica (primo vantaggio)

Domanda: qual è il vantaggio di conoscere che Brahman, la Realtà insegnata dal Vedānta, è Saccidānanda e che esso stesso è il Sé di tutti?

Risposta: con la conoscenza di Brahman, la sofferenza e l’illusione dell’individuo svaniscono e tutti i dubbi sulla verità sono chiariti. La persona è sollevata dalla frustrazione e dalla tensione per la lotta quotidiana, libera da qualsiasi paura. La sofferenza di chi è angustiato cessa. L’esperienza del conoscitore della verità è paragonabile a un povero che inaspettatamente riceve un’immensa ricchezza; a un codardo che acquisisce grande sicurezza e coraggio; a una persona riservata che ha successo in tutte le sue imprese e i cui desideri sono esauditi.

Questa non è un’esagerazione ed è immediatamente evidente, se si guardano le vite dei grandi ṛṣi illuminati che benedissero il mondo con la loro conoscenza del Sé. Essendo rispettati dai sovrani per la loro sapienza, non avrebbero avuto alcuna difficoltà, se lo avessero voluto, a soddisfare tutti i loro desideri, a possedere ricchezze, potere e lussi. Avendo rinunciato alla vita nella società, si recavano nella foresta e trascorrevano la loro vita in contemplazione del Brahman, praticando l’autocontrollo e la negazione dell’ego. Nei Purāṇa si racconta come alcuni ṛṣi abbiano offerto ai Re con il loro seguito, quando venivano in visita agli āśrama, una ricca ospitalità, provvedendo a tutte le comodità per mezzo di poteri soprannaturali. Tutto ciò può apparire una fiaba per chi non conosce questi poteri e il modo per acquisirli. Tuttavia, questi racconti sono veri e anche al giorno d’oggi si possono trovare yogi con tali poteri. Sebbene fossero riveriti dal mondo e in possesso di tutti i mezzi per acquisire e godere di tali vantaggi, li ignoravano, perseguendo la loro rinuncia, rimanendo per tutta la vita assorti in contemplazione spirituale. Questo prova che accordavano la massima importanza alla conoscenza di Brahman.

9. La conoscenza di Brahman aiuta ad annullare la natura animale e a superare la sofferenza (secondo vantaggio)

Gli antichi saggi hanno dichiarato che le sofferenze sono dovute soltanto alla carenza di conoscenza del Sé. Tutte le debolezze e le difficoltà dipendono dal fatto di considerare la vita solo dal punto di vista corporeo e non da quello dell’Ātman. I saggi hanno provato che l’unico desiderio positivo è quello di ottenere la conoscenza del Sé. Quelli che non conoscono l’Ātman a causa dell’ignoranza e che rimangono assorti nei pensieri del non-Sé, sono coloro che hanno commesso grandi colpe come il suicidio e, perciò rinasceranno asura o bruti umani (adharmya narapaśu)1; non possono essere considerati del tutto umani perché, sebbene vivi, è come se fossero morti. La loro vita è quella di una persona accidentalmente caduta in un pozzo senza fondo, sprofondata in una tenebra cieca. Così l’Īśa Upaniṣad2 descrive il destino di chi ha commesso questo suicidio spirituale3. Le Upanisad insegnano per compassione la vera natura del Sé e del mondo, cosicché non si vada incontro a questo miserevole destino. Perciò, un vantaggio della conoscenza del Sé è quello di evitare il suicidio dello spirito, di allontanare dalla vita asurica e di far riemergere la natura umana.

Non sapendo come usare i moderni strumenti tecnologici a fini dharmici, gli ignoranti abusano di essi con una avidità venefica che causa degrado ambientale, sociale, caos politico, guerre e per questo tremano di paura per l’imminente disastro. Allorché questo disastro si presentasse, invece di rendersi conto che la causa è la loro avidità, s’accusano l’un l’altro, aumentando in tal modo il loro attaccamento all’adharma e la loro repulsione per il dharma.

Talora, nella disgrazia e nel caso di perdite di vite e di beni, la gente si abbandona alla disperazione. A quel punto la scienza non può andare in loro aiuto, essendo incapace d’insegnare il dharma, l’autocontrollo o persino una semplice preghiera efficace. Protestano, dunque, per la sua incapacità e inadeguatezza ad aiutare l’umanità, richiedendo una ricerca più avanzata e maggior sviluppo tecnologico. Al tempo stesso la difendono affermando che non è colpa della scienza se le persone abusano o diventano sue schiave, essendo queste ultime incapaci di gestirla. In questa situazione di sofferenza, la gente diventa ancor più demoniaca. La scienza non può né prevenire né porvi rimedio. Invece, rivolgendosi alla vera spiritualità, si potrebbero ridurre non solo il proprio egoismo e la cattiva natura per ridiventare umani, ma anche si potrebbe dare priorità a qualità positive, come la carità, il dharma, la compassione, il servizio generoso ecc., e diventare divini (devaka) praticando queste virtù. Questo sarebbe un vantaggio grande e davvero auspicabile.

10. Per il Vedānta la nostra natura essenziale è al di là del saṃsāra (terzo vantaggio)

C’è una grande differenza tra quello che si pensa sia la nostra natura essenziale(svarūpa) e quello che insegnano le Upaniṣad. La gente comune pensa: «Abbiamo molti difetti e inadeguatezze, soffriamo la fame e la sete, la nascita e la morte, le malattie, i desideri, l’ira e il dolore; siamo nati in un dato luogo e in un dato tempo, viviamo per un certo periodo e un giorno o l’altro torneremo polvere». Consideriamo ora come, invece, la śruti descrive la nostra vera natura:

L’Ātman è eternamente libero da qualsiasi colpa, dalla vecchiaia, dalla morte, dal dolore, dalla fame, dalla sete, da inesauribili desideri e volizioni. Bisogna cercarlo, bisogna realizzarlo. Chiunque lo conosce e lo realizza otterrà tutti i mondi e tutti gli oggetti di desiderio. (ChU VIII.7.1.)

11. Anche se mortali dal punto di vista empirico, la nostra vera natura è immortale (quarto vantaggio)

Obiezione: se fosse da prendere alla lettera la nostra vera natura com’è descritta dalle Upaniṣad, dovremmo credere alla storia del gallo e del toro4. Qualche sciocco potrebbe credere che non invecchieremo e non moriremo mai. Nessuna persona sana di mente potrebbe accettare ciò contro ogni evidenza. Si sa che tutte le creature nate cambiano e crescono giorno dopo giorno, soffrono gli spasmi della fame e della sete, delle malattie, della malnutrizione e dell’età per poi cadere a terra come alberi abbattuti.

Sia debole o forte, sciocco o intelligente, ateo o pio, discepolo o maestro, ignorante o saggio, c’è qualcuno che riesca a sfuggire alle fauci del tempo che tutto divora? Né i ṛṣi che hanno insegnato al mondo il modo di vincere la morte e nemmeno gli ācārya che hanno esposto i loro insegnamenti, nessuno è sfuggito al tempo che tutto inghiotte né ha raggiunto l’immortalità corporea. Che dire, dunque, delle persone che si proclamano libere da vecchiaia e morte? Se nei nostri śāstra ci sono solo queste fiabe, è ovvio che adesso nessuno li segua più.

Risposta: questi dubbi vengono naturalmente a tutti. Tuttavia gli śāstra non hanno mai mancato di fornirne una spiegazione. Essi replicano che il fatto che tutte le creature siano per natura soggette a nascita, crescita, decadenza e morte è vero da un certo punto di vista. Ma dal punto di vista vedāntico è chiaro che queste sono solo apparenze empiriche, e perciò non intaccano affatto la nostra vera natura.

Domanda: vuoi dire con ciò che la nascita e la morte sono solo apparenze? Come se non avessimo mai visto morire nessuno!

Risposta: è vero che li vediamo in tal modo, ma solo dal nostro punto di vista in cui l’apparenza è considerata reale senza indagarla. Tuttavia, dal punto di vista vedāntico sappiamo oltre ogni dubbio che il nostro Ātman è privo di cambiamenti ed è eternamente identico. Questo nell’Advaita Vedānta è chiamato ‘visione del Reale’ (pāramārthika dṛṣti). Nel seguito di questo libro conosceremo questa pāramārthika dṛṣṭi e come intuire il nostro Ātman.

Per il momento è sufficiente capire questi quattro punti:

  1. La pāramārthika dṛṣti, la visione del Reale, non è un potere sopranormale, strano od occulto che solo alcune rare persone ottengono per qualche benedizione.
  2. Non è qualcosa che si deve accettare fideisticamente.
  3. Non si deve ignorare l’intuizione o esperienza universale (sārvatrika anubhava) che si trova naturalmente in ognuno di noi.
  4. La pāramārthika dṛṣti non richiede uno sviluppo continuo né è soggetta a cambiamento o miglioramento, poiché è assoluta e definitiva. In generale si considerano le cose dal punto di vista istintivo che non comporta alcuna indagine o studio e le si prende per vere come appaiono. Questo punto di vista è chiamato vyāvahārika dṛṣṭi, visione empirica o mondana (laukika dṛṣṭi). Ciò che appare dal punto di vista mondano non è necessariamente vero. Per esempio in passato si pensava che l’acqua fosse una singola sostanza, ma ciò non è vero perché gli scienziati hanno scoperto che in essa ci sono due elementi combinati, l’ossigeno e l’idrogeno. È ben noto che gli esperimenti scientifici modificano in continuazione le conclusioni tratte dal punto di vista empirico. Tuttavia, la pāramārthika dṛṣṭi o punto di vista degli śāstra, non è di questo tipo, dal momento che insegna il fatto così com’è (yathārtha) nella sua natura incondizionata; quindi la conclusione a cui si arriva partendo da questa visione non è soggetta a cambiamenti. Invece, ciò che si basa su una condizione cambia con il mutamento di essa; ma ciò non vale per l’incondizionato.

Se si adotta questo punto di vista degli śāstra per cercare la verità, si riconoscerà senza ombra di dubbio che l’Ātman è veramente immortale. Questo è quanto afferma la śruti:

Per paura di Brahman […] la morte (o il tempo) inghiotte ogni cosa (ma non osa toccare la propria origine, il Brahman o Ātman). (TU II. 8.)

Per Lui la morte è soltanto un condimento (un pezzetto di cibo da inghiottire). (KU I.2.25.)

Conoscendo la propria natura di Brahman, il mortale proprio qui diventa immortale. (BU IV.4.7.)

Ciò che queste śruti dicono è la constatazione di un fatto e non un inutile inno di lode.

C.       Grandezza della Conoscenza vedāntica

12. Vantaggi nel riconoscere che Ātman è il Sé del mondo (quinto vantaggio)

Finora s’è detto che Brahman è la Realtà di questo Universo apparente e che il nostro Ātman è Brahman quando lo consideriamo dal punto di vista pāramārthika. Da ciò emerge un altro punto fondamentale del Vedānta. Giacché il Vedānta insegna che Brahman non è solo il nostro Ātman, ma anche quello dell’intero Universo, ne deriva che conoscere la Reale natura (svarūpa) di Ātman è conoscere la natura essenziale dell’Universo. Perciò la śruti afferma:

O Maitreyī, ascoltando, riflettendo e contemplando la natura dell’Ātman e in tal modo avendo l’intuizione dell’Ātman, tutto questo diventa conosciuto. (BU II.4.5)

Conoscendo, tutto quello che non è udito è udito, tutto quello che non è riflettuto è riflettuto e tutto quello che non è capito è capito. (ChU VI.1.3)

Proprio come conoscendo la realtà di una zolla di argilla, tutto quello che è fatto d’argilla, un vaso, una brocca, ecc., diventa conosciuto, così conoscendo l’unico Ātman del mondo, ogni cosa diventa conosciuta. (ChU VI.1.4).

Per dimostrare che la conoscenza dell’intero Universo è compresa nella conoscenza della nostra natura essenziale, essa è chiamata conoscenza di Brahman, conoscenza di Ātman e conoscenza del Brahmātman, che sono tutti e tre sinonimi.

Domanda: come si può conoscere l’essenza dell’intero mondo, conoscendo la nostra natura essenziale?

Risposta: sebbene questo sia sinteticamente accennato dal precedente esempio dell’argilla e del vaso, ciò diventerà chiaro e convincente nel seguito, dal momento che tutto il libro è inteso a spiegare questo.

Domanda: si muove una critica ai vedāntin accusandoli di preoccuparsi egoisticamente della loro Liberazione (mokṣa) personale trascurando gli altri.

Risposta: naturalmente questa critica è priva di fondamento, perché con la loro indagine sul Sé (Ātmavicāra) includono anche l’indagine sulla natura del jīva (che è jīvatva), la natura essenziale del mondo (prapañcatattva), la natura di Dio (Īśvaratattva), la natura della conoscenza (jñānatattva), l’etica (nītitattva), il dharma (dharmatattva), i rituali, cioè preghiere, adorazioni e meditazione (upāsanātattva) e anche l’ultimo scopo della vita umana (puruṣārthatattva). Le varie conoscenze acquisite con questi studi sono utili per guidare l’umanità. Inoltre, la conoscenza del Sé rende la persona matura al sommo grado e priva di egoismo. La vita di tale persona è una grande e spontanea benedizione ed è benefica al mondo intero. Quindi definire egoismo la conoscenza del Sé e la Liberazione è una grave incomprensione.

Se teniamo presente che il Vedānta determina la verità di ogni cosa senza tralasciare nulla, sarà chiaro che è diverso dalle altre dottrine e allora la sua grandezza diventa evidente. Mostriamo qui le caratteristiche peculiari del Vedānta:

  1. Il Vedānta non è una teologia né una religione dogmatica. Tuttavia ha in sé le potenzialità per stabilire i principi fondanti di qualsiasi religione aperta, sana, non dogmatica e non fanatica. Ed è in grado di correggere le limitazioni e il dogmatismo delle religioni esistenti.
  2. Il Vedānta non è un testo di logica. Pur ricorrendo a una esperienza che è la base di una logica irrefutabile e universalmente accettata,mostra anche la limitatezza della logica empirica.
  3. La meta dottrinale (siddhānta) del Vedānta non si appoggia né su un’esperienza personale mistica, né sulla vita o comportamento di un profeta. È però capace di spiegare il segreto delle esperienze yogiche o mistiche di qualsiasi mitologia, teologia, religione e rituale.
  4. Il Vedānta non si basa sulla fede cieca in un libro sacro o in una rivelazione come autorità indiscutibili; invece può spiegare con i validi mezzi di conoscenza come riconoscere una vera rivelazione.
  5. Il Vedānta non segue il metodo di ricerca rivolto al mondo esterno come fanno le scienze materialiste. Tuttavia può fornire ragioni, punti di vista, approcci critici e obiettivi all’indagine scientifica per inserirla in una visione del mondo più corretta.

13. Effetti permanenti del Vedānta sulla vita della gente (sesto vantaggio)

Non si pensi che il Vedānta sia adatto solo a eruditi. È indubbio che le scuole filosofiche, che per loro natura sono speculative e dialettiche, non attraggono l’uomo comune. Il Vedānta non è di tale natura, perché le sue idee di colpa, merito, rinascita, legame e liberazione ecc. sono argomenti che toccano anche la gente ordinaria. La persona intelligente può discutere queste idee in modo elaborato e sentirsi intellettualmente appagata; ma coloro che non sono altrettanto intelligenti e dotti, possono certamente sperare in un buon destino postumo credendo a queste cose, conducendo una vita moralmente buona e felice.

I pensatori che hanno fondato filosofie speculative, hanno solo mostrato il loro ingegno intellettuale; ma è difficile affermare se con il loro pensiero abbiano apportato qualche effetto positivo alla vita della gente comune; ed è altrettanto difficile dire se con le loro dottrine abbiano purificato la loro stessa vita. Al contrario, abbiamo molti esempi che mostrano come i saggi vedāntin abbiano dedicato l’intera vita alla loro dottrina e come lo splendore della loro devozione, conoscenza e distacco si siano riversati sugli altri, rendendoli felici. Il ricordo dei loro detti tramandati tra la gente comune, illustra bene come l’India riverisca quegli illuminati.

[Quando ci si bagna] la Gaṅgā cancella le colpe, la luna rimuove il calore [quando ci si bea alla sua luce], il Re elimina la povertà [o l’insicurezza] di ognuno [quando si entra nei suoi favori], mentre i sādhu annullano tutti e tre [queste sofferenze] assieme. (Bhāgavata Purāṇa, BhP,I.48.31)

I luoghi di pellegrinaggio non sono solo acque fluenti né i Deva sono solo immagini di fango o pietra, ma solo i sādhu sono realmente fiumi sacri e sacre immagini dei Deva. Perché le sacre acque e le immagini degli dei ci purificano solo dopo che abbiamo fatto il bagno o li abbiamo adorati ripetutamente e a lungo, mentre i sādhu ci purificano non appena li si vede. (BhP XI.84.11)

Anche oggi i cercatori della verità ricordano con gratitudine i ṛṣi che scoprirono i mantra vedici e quei magnanimi che, avendo discusso sul Vedānta, non solo intuirono la verità durante la vita, ma la fissarono nei libri a beneficio del mondo. Non ci si può meravigliare che il Vedānta si sia molto diffuso per i suoi effetti positivi sul pensiero e la condotta di tutti. Queste dottrine sono ovunque presenti nella letteratura sanscrita, nel Veda, nelle smṛti, nei purāṇa, nell’epica e nel teatro. Sono diffuse anche nella nostra letteratura vernacolare in forma di poemi, inni canti, danze. Ovunque sia e qualsiasi forma abbia preso, il Vedānta ha ricevuto il rispetto di persone di tutte le condizioni, di tutte le tradizioni, razze, caste ed età. Tale è la sua grandezza!

14. Valore educativo del Vedānta (settimo vantaggio)

Quando i ṛṣi svelarono il Vedānta, la scienza finalizzata al benessere esclusivamente materiale non esisteva ancora. Affinché l’intera umanità potesse vivere lietamente, scrissero diversi śāstra, miniere di conoscenza che spiegano quali sono gli strumenti atti a rendere felice la vita presente e quella dopo la morte. Esaminarono i primi tre fini della vita umana, dharma, kāma, artha, da vari punti di vista, cioè da quello corporeo, sociale, economico, ambientale, mentale, rituale, dharmico e stabilirono i loro rispettivi domini di competenza. Inoltre, i ṛṣi dedicarono l’intera vita al tapas, inteso come una nobile indagine sui seguenti problemi:

a) qual è il mistero dietro questo mondo di esseri viventi e non viventi?

b) da dove è venuto e come?

c) come ci si relaziona con il mondo?

d) dietro al mondo c’è una verità che è la base di tutti quegli esseri?

e) e se c’è, come la si conosce?

L’insegnamento di quei saggi è di grande rilevanza per l’umanità d’ogni tempo e luogo. Per quanto intelligenti ci si possa ritenere, l’intelligenza umana non è diversa da quella dei bambini che, dimenticando il proprio interesse primario, corrono verso qualsiasi cosa vedano, spinti da incontrollabile curiosità. Che tipo di scienza si sia sviluppata da tale intelligenza e infantile curiosità? Tutte le scienze rimangono mute davanti alle più importanti domande sulla nostra natura essenziale, sulle nostre origini e sui nostri destini. La scienza senza dubbio ha scoperto molte cose, ma nessuna di esse ci è davvero utile per capire la nostra reale natura.

Si va orgogliosi d’aver investito nelle università e di diffondere l’istruzione. Tuttavia questi centri di alta formazione non hanno prodotto nemmeno una dottrina in accordo con i principi dei nostri antichi ṛṣi. Non solo hanno fallito in questo, ma hanno anche sperperato il lascito di quei saggi antichi, disprezzandone i pensieri come fossero estranei alla scienza in quanto non riconducibili al dominio dei sensi e avulsi dalla quotidianità della vita.

Recentemente, lo studio del Vedānta è decaduto per varie ragioni. Alcuni indiani, affascinati dalla civiltà dell’Occidente moderno, e desiderando imitarlo ciecamente in tutto, adottano non solo le sue abitudini alimentari, il suo vestiario, i suoi giochi e il suo modo d’interagire. Sono tanto infatuati e presi dallo studio delle sue lingue, letterature e filosofie, da dimenticare che esiste una loro cultura propria. Lo studio di śruti, smṛti, purāṇa è stato abbandonato da parte delle classi emergenti, rimanendo solo presso a quei pochi a cui è stato trasmesso per svolgere una funzione tradizionale nella società.

Pur in tanto deplorevole stato, in India si sono cominciati a vedere segni di un certo risveglio. Gli hindū che si erano occidentalizzati stanno aprendo gli occhi, interessandosi di nuovo alla cultura tradizionale. Sono apparsi molti studi sul Vedānta e su altri argomenti in lingue occidentali, in sanscrito e anche nelle varie lingue locali. Quindi adesso molti si rendono conto che il Vedānta non è affatto inferiore alle filosofie occidentali; anzi, è più elevato e più profondo.

Tuttavia ciò non è abbastanza. Gli hindū dovrebbero essere orgogliosi di questa conoscenza spirituale che è il tesoro dell’India. Tutti dovrebbero convincersi che le verità del Vedānta sono necessarie all’umanità ora più che mai. Le basi più elementari del Vedānta dovrebbero essere insegnate a livello scolastico al fine di arginare e correggere la mentalità corrente.


  1. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” [Dante, Inferno, XXVI.119].[]
  2. ĪU 3.[]
  3. Con morte qui si intende l’adesione ai non-Sé considerati come una realtà. Perciò la discriminazione dei non-Sé conduce all’immortalità [N.d.C.].[]
  4. Proverbio inglese per descrivere una situazione esagerata e senza senso [N.d.C.].[]