Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja
14. La luce della Realtà
G. Natura della Pura Esistenza
Riassumiamo ora i risultati dell’indagine sulla Pura Esistenza. L’indagine si appoggerà sull’esperienza del sonno profondo.
82. Comuni errori sul sonno profondo
Possiamo affermare con certezza che ci sono più idee errate sul sonno profondo che sugli altri due stati. Non è esagerato dire che, se si capisce la natura di questo stato, si risolve il mistero della Realtà. Nonostante si sperimenti il sonno profondo ogni giorno, la gente non è interessata a capirne la reale natura. Si dà per scontato che il sonno profondo sia una specie d’assenza, perché quando si chiede «cos’è il sonno profondo?», si dice quanto segue:
- Il sonno profondo è uno stato senza la percezione dei sensi e la logica della mente. Non ci sono esperienze di felicità, dolore, avversione o di qualsiasi altro tipo di emozioni.
Commento: è sufficiente descrivere tutto quello che non c’è nel sonno? Non sarebbe più importante stabilire che tipo di stato sia? Se il sonno fosse semplicemente assenza di attività dei sensi e della mente e non ci fosse niente di positivo da ottenere in esso, perché ogni essere umano lo desidera ogni giorno?
- Durante il sonno profondo si rimane in un angolo remoto del mondo senza alcuna conoscenza di quest’ultimo; ma il mondo, legato a tempo, spazio e causalità, continua a cambiare come sempre, immemore di me e della mia relazione con esso.
Commento: ma può il mondo esistere di per sé senza di ‘me’? Abbiamo già discusso nel § 27 come il mondo della veglia sia confinato solo nello stato di veglia e quanto sia senza senso pensare che il mondo possa esistere senza lo stato di veglia. Inoltre, quando consideriamo il mondo come esistente al di fuori del sonno profondo, non lo stiamo considerando forse come una nicchia, una recinzione o uno spazio limitato? Il sonno profondo è solo un’esperienza e non una cosa localizzata nel tempo e nello spazio. Non è forse un errore immaginare divisioni fuori e dentro quello stato?
- Quando dormo, qualcun altro può continuare a esistere nello stato di veglia e può anche confermarmi, dopo il mio risveglio, la continuazione dello stato di veglia. Quindi, quando sono addormentato, il mondo deve continuare a esistere.
Commento: questa nota è corretta dal punto di vista empirico. Tuttavia, questo punto di vista non ci aiuta a capire la Realtà. L’io, gli altri e tutta la gente appartengono alla veglia. È esatto riferirsi a loro e ai loro punti di vista. Ma se guardo dall’esperienza del sonno profondo, dove sono io e dove sei tu durante il sonno?
- Ma non è forse vero che si vede lo stesso mondo dopo essersi svegliati?
Commento: quando ci si risveglia dal sonno profondo e si vede il mondo, come si può sapere se siamo nel mondo della veglia o in quello del sogno? Perché non c’è differenza tra la veglia e il sogno mentre li si sperimenta. Anche in sogno si ha la sensazione di vedere lo stesso buon vecchio mondo che continua nel tempo senza inizio. Non si pensa che sia nuovo e mai visto prima. Tuttavia, non accettiamo la realtà del mondo del sogno per il fatto che appare tale. Quindi, perché c’è questo pregiudizio in favore del mondo della veglia? Perché l’equivalenza di entrambi gli stati appare essere un errore. Quindi il pensiero che c’è un mondo fuori del sonno non è utile per determinare la Realtà. Perciò il punto di vista per cui noi stiamo dormendo in un angolo del mondo non è logico.
- Il sonno è uno stato di riposo per alleviare la fatica accumulata nella veglia.
Commento: anche questo non è esatto, perché il pensiero che il corpo e i sensi logorati e stanchi nella veglia continuino a esistere nel sonno è parte della stessa credenza che il mondo della veglia esista nel sonno profondo: quindi è illogico. La conclusione di questa indagine è che il sonno profondo appare come assenza perché noi lo guardiamo dal punto di vista della veglia o del sogno. Di fatto, il sonno non è né assenza di sogno e veglia né è uno stato in cui i sensi e la mente non sono in funzione o a riposo. È anche sbagliato che ci sia un mondo fuori del sonno. Tutti questi sono errori sul sonno profondo causati dal punto di vista della veglia.
83. Il sonno profondo è Pura Esistenza
Domanda: qual è la reale natura del sonno profondo?
Risposta: il sonno profondo non è affatto uno stato. Se il significato della parola ‘stato’ è preso come qualcosa che dura per un certo periodo di tempo, allora il sonno profondo non è uno stato perché non c’è tempo quando lo si sperimenta.
Domanda: possiamo intendere che il significato sia ‘il modo in cui la Realtà ci appare in uno stato’ come discusso nel § 39?
Risposta: anche in questo senso il sonno profondo non può essere uno stato, dato che in esso non appare nulla.
Domanda: allora il sonno profondo significa solo non esistenza?
Risposta: no, perché noi lì ‘siamo’. In altre parole il Sākṣin, che è la nostra natura essenziale, esiste nel sonno profondo perché siamo in grado di pensare ad esso e di parlarne.
Domanda: se nel sonno si esiste, perché lì non c’è coscienza di io?
Risposta: in sonno profondo non si è nella forma di io. La nozione di io è relativa a quella di tu, egli e gli altri. Non c’è possibilità di tali divisioni e differenze, perché esse richiedono tempo e spazio che non esistono affatto nel sonno. Noi vediamo la veglia e il sogno attraverso l’intuizione universale indivisa, e attraverso lo stesso Sākṣin osserviamo anche il sonno profondo. È un errore dire che conosciamo il sonno. Né c’è alcun oggetto di conoscenza che debba essere conosciuto. (BU IV.3.30).
Domanda: ma noi dichiariamo che lì non abbiamo conosciuto niente: la nostra esperienza è questa.
Risposta: questa affermazione è fatta dallo stato di veglia per mettere il sonno profondo in contrasto con l’esperienza divisa in soggetto e oggetto. Dato che non c’è alcun oggetto che debba essere conosciuto, non c’è nemmeno alcun soggetto. È solo un’affermazione secondaria e intrisa di pregiudizio della veglia che l’Ātman, che è il Sākṣin, il Testimone di anātman negli altri due stati, sia anche il Sākṣin dell’assenza di anātman nel sonno profondo. Come una lampada illumina l’oggetto posto davanti a essa o la sua assenza, così anche l’Ātman è detto in un certo senso Testimone della assenza in sonno profondo. Tuttavia, visto dall’esperienza del sonno profondo, non possiamo dire che l’Ātman lì veda la presenza o l’assenza di qualcosa, perché non c’è possibilità di presenza o assenza di una seconda cosa. Quindi il Sākṣin non è nemmeno il Sākṣin,ma solo Pura Esistenza. In conclusione, il sonno profondo altro non è che Pura Esistenza.
84. Nella Pura Esistenza non c’è divisione di manifestato e non manifestato, cambiamento e assenza di cambiamento
Domanda: cosa accade al mondo durante il sonno profondo?
Risposta: dato che il mondo è confinato nel suo stato non può essere né dentro né fuori al sonno profondo, dove non c’è problema di tempo e spazio né di interno ed esterno (Cfr. § 82). Essendo Pura Esistenza, si stabilisce che lì, nel sonno profondo, non c’è altro da esso.
Domanda: la śruti dice che il mondo s’immerge nella Pura Esistenza. Perciò rimane lì nell’esistenza.
Risposta: anche questo insegnamento della śruti è solo dal punto di vista empirico, perché il mondo è solo Pura Esistenza e non qualcosa di differente dall’esistenza, come se ne venisse fuori o le fosse associato in qualche modo. Poiché il mondo è una rete intessuta con i fili di tempo, spazio e causalità, non ha senso dire che, come un tutto, vada o venga da qualche parte. Il mondo che vediamo come individui conoscenti (pramātā), sembra essere diviso in parti collocate nel tempo e nello spazio ed esse si possono muovere da uno spazio a un altro e cambiare forma. Ma preso come un tutto, non può cambiare o muoversi, perché non è localizzato nel tempo e nello spazio. Quindi non ha senso dire che entri o esca dal sonno profondo che è Pura Esistenza. Il mondo non è differente dallo stato nel quale appare e lo stato non è differente dalla Pura Esistenza. Quindi il mondo non è altro che Pura Esistenza. Per questa ragione Gauḍapāda afferma:
Se il mondo fosse realmente lì, ci sarebbe un pensiero del suo andar via. Ma l’intera dualità è solo una falsa apparenza e quindi in realtà c’è solo non dualità, vale a dire Pura Esistenza (MUGK I.17).
Non c’è relazione di causa ed effetto tra la Pura Esistenza, cioè il sonno profondo, e gli altri stati. Ciò significa che il mondo non è differenziato in veglia e in sogno né che è invisibilmente nascosto, cioè indifferenziato, nel sonno profondo. Il mondo differenziato in manifestato e non manifestato (vyāktāvyākta) è in realtà solo l’Ātman senza secondo, Pura Esistenza.
Domanda: ma proprio la śruti dice che il mondo è nato da Ātman. Come si spiega?
Risposta: è vero che la śruti dice così, ma è solo un’affermazione che ha due scopi: il primo vuole intendere che ciò che è nato da Ātman è solo Ātman, proprio come tutto ciò che è nato dalla creta è solo creta. Inoltre, il mondo falsamente immaginato sull’Ātman non è differente dall’Ātman proprio come un serpente falsamente immaginato su una corda. A sostegno ci sono le seguenti citazioni:
Come la corda, la cui reale natura è sconosciuta, nella penombra è immaginata come fosse un serpente, una fessura nel terreno ecc., così è immaginato l’Ātman (MUGK II.17).
Da quando si rivela la vera natura della corda, tutte le illusioni sovrapposte alla corda scompaiono e, simultaneamente, affiora la certezza che non vi è là nient’altro che la corda; questa è la natura della conoscenza dell’Ātman (MUGK II.18).
Le affermazioni della śruti sulla manifestazione com’è illustrata dagli esempi dell’argilla, del ferro, delle scintille o da simili analogie, hanno l’unico scopo di spiegare l’identità [del jīva e del Brahman]; invero la molteplicità non esiste in alcun modo. (MUGK III.15)
Il sūtra che precede confuta la supposizione, avanzata per amor di discussione, secondo cui ci sarebbe una differenza empirica tra il fruitore e le cose fruite, come si può osservare nell’esperienza comune. In realtà, questa differenza non esiste, poiché si riconosce che non c’è differenza tra causa ed effetto. L’effetto è il mondo, diversificato come spazio ecc. e la causa è il Brahman supremo. In realtà è noto che l’effetto ha una non-differenza, cioè una non-esistenza se considerato isolatamente da quella causa (BSŚBh II.1.14).
Alcuni credono fermamente che il mondo sia nato. Il secondo scopo è quello di insegnare ai sādhaka il metodo della creazione del mondo per aiutarli a praticare l’upāsanā per avvicinare la realtà con un lungo percorso. La seguente citazione lo convalida:
Ci sono tre fasi della vita che corrispondono a tre gradi di comprensione, quello inferiore, il mediano e il superiore; è per compassione che la śruti ha insegnato questa disciplina in favore di quegli non illuminati. (MUGK III.16).
La nostra indagine sulla Realtà non comprende l’upāsanā, perché questa è qualcosa che deve essere praticata attivamente solo sulla base della fede. Questo sarebbe un argomento da discutere separatamente per mostrare come anche questo conduca, con un lungo percorso, verso la Realtà1.
La vera Realtà è che nessun mondo è nato. Altre citazioni lo sostengono:
Non c’è né dissoluzione né morte né saṃsāra né aspiranti alla conoscenza né cercatori della Liberazione né liberati: ecco la verità assoluta! (MUGK II.32).
Si dovrebbero studiare le Kārikā di Gauḍapāda per capire la dottrina della non nascita (ajatavāda), che afferma che solo Ātman nella forma di Pura Esistenza è veramente reale e non che una cosa detta ‘mondo’ sia nata da esso. Quindi la conclusione ultima (uttama,) per cui la relazione causa-effetto è totalmente falsa, sarà stabilita dalla intuizione universale. Anche Śaṃkara ha espresso lo stesso punto di vista in vari passaggi nel Brahma Sūtra Śaṃkara Bhāṣya (II.1.14) e nel commento alla Taittirīya Upaniṣad (II.6) e altri ancora. La conclusione è che la Pura Esistenza è né manifestata né non manifestata, né mutevole né non mutevole e che il manifestato e il non manifestato, il mutevole e il non mutevole sono tutte solo false apparenze immaginate dal punto di vista della veglia.
85. La Pura Esistenza non è oggetto né soggetto
Domanda: quando tutte le proprietà o attributi sono rimossi da un oggetto, rimane solo la nuda Esistenza. È questo il significato di Pura Esistenza?
Risposta: no. Perché quando tutte le proprietà sono rimosse, la Pura Esistenza non può essere vista come un oggetto. Non solo, ma sarebbe un’immaginazione fantasiosa della mente come le corna della lepre.
Domanda: allora perché l’Ātman si chiama Pura Esistenza?
Risposta: poiché non ha alcuna proprietà, nessun pensiero della mente è capace di conoscerla. Il pensiero della mente può solo rilevare oggetti come sostanza (dravya), attributi, azione, genere, specie, relazione e assenza. L’Ātman non è affatto un oggetto. Quando Ātman appare come oggetti, stati, mondo e le cose nel mondo, esso appare anchecome soggetto-Sākṣin che illumina tutti questi.
Domanda: quindi, l’Ātman lo chiamiamo solo Sākṣin?
Risposta: no, non possiamo chiamarlo Sākṣin; perché nella sua propria natura, che noi chiamiamo comunemente sonno profondo, egli non esiste né come oggetto né come soggetto, ma come base di entrambi. È solo sul sostrato di questa Pura Esistenza chiamato Ātman che il soggetto e l’oggetto appaiono sempre connessi, come il rebbio della forchetta, sia nella veglia sia nel sogno e diventa indivisibilmente unito nel sonno profondo.
86. La Pura Esistenza non è vuoto né è creata da qualcosa
Domanda: se la Pura Esistenza non è un pensiero né una parola, allora è nulla (śūnya).
Risposta: no, perché è la nostra essenza o Realtà interiore. Anche la parola sanscrita partyagātman ha tale significato.
Questo è lo stesso Ātman a cui la śruti si riferisce nei seguenti termini:
Questa è la Verità, questo è il tuo Ātman, tu sei Quello (ChU VI.8.7).
La prova, per affermare che la Pura Esistenza è il nostro Ātman, è la nostra esperienza sempre esistente che conosce tutti e tre gli stati come appartenenti a se stessa in quanto ‘sono io che ho dormito, ho sognato e mi sono svegliato’. Questo perché solo la Pura Esistenza esiste nei tre stati come loro Testimone. Possiamo eliminare qualsiasi cosa estranea a noi, ma è impossibile eliminare da noi l’Esistenza. Quando si esaminano con la riflessione i tre stati, si riconosce che ogni cosa ha come sua esistenza solo la Pura Esistenza. Ogni cosa viene dalla Pura Esistenza, ma essa non è originata da alcunché. L’autore del Bhāṣya così dichiara:
Non è possibile immaginare che la Pura Esistenza possa essere venuta da qualcos’altro; perché essa non ha alcuna nascita. Non ha alcun senso dire che la Pura Esistenza sia nata dalla Pura Esistenza. La Pura Esistenza non può nemmeno essere nata da una esistenza particolare, come l’esistenza dello stato o del mondo o delle cose nel mondo; perché tale nascita è contraria all’esperienza. La nostra esperienza mostra che tutte queste esistenze particolari sono nate dalla Pura Esistenza e non viceversa. Non è nata dal vuoto (śūnya) perché il vuoto stesso non esiste. Perciò il Sat, la Pura Esistenza, non è nato da nulla (BSŚBh II.3.9).
Quindi non c’è alcun ragionamento per dimostrare che la nostra intuizione immediata, il nostro Ātman o Pura Esistenza, che possiamo sperimentare direttamente, sia irreale o vuoto.
87. L’Esistenza è Coscienza e Beatitudine
Solamente con l’illuminazione del Sākṣin, che è anche la Coscienza, si stabilisce ogni esistenza. Essendo il nostro proprio Ātman,è la più cara tra le cose care. Perciò è anche della natura di Felicità. Quando si cerca l’assoluta Esistenza, la si trova nel proprio sonno profondo come Esistenza. È naturale aspettarsi che sia anche Coscienza e Felicità. La nostra aspettativa fortunatamente non è delusa, dato che la Pura Esistenza nel sonno profondo è capita con il Sākṣin anubhava, il che implica che l’Esistenza è anche Coscienza. Nell’esperienza ‘io finora stavo dormendo e non conoscevo nulla’, ci sono tre punti da considerare: io esistevo nel sonno, esistevo come coscienza e non c’era null’altro che coscienza. Questo implica non solo che io esistevo nel sonno senza alcun attributo, divisione, differenza, ma anche che ero Pura Coscienza senza capacità di conoscere e senza oggetto di conoscenza. Il desiderio per il sonno senza sogni e il piacere di ricordarlo dopo essersi svegliati espresso dalla frase: «Ho dormito bene senza alcun disturbo» è una prova sufficiente per mostrare che la nostra natura è Felicità senza alcuna relazione e limitazione di fruitore e fruito.
Così capiamo quanto importante sia l’indagine sul sonno profondo, perché possiamo stabilire tutte e tre le nature di Ātman con la sua sola esperienza.
4. La Reale Natura della Coscienza
A. Ātman è la reale natura della Coscienza
88. L’importanza dell’indagine sulla natura della Coscienza
Tale indagine è molto importante per tutti, perché la Coscienza è proprio il mezzo con cui la si conduce. Quello che si sta cercando è la conoscenza della verità. Non è una esagerazione quando i vedāntin dicono che solo la conoscenza della Realtà è la Liberazione, e la riflessione sulla natura della conoscenza o coscienza è per loro vitale.
Si è già visto nei precedenti capitoli che Ātman è la Pura Esistenza. Su quali prove si basava ciò? Certamente sulla base della nostra esperienza intuitiva che è la Coscienza.
Se l’Ātman fosse stato Pura Esistenza senza essere anche Coscienza, che valore avrebbe avuto per la Pura Esistenza? Nulla, perché l’esistenza dipende dalla Coscienza per essere quello che è.
Ciò che l’uomo ama di più è la sua vita e questa vita consiste in cambiamenti ed esperienze. Per esempio si compiace e si delizia, sopraffatto dalla gioia, quando guarda la bellezza del mondo attorno a sé. Interagisce con le persone che appaiono essere nel mondo proprio come lui. Cerca di acquisire ciò che gli piace ed evita ciò che gli dispiace. Per compiere questi atti ed esperienze è necessaria una certa ‘vitalità’. Questa ‘vitalità’ è invero coscienza. Senza la coscienza tutto quello sarebbe un nulla. Inoltre, la persona non avrebbe né identità di se stesso né sentimenti di amore e odio, gioia e dolore. La vita senza coscienza non avrebbe senso. A causa di tutte queste ragioni la conoscenza o coscienza ha un posto preminente nella nostra indagine. Sarebbe meglio che si indagasse la reale natura della conoscenza prima di investigare quella dell’esistenza, perché la coscienza ci è più vicina di qualsiasi altra cosa. Inoltre, siamo in grado di connettere qualsiasi cosa attraverso la coscienza. Possiamo spiegare la nostra indagine sull’aspetto dell’Esistenza in questo modo:
‘L’uomo per sua propria natura è estroverso. È naturale per lui pensare che il mondo sia a lui esterno e gioire della sua bellezza, varietà e gloria. Rara è la persona che scopre profondamente in sé la presenza della coscienza a causa della quale può vedere ogni cosa e compiere ogni tipo d’attività’ (KUŚBh II.1.1).
È a quest’uomo che prima era estroverso, che viene la conoscenza di soggetto, oggetto, esistenza e coscienza. Prima egli pensava che la conoscenza sorgesse a causa dell’oggetto; poi egli capisce che la conoscenza non dipende dall’oggetto, ma che essa illumina l’oggetto. Seguendo la naturale inclinazione della mente umana, prima si rifletta sull’esistenza; poi si proceda con l’indagine sulla reale natura della conoscenza.
89. Due opinioni sulla conoscenza
Domanda: che cos’è la conoscenza?
Risposta:
1) A uno sguardo superficiale pare che: a) anche se la conoscenza è in noi, abbia bisogno di un oggetto esterno su cui appoggiarsi; b) la conoscenza (percezione) sorge e scompare; c) anche quando appare, cresce o decresce; d) sembra proiettarsi di tanto in tanto dal corpo, rimanendo una sua proprietà.
2) Osservando più profondamene, si capisce che la conoscenza dovrebbe essere una entità indipendente, perché un oggetto è visto quando essa lo illumina. Basandosi su queste due opinioni, sono sorte due scuole filosofiche: quella dei realisti, che sostengono che gli oggetti sono reali e che la conoscenza sorge in qualche modo da questi, e quella degli idealisti, che dicono che la conoscenza è un’entità che appare indipendentemente in noi, e che noi possiamo conoscere gli oggetti fisici solo grazie a essa. Quelli che sostengono il primo punto di vista sono i materialisti indiani, i materialisti storici, i logici e gli scienziati moderni. Al secondo si riferiscono i buddhisti.
90. Il realismo: la coscienza è proprietà della materia
I materialisti indiani, detti cārvāka o lokāyata, pensano che la percezione sia l’unico mezzo di conoscenza. Sostengono che respirare, correre, conoscere siano tutte proprietà del corpo, sperimentate in esso.
Domanda: se è un prodotto della materia, perché nelle cose materiali non troviamo la coscienza?
Risposta del materialista: è vero che noi non la troviamo, ma quando le cose materiali formano il corpo o si trasformano in esso, in un certo modo in esse sorge la coscienza. È un errore pensare che la coscienza sia un’entità indipendente o una proprietà di un qualcosa, chiamato Ātman,che non è il corpo, perché non c’è alcuna prova di ciò. Oggi in India questa corrente non è più presente; tuttavia, molti filosofi occidentali sostengono più o meno questo punto di vista. Fra loro ci sono diverse opinioni. Per esempio:
– la coscienza è una proprietà che esiste solo negli esseri umani;
– è una proprietà che esiste negli esseri umani e solo negli animali superiori che hanno un sistema nervoso e organi di senso;
– esiste in tutti gli animali;
– esiste in tutti gli esseri viventi, incluse le piante;
– esiste in ogni cellula dei corpi viventi;
– è una proprietà basica di tutti gli atomi.
91. L’idealismo: la coscienza è indipendente dall’oggetto
Scuola sautrāntika (rappresentazionismo o idealismo oggettivo).
Sebbene sia la coscienza interna che conosce l’oggetto esterno, quest’ultimo non può essere percepito direttamente perché è momentaneo e quindi non presente al momento della percezione. Esso lascia un’impressione nella mente prima di scomparire. Basandosi su quest’idea si deduce la sua presenza all’esterno. È vero che la percezione del fuoco nella cucina è diversa da quella della sua deduzione sulla montagna, ma entrambe sono solo deduzioni2. L’unica differenza è che il fuoco nella cucina lascia l’idea direttamente nella mente, mentre il fuoco sulla montagna lo fa attraverso il fumo. Quindi la prima è chiamata percezione e la seconda deduzione. In tal modo si può dare una spiegazione ragionevole alla differenza tra i due tipi di conoscenza. Questa è la posizione della scuola sautrāntika, per cui il suo punto di vista non sarebbe contro l’esperienza. In base al tipo d’impressioni o idee che l’oggetto esterno lascia nella mente si determina se si tratta di percezione o deduzione; tale teoria, quindi, sarebbe indiscutibile.
Scuola vijñānavāda (o yogacara, idealismo soggettivo).
L’idealismo vijñānavāda non è d’accordo con il punto di vista rappresentazionista: se tutte le nostre attività sono soltanto compiute con le mutevoli forme della mente o coscienza, perché immaginare la presenza di reali oggetti esterni diversi dalle forme di coscienza? Perché non accettare che la coscienza assume proprio le forme degli oggetti?
Risposta del sautrantika: la coscienza non può assumere varie forme, come giallo, nero ecc., senza ricevere uno stimolo dall’oggetto esterno veramente esistente.
Vijñānavādin:
- No, non si richiede alcuno stimolo esterno. Per esempio nel sogno si vedono diversi oggetti; tutti sono d’accordo che lì non c’è nulla di esterno alla coscienza. Dall’esempio del sogno si stabilisce chiaramente che la coscienza assume forme di vari oggetti, chiamati pensieri, solo a causa di impressioni passate e senza alcun oggetto esterno. È quindi ragionevole affermare che la veglia è un caso paragonabile.
- Anche chi accetta la realtà di oggetti esterni ammette che devono essere sperimentati solo nella coscienza e non al di fuori di essa. Nessuno ha mai visto un oggetto nero separato dalla cognizione d’un oggetto che sia di colore nero. Se l’oggetto è altro dalla sua conoscenza, esso dovrebbe esistere indipendentemente dalla sua conoscenza. Ma non è così.
- Cosa significa ‘oggettivazione tramite conoscenza’? Significa solo una forma che sorge nella coscienza. Quindi ciò significa che un oggetto è solo una forma di coscienza. Altrimenti, se l’oggetto fosse differente e indipendente da essa, non ci sarebbe alcuna relazione tra oggetto e forma di coscienza. Quindi, qualsiasi cosa potrebbe diventare oggetto di qualsiasi conoscenza; ma nessuno accetta questa posizione; perciò si stabilisce che la coscienza conosce la sua forma, non essendoci alcun oggetto separato dalla forma di coscienza. Questo è il punto di vista degli idealisti vijñānavādin.
Il punto di vista dei Naiyāyka sulla percezione si è gradualmente avvicinato all’idealismo vijñānavāda; così anche in Occidente, il punto di vista dei realisti ha gradualmente ceduto all’idealismo. È utile conoscere questo più in dettaglio.
- Come gli indiani, anche i filosofi occidentali, inizialmente spiegavano la percezione con il solo oggetto. I fisiologi sostenevano che la luce riflessa dagli oggetti colpisce la retina e che la sensazione viaggia attraverso il nervo ottico per giungere al cervello.
- Altri sostennero che la mente è diversa dal cervello. La coscienza non sarebbe allora una semplice reazione del cervello allo stimolo esterno, ma quando lo stimolo passa attraverso il cervello e raggiunge la mente, allora sorge la coscienza. Sebbene accettino l’oggetto esterno come reale, il loro punto di vista è simile ai nostri sautrantika. Affermano che le cose che conosciamo dal contatto con l’oggetto esterno sono solo sensazioni di tatto, gusto, udito, vista, olfatto. Dato che istintivamente si crede che queste sensazioni siano prodotte nei sensi o nella mente dal contatto con gli oggetti esterni, esse sono le rappresentazioni di questi oggetti. Noi non li conosciamo direttamente, ma solo li deduciamo attraverso la sensazione da essi prodotta. Questa è detta ‘teoria della percezione rappresentativa’ (pratīkapratyakṣavāda). È chiaro che gli oggetti sono dedotti dalle sensazioni e da questo punto di vista costoro, come i buddhisti sautrantika,li deducono dalle forme di conoscenza.
- Scendere a questo livello è sufficiente per aprire la porta all’idealismo, perché se tutto ciò che noi conosciamo sono solo sensazioni, allora non c’è alcuna prova al di fuori di esse per l’esistenza indipendente degli oggetti esterni. Quindi, non abbiamo nessuna base né per dire che le sensazioni sono prodotte dagli oggetti esterni né per conoscere che le sensazioni sono le rappresentazioni degli oggetti. Ciò che la mente conosce sono solo le sue forme e pensieri. Tutte le funzioni della mente, come conoscere, ricordare, immaginare ecc., sono solo pensieri e null’altro. Poiché ciò che è oggettivato sono solo sensazioni, ogni gruppo di sensazioni è chiamato ‘oggetto’. Questo è l’inizio dell’idealismo.
92. Errori del realismo e dell’idealismo
Gli idealisti e i realisti, accusando i loro reciproci errori, modificarono variamente le loro idee fondamentali. Di conseguenza si sono divisi in diversi rami, sovrapponendosi e combinandosi tra loro.
Tralasciamo la filosofia occidentale, per noi non rilevante, e ritorniamo al problema della coscienza cercando i difetti di queste due correnti.
- Qual è la natura della coscienza? Sebbene abbiano discusso sull’oggetto di conoscenza, esterno per i realisti, interno per gli idealisti, non sono arrivati a spiegare il nocciolo di tutte le conoscenze: vale a dire la coscienza. Se essa è una, come sorgono le variazioni causate da stimoli o ragioni interne, cioè le varie conoscenze che, prima, in essa non esistevano? Senza una coscienza soggiacente a tutte le conoscenze e pensieri, come possiamo sperimentare o conoscere di avere avuto prima una particolare conoscenza? Se le conoscenze individuali non sono concatenate, la precedente non può essere ricordata e, quindi, non c’è la possibilità di ricordo e del senso del tempo.
- Come avviene la conoscenza o coscienza? Sebbene ne diano diverse spiegazioni, nessuna è soddisfacente. I logici indiani e i moderni fisici sostengono che la conoscenza dell’oggetto avviene solo al contatto dei sensi. Vediamo come:
a) i Naiyāyka dicono che la percezione avviene quando l’Ātman entra in contatto con la mente, la mente con l’organo di senso e infine con l’oggetto;
b) i fisiologi dicono che quando la luce riflessa dagli oggetti raggiunge l’occhio, colpisce i nervi ottici e attraverso quelli va al cervello che percepisce l’oggetto.
Ci sono alcune domande da rivolgere a entrambi:
a) le sensazioni e i pensieri sorgono in noi. Il punto non è come sorgano, ma se siano dentro di noi e non oggetti esterni. Non si capisce di aver avuto una sensazione o un pensiero, perché noi capiamo direttamente l’oggetto come ‘questa è una pietra, questo è un albero’;
b) se non c’è una diretta connessione tra noi e gli oggetti perché avviene la conoscenza per cui questo è un tale oggetto?
c) Sebbene la mente, il cervello e i sensi intervengano tutti tra noi e l’oggetto, perché abbiamo una conoscenza solo dell’oggetto direttamente e non delle cose che intervengono?
Le domande che seguono sono rivolte agli idealisti:
a) se il cervello, gli organi di senso e gli oggetti sono tutti solo coscienza, com’è che conosciamo ognuno di questi distintamente, invece di conoscere solo una coscienza?
b) Come conosciamo con la mente le cose che sono esterne alla mente?
c) Quando conosciamo le cose esterne, non siamo consapevoli dei cambiamenti in noi che, invece, i filosofi dicono avvenire (come il contatto dei sensi, mente ecc.).
- Alcune altre domande a proposito del realismo.
a) È esperienza comune che la percezione avvenga nei termini di: «Ora io vedo questo oggetto esterno». Qual è la prova per dire che ciò che pensiamo essere esterno alle nostre sensazioni e pensieri sia realmente lì? Se non c’è alcuna prova, che valore ha la nostra credenza in un’esteriorità?
b) I realisti non possono portare alcuna prova per l’esistenza esterna degli oggetti o della loro capacità di colpire la mente.
c) Se ci fosse una qualche prova, ci sarebbe un’ulteriore domanda: perché tutti gli oggetti esterni non colpiscono la mente simultaneamente?
d) Non possiamo vedere direttamente l’intervento di organi, nervi, cervello ecc. e credere alle spiegazioni non in linea con gli śāstra.
e) Anche se accettiamo tutto questo, non possiamo essere sicuri che la nostra comprensione degli oggetti esterni sia corretta, dopo che i loro dati sono passati attraverso così tanti filtri.
- Obiezioni del realismo all’idealismo.
Idealista: per sfuggire a questi problemi, la soluzione è accettare che tutte queste idee siano solo coscienza.
Realista: se c’è una sola coscienza, come avviene la divisione tra soggetto e oggetto? Perché abbiamo l’esperienza ‘Io conosco questo’, se tutto questo è solo coscienza? Se non ci fossero altri oggetti se non la coscienza, perché vediamo la varietà di cose come ‘nero, giallo, duro e morbido, lontano e vicino, sferico e piatto ecc.’? Se tutto ciò è della natura di coscienza, perché non lo sperimentiamo come tale?
Idealista: a causa dell’illusione.
Realista: perché anche la coscienza non è solo illusione?
Idealista: la coscienza è materia d’esperienza e quindi non la puoi chiamare illusione.
Realista: anche gli oggetti sono nella nostra esperienza. Su che basi rifiuti gli oggetti che sono materia di esperienza di tutti?
Idealista: credere alla presenza di sensi, nervi ecc. sulla parola altrui non è giusto.
Realista: in tal caso come puoi perfino credere all’esistenza degli altri?
Idealista: no, nemmeno gli altri esistono.
Realista: essendo un solipsista (ekajīvavādin), chi stai cercando di convincere con la tua argomentazione, se non c’è nessun’altra persona? Così il realista carica di obiezioni l’idealista.
Qui si presenta un dubbio a proposito dell’io.
Nell’esperienza ‘Io conosco questo’, l’io, che è la base della coscienza, è un’entità separata o è tutto uniformemente solo coscienza? Su questo problema, non c’è accordo tra i filosofi. I nostri logici indiani sono ātmavādin, cioè sostengono che c’è un Ātman che è altro dai sensi e dalla mente. Quindi dicono che la coscienza è la proprietà dell’Ātman e nell’esperienza ‘Io sono cosciente di’, io è l’Ātman. Tuttavia anche la loro dottrina non è priva di imperfezioni perché, sebbene ci sia l’esperienza ‘Io conosco’, la verità dell’io, cioè del possessore della conoscenza, è ambigua e quindi non è adatta all’indagine. Se l’io non è un oggetto come il vaso né un soggetto come la conoscenza; allora che cos’è? Non possiamo immaginare una cosa che non sia né soggetto né oggetto.
93. L’indagine sulla coscienza richiede un punto di vista comprensivo
Il realismo e l’idealismo non possono sostenersi da soli. Per il realista il mondo esterno è ogni cosa; quindi, in un certo modo, cerca di trarre la coscienza da esso. La mente è tutto per l’idealista, quindi egli vuole che sia essa a produrre gli oggetti.
Il realista è incapace di spiegare la relazione tra oggetto e mente, la produzione di una conoscenza perpetua, l’esistenza indipendente degli oggetti esterni e la loro capacità di inviare stimoli che diventano percezioni.
L’idealista è incapace di spiegare l’apparizione delle forme nella coscienza e come le forme che appaiono siano solo della natura di coscienza.
Quindi la sola base per entrambi è la speculazione.
Sebbene abbiano alcune argomentazioni a loro sostegno, entrambi i punti di vista sono limitati perché nessuno dei due spiega cos’è la coscienza. Ciò nonostante, da queste due teorie emerge una conclusione. Entrambe, senza tener completamente d’acconto l’esperienza, sono ricorse solo a una parte dell’esperienza, essendo il resto solo immaginato. In tutte le nostre esperienze mondane ordinarie, fra la coscienza e l’oggetto, l’uno non può venire alla nostra esperienza senza l’altro. Invece questi filosofi vanno contro la normale esperienza universale e cercano di separare tra loro l’oggetto e la sua conoscenza e di stabilire l’uno indipendente dall’altro. Questo non solo conduce a discussioni veementi, ma diventa anche un ostacolo per capire la vera natura della coscienza. Quindi, ciò che dobbiamo apprendere da tale disputa è che si devono abbandonare i metodi d’indagine che dividono la Suprema Realtà in due; al contrario si deve adottare una visione comprensiva dei tre stati per poter vedere la verità.
94. Il modo corretto per esaminare il soggetto e l’oggetto
L’ostacolo per accertare la verità dell’oggetto, come pure la coscienza di esso, è dovuto al fatto che lo si esamina senza distaccarsene. È evidente che un agente non può testimoniare la propria azione e un testimone non può agire. Tuttavia si vuole determinare la natura della coscienza solo come quella che troviamo mentre siamo in veglia. Questa è la ragione delle difficoltà che abbiamo rilevato sopra. Invece, se abbandoniamo questa erronea linea d’indagine e usiamo il punto di vista dell’intuizione universale, che vede lo stato come un’entità inclusivo dell’oggetto e della sua conoscenza, le nostre difficoltà svaniranno come nebbia al sole. Si può vedere, invece, che il mondo oggettivo, corpo, sensi, mente, intelletto e l’ego soggettivo, cioè l’intero stato di veglia, diventa oggetto della coscienza che, in tal modo, è il Testimone dell’intero stato. Dobbiamo ricordare ciò che abbiamo già stabilito, cioè che il mondo, il corpo e i sensi della veglia sono tutti confinati nello stato di veglia e non possono uscire da tale stato. Quindi immediatamente si fa luce nella mente che il soggetto e l’oggetto dello stato di veglia sono entrambi oggetti della nostra intuizione.
95. Il Testimone è l’unico soggetto: gli altri sono soggetti apparenti
Vediamo ora come la coscienza di veglia appare alla visione interiore dell’intuizione. Gli oggetti esterni sono oggettivati dai sensi; quindi i sensi sono il loro soggetto. I sensi sono illuminati dalla mente, quindi i sensi sono oggetti e la mente è il loro soggetto. Chi è il soggetto di questo intero mondo e della mente? Ossia, chi conosce l’intero stato? È la nostra essenza interiore, il Testimone (§ 51), il soggetto dell’intero stato. C’è qualcos’altro che conosce il Sākṣin? Sulla base della nostra esperienza, nessun altro conosce il Sākṣin. Conoscere il Testimone non ha alcun senso; non ce n’è alcuna necessità in quanto è la nostra stessa natura interiore. Per questa ragione nessuno dubita mai della Coscienza-Testimone, il Sākṣin anubhava, l’intuizione universale. Questa intuizione-Testimone è la più alta coscienza in noi. La conoscenza sorge solo per il contatto con l’oggetto di conoscenza. Più vicino è il contatto, più vicina è la coscienza. Per esempio, la coscienza di un oggetto che sta proprio davanti è più valida di quello che sta in un posto o in un tempo remoto. Per la stessa ragione, la nostra coscienza dei sensi è interiore e più chiara di quella dell’oggetto esterno. Similmente, ancora più chiara è la coscienza della mente. Vista in questo modo, possiamo dire che la coscienza della natura del Testimone è la più immediata e la più chiara. Non lo si può mai perdere né può essere separato da noi. Dunque, l’auto evidente coscienza, che non dà adito ad alcun dubbio, è il Sākṣin ed è solo con questo che ogni altra cosa è conosciuta. Quindi non c’è né qualcos’altro che lo conosce né c’è necessità di conoscerlo. I sensi e la mente diventano di volta in volta oggetti o soggetti, ma il Sākṣin è sempre solo soggetto. Perciò solo il Sākṣin è il soggetto primario e tutti gli altri sono oggetti.
96. Il Testimone dei tre fattori di conoscenza è la nostra Reale Natura
Proseguiamo con l’esame sulla natura della coscienza di veglia per capire come sia un oggetto del Sākṣin. La coscienza della veglia si sperimenta come ‘Io conosco questo’. Questa esperienza ha tre fattori: il conoscitore, la conoscenza e l’oggetto di conoscenza. Per conoscere gli oggetti si usano strumenti quali i sensi e la mente. L’io, il conoscitore, per esempio, usa l’occhio per conoscere un oggetto e da ciò nasce il frutto della conoscenza. L’oggetto può essere esterno, come un vaso, o interno come la sofferenza, la felicità ecc. In ogni modo, nessuna conoscenza avviene mai nella veglia senza questa triplice esperienza. In sanscrito questa triade è chiamata tripuṭi. Si conoscono gli oggetti esterni con i sensi e le sensazioni con la mente. Con cosa conosciamo l’intero stato che include la mente? È facile rispondere a ciò: non lo vediamo per mezzo di nulla, perché nulla s’interpone tra noi e lo stato. Dato che vediamo lo stato direttamente, i vedāntin chiamano la nostra essenza Sākṣin, il Testimone diretto.
97. Il Testimone è l’essenza della Coscienza
Generalmente si usano le parole coscienza ed esistenza senza chiedersi da dove venga la luce della coscienza che ci aiuta in tutte le attività della vita e quale sia la sua natura.
Sebbene gli uomini vedano le cose solo grazie alla luce, pensano agli oggetti senza prestare attenzione alla luce; così, sebbene vedano tutti gli oggetti solo nella luce della coscienza, la natura della coscienza rimane sconosciuta a causa della loro visione estroversa che considera soltanto gli oggetti (Upadeśa Sāhasrī XVI.5).
Accertiamo ora la sua natura:
- la luce esterna. Si compiono tutte le azioni e relazioni della vita durante il giorno con la luce del sole e di notte con la luce della luna, delle stelle o di una lampada;
- i sensi. Per captare la luce esterna sono richiesti gli occhi. Per quanto luminosa sia la luce esterna, essa non potrebbe illuminare alcunché a un cieco;
- mente. Per conoscere l’organo di senso, l’occhio, per esempio, è necessaria la mente, perché l’occhio non può vedere se stesso. Similmente, la vista è vista solo quando è assistita dalla mente. In altre parole, solo la mente vede la luce e gli oggetti esterni attraverso la finestra dell’occhio. Quindi il potere di illuminare l’oggetto non appartiene né agli oggetti né agli occhi, ma solo alla mente che illumina i due. Perciò solo la mente è la sede della luce della coscienza grazie alla quale appaiono tutti: occhi, luce e oggetti esterni;
- ulteriore indagine sulla mente: la mente è l’ultima coscienza o illumina grazie a qualcos’altro?
Consideriamo le teorie sull’argomento.
Idealista: ciò che l’idealista chiama coscienza è solo una forma della mente. In forza della comune esperienza summenzionata, cioè che niente può essere conosciuto senza la mente, essi arrivano all’affrettata conclusione che solo la mente è ogni cosa.
Vedāntin: è vero che ogni cosa è conosciuta solo attraverso la mente. Ma ‘ogni cosa’ include anche la mente? Quando la mente conosce ogni cosa, essa oggettiva tutto. Allora, anche la mente diventa un oggetto della mente?
Psicologo: pensando che la mente può essere studiata con la mente stessa, i moderni psicologi studiano la mente altrui. Questo potrebbe aiutare ad accrescere la vastità della psicologia come materia di studio, ma non aiuta affatto a determinare la natura della mente; perché la mente altrui è soltanto una nostra deduzione. Quindi, non possiamo determinare la verità della nostra mente, che è materia della nostra esperienza, attraverso queste supposizioni. Gli psicologi usano anche un altro metodo, l’introspezione, con cui studiare e capire la mente per mezzo della mente.
Vedāntin: è vero che si può avere questa esperienza. Ma con che cosa esaminiamo la nostra propria mente? Solo con la mente. Nulla può diventare oggetto di se stesso; ma qui si pretende che la mente oggettivi se stessa.
Gli idealisti e gli psicologi non arrivano a porsi questi problemi. Pensano che sia vano credere semplicemente senza alcuna prova che ci sia qualcosa oltre alla mente. Dato che per loro è materia d’esperienza comune che la mente oggettivi e capisca se stessa, la loro teoria si conclude qui.
Vedāntin: la ragione di questo è il pregiudizio a favore dello stato di veglia. Se si fossero chiesti: «Per mezzo di che cosa capiamo l’intero stato di veglia?» e avessero cercato una risposta, non si sarebbero arenati su questa presunzione. Infatti si deve investigare con impegno con cosa conoscere l’intero stato, includendo gli oggetti, i sensi e la mente.
Naiyāyika: i logici indiani direbbero che il jīvātman è il possessore della mente.
Vedāntin:allora per mezzo di che cosa conosciamo il jīva?
Naiyāyika: per mezzo della mente.
Vedāntin: allora il jīva sarebbe l’oggetto della mente e la mente l’oggetto del jīva e, stabilendosi reciprocamente, dipenderebbero l’uno dall’altro. Quindi ci sarebbe il difetto logico della mutua dipendenza.
Vedāntin post-śaṃkariani: alcuni appartenenti a scuole di Vedānta come quella di Rāmānuja, sostenevano che, anche se la coscienza è la natura essenziale del jīva, tuttavia anche nel jīva c’è una qualità o proprietà cosciente (dharma bhūta jñānam).
Vedāntin: questo non è esatto, né essi sono capaci di spiegarlo in modo convincente. Qual è la differenza tra la coscienza come natura essenziale del jīva e la coscienza come qualità o proprietà?
Vedāntin post-śaṃkariani: c’è una differenza.
Nell’esperienza ‘Io conosco’, io è la coscienza come sostanza e ‘il conoscere’ è la coscienza come proprietà-attributo.
Vedāntin: questo dimostra che hanno dato eccessivo valore all’esperienza di veglia formulando la loro teoria senza la visione comprensiva, come gli idealisti. Quando definiscono la coscienza qualità o proprietà non è altro che un pensiero. Discuteremo di ciò nel § 100.
Conclusione: il Sākṣin è l’essenza della coscienza.
Interroghiamoci se la coscienza, che appare come qualità e forma nell’esperienza ‘Io conosco’, sia indipendente o derivi da un’altra fonte. Allora capiremo che tutto ciò che è oggetto del Testimone, assieme alla coscienza che appare nei sensi, deriva di fatto solo dalla mente. Invece è solo il Sākṣin che capisce e illumina ogni cosa, oggetti, sensi, mente e nozione dell’io, per cui possiamo concludere che la sua propria natura è la Coscienza. Altrimenti, come illuminerebbe l’intero stato indipendentemente da qualsiasi altra fonte o strumento? Il Sākṣin non perde la sua coscienza né la ottiene da qualsiasi altra fonte né diventa oggetto. Quindi la conclusione è che il Sākṣin è la fonte originaria di Coscienza. È auto luminoso e non trae nulla da altra fonte. È solo da questa luce che procedono l’intera veglia e tutte le relazioni in essa. (BUŚBh 4.3.6).
- Svāmī Satchidānandendra Sarasvatī, La Via della Conoscenza e le altre Vie, Milano, Ekatos Ed. Pr., 2019. https://vedavyasamandala.com/testi/tradizione-hindu/vedanta/ [N.d.C.].[↩]
- Riferimento al sillogismo a cinque passaggi del Nyāya: “C’è fuoco su quella montagna (pratijñā, tesi). C’è fumo su quella montagna (hetu, denotazione causale). Dove c’è fumo là c’è fuoco, come in una cucina e al contrario che su un lago (udāharaṇa o dṛṣṭānta, esemplificazione). C’è fumo su quella montagna (upanaya, applicazione). C’è fuoco su quella montagna (nigamana, conclusione)” [N.d.C.].[↩]