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Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja

15. La luce della Realtà

B. Tre livelli di Coscienza

98. Nella Coscienza, come nell’Esistenza, ci sono tre livelli

Obiezione: non c’è, dunque, coscienza negli stati? Se non c’è, come mai abbiamo la sensazione di conoscere, che la mente conosce, che i sensi conoscono?

1) È facile accettare che né la luce fisica né gli oggetti che appaiono in essa abbiano alcuna coscienza, perché, anche se splendono, essi sono insenzienti.

2) Come si può dire che i jīva non hanno coscienza, se convivono in questo mondo, si relazionano e reagiscono consapevolmente alla nostra presenza e alle nostre azioni?

3) Noi tutti istintivamente pensiamo che la gente sia cosciente e che la sua conoscenza cresca man mano che interagiscono e imparano. L’intero sistema educativo si basa solo su questa credenza. Non è pensabile educare un pezzo di pietra insenziente.

4) Dividere la gente in amico, nemico, neutrale, amato, odiato, presuppone questa credenza. Queste percezioni e idee variano e cambiano nella gente. Tali sensazioni non esistono in un pezzo di pietra ed esso non può avere tali opinioni.

5) Alcuni compiono pratiche rituali e meditazioni per raggiungere la felicità negli altri mondi, mentre altri intraprendono lo studio vedāntico. Ciò dimostra che la gente ha diversi livelli di conoscenza in base alle sue inclinazioni.

6) Anche un maestro di Vedānta presuppone diversi livelli di conoscenza negli altri e su tale base insegna; altrimenti come potrebbe insegnare? Per tutte queste ragioni, si deve accettare che anche nel mondo ci sia coscienza capace di conoscenza.

Risposta: a questa obiezione si è già risposto nel § 55. Gli stati non sono indipendenti dal Testimone, poiché appaiono proprio nella sua luce e non possono sussistere separati dalla sua esistenza. Quindi, proprio come il Testimone per sua natura è sempre solo Coscienza, così gli stati, che non sono differenti da lui, sono sempre solo Coscienza. Su questo si discuterà più avanti. A un livello più basso si può rispondere in questo modo:

1) dato che il Testimone è sempre per sua natura Coscienza immutabile, può essere chiamato veramente Coscienza Reale, cioè che non può essere mai negata;

2) questo non significa che non ci sia una certa coscienza nelle cose che appaiono nella veglia. Nella veglia non solo abbiamo la credenza di ‘conoscere’, che la nostra mente ‘conosca’ e che i sensi ‘conoscano’, ma pensiamo anche che ci siano molti altri in quello stato che, come noi, conoscono. Anche nella mente che sappiamo insenziente, pensiamo che ci sia una coscienza parzialmente manifestata e parzialmente non manifestata. Come la coscienza influisce su di noi, così pure l’oblio per noi è buono o cattivo a seconda dei casi. Quindi anche l’oblio è un tipo di coscienza. Similmente, non è sbagliato dire che la coscienza è non manifestata nelle piante e negli animali come, ancor più, negli oggetti insenzienti. Negli stati la coscienza può essere considerata empirica, come l’esistenza di cui abbiamo parlato prima. È vero che la coscienza o conoscenza della veglia non continua nel sogno e che nemmeno quella del sogno conosce le cose della veglia; in questo modo la coscienza di ogni stato è confinata in quello stesso. Tuttavia, la si può chiamare coscienza empirica essendo utile per la vita, per le azioni e relazioni empiriche. Poiché la veglia è lo stato principale delle nostre relazioni empiriche, la coscienza di veglia può essere detta coscienza empirica;

3) similmente, la conoscenza dell’argento, del serpente, della seconda luna ecc. sembra vera fintanto che appaiono. Quindi è chiamata coscienza apparente. Ogni cosa è relazionata solo alla coscienza e ogni cosa è solo coscienza; non c’è null’altro se non coscienza che include l’oblio e perfino l’incoscienza.

99. La coscienza negli stati non è indipendente dalla Pura Coscienza

Non si dovrebbe mai pensare che la coscienza che appare differente in ogni stato sia realmente indipendente dal Testimone. Infatti, se lo stato non ha un’esistenza indipendente, come potrebbe avere una coscienza indipendente? Questo è già stato discusso nel § 56. Per esempio, una lampada risplendente è chiusa in un vaso traforato. I raggi della lampada fuoriescono in tutte le direzioni. Non si vede ogni raggio come una lampada separata, sebbene i raggi siano numerosi e differenti. Similmente, quando si guarda dal punto di vista della veglia, la Coscienza-Testimone appare come se brillasse nel corpo paragonabile al vaso. La mente e i sensi sono come i diversi fori del vaso. La Coscienza-Testimone si riflette nella mente e passa attraverso i sensi illuminando gli oggetti esterni. Così si ha l’esperienza ‘Io conosco questo’. Proprio come non si considera ogni raggio una lampada separata, indipendente dalla lampada interna, così anche la coscienza dei sensi non deve essere considerata come una coscienza separata e indipendente. Infatti questa coscienza nei sensi e negli oggetti esterni non è altro che la Coscienza-Testimone. Non capendo questo fatto, si attribuisce una coscienza separata a ogni senso.

100. La Coscienza è la natura del Testimone, non il suo attributo

vaiśeṣika e i pensatori di alcune scuole di Vedānta, come Rāmānuja, pensano che la coscienza sia una proprietà di jīva. Si può accettare la conoscenza empirica come nostro attributo, in quanto appare tale e ci aiuta nella vita empirica. Ma è azzardato pensare che la Coscienza nella sua natura reale sia tale. Vediamo cosa s’intende con la parola coscienza. Gli scienziati tentano di descrivere il modo in cui la coscienza sia nata negli esseri umani. Gli animali inferiori si sono evoluti gradualmente in animali umani. Le leggi di ereditarietà e di adattamento alle condizioni ambientali portarono a generi successivi nella via dell’evoluzione. La lotta per l’esistenza e la selezione naturale dipendono dall’uso o disuso dei loro organi, che si sono modificati di conseguenza. Secondo la teoria evoluzionista, l’uomo si sarebbe evoluto dall’ordine dei primati. Così i sensi, il cervello, il sistema nervoso e la coscienza presenti nell’uomo attuale, non sarebbero altro che sviluppi risultanti dalle sue reazioni alle spinte esterne.

Anche i realisti occidentali, che recentemente sono diventati egemoni, hanno differenti punti di vista, ma tutti seguono ciecamente le orme dei biologi. Alcuni dicono che la coscienza è solo una funzione, altri che è una specie di relazione; altri ancora sostengono che è una modificazione di una certa sostanza che non può essere chiamata né mentale né materiale.

Vedāntin: il difetto di questo punto di vista è stato già trattato nel § 97. Infatti il realista che vuole conoscere la natura della conoscenza-coscienza, ha un preconcetto per cui la coscienza o la mente sono disponibili all’esame dell’investigatore. Ma ciò che è a loro disposizione è solo la propria mente immaginata come quella degli altri. Per quanto correttamente si possa determinare l’evoluzione della mente come fosse un oggetto, ciò non offre una spiegazione sulla natura della nostra coscienza interna che osserva la mente. Quando, a partire dall’attuale stato della mente, si specula sui vari cambiamenti che l’hanno preceduta, non s’arriva a determinare la verità della coscienza. Invece di guardare il corpo dal di fuori e di concludere che la coscienza (o la mente o il pensiero) siano sue proprietà, lo scienziato dovrebbe osservarla attraverso la propria intuizione. Istantaneamente egli realizzerebbe che il corpo e tutte le sue funzioni sono solo prodotti della mente e che il corpo è un oggetto della coscienza, e non viceversa. In tal caso, l’idealista avrebbe il sopravvento. I difetti dell’idealismo sono stati già mostrati nel § 92. Il realista guarda il corpo dimenticando la propria coscienza. L’idealista ignora il Testimone che è l’essenza della coscienza ed esamina la coscienza rivolta all’esterno, cioè la mente che, invece, è solo un oggetto. A causa di questo errore i vaiśeṣika e le scuole vedāntiche, come quella di Rāmānuja, considerano che la coscienza sia solo un attributo.

101. L’attributo della Coscienza è solo un suo oggetto

Domanda: perché è sbagliato considerare la coscienza un attributo?

Risposta: quando si guarda con attenzione un oggetto esterno o quando la mente è concentrata non si è coscienti di altro. Una persona alterata o in delirio non è in grado di conoscere ciò che gli accade attorno. Si pensa che una persona in quelle condizioni non sia completamente cosciente. Essendo concentrato su qualcos’altro o per qualche aberrazione della mente, la sua coscienza è messa da parte e non fa attenzione alle altre cose. In queste condizioni, quando si dice ‘c’è coscienza in qualcuno’ e ‘non c’è coscienza in qualcun altro’; oppure quando si afferma che ‘si limita’ o ‘si espande’, s’intende che la coscienza è un nostro attributo (dharmi). Quindi, questa coscienza che subisce contrazione o espansione può essere chiamata (dharma bhūta jñānam), coscienza-conoscenza empirica. Parliamo in termini di coscienza o conoscenza empirica e la esprimiamo così: «È nata, è ottusa, brilla, è risplendente, conosce un oggetto o non riesce a conoscere un oggetto». In quelle circostanze chi è che conosce-oggettiva-visualizza i cambiamenti come nascere, brillare ecc. di questa conoscenza empirica? Solo noi. Ciò significa che in noi deve esistere la Pura Coscienza che illumina questa coscienza o conoscenza empirica. Discutiamone in modo diverso. Se la coscienza o conoscenza, quella che nasce, è ottusa e subisce altri tipi di cambiamenti, fosse solo una nostra qualità, allora anche noi, in quanto agenti o possessori di quella qualità, dovremmo cambiare in differenti forme o condizioni. È un fatto comunemente ritenuto che il possessore o agente di una qualità, di natura transitoria, subisca un cambiamento. Poiché nella nostra esperienza, la conoscenza empirica viene e va, si dovrà dire che anche noi subiamo un cambiamento allorché questa conoscenza empirica è acquisita. In tal caso, non vorrebbe forse dire che a un certo momento saremo del tutto distrutti? Coloro che ritengono che l’Ātman sia un agente o un possessore della qualità della coscienza empirica dovrebbero accettare ciò che i logici asseriscono, ovvero che l’Ātman cambia con i cambiamenti della conoscenza empirica e che l’Ātman deve essere non eterno. Questo è il rischio che si corre accettando la conoscenza mutevole come fosse un attributo della Coscienza.

Domanda: lasciamo da parte il rischio. Perché dovremmo rifiutare questo punto di vista finché è in accordo con la nostra esperienza?

Risposta: tale punto di vista non è coerente con la nostra esperienza. Pensare che la conoscenza sia nostro attributo è solo un errore. Perché se la conoscenza è un attributo, cambia e in tal caso ci deve essere qualcuno immutabile che è cosciente di tutti questi cambiamenti; questo è il Sé. L’oggetto della coscienza appare solo falsamente come coscienza. Quando un pezzo di ferro diventa rosso per incandescenza sembra fuoco, ma non è realmente fuoco. Il pensiero dell’io e altre conoscenze, come suoi attributi, sembrano coscienti. Di fatto, però, non sono di per sé coscienti. La reale Coscienza appartiene solo al Testimone, come stabilito nei §§ 95-96. È grazie a questa Coscienza che i sensi e la mente della veglia sembrano essere coscienti. Perciò questa Coscienza-Testimone è così descritta nell’Upaniṣad:

[La Coscienza-Testimone] è l’Orecchio che è l’essenza dell’orecchio, è la Mente che è l’essenza della mente, è la Parola che è l’essenza della parola, è il Prāṇa che è l’essenza del prāṇa, è l’Occhio che è l’essenza dell’occhio. Il saggio, discriminandoli e distaccandosi da questo mondo, diventa immortale (Kena Upaniṣad, I.2).

102. La Coscienza-Testimone non è soggetto né ha modificazioni e molteplicità

La conoscenza di Ātman non è creata, non cambia, non è molteplice e non è in relazione con alcun oggetto.

  1. Per qualsiasi conoscenza nata, c’è una coscienza interiore che testimonia tutte le modificazioni.
  2. La coscienza non è molteplice. Ciò che appare nel tempo può essere enumerato. Poiché non è cosciente neppure del tempo, non può essere enumerata né come una né come molteplice.
  3. Non è né oggetto né soggetto di alcunché. Quando diciamo ‘conosciamo il Testimone’, non lo conosciamo come un nostro oggetto, ma semplicemente con una indivisibile intuizione (nirvikalpa anubhava). Dal punto di vista empirico è giusto supporre che il Testimone testimoni qualcosa. Tuttavia egli non conosce con conoscenza analitica, come ‘io conosco questo’. La conoscenza empirica, per sua natura, dipende da qualche oggetto. Ma la Coscienza-Testimone è indipendente da qualsiasi oggetto ed è autoesistente. Anche quando diciamo che il Sākṣin testimonia lo stato come un tutto, lo stato non è indipendente dal Testimone. Perciò il Testimone non ha alcun oggetto. Con Coscienza del Testimone s’intende che la Coscienza è identica al Testimone; quindi la testimonianza non è un’azione o un cambiamento da parte del Testimone. Considerata in questo modo, la Coscienza del Testimone, come la luce del sole, è la sua natura essenziale, unica e priva di alterità.

103. Nessun oggetto è separato dalla Coscienza

Obiezione: se sostieni che lo stato, con il mondo in esso compreso, è oggetto della Coscienza dell’Ātman, come puoi dire che la Coscienza dell’Ātman è senza oggetti? Se tu dicessi che è la coscienza-conoscenza dell’Ātman che appare come un oggetto, ti si potrebbe obiettare come all’idealista quando affermava che la stessa mente appare come oggetto. Dopo aver accettato (§ 98) che ci sono tre livelli o gradi nella coscienza, cioè la realtà vera, quella empirica e quella apparente, quando dici che ogni cosa è solo la Coscienza-Testimone, non ti stai contraddicendo? In che modo il tuo punto di vista, secondo cui ogni cosa è soltanto Coscienza-Testimone senza una seconda cosa, sarebbe differente dall’idealismo, che afferma che c’è solo conoscenza in forma di idea?

Risposta: per rispondere a questa obiezione dobbiamo esaminare anche il sogno e il sonno profondo. Riprendiamo la risposta a simile obiezione a proposito della natura dell’Esistenza (§ 59). Il Testimone non è confinato in un solo stato, perché egli testimonia il sogno quando questo rimpiazza la veglia. Il Sākṣin è sempre pronto a illuminare la veglia e il sogno tutte le volte che appaiono, e continua a splendere anche nel sonno profondo. Gli stati di veglia e di sogno non sono indipendenti come quest’ultimo, in quanto necessitano della luce della coscienza per apparire. Quando la coscienza del Sākṣin illumina il sogno, la veglia e il sonno profondo non appaiono; né il sogno e il sonno profondo appaiono quando illumina la veglia. Quindi, la vita degli stati è sotto il controllo del Sākṣin.

104. La Coscienza appare divisa alla mente della veglia

Domanda: perché la Coscienza appare diversificata come ‘conoscenza del vaso’, ‘conoscenza del tessuto’ ecc.? L’unica Coscienza appare a tre livelli: veramente Reale; empirica, come la coscienza della corda; e apparente, come la coscienza del serpente sulla corda. Come possiamo riconoscere in tale varietà la stessa e unica Coscienza?

Risposta: si può ricorrere all’esempio del sogno, come in § 60. La conoscenza espressa in ‘ho visto un vaso, ho visto un albero’, e simili, può avvenire nel sogno. Non appena queste conoscenze insorgono, vi si ritrova la triade conoscitore-conosciuto-conoscenza, come nella veglia.

Anche in sogno troviamo la divisione tra conoscenze erronee e conoscenze corrette. Ciò nonostante non consideriamo reale questa divisione del sogno. Tutti sanno che sono solo apparenze, ma mentre le si sperimentano, appaiono reali. La nostra esperienza mostra che anche in quel tempo, noi come Sākṣin testimoniamo quelle apparenze. Se il Sākṣin non fosse lo stesso in entrambi gli stati, sarebbe impossibile avere il ‘ricordo’ di avere avuto un sogno. Così è chiaro dall’esame del sogno che la Coscienza, pur essendo una, appare molteplice. Sebbene non si conosca la ragione per il suo apparire molteplice, non si può mettere in dubbio che ci appaia così.

C. La Pura Coscienza

105. Nel sonno profondo ogni cosa è Ātman, Pura Coscienza

  1. Se richiamiamo alla mente l’esperienza del sonno profondo, questo concetto diventa più chiaro. A differenza della veglia e del sogno, nel sonno profondo non c’è alcun mondo. Quindi non c’è né tripuṭi (conoscitore-conosciuto-conoscenza) né la divisione tra conoscenza corretta e conoscenza errata. Tuttavia non possiamo dire: ‘Io lì non esistevo’, perché se lì non ci fosse alcuna coscienza non ci sarebbe la base per poter ‘ricordare’ tale esperienza.
  2. Una persona irriflessiva potrebbe dire: ‘Io non ho conosciuto nulla in sonno profondo, il che significa che lì non avevo alcuna coscienza’. Questa affermazione implica soltanto che lì non c’era nulla da conoscere e non che lì non c’era coscienza. Perciò la BU dice:

Che [l’Ātman] lì non conosca nulla si spiega con il fatto che anche conoscendo non conosce nulla, perché non ci può essere una assoluta scomparsa della conoscenza del conoscitore, dato che è indistruttibile. Non c’è null’altro da Lui che Egli possa conoscere (BU IV.3.30).

  1. Si dovrebbe applicare qui ciò che già è stato detto sulla natura del sonno profondo nell’indagine sull’esistenza (§ 61). Nel sonno profondo non esistiamo nella forma di io, ma solo in forma di Sākṣin. Di fatto, se guardiamo con più attenzione, capiremo che lì non siamo neppure il Sākṣin, dato che non c’è nulla da testimoniare. Quindi lì siamo solo Pura Coscienza. Gli oggetti esterni, la conoscenza in noi e noi come conoscitori, tutto s’immerge nell’essenza del Testimone. Perciò l’Esistenza e la Conoscenza sono una e una sola cosa.
  2. Dato che tutto ciò che vediamo s’immerge nella Pura Coscienza e non c’è altro che Coscienza, ciò che comunemente denominiamo sonno profondo non è affatto uno stato, bensì solo Pura Coscienza. Essa non è nel tempo né è un modo in cui la Realtà appare, ma è la Verità di tutta l’Esistenza e di tutta la Coscienza.
  3. Domanda: noi chiamiamo questo uno stato in cui non si conosce nulla, cioè di ignoranza.

Risposta: lo si chiama così solo paragonandolo allo stato di veglia, in cui si conoscono molte cose.

Domanda: anche il Vedānta dice che il mondo del nome e della forma rimane in potenza e appare di nuovo nella veglia.

Risposta: ciò è detto dal punto di vista empirico della veglia, in cui si considerano reali il nome e la forma. Ma dato che il nome e la forma sono visti a causa dell’avidyā,anche la nostra deduzione, che ci fa pensare che siano presenti potenzialmente in sonno profondo, è solo una estensione di questa incomprensione (BSŚBh II.1.9).

Quando non ci sono uno specifico oggetto e una specifica conoscenza, chi deve conoscere chi [o che cosa]? Ogni cosa è Esistenza e null’altro che Esistenza o Coscienza e null’altro che Coscienza. Quando l’Upaniṣad dice:

Quando ogni cosa diventa Ātman, con che cosa si dovrebbe odorare e che cosa? Con che cosa si dovrebbe vedere e che cosa? […] Con che cosa si dovrebbe conoscere e che cosa (BU II.4.14).

  1. È l’essenza di tutta la Coscienza e di tutte le conoscenze che noi conosciamo. Anche le conoscenze che appaiono in veglia come attributi sono incluse in essa. Perfino i tre gradi di coscienza emergono proprio da questa Coscienza.

106. Perché si pensa che il sonno profondo sia uno stato di totale ignoranza?

Domanda: se il sonno profondo è realmente solo Pura Coscienza, perché si pensa che lì non ci sia affatto coscienza? Perché prevale l’idea che sia come l’oblio?

Risposta: per la gente cosa significa coscienza? Significa la coscienza distintiva della veglia e del sogno. Nessuno pensa che questo tipo di coscienza sia presente nel sonno profondo. Abbiamo esperienze e ricordi di certe cose nella veglia e nel sogno. Facciamo anche certe scelte e compiamo certe azioni. Come risultato, sorgono in noi sentimenti di paura, euforia, agitazione, amore, avversione, sofferenza, felicità ecc. Il sonno profondo non ha nulla di ciò. La divisione tra ‘me’ e l’‘altro’, la coscienza e la memoria della divisione, la volontà e l’azione, non hanno la più remota possibilità d’esistere. Poiché non possiamo ricordare nulla o pensare a nulla, chiamiamo questo stato ‘oblio di se stessi’ o ‘perdita di coscienza’. Quando qualcuno non capisce esattamente ciò che gli si è detto, gli si chiede: ‘Che ti succede, stai forse dormendo?’. Quindi è istintivo per l’uomo comune identificare il sonno profondo con uno stato di totale dimenticanza o perdita di coscienza. In veglia abbiamo i sensi e la mente. Quando essi sono in buona salute e funzionanti abbiamo conoscenza degli oggetti esterni. Ogni qual volta sono affaticati o distratti, e non funzionano, non abbiamo conoscenza di nulla. Similmente, i sensi e la mente non funzionano durante il sonno profondo, e perciò sembra ragionevole considerarlo uno stato di non conoscenza o di totale oblio. Pare anche ragionevole immaginare che anche gli altri siano coscienti solo quando usano i sensi e la mente, proprio come noi. Infatti, dopo essersi svegliati dal sonno profondo, dicono di non essere a conoscenza di molte cose accadute durante il loro sonno. Così, quando ci svegliamo dal sonno, dagli altri sappiamo di cose successe mentre dormivamo. Quindi è comprensibile che la gente ritenga che ci sia coscienza solo attraverso i sensi e la mente e non nel sonno. Tuttavia, questa conclusione, fatta con il pregiudizio della veglia, deve essere rigettata, perché contraria alla visione comprensiva dei tre stati. Infatti:

  1. il fatto di vedere persone che vanno a dormire al nostro cospetto, è un fenomeno che appartiene alla nostra veglia e quindi non è affatto utile per indagare il sonno profondo (§ 33);
  2. il punto di vista per cui gli altri sono svegli mentre io dormo è valido per la vita in veglia, ma non è utile per determinare la verità, perché non tiene in considerazione l’esperienza del sonno profondo (§ 30).

Se si esamina attentamente il sonno profondo com’è sperimentato, si capisce che lì non ci sono strumenti come corpo, mente e sensi e tuttavia l’intuizione del sonno profondo continua a esserci. Questa intuizione del sonno profondo, a che categoria appartiene? Non è una esperienza determinata (savikalpaka) da ‘questo è questo’, come la conoscenza di un dato oggetto. Non è un ricordo né una immaginazione, non nasce, non cresce e non va via. Quindi non produce euforia né dolore né alcun altro sentimento. Tuttavia nessuno può negare che questa coscienza ci sia. Se non fosse lì, come sarebbe possibile dire ‘Lì non ho conosciuto nulla’? Questa coscienza non dipende da alcuna altra cosa; cioè è una coscienza indipendente senza bisogno di un soggetto o di un oggetto. Per questo motivo non c’è ragione per definire il sonno profondo uno stato di totale oblio e che gli stati di veglia e di sogno siano, invece, stati di conoscenza. Anche nel sonno profondo la Pura Coscienza è proprio lì, come nella veglia e nel sogno. Le conoscenze distintive che si suppone appaiano in veglia, sono essenzialmente solo Pura Coscienza, sebbene scaturiscano e appaiano in essa.

107. Significato dell’assenza di conoscenze in sonno profondo

Obiezione: Accettiamo pure, per amore di discussione, che il sonno profondo non sia uno stato di incoscienza, bensì di Pura Coscienza. Tuttavia non è esatto dire che rimaniamo Pura Coscienza in cui tutte le conoscenze dello stato presente s’immergono, perché hai affermato che: «La conoscenza distintiva, vale a dire la conoscenza intesa come un attributo, brilla nella veglia attaccandosi all’ego, mentre il Sākṣin illumina l’intero stato». Se la Pura Coscienza che è la nostra natura essenziale appartiene al Sākṣin, può continuare anche in sonno profondo. Come puoi dire su questa base che le conoscenze distintive, ossia gli attributi, s’immergono in esso? Senza dubbio le conoscenze non accadono in sonno profondo. I sensi non funzionano non perché tutte le conoscenze della veglia s’immergono nel sonno, come il fiume nel mare. Infatti, nessuno sperimenta che gli stati s’immergano nella Pura Coscienza, quando va a dormire, e che riemergano quando si sveglia.

Risposta: ci richiamiamo al § 62 in riferimento all’esistenza. Non pensiamo che le conoscenze e i loro oggetti del sogno siano separati tra loro né c’è alcuna prova per dire che entrambi siano differenti da Ātman. abbiamo discusso ampiamente su come l’esperienza della veglia non sia differente da quella del sogno (§§ 71-81). Non è ragionevole pensare che le conoscenze e i loro oggetti non possano immergersi nella Pura Coscienza in sonno profondo ed esistere da qualche parte separati da essa.

Obiezione: inoltre, in veglia le conoscenze, gli oggetti e i sensi sono presenti. Dove vanno durante il sonno profondo? Come si può dire che anch’essi s’immergano nella Pura Coscienza?

Risposta: per quel che riguarda l’obiezione per cui nessuno ha sperimentato gli stati d’immersione delle conoscenze e dei loro oggetti in noi, diciamo che le conoscenze e gli oggetti della veglia non sono indipendenti dallo stato di veglia e quindi appaiono fintanto che lo si sperimenta. Quando la veglia, come stato, cessa, essi non hanno alcuna esistenza (§ 62).

Obiezione: come si può accettare che l’unica e medesima Coscienza del sonno profondo si divida in conoscenze, sensi e oggetti che appaiono in veglia? La coscienza è senziente e gli oggetti insenzienti. Come possono simili opposti essere in relazione di causa ed effetto?

Risposta: non diciamo che le conoscenze distintive e i loro oggetti sono nati dalla Pura Coscienza, perché non c’è alcuna relazione di causa-effetto. Solo dal punto di vista della veglia noi consideriamo la Pura Coscienza come conoscenze varie e i loro oggetti e agiamo di conseguenza. Di fatto, non c’è conoscenza né oggetto, ma solo la Pura Coscienza. La stessa Pura Coscienza del sonno profondo, senza alcuna modificazione, esiste come Sākṣin e dal suo punto di vista lo stato di veglia, le conoscenze e gli oggetti non esistono affatto, perché sono falsi.

Obiezione: non è forse vero che gli oggetti e i sensi appaiono sempre nello stato di veglia? Non abbiamo forse l’esperienza di vedere i medesimi oggetti con l’aiuto degli stessi sensi del giorno prima?

Risposta: è vero che abbiamo questa idea, ma questa è la conoscenza nello stato di veglia. Sebbene questa sia corretta per lo stato di veglia, l’intuizione del sonno profondo non può essere negata né si può confutare la conclusione tratta dal punto di vista dei tre stati. Dobbiamo determinare la verità dell’istintiva credenza che si tratti degli stessi sensi e degli stessi oggetti, seguendo la critica, che abbiamo sostenuta in precedenza nel § 62 a proposito dell’idea che si tratti dello stesso mondo. Se chiariamo questo, è evidente che l’istintiva credenza è dovuta al punto di vista della veglia e quindi non può mai opporsi alla conclusione del punto di vista comprensivo. Perciò non c’è alcun ostacolo alla conclusione che ogni cosa è solo Pura Coscienza.

108. Le conoscenze distintive non sono separate dalla Pura Coscienza

Sebbene le conoscenze distintive non siano mai differenti dalla Pura Coscienza, è necessario indagare ulteriormente per stabilire la loro inseparabilità da essa. Non c’è alcuna ragione per dividere la conoscenza-attributo (dharma bhūta jñānam) dalla conoscenza essenziale (svarūpa jñānam). Ogni qual volta diciamo che la conoscenza appare e scompare, cos’è che realmente comincia e finisce? È la conoscenza? Su che base si afferma ciò? La conoscenza-attributo non può vedere la sua propria nascita e fine, perché non esiste prima della sua nascita né dopo la sua fine. Quindi, per vederla è necessaria la conoscenza essenziale, quella del Sākṣin.Ma può la stessa conoscenza essenziale conoscere gli oggetti direttamente? Se non può, come può la conoscenza attributiva, che è nata, essere capace di conoscere gli oggetti, mentre la conoscenza essenziale, sebbene eterna, non li può conoscere?

Domanda: è esperienza comune che la conoscenza appare e scompare. Qual è l’utilità di questa discussione?

Risposta: non si può dire questo, perché il punto della discussione è proprio se la conoscenza nasca. È esperienza condivisa che la mente o il pensiero cambi quando è in contatto con gli oggetti. Questo non è sufficiente per provare che la conoscenza sia di due tipi, l’attributiva e l’essenziale, che ci sia una relazione soggetto-oggetto tra queste due conoscenze e che la conoscenza attributiva sorga con l’aiuto dei sensi che sono insenzienti. Tutte queste sono solo immaginazioni nella conoscenza essenziale. Vediamo ora alcuni esempi per capirlo meglio: il sole, che è luce per sua natura, non cambia affatto quando illumina gli oggetti che gli si presentano. Allo stesso modo la natura della Coscienza non si modifica affatto illuminando gli oggetti. La Coscienza non fluttua con la comparsa e la scomparsa dei pensieri, come quando le nuvole coprono o scoprono il sole. Non pensiamo che la luce del sole sia indebolita quando è coperto e che la sua naturale luminosità sia restaurata quando le nuvole scompaiono. La Coscienza, che presenta se stessa associata a un pensiero (vṛtti), è chiamata conoscenza. Generalmente pensiamo che la conoscenza insorga e vada via con l’emergere di un pensiero. Questo modo di pensare comune è solo secondario e non vero. Per esempio, se qualcuno dice a un altro: ‘Rāma Rao, che sfoggiava i baffi, è svanito e al suo posto c’è solo Svāmī Nityānanda’. Tuttavia, non è che sia sparito Rāma Rao, ma solo i suoi baffi[1]. Similmente la gente pensa erroneamente che con la scomparsa del pensiero, che è solo un’associazione, anche la conoscenza e la coscienza scompaiano. Tuttavia, la Coscienza non è per niente modificata dall’associazione col pensiero che ha solo lo scopo di illuminare e contestualizzare la conoscenza o di manifestarla. Le persone col pregiudizio della veglia non coglieranno facilmente questo insegnamento. L’esperienza della veglia sembra compiacerli in quanto pensano ‘io conosco questo’; per cui il conoscitore (jñātā), la luce della conoscenza che occasionalmente sorge in lui (jñāna) e la conoscenza risultante (jñāpti), che sorge nel conoscitore quando la luce della conoscenza tocca l’oggetto, tutti questi appaiono separati. Pensano anche che la conoscenza sia un potere in noi che rimane non manifestato nel sonno profondo e che si manifesta nella veglia e nel sogno. Perciò pensano che la separazione tra jñātā, jñāna jñāpti che appare a livello empirico, continui a esistere anche a quello della vera realtà (pāramārthika). Ciò non è corretto. I problemi che riguardano la natura (svarūpa), la produzione (utpatti) e la base (aśraya) della conoscenza, cioè il conoscitore, sono già stati discussi nei §§ 90, 91, 92. Si è già stabilita la superiorità di riconoscere che la conoscenza o Coscienza sia unica. Come si richiede un’altra conoscenza per conoscere la nascita e la scomparsa della conoscenza empirica, così anche la manifestazione di quest’ultima ne richiede un’altra per conoscere la sua manifestazione e la sua non manifestazione. Accettare che la conoscenza essenziale o Pura Coscienza, comune al vedāntin e all’oppositore, è sufficiente. Perché la stessa Coscienza-Testimone, a causa delle associazioni limitanti, è pensata come conoscitore, conoscenza, risultato della conoscenza, conoscenza manifestata, conoscenza non manifestata ecc. Perciò immaginare molte conoscenze reali è un difetto di eccessiva immaginazione da parte del sostenitore della conoscenza attributiva.

Obiezione: sebbene la natura essenziale del sole sia la luce, esso emana molti raggi. Allo stesso modo l’Ātman, che è Coscienza nella sua natura essenziale, può avere molti raggi di coscienza ossia molte conoscenze. Cosa c’è di errato in ciò?

Risposta: l’esempio del sole non è adatto all’Ātman, perché il sole e la sua luce sono costituiti di materia. Gli scienziati hanno affermato che i raggi impiegano un certo tempo per raggiungere la terra. Di questo passo il sole, che emette continuamente i suoi raggi, un giorno esaurirà tutta la sua luce e il nostro sistema solare diventerà buio; ma l’Ātman non è così. Esso non è una sostanza né ha alcuna parte. Esso oggettiva sostanza, qualità, parti, individui, specie ecc. con la sua luce di Coscienza ed è totalmente differente nella sua natura da ciascuno di questi. Quindi è solo un’immaginazione puerile pensare che i raggi di conoscenza emergano dal conoscitore-Ātman e che i vari cambiamenti che appaiono nella conoscenza come luminosità, oscurità, contrazione, espansione, nascita e morte ecc., tutti appartengano all’Ātman. Ciò non è accettabile per il cercatore che indaga in accordo con la sua intuizione. Per tutte queste ragioni, è sbagliato pensare che la conoscenza sia un potere di Ātman. Quindi, è indiscutibilmente stabilito che non c’è alcun pluralismo nella conoscenza e che la conoscenza essenziale, cioè la Pura Coscienza che si ha nel sonno profondo, non è affatto differente dalle cosiddette conoscenze attributive nella loro natura reale.