Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja
12. La luce della Realtà
69. L’intelletto non può determinare la natura di ciò che gli appare, eccetto che esiste
La dottrina centrale vedāntica, per cui solo la Pura Esistenza è la Realtà, non è in alcun modo incrinata dall’apparenza di pluralità nel mondo della veglia. Infatti, la mente della veglia vede senza dubbio varie divisioni, oggetti e relazioni. Tuttavia, non ne può accertare la natura essenziale. L’abitudine mentale induce a pensare che qualsiasi cosa appaia in un certo modo rimanga tale. Ma se la mente dovesse riconsiderare la sua conclusione, non essendo sicura di sé, potrebbe anche arrivare a un altro risultato abbandonando il precedente. Per esempio: il mondo che appare a questa mente è diviso in ‘me e il resto’, che essa considera esistere nel tempo e nello spazio. Il ‘resto’ appare diviso in sostanza, attributo e azione; così il mondo è un insieme di azioni, di agenti e dei loro frutti. Esaminiamo queste apparenti divisioni.
Risposta alla terza obiezione: se noi domandiamo alla mente della veglia come avviene questa divisione tra ‘me e il resto’, cosa separa ‘me’ dal ‘resto’ e il ‘resto’ da ‘me’?
Risposta della mente: finché il corpo è ‘me’, il rimanente è ‘resto’.
Domanda: il corpo è ‘me’ o ‘altro da me’?
Risposta: il corpo è ‘me’ perché io ho esperienza di esso in quanto ‘io vado, io siedo ecc.’; ma talvolta so che ‘il mio corpo è diventato debole’, che ‘impegno il mio corpo in questo compito’ ecc. Quindi il ‘corpo non è me, ma è mio’. Per ora questo è sufficiente e in seguito si esaminerà più approfonditamente il significato della parola ‘io’ (§ 142). Perciò l’intelletto non ha una chiara conoscenza di cos’è l’oggetto definito ‘io’ e del suo significato. Ogni volta deve determinare che cosa l’‘io’ non sia. E, ancora, alla domanda su quale è l’esatta linea divisoria tra ‘me’ e il ‘resto’, non sa rispondere. Tuttavia, non vuole rinunciare alla credenza tenace che nel mondo la divisione tra ‘me’ e il ‘resto’ sia reale.
Risposta alla quarta obiezione: la quarta obiezione contiene tre punti: la divisione di sostanza-attributo, l’apparenza di generale-particolare e la mutua relazione tra queste divisioni. Il vedāntin continuamente pone alla mente queste domande:
Vedāntin: cosa sono la sostanza, l’attributo e l’azione?
Mente: la sostanza è qualcosa che possiede gli attributi. Per esempio, un limone è una sostanza con un certo colore, gusto e profumo.
Vedāntin: la risposta è strana. Invece di definire la sostanza, parli degli attributi associati a essa. Tuttavia, se si esamina attentamente, noi conosciamo gli attributi come gusto, colore e profumo attraverso i corrispettivi organi di senso, ma non vediamo mai una sostanza chiamata limone come base degli attributi. Dov’è la prova per dire che c’è una sostanza differente dagli attributi?
Mente: dato che sappiamo che quello che vediamo con gli occhi è lo stesso che tocchiamo con le mani, concludiamo che c’è qualcos’altro oltre agli attributi; quindi, c’è una base comune per quei diversi attributi che chiamiamo sostanza.
Vedāntin: questo non dimostra che ci sia una sostanza. Vediamo perché:
- Esaminando dal punto di vista dell’intuizione si sa che gli occhi vedono la forma e non conoscono altro. Anche la mano ha conoscenza del tatto e null’altro. È sbagliato dire che queste due differenti percezioni ci facciano conoscere lo stesso oggetto. Quindi, come si può stabilire la sostanza con queste due esperienze?
- Tutti gli attributi, sensazione tattile, colore, suono, gusto e profumo sono conosciuti solo attraverso i sensi. Se la sostanza deve essere altro da questi attributi, allora è senza gli attributi. Come possiamo conoscerla e con che strumento? Non è disponibile ai sensi. Infatti il Brahma Sūtra Bhāṣya afferma:
Non abbiamo alcuna prova di intuizione per poter dire che ci deve essere qualcosa come base per le qualità sensorie percepite dai jñānendriya (BUŚBh IV.3.30).
- Se si accetta che la sostanza esista di per se stessa senza attributi, in che senso è base per quegli attributi?
Mente: come i pilastri sono la base del soffitto, o la terra di tutti gli esseri umani, così anche il corpo assumendo su di sé gli attributi, è la loro base.
Vedāntin: non può essere così, perché la sostanza non ha alcuna qualità propria come luogo, direzione, potere ecc. necessari per sostenere le altre. Tutte queste le vengono solo attraverso gli attributi. Non c’è nessun altro modo in cui la sostanza possa essere definita come base degli attributi.
Mente: un’altra definizione è questa: ‘Una sostanza è qualcosa che forma la base dell’azione’.
Vedāntin: questa definizione presenta lo stesso difetto. Se la natura della sostanza non è conosciuta, non ha alcun senso che tale sostanza sconosciuta sia la base per l’azione. Un’azione significa sia una modificazione (pariṇāma) sia un movimento (parispanda). Quando le parti subiscono cambiamento, si chiamano modificazioni e quando l’insieme, che contiene le parti, va da un posto a un altro, si dice movimento. Tuttavia, non abbiamo alcuna prova nella nostra esperienza per dire che c’è un insieme chiamato sostanza se non grazie alle sue parti. Nel Brahma Sūtra Bhāṣya la domanda era posta così:
Il tutto è contenuto nelle parti, o è indipendente dalle sue parti? Come esiste in parti?… e così via. Dopo un attento esame si concludeva che né l’esperienza né la logica possono rispondere a questa domanda. In breve, le parti e il tutto non possono essere determinate come due cose separate (BSŚBh II.1.18).
E allora come possiamo dire che questa o quella sono le parti della sostanza? Ogni qualvolta diciamo ‘la sostanza cambia’, noi conosciamo solo i cambiamenti e mai la sostanza senza alcun cambiamento. Quindi non c’è una base per credere che la stessa sostanza si sia ora modificata in altro. In definitiva, in che senso la sostanza sarebbe la base per l’azione? E ancora: qual è la differenza tra un attributo e un’azione? Non c’è una risposta soddisfacente, perché anche quello che chiamiamo attributo si modifica; quindi, pure questo può essere classificato come azione.
Mente: e se ogni cosa fosse solo azione?
Vedāntin: in tale continua serie di azioni, come arriveremmo a conoscere la sostanza senza cambiamenti e attributi?
Mente: per mezzo dell’illusione (bhranti).
Vedāntin: se non c’è né la sostanza immutabile sempre esistente né gli attributi fissi e immutabili, e ogni cosa è solo in continuo cambiamento, come è nata questa illusione che conduce ad affermare che questo è un effetto e questa è una sostanza?
Mente: Anche se non ci sono sostanze e attributi o cambiamenti e azioni, è la natura della mente a presentarli come se ci fossero.
Vedāntin: allora, perché non dire che anche se il cambiamento o l’azione non ci sono, è la natura istintiva della mente che produce l’idea che ci sia cambiamento o azione. Così, l’esame della sostanza, attributo e azione per l’intelletto è proprio un rompicapo.
Argomentazione e risposta alla quarta obiezione su generale-particolare: la nostra mente si trova in difficoltà riguardo al generale-particolare (sāmānya viśeṣa bhāva):
- Non c’è alcuna prova esperienziale per dire che negli oggetti esterni esista realmente il generale, quali l’esistenza, la sostanzialità, il possesso di attributi (terrosità, acquosità ecc.), la capacità d’azione ecc. Per nostra esperienza constatiamo che lo zucchero grezzo, come ogni alimento combinato con esso, è dolce; ma non abbiamo l’esperienza della generalità del vaso a prescindere dai vasi e neppure l’abbiamo vista entrare nel singolo vaso prima che esso diventi tale.
- Se indaghiamo dov’era questa generalità del vaso, la (chiamiamola così) ‘vasità’, prima che il vaso venisse in esistenza, non sappiamo localizzarla. Solo dopo che nel vaso c’è la qualità di vaso, il vaso è vaso; perciò non possiamo dire che la qualità del vaso esisteva già nel vaso. Inoltre, è contraddittorio dire che la ‘vasità’ esisteva quando non c’era alcun vaso.
- Un’ulteriore domanda: la ‘vasità’ era già proprio nel posto dove il vaso è nato o è venuta da qualche altra parte? Non c’è una esatta risposta a questo perché se la ‘vasità’ fosse stata già lì si sarebbe dovuto conoscere quel posto come vaso. Se fosse venuto da qualche altra parte, la generalità sarebbe stata come una sostanza in azione o che subisse un cambiamento, perché ‘venire’ è un’azione.
- Inoltre, la generalità del vaso esiste in ogni singolo vaso individuale o è distribuita tra tutti i vasi come una piccola porzione in ciascuno? Se è completamente presente in uno, non dovrebbe apparire negli altri; se fosse diviso tra tutti, allora sarebbe un composto di parti, e quindi impermanente. Non c’è nulla che sostenga con l’esperienza o con la logica che la ‘vasità’, la terrosità e la sostanzialità e altre generalità siano presenti nei vasi; tuttavia, l’intelletto continua a pensare e ad affermare che il mondo consiste di generale e particolare.
Risposta alla quarta obiezione: mutua relazione fra le divisioni.
Ora si pone la questione se la sostanza, l’attributo, l’azione, il generale, il particolare ecc. siano separati l’uno dall’altro oppure no. Nessuno può determinare questo. Se non possiamo definirli, come abbiamo stabilito sopra, come possiamo affermare che siano differenti oppure no? Anche se potessimo definirli, sarebbe impossibile capirne la differenza.
La mutua differenza tra due cose è un loro attributo o la loro natura? In entrambi i casi dovremmo poter riconoscere una cosa differente dal resto non appena la vediamo. Ma non è oggetto della nostra esperienza.
Oppure, se la differenza fosse una proprietà (dharma) essa è differente o no dal dharmi, cioè dal suo possessore? Se è differente, cosa differenzia il dharma e il suo possessore? Questo fattore differenziante è una proprietà o no? Così le domande e anche i fattori differenzianti sono senza fine. In definitiva, l’idea di differenza comporta innumerevoli problemi, perché la nostra mente crede che nel mondo la differenza sia un fatto.
70. Tutti i nomi e le forme nella veglia, di incerta natura, sono solo Pura Esistenza
Si è concluso che la mente della veglia non può determinare ciò che vede. Le cose e le loro divisioni appaiono esserci realmente. Se non pensassimo che ci sono, non potremmo usarle nella nostra vita pratica (vyavahāra); ma non per questo hanno il potere di frantumare la Pura Esistenza affermata dall’intuizione totale (pūrṇa anubhava). L’incapacità della mente della veglia di spiegare la loro natura dimostra la loro non esistenza. Quindi, non c’è ragione d’essere spaventati da esse come gli uccelli da uno spaventapasseri e abbandonare la dottrina della Pura Esistenza.
L’intera esistenza appare ovunque nella veglia. Ma essa esiste di per sé senza essere collegata a qualcosa di apparente. (BV I.2.12).
Se si capisce questo ci si convincerà della grandezza di questa dottrina.
Il falso serpente, l’argento e l’acqua del miraggio mentre appaiono sono sperimentati come ‘è, è, è’. In seguito, negandoli, quando li vediamo rispettivamente come corda, conchiglia e sabbia, anch’essi appaiono come ‘è’. Similmente, il vaso che appare come ‘è’, quando lo si capisce come argilla, appare di nuovo come ‘è’ in quanto argilla. Perciò, qualsiasi cosa appaia, appare come ‘è’. Esaminando con più attenzione, quando appare la base di tale cosa, anche la base appare come ‘è’. In definitiva, sebbene il nome e la forma appaiano essere una data cosa e, a un esame attento, si mutino in qualcos’altro, in qualsiasi forma appaiano, appaiono in definitiva solo come ‘è’. Quindi si stabilisce che l’‘è’ non cambia, ma cambiano solo il nome e la forma della veglia (BhGŚBh II.16). Visto in quest’ottica, capiamo che questo ‘è’ non appartiene ai nomi e forme, ma dipende solo da sé. Un tessuto che ‘è’ implica che il filo ‘è’, il che implica che anche la fibra di cotone ‘è’, implicando ancora in sequenza che la terra ‘è’, l’acqua ‘è’, il fuoco ‘è’, l’aria ‘è’, l’etere ‘è’. L’ultima implicazione è solo Pura Esistenza (BSŚBh II.1.15). Perciò, vedendo la Pura Esistenza dal punto di vista dell’intelletto, noi la chiamiamo cinque elementi, oggetti materiali e sostanza-attributo-azione. Ma dal punto di vista della Realtà, essi non sono altro che Pura Esistenza.
Finora abbiamo considerato gli oggetti di conoscenza (prameya rāśī) e li abbiamo capiti solo come Pura Esistenza. Si può applicare lo stesso ragionamento anche agli strumenti di conoscenza (pramāṇa rāśī). È difficile rispondere alle seguenti domande:
- Cosa sono gli organi di senso, la mente e l’intelletto?
- Come avviene la divisione fra essi e qual è la loro differenza?
- Come i pramāṇa diventano pramāṇa? Come i pramāṇa hanno il potere di rivelare qualcosa?
Dato che la mente pensa di conoscere tutto questo, se prendiamo le domande separatamente, essa sarà confusa e non riuscirà a dare una risposta definitiva. La nostra mente crede che esistano tutti gli oggetti di conoscenza, le loro divisioni e differenze, inclusi i pramāṇa come la mente e i sensi. In qualche modo, abbiamo stabilito che hanno esistenza. In base a questa analisi, si determina che solo la Pura Esistenza è la Realtà. Tutte le loro apparenze, le loro divisioni in nome e forma, le loro caratteristiche di esistenza sono Māyā, falsa apparenza. Come il nostro corpo sembra diviso in due in uno specchio incrinato, così la Pura Esistenza, vista dalla mente della veglia, appare divisa in soggetto-oggetto e, a sua volta, l’oggetto in molte cose. Il corpo riflesso appare diviso, anche se il corpo reale rimane indiviso; così anche il Sākṣin,rimanendo indiviso, testimonia tutto il mondo della veglia. Infatti, il Sākṣin,il mondo esterno e l’ombra d’esistenza, che appare in essi, sono tutti solo l’indivisibile Pura Esistenza.