Nota Introduttiva
Śrī Śrī Svāmī Akṣarānandendra Sarasvatī Mahārāja (Śrī Aśvatthanārāyaṇā Avadhāni, pūrvāśrama), un venerabile saṃnyāsin, insegnante e studioso, nacque nel 1951 nel villaggio di Mattūr, vicino a Śivamogga, Karnāṭaka. Fin dalla tenera età, fu iniziato alla sacra tradizione del Veda, apprendendo il Taittirīya Yajurveda Kramāṅta sotto la guida di suo padre. Divenne discepolo del grande Guru Śrī Śrī Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī Brahmaniṣṭhajī, dal quale apprese il Vedānta, e affinò la sua conoscenza della grammatica sanscrita (vyākaraṇa) e della letteratura (sāhitya) con il paṇḍita Parakāje Subrahmaṇya Bhat. Svāmījī non è soltanto un erudito, ma anche un esperto di Jyotiṣa (astrologia) e Dharmaśāstra. Insegna Vedānta da oltre cinquant’anni, condividendo la sua profonda comprensione con i cercatori di verità (mumukṣu). Nel 2020, ha abbracciato la vita di rinuncia (saṃnyāsa) a Holenarasipura.
Svāmījī insegna quasi esclusivamente attraverso l’istruzione orale e personale. Pertanto, il seguente articolo è una scoperta rara, e siamo fortunati ad avere un assaggio degli insegnamenti altamente intellettuali dell’Advaita Vedānta da lui trasmessi, la cui comprensione richiede una qualifica adeguata e una mente pura (śuddhadhī). Un ringraziamento speciale a Śrī Kumār e a Smt. Manjushree Hegde per la revisione, le correzioni e i suggerimenti, e a Śrī Apanna Ravijī e Śrī Ananthajī per aver fornito le informazioni necessarie che hanno reso possibile la stesura di questa breve nota.
A.M
Śrī Śrī Svāmī Akṣarānandendra Sarasvatī Mahārāja
(Śrī Aśvatthanārāyaṇā Avadhāni)
La Natura dell’esperienza intuitiva (anubhavasvarūpam)1
A cura di André Marques Santana Santos
“Jñānena hi pramāṇena avagantum iṣṭaṃ brahma”; “La conoscenza costituisce così il mezzo con cui si vuole ottenere la completa realizzazione del Brahman.” (BSŚBh. 1.1.1)
Quale tipo di conoscenza (jñāna), [è] della natura dell’esperienza diretta (anubhava), [e] si qualifica come un valido mezzo di conoscenza (pramāṇa)? Che tipo di realizzazione (avagati), [è] della natura dell’esperienza diretta (anubhavātmikā), [ed è] il frutto-risultato (phalabhūtā)?
Si spiega così: la conoscenza (jñāna), in quanto pramāṇa, è in questo caso quella prodotta dalle affermazioni del Vedānta (vedāntavākyajanyam). Ha la forma di una cognizione che appare come percezione diretta (upalabdhyābhāsapratyaya). Ad esempio, nella Taittirīya Upaniṣad, l’affermazione “Ānando brahmeti vyajānāt” (Egli conosceva la Beatitudine come Brahman) e “sa yaścāyaṃ puruṣe yaścāsāvāditye sa ekaḥ” (Colui che è nell’occhio (puruṣa) e Colui che è nel sole è uno) conduce alla conoscenza (jñāna) sotto forma di comprensione intellettuale (bauddhapratyaya) attraverso la contemplazione del significato di questi detti (vākyārthānusandhāna). Questa conoscenza (jñāna), agendo come strumento di conoscenza valida (pramāṇa), porta alla realizzazione di “Ānandasvarūpanirādhikabrahmaivāham” (Io sono Brahman, la cui natura è Beatitudine e che è senza attributi) e culmina nello stato in cui si dimora in Brahman-Ātman (brahmātmani avasthānalakṣaṇavati). Per questo motivo la conoscenza (jñāna) è considerata un pramāṇa.
Allo stesso modo, nella Chāndogya Upaniṣad, l’affermazione “aitadātmyamidaṃ sarvaṃ tatsatyaṃ sa ātmā tattvamasi” (tutto questo è Brahman; questa è la verità; tu sei Quello) porta alla conoscenza (jñāna) sotto forma di comprensione intellettuale (bauddhapratyaya) attraverso la contemplazione del significato di queste affermazioni (vākyrthānusandhāna). Questa conoscenza (jñāna), agendo come strumento di conoscenza valida (pramāṇa), porta alla realizzazione (avagati) caratterizzata da “aham asmi sarvasyātmābhūtaṃ paramārthnityaṃ sad brahma” (io sono Brahman, la realtà eterna, il Sé di tutti). Pertanto, questa conoscenza (jñāna) è considerata un pramāṇa.
In questo modo, in tutti i Vedānta [le Upaniṣad], al culmine dell’indagine (jijñāsā), il cercatore (jijñāsu) comprende Brahman-Ātman attraverso la conoscenza (jñāna) sotto forma di comprensione intellettuale (bauddhapratyaya) generata dai rispettivi Vedānta (vedāntavākyajanya). Poiché tale conoscenza agisce come strumento (karaṇatvāt), è definita pramāṇa-jñāna (conoscenza strumentale), in ogni caso. Il risultato finale (phalabhūtaṃ), tuttavia, è anch’esso una forma di conoscenza (jñānaṃ), la realizzazione (avagatiḥ) raggiunta alla fine di questo procedimento.
Segue l’analisi dell’affermazione “Śrutyanugrahīta eva atra tarkō anubhavāṅgatvena āśrīyate”: “Qui il ragionamento (tarka) è accettato come ausiliario dell’esperienza intuitiva (anubhava) solo quando si sostiene sulle scritture (śruti)”:
“Come le affermazioni sulla creazione dell’universo (jagajjanmādivākyāni) sono anch’esse accettate in quanto ausiliarie dell’esperienza (anubhavāṅgatvena) quando sono sostenute dalle scritture e dal ragionamento (śrutyanugrahītatarkātmakāni), allo stesso modo, in affermazioni scritturali come ‘satyam jñānam anantaṃ brahma’ (Brahman è verità, conoscenza, e infinito) e “Sadeva saumyedamagra āsīdekamevādvitīyam” (All’inizio, mio caro, questo era l’Essere solo, uno solo, senza un secondo), che trattano della natura di Brahman, ragionamenti (tarkāḥ) di questo tipo, sostenuti dalle scritture (śrutyanugrahītāḥ) e presentati come ausiliari dell’esperienza (anubhavāṅgatvena), sono impiegati solo come metodi prescritti dalle scritture (āgamavidhayaḥ). Il commentatore (bhāṣyakāraḥ) spiegherà in seguito: “Śrutyanugrahīta eva atra tarkō anubhavāṅgatvena āśrīyate, svapnāntabuddhāntayorubhayorit retaravyabhicāra ātmāno’nanvāgatvam”, saṃprasāde ca prapañcaparityāgena sadātmanā sampatterniṣprapañca sadātmatvam, prapañcasya brahmaprabhavatvāt, kāryakāraṇānanyatanyvāyena brahma avyatirekaḥ ityevaṃjātiyakāḥ” (qui il ragionamento è accettato come ausiliario dell’esperienza solo quando è sostenuto dalle scritture; per esempio, poiché gli stati di sonno e di veglia si contraddicono a vicenda, il Sé non è identificato con nessuno di essi; poiché l’anima individuale si dissocia dal mondo nello stato di sonno profondo per diventare una cosa sola con il Sé che è l’Esistenza, deve essere la stessa del Sé supremo; poiché la creazione ha avuto origine da Brahman e poiché la legge è che la causa e l’effetto sono non-differenti, la creazione deve essere non-differente da Brahman; e così via. (BSŚBh 2.1.6).
In questo contesto, l’esperienza (anubhava) generata da tali affermazioni scritturali (etādṛśavākyaiḥ) è sinonimo di conoscenza (vijñānāparaparyāyaḥ) [si tratta di conoscenza parāpara, cioè sia suprema sia non suprema]. Questa esperienza, che si cerca di stabilire con affermazioni come “Satyam jñānam” (Brahman è verità e conoscenza), “Sadeva saumya” (Brahman è Essere) e “Tattvamasi” (Tu sei Quello), è chiamata “pramāṇam” (mezzo di conoscenza valido) nel commento (bhāṣya). La realizzazione (avagati) generata da queste affermazioni è considerata il risultato (phalarūpā) in quanto è il culmine dell’esperienza (anubhavāvasānatvāt), come indicato dal termine “anubhava” nell’affermazione.
Altri ausiliari come “anubhavādayaśca” (e così via) comprendono i ragionamenti basati sulle Scritture (śrautatarka) che rafforzano la conoscenza derivata dalle affermazioni sussidiarie (avāntaravākyajanyajñānopabṛaṃhaka), i ragionamenti basati sull’esperienza del mondo (laukikayukti) che si allineano ad esse e qualsiasi altra cosa che non sia in contraddizione con esse. Questi sono anche indirettamente indicati come mezzi di conoscenza validi (pramāṇatvena) in quanto conducono alla realizzazione esperienziale del BrahmanĀtman (brahmātmānubhavarūpām avagatiṃ prati) attraverso una serie di passi strumentali (paramparayā karaṇatvena) e mezzi ausiliari (upa karaṇatvena).” (Sūtrabhāṣya-ārtha-tattva-vivecani-2, p.47)
Anubhava significa letteralmente “ciò che segue” (anusṛtya bhavati). È di cinque tipi:
1. Prayatnajanya anubhava: Esperienza che nasce dallo sforzo (prayatna), come guidare un veicolo.
2. Pramāṇajanya anubhava: Esperienza che sorge da mezzi validi di conoscenza (pramāṇa), come la [percezione diretta della] dolcezza dello zucchero.
3. Vedanājanya anubhava: Esperienza che nasce dalle emozioni (vedanā), come la fame o la tristezza.
4. Yogajanya anubhava: Esperienza che sorge seguendo la pratica dello yoga (yoga-sādhanam), comprese le austerità (tapas) e simili, è la percezione diretta (yogi-pratyakṣa) dello yogi.
5. Pūrvasiddha anubhava: Esperienza prestabilita, l’esperienza-testimonianza (sākṣi-anubhava), della natura dell’osservazione degli stati [di coscienza].
Tra questi, prayatnajanya anubhava (esperienza derivante dallo sforzo), sebbene porti a grandi ricchezze e rispetto in ambito mondano, è inutile e addirittura ostativo alla comprensione del significato del commento (bhāṣyavākyārthavagati).
Pramāṇajanya anubhava e vedanājanya anubhava (esperienze che nascono dai mezzi validi di conoscenza, percezioni e sensazioni), anche se usati come esempi nei commenti allo scopo di chiarire il significato delle affermazioni scritturali (vākyārthaspaṣṭīkaraṇamātram prayojanam), sono incapaci di generare nuova conoscenza (apūrvajñānajanane asamartha) poiché si limitano a indicare esperienze comunemente conosciute (lokprasiddhbodhakatvāt). Pertanto, sono inutili anche per realizzare direttamente la verità (samyagdṛśane) e per contemplare il significato delle affermazioni dei Vedānta (vedāntavākyārthavicāraṇe).
L’anubhava yogajanya (esperienza derivante dalle pratiche yogiche), per quanto divino o sublime, è inutile e può persino essere fuorviante (durmārgakārī) per comprendere il significato delle affermazioni dei Vedānta (vedāntavākyārthāvagatī) a causa della sua intrinseca natura soggettiva [particolare] [in contrapposizione all’esperienza non-particolare e universale] e del suo verificarsi occasionale (kādācitkatvāt).
Tuttavia, l’esperienza preliminare (pūrvasiddha anubhava), della natura del Testimone degli stati (avasthāsākṣirūpaḥ), sebbene comune a tutti gli esseri e non applicabile nelle relazioni empiriche (vyavahāra), serve come base per scrutare il significato delle affermazioni dei Vedānta e, quindi, diventa un mezzo per raggiungere la giusta conoscenza dell’identità di Brahman e Ātman. Sulla base di questa esperienza intuitiva, anche il ragionamento coerente con essa (upapannastarka) diventa un mezzo valido di conoscenza per comprendere il significato delle affermazioni di supporto (avāntaravākyārthāvagatī pramāṇam bhavati), come è esemplificato da affermazioni quale, per esempio, “svapnāntabuddhāntayorubhayoritare taravyabhicārāt… niṣprapañcasadātmatvam” (poiché gli stati di sonno e di veglia si contraddicono a vicenda, il Sé non si identifica con nessuno di essi). Questa stessa esperienza (anubhava), a cui si fa riferimento in tutti i metodi (prakriyā) come causa ed effetto (kārya-kāraṇa prakriyā), ecc., serve a negare gli elementi di falsa attribuzione ivi presenti [nel contesto di avāntara vākya-prakriyā] e porta alla realizzazione di Brahman (brahmāvagatiṃ) attraverso i Grandi Detti (Mahāvākya) del Vedānta.
L’intera sezione dell’Adhyāsa Bhāṣya che inizia con “yuṣmadasmadpratyayagocarayoḥ” e termina con “sarvalokapratyakṣaḥ”, che tratta della sovrapposizione (adhyāsabhāṣyarūpaḥ), è presentata unicamente sulla base dell’evidenza dell’esperienza (anubhavapramāṇamātraṃ āśritya). Quindi, affermazioni come “naisargiko’yaṃ lokavyavahāraḥ” e “sarvalokapratyakṣaḥ” (Questa transazione mondana è naturale e percepita da tutti) dimostrano che l’esperienza (anubhava) è l’unico mezzo di conoscenza valido (pramāṇa). In tutti i commentari, le affermazioni che fungono da ragioni (hetubhūtāni vākyāni) che terminano con il quinto caso (pañcamīvibhakti) indicano tutte la natura dell’esperienza (anubhavasvarūpameva). Come è stato detto:
I logici si confondono l’un l’altro con una ragnatela di “perché” e quindi sono pesantemente afflitti dalla febbre del dibattito. Ma è a questa esperienza che fanno il loro ultimo appello”. (Naiṣkarmya Siddhi 2.59)
Rimanendo nell’esame sulla natura dell’esperienza (anubhavasvarūpavivecana), il significato di parole come kalpanā (immaginazione), mamatā (proprietà), saundarya (bellezza), śraddhā (fede), ecc., deve essere accertato con attenta ponderazione.
A volte le persone scambiano la propria immaginazione (svakalpanā) per esperienza (anubhava), come quando vedono un veicolo in movimento, pensano che il movimento stesso sia percepito dagli occhi, ma questa non è l’esperienza reale (anubhava).
Allo stesso modo, si immagina che qualità come il suono, il tatto, la vista, il gusto e l’olfatto (śabdasparśarūparasagandhāḥ), che sono percepite da sensi diversi (pṛthagindriyagrāhyāḥ), siano tutte combinate in un unico oggetto (ekasmin padārthe saṃhatāni). Anche questa è solo immaginazione (kalpanā), non esperienza (anubhava).
Allo stesso modo, la gente pensa che anche le seguenti esperienze siano anubhava: 1) le relazioni sotto forma di attaccamento (mamatārūpo vyavahāraḥ) come “mio padre”, “mia madre”; e, 2) le qualità di paternità, ecc., provate nei confronti di individui cari come “fratello”, “sorella”, ecc.; ma queste nemmeno sono esperienze reali (anubhava).
Allo stesso modo, in affermazioni come “questo è bello”, “questo è appropriato”, “questo è favorevole” o “questo è sfavorevole”, le persone presumono che la bellezza (saundarya) e qualità come essere favorevoli, sfavorevoli o equidistanti (ānukūlyapratikūlyasamtvādīni) siano inerenti all’oggetto (vastuniṣṭha), anche se non sono esperienze (anubhavarūpatve’pi).
Allo stesso modo, quando si ottiene un risultato da un’azione compiuta con fede (śraddhāyukte karmaṇi), si crede che “il risultato di questa azione è stato visto da me attraverso la mia esperienza” (asya karmaṇaḥ phalaṃ mayā anubhavena dṛṣṭam). Questa non è esperienza (anubhava).
In tutti questi casi, l’immaginazione (kalpanāḥ), la proprietà (mamatā), la bellezza (saundarya) e la fede (śraddhā) variano da persona a persona e cambiano con il tempo e il luogo. Pertanto, non sono universali (asārvtrikaḥ), non sono comuni a tutte le persone (na sarvajanasādhāraṇaḥ) e non sono perenni (na sārvakālikaḥ).
L’esperienza (anubhava) è ciò che è comune a tutte le persone, eterno, aperto all’esame di tutti e uniforme (ekarūpaḥ), proprio come la natura intrinseca del fuoco è di essere caldo e quella del sole di essere luminoso. Questa stessa esperienza costituisce il fondamento di tutti i mezzi di conoscenza validi (pramāṇa).
Infine, è bene comprendere che nell’indagine su Brahman (brahma jijñāsā), l’esperienza (anubhava) è lo strumento di conoscenza (pramāṇa). Questa affermazione (anubhavaḥ pramāṇam) sovrappone all’esperienza (anubhava) l’attributo di essere un mezzo di conoscenza valido (pramāṇatvam) per confutare la validità di tutti gli altri mezzi di conoscenza (pramāṇa), come la percezione (pratyakṣa), ecc.
Inoltre, a differenza dell’indagine sul Dharma (dharma–jijñāsā), l’unità di Brahman e Ātman (brahmātmaikyatvam) non deve essere accettata solo sulla base delle affermazioni scritturali (śāstravākya) o della fede (śraddhā). Piuttosto, poiché la conoscenza (jñāna) e Brahman [non-essendo differenti] sono intrinsecamente reali (vastu-tantra), costituendo la natura stessa della realtà (bhūta-vastu) e auto-evidenti (svayaṃ-siddha), sono intesi come indipendenti da tutti i mezzi di conoscenza validi (sarvapramāṇa).
Le due frasi “Brahma anubhavātmakam” (Brahman è della natura dell’esperienza) e “parinṣṭhitavasturūpam” (Brahman è la realtà ultima) indicano che non riconosciamo l’esistenza di Brahman solo sulla base dell’autorità delle affermazioni o della fede. Invece, poiché Brahman è il Sé di tutti (sarvasya ātmābhūtatvāt), la sua Realtà può essere conosciuta attraverso la nostra esperienza (svānubhavena yāthātmyaṃ jñātuṃ śakyate).
Oṃ Tat Sat
- Dakṣiṇa Bhārata-ŚāṅkaraVedānta-Vidvad Goṣṭhi (Commemoration Volume), Holenarasipura, Adhyatma Prakasha Karyalaya, 2011, pp. 21-24.[↩]