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Il pianeta Saturno nella tradizione hindū

Saturno è il più venerato dei nove pianeti (navagraha)1 e il suo culto è presente in tutto il subcontinente indiano.2 Gli hindū sono consapevoli della potente influenza che Saturno esercita sulla vita umana e adottano diversi metodi per accrescerne o contrastarne gli effetti benevoli o nefasti.
Alcune considerazioni generali sul concetto di pianeta (graha) favoriranno la comprensione degli argomenti trattati. In primo luogo il termine sanscrito graha significa afferrare, stringere, trattenere.3
graha sono corpi celesti che esercitano la loro potenza sugli esseri che vivono sulla terra e regolano la legge del karma. In secondo luogo, i graha non sono corpi inanimati, bensì esseri senzienti; essi sono considerati divinità dotate di caratteristiche specifiche e, in qualche misura, di volontà di azione. La scienza che se occupa è il jyotiṣa; esso è un vedāṅga, una disciplina sussidiaria al Veda, che tratta principalmente di astronomia, astrologia, ma anche di argomenti quali l’architettura, la medicina, ecc. Uno dei temi principali di questa scienza è il computo del tempo al fine di stabilire il momento opportuno per l’esecuzione dei riti vedici o tantrici. Il jyotiṣa è composto da tre sezioni principali. La prima, il siddhānta, si occupa di principi cosmologici quali l’origine e la dissoluzione del cosmo, la compilazione delle effemeridi planetarie (calcolo della posizione dei pianeti, identificazione del momento delle eclissi, ecc.). La seconda sezione, hora, riguarda le influenze dei corpi celesti sui singoli individui; essa è l’astronomia genetliaca. La terza parte, saṃhitā, concerne argomenti vari quali l’astro-metereologia, l’architettura, la farmacopea.
Secondo il jyotiṣa, i graha sono esseri coscienti. In Br̥hatpārāśa-horāśāstra (II.7), il saggio Pārāśara spiega al suo discepolo Maitreya che i pianeti sono dotati di vita: Viṣṇu, la Divinità suprema, si manifesta sotto forma di nove pianeti affinché gli esseri viventi possano fruire degli effetti del karma, le azioni compiute nel corso di innumerevoli vite. Viṣṇu assume la forma propizia dei graha per sconfiggere demoni, proteggere gli uomini e rafforzare il dharma. In alcuni purāṇa, vi è una identificazione tra i navagraha e nove delle dieci manifestazioni (avatāra) di Viṣṇu: Rāma è la manifestazione del Sole, Kr̥ṣṇa della Luna, Narasiṃha di Marte, Buddha di Mercurio, Vāmana di Giove, Paraśurāma di Venere, Kūrma di Saturno, Varāha di Rāhu, Mīna di Ketu. Alla conclusione della missione, ogni avatāra rientrerà nel graha a lui corrispondente.
Secondo Br̥hatpārāśa-horāśāstra (II.13), tutti gli esseri viventi provengono dai pianeti: i jīvātman nascono in questo modo come uomini, animali, vegetali e minerali, vivono secondo il proprio destino e poi tornano a immergersi nei graha.
Il signore dei nove pianeti è il Sole, Sūrya. Esso rappresenta, a livello cosmologico, la Luce trascendente, simbolo del Principio Supremo. I restanti pianeti sono funzioni particolari di Sūrya stesso. Per questa ragione, dal punto di vista mitologico, essi sono i cavalli che trainano il carro del Sole.4
Un altro concetto fondamentale è quello di Kāla Puruṣa, il Tempo personificato: secondo Br̥hatpārāśa-horāśāstra (IV.3-4), i dodici segni zodiacali, a partire dall’Ariete, ne sono rispettivamente la testa, il viso, le braccia, il petto, il ventre, i fianchi, la sezione sotto l’ombelico, gli organi genitali, le cosce, le ginocchia, le gambe e i piedi. Secondo Jātaka Pārijātaka (II.1), il Sole è il Sé (ātman) del Kāla Puruṣa, la Luna ne è la coscienza individuale (citta), Marte il vigore (satva), Mercurio la parola (vaca), Giove la conoscenza (vijñāna), Venere il desiderio (kāma), Saturno il dolore (duḥkha).
Secondo il jyotiṣa, i pianeti sono caratterizzati da diverse qualità; le più importanti sono l’appartenenza a una determinata casta, a un genere maschile o femminile,5 la corrispondenza con un metallo, una pietra preziosa, un colore, uno dei tre umori, un’età della vita umana, una divinità, una qualità (guṇa), una direzione dello spazio, una regione geografica e via di questo passo. Per quanto riguarda Saturno, egli è un fuori casta; il suo genere non è definito in quanto è vecchio e decrepito quindi sessualmente inattivo. Il suo metallo è il ferro, la sua pietra lo zaffiro blu. Brahmā è la divinità corrispondente. Saturno appartiene al lignaggio del r̥ṣi Kāśyapa; è figlio di Sūrya e della sua seconda moglie Chāyā; per questo tra i suoi epiteti troviamo Sauri e Chāyāmaya. La sua carnagione è scura (nera o blu) e uno dei suoi nomi è Asita, il Fosco. Indossa vesti di colore blu e per questo è chiamato Nīlāmbara. Dal punto di vista fisiognomico, è legato all’umore vento (vāta). Gli corrisponde la fase finale, quella decrepita, della vita umana. Egli è storto (uno dei suoi nomi è Vakra) e anche zoppo (Paṅgu). Le sue qualità negative sono l’inerzia, l’ignoranza, l’ottenebramento (tāmas). È associato ai campi di cremazione, ai luoghi aridi e sporchi, alle prigioni e alla regione del Saurāṣṭra (la penisola di Kathiawar situata nella parte occidentale del Subcontinente); Saturno è infatti il reggente della direzione occidentale. È il significatore dei servi e degli individui vecchi e malevoli. È crudele (Kroḍa). Egli è uno dei graha malefici insieme a Rāhu e Ketu.
Le raffigurazioni iconografiche di Saturno, Śani in sanscrito, lo rappresentano a cavallo di un avvoltoio (gṛdhra) – animale possente, crudele e dalla fosca natura – oppure mentre conduce un carro trainato da otto avvoltoi blu. Śani può impugnare varie armi, ma gli attributi più importanti della sua figura sono l’arco e la freccia. Talora l’idolo di Śani è di ferro e può essere installato su di un basamento a forma di freccia rivolta verso ovest. In alcuni templi Śani è rappresentato a dorso di bufalo mentre tiene nelle mani una mazza di ferro e uno yoga daṇḍa (un bastone che serve di sostegno in alcune pratiche yogiche). Spesso è rappresentato mentre cavalca un corvo.
Come già rilevato, Saturno e gli altri pianeti sono delle divinità e in quanto tali sono invocate negli inni vedici a esse specificatamente dedicati. Gli strotra riferiscono di nove pianeti e delle loro divinità tutelari. Nel caso di Saturno esse sono Prajāpati (adhidevatā) e Yama (pratyadhidevatā).
La figura di Saturno è complessa e svolge varie funzioni. Dal punto di vista del  jyotiṣa egli è l’argomento più importante dell’astrologia giudiziaria (phala jyotiṣa). Il punto centrale dell’argomentazione, tanto in Occidente quanto in Oriente, è se, data la sua natura crudele, la sua influenza (dr̥ṣṭi) abbia degli effetti anche positivi, oltre che negativi, sulla esistenza umana. Nel corso del tempo, in Europa, il dibattito è stato molto acceso; il giudizio finale sugli effetti di Saturno è cambiato secondo i periodi storici e gli ambienti culturali di riferimento oscillando tra l’accusa di essere responsabile di tutte le umane miserie e l’elogio di favorire la crescita spirituale dell’individuo.
Per apprezzare la figura di Saturno è utile comprendere il concetto che esporremo di seguito. Secondo la visione cosmologica tradizionale, il nostro mondo, i pianeti, gli asterismi lunari, i segni zodiacali, l’Orsa Maggiore (Sapta R̥ṣi Maṇḍala), la Stella Polare (Dhruva Maṇḍala) sono contenuti nel Kāla Cakra, la Ruota del Tempo. Kāla Cakra è un altro nome del mondo il quale è così descritto: al centro della terra attuale, dove vive l’umanità presente, vi è il mitico monte Meru la cui sommità raggiunge la Stella Polare (Dhruva Maṇḍala). Questo ultimo termine si riferisce al Polo Nord celeste la cui forma simbolica è un piccolo cerchio. La Ruota del Tempo è imperniata su Śiśumāra, un personaggio mitico che simboleggia la funzione celeste del dio Viṣṇu. Śiśumāra ha la forma di un coccodrillo o, secondo alcuni dipinti astrologici, di uno scorpione. Alla fine della sua coda si trova Dhruva, la Stella Polare, la quale ruota in accordo con il movimento della coda stessa e contemporaneamente fa ruotare tutte le altre stelle e i pianeti (anche se a velocità differenti). Il cerchio/cielo interno al Dhruva Maṇḍala è l’orbita dell’Orsa Maggiore; il cielo successivo, ancora più interno, è quello dei segni zodiacali. Segue il cielo delle mansioni lunari e infine il graha cakra, i cieli in cui si muovono circolarmente i nove pianeti. A causa del loro lento cammino, le sfere celesti sembrano muoversi uniformemente. In realtà l’Orsa Maggiore, i segni zodiacali e le mansioni lunari ruotano a velocità differenti. Questi cieli riflettono lenti movimenti della volta celeste quali la precessione degli equinozi, la nutazione dell’asse terrestre e la conseguente obliquità dell’eclittica, in questo caso definita cintura zodiacale. Seguendo la logica appena esposta, la Stella Polare, la costellazione dell’Orsa Maggiore e gli asterismi lunari, pur appartenendo alla sfera delle stelle fisse, sono considerati essere in lentissimo movimento.
Il graha cakra è incluso all’interno del Kāla Cakra, ma le due sfere differiscono in quanto al senso di rotazione. Infatti, il Kāla Cakra si muove intorno al monte Meru mantenendolo alla sua destra, mentre il graha cakra, anche se partecipa del movimento generale del Kāla Cakra, si muove in senso inverso lasciando il monte Meru alla propria sinistra. Per spiegare questo concetto, citiamo un esempio che è stato utilizzato dallo Śaṅkarācārya di Kanchi Kāmakoṭi Pīṭham, Śrī Candraśekhara Sarasvatī: supponiamo che il Kāla Cakra sia un treno che si muove verso ovest; all’interno di questo veicolo vi sono i graha che si muovono dal primo vagone verso l’ultimo in direzione est e quindi in una direzione opposta a quel treno. Dobbiamo immaginare che il cielo delle stelle fisse si muova più velocemente rispetto alla rivoluzione dei pianeti all’interno della loro orbita. Alberuni, citando l’astronomo Brahmagupta, afferma che il vento (prāṇa in sanscrito, pneuma in greco) fa muovere le stelle fisse e i pianeti verso ovest, ma i pianeti si muovono anche lentamente verso est, nello stesso modo in cui sul tornio del vasaio i corpuscoli si muovono nella direzione opposta a quella della ruota.
Il concetto sopra esposto è di fondamentale importanza per la comprensione dell’antico sistema cosmologico geocentrico. Questa interpretazione delle meccaniche celesti è presente nella Divina Commedia (XXII.106-111 ) di Dante e nel Timeo di Platone (36. d).
La rivoluzione di Saturno, che attraversa i dodici segni zodiacali, è la più lenta tra le rivoluzioni planetarie. Saturno impiega, infatti, quasi trenta anni per attraversare i dodici segni dello zodiaco. Gli epiteti di Śanaiścara e di Manda sottolineano questa evidenza astronomica.
Dal punto di vista dell’astronomia classica, l’orbita di Saturno è la più esterna delle orbite planetarie. Come abbiamo fatto osservare più in alto, all’interno del graha cakra i pianeti si muovono verso est, ma partecipano comunque al movimento verso ovest delle altre sfere. Questo fatto ci spinge a considerare che le sfere oltre Saturno si muovono uniformemente al Primo Mobile del sistema tolemaico; il Primo Mobile può essere paragonato al movimento impresso da Śiśumāra.
Il movimento dei pianeti nel graha cakra provoca il mutamento degli elementi (tattva) e delle qualità (guṇa) nel mondo sublunare, ossia nel nostro mondo soggetto a una continua variazione.6 I pianeti sono la sede di quegli stessi elementi e qualità intesi però nella loro forma pura e incorruttibile. Saturno rappresenta dunque un confine: egli è signore della soglia tra una realtà mutevole e una realtà che invece è permanente (per lo meno rispetto al mondo del cambiamento).
L’influenza del pianeta Saturno, Śani in sanscrito, si esercita sulla vita di ogni individuo e la  portata dei suoi effetti è valutata attraverso il jyotiṣa. La rivoluzione di Śani attraverso i dodici segni dello zodiaco avviene in ventinove anni e mezzo. Gli astrologi indiani, jyotiṣī, conoscono molto bene le afflizioni che questo pianeta crudele infligge quando entra nel dodicesimo segno a partire dal segno zodiacale in cui si trovava la luna alla nascita dell’individuo. Questo arco di tempo, molto temuto, è chiamato sāṛhe sātī, i sette anni e mezzo di Śani (nell’astrologia occidentale vi è il concetto analogo di anni climaterici, con cadenza settennale e sempre in relazione alla posizione di Saturno). Si tratta del tempo impiegato da Saturno per attraversare tre segni zodiacali: il dodicesimo segno dalla luna natale, il segno della luna natale stessa e il segno a quest’ultimo successivo. Ad esempio se la luna natale di un individuo è nel segno dell’Ariete, il periodo dei sette anni e mezzo inizia quando Śani entra nel segno dei Pesci e si conclude quando esce dal segno del Toro. Se la vita di un essere umano è lunga, un essere umano deve affrontare tre rivoluzioni di Saturno. Il secondo giro di Saturno è considerato uno spartiacque: alcuni uomini sprofondano in un mare di guai, altri ottengono fama, quiete mentale, saggezza. Il terzo giro di Saturno generalmente provoca la morte. Il jyotiṣa śāstra afferma che se la posizione di Śani nella carta natale è positiva (uccha sthāna) allora i suoi effetti sono eccellenti; se la posizione è negativa (nīcha sthāna) i risultati sono miseria e sofferenza. Śani è chiamato anche Nīdhiman, il giudice, perché somministra la pena per le colpe commesse.7 In generale Śani dispensa agli esseri umani gli effetti positivi e negativi delle azioni compiute nelle vite precedenti.
Gli effetti sfavorevoli di Śani sono definiti come il suo sguardo (dr̥ṣṭi) crudele e implacabile.8 Il mito purāṇico racconta che il graha, intento a una severa ascesi, si sottraeva ai doveri coniugali; non posava nemmeno gli occhi sulla sua consorte. Colta dall’ira la moglie allora lo maledì e lo condannò a distruggere tutto ciò su cui il suo sguardo si fosse posato. Vi sono vari altri racconti legati alla dr̥ṣṭi di Śani. Uno dei più famosi riguarda il dio Gaṇeśa e il suo ottenimento di una testa di elefante: la dea Pārvatī aveva mostrato suo figlio a Śani e lo sguardo di quest’ultimo ne aveva mandato in frantumi la testa. Il capo di Gaṇeśa fu sostituito da quello di un elefante.
Śani è il più potente tra i pianeti malefici (pāpagraha). Tuttavia quando è in posizione favorevole nel piano natale di una persona allora dispensa pazienza, perseveranza, volontà; nessun altro graha è in grado di conferire a un essere umano qualità elevate quanto quelle concesse da Śani. Quell’individuo può diventare un capo abile, severo e al tempo stesso compassionevole. Bisogna tener presente che Śani quando infligge sofferenza a una persona in realtà lo purifica dalle azioni negative commesse, rimuove la sua ignoranza e lo induce a riflettere sui veri principi che governano il mondo manifestato. Il risultato finale è il miglioramento dell’individuo.
Quando la stretta malefica di Śani diventa ineludibile, i jyotiṣī consigliano vari rimedi (upāya). Si tratta in genere di rituali (legati alla recitazione di specifici mantra),9 da compiersi nei templi, nella propria casa o presso certi alberi.10 Oppure si tratta della recitazione di determinati testi. Tutti i rimedi legati a Śani sono volti a sviluppare nella persona afflitta il coraggio necessario per affrontare gli ostacoli che si sono presentati nella sua vita.
L’icona su cui si compie la venerazione è in genere una figura antropomorfica di colore nero e ricoperta di ornamenti di colore scuro (blu o nero). Talvolta è un piccolo idolo in ferro (lauhā); molto spesso è una scultura di pietra scura che in alcuni casi rappresenta Śani mentre cavalca un bufalo nero.11 L’icona è in genere collocata in una nicchia secondaria del tempio, insieme a quelle degli altri pianeti, più raramente da sola.
La rappresentazione antropomorfica non è la sola forma di raffigurazione di Śani, come rivela il famoso sito di Shingnapur in Maharashtra; Śani vi è adorato sotto forma di una grande roccia scura istallata su una piattaforma all’aria aperta. La roccia, dalla forma molto particolare, è svayambhū ovvero auto-manifestatasi, senza l’intervento umano.12
I riti di propiziazione di Śani prevedono l’utilizzo di articoli di ferro e di colore scuro. Il voto a  Śani (Śani vrata) è efficace quando inizia di sabato, specialmente durante il cammino del Sole verso il tropico del Capricorno (dakṣiṇāyana) e principalmente durante il mese di Śrāvaṇa.13 Il rito deve iniziare al tramonto perché il pianeta è il signore della direzione occidentale. Il devoto deve seguire una dieta parca e astenersi dal consumare carne, pesce, alcolici. Deve compiere delle abluzioni, indossare delle vesti nere, fare offerte agli antenati. La venerazione (pūjā) prosegue secondo modalità più o meno complesse in cui vi sono tuttavia degli elementi ricorrenti: l’offerta di una lampada alimentata con olio di mostarda, di vesti nere, di riso scuro, di sesamo nero, di fiori di colore scuro o di foglie di bilva (una varietà di Ægle marmelos). In alcuni siti sacri, a Śani è offerto un anello di ferro posto all’interno di una lampada alimentata con olio di mostarda; l’anello è poi indossato, per la prima volta, di sabato, durante la luna nuova. Sono particolarmente apprezzati gli anelli realizzati con il metallo proveniente dai ferri dei cavalli. In Shingnapur si offrono anche interi ferri di cavallo specialmente quelli appartenuti a cavalli neri. Le offerte possono variare notevolmente secondo la casta di appartenenza e le tradizioni familiari. Alla fine dei rituali, il purohita che li ha officiati può ricevere come ricompensa oggetti di ferro, sesamo nero, abiti neri, calzature, olio di colore scuro, oppure un tipo di legume chiamato uṛada, orzo, carbone o, tra le cose più preziose, il muschio del cervo muschiato (kastūrī) o addirittura una vacca nera.
Un’altra forma di propiziazione di Śani è indossare un anello in cui sia incastonato uno zaffiro blu (indra-nīla). Tradizionalmente le gemme sono impiegate come amuleti.14 La pietra in questo caso è consacrata tramite determinati rituali. L’associazione dello zaffiro con Śani è riconosciuta ovunque in India; tuttavia i jyotiṣī sono restii nel consigliarne l’uso e lo raccomandano solo quando sono sicuri delle caratteristiche di Śani nella carta natale (janma kuṇḍalī) del consultante. Secondo l’opinione generale, lo zaffiro blu è una gemma molto potente e indossarla produce effetti molto forti, positivi o negativi secondo la posizione di Śani nella carta natale.
Non solo Śani, ma anche tutti gli altri pianeti sono associati a una pietra preziosa che ricorda il colore e la forma del pianeta visibile a occhio nudo nel cielo. Secondo le scienze tradizionali, le gemme più preziose sono nove, le navaratna. Al Sole corrisponde il rubino, alla Luna la perla, a Marte il corallo, a Mercurio lo smeraldo, a Giove il topazio, a Venere il diamante, a Saturno lo zaffiro blu, a Rāhu la granata, a Ketu l’occhio di gatto. Le pietre preziose hanno origine dai titani e dai ṛṣiBr̥hat Saṁhitā (LXXX.3) afferma: “Le gemme, si dice, nacquero dalle ossa del daitya Balā; altri sostengono che nacquero dal [ṛṣi] Dadhīcī; altri dichiarano che la meravigliosa varietà di pietre è causata dalle qualità caratteristiche della terra.” Dadhīcī offrì le sue ossa e gli dei ne ricavarono l’arma vajrāyudha con cui il re degli dei Indra sacrificò il potente Vr̥tra che tratteneva in sé le acque della manifestazione primordiale.
In accordo con le prescrizioni rituali, Śani può essere pacificato anche attraverso la venerazione di alcuni dei, specialmente Hanumāna15 e Bhairava. Alcuni racconti orali sul Rāmāyaṇa narrano che Rāvaṇa, il tenebroso re di Lankā, catturò e imprigionò tutti e nove i pianeti nel segno zodiacale della sua undicesima casa. Ogni pianeta in transito in quella casa produce un effetto favorevole. Mentre era diretto a Lankā, Hanumāna liberò Śani e questi gliene fu profondamente grato. Stazionando nell’undicesima casa, Śani aveva conferito a Rāvaṇa grande onore e successo; dopo essere stato liberato da Hanumāna, si spostò nella dodicesima casa dell’oroscopo di Rāvaṇa ottenebrandone così la mente e causandone la disfatta (cominciò il periodo di sāṛhe sātī).
Śani e Bhairava condividono le caratteristiche di essere terrifici e di essere legati al concetto del  tempo che inesorabilmente conduce tutte le cose al loro pieno compimento e quindi esaurimento. Bhairava si manifesta sotto varie forme una delle quali è Kāla Bhairava, il guardiano supremo di Benares. In questa città sacra, abbiamo personalmente verificato un caso di completa identificazione tra Śani e Bhairava: di fronte all’ingresso del Kāśī Viśvanātha, vi è un piccolo tempio con un’icona venerata come Śani; tuttavia sotto le vesti che lo coprono e lo identificano come Śani vi è una scultura di Kāla Bhairava.[Per un esempio di pūjā a Śani in cui si recitano inni vedici, è visibile lo yantra di Śani e vi è una mūrti di Hanumāna si veda  https://www.youtube.com/watch?v=Fczd3q8zoQA  ]]
Altri metodi di propiziazione consistono nella recitazione di vari inni o testi sacri tra cui i 108 nomi di Śani (Śani aṣṭottaraśatanāmāvali) o i suoi 1008 nomi (Śrī Śanaiscara sahasranāma stotram) e di inni devozionali quali Śanaiścarastotram (appartenente al Brāhmaṇḍa Purāṇa), Śanaiścarastavarāja (appartenente allo Śrībhaviṣya Purāṇa) o lo Śani cālīsa. Alcune persone ripetono anche l’Hanumāna cālīsa legato a Hanumāna e il Devī Māhātmya legato alla dea Durgā. Uno dei testi più popolari ed amati come rimedio alle afflizioni di Śani è lo Śani Māhātmya. Ve ne sono molte versioni, ma la trama del racconto è sempre la stessa. Il protagonista della storia è Vikramāditya, il re di Ujjain famoso per la sua saggezza e munificenza. Anch’egli una volta cadde sotto l’influenza di Śani e dovette affrontare molte difficoltà per non avere riconosciuto la superiorità di Saturno sugli altri pianeti. Perse il suo regno; dovette mendicare in terra straniera; fu ridotto al rango di servo a causa di false accuse; fu punito con l’amputazione di mani e piedi. Un fabbricatore di olio (telī) ebbe pietà di lui e lo prese a lavorare con sé nel proprio frantoio. La figura del telī è significativa perché il compito del re fu quello di girare la macina del frantoio per molti anni: la macina rappresenta il lento trascorrere del tempo; ricordiamo inoltre che l’offerta di olio, soprattutto di sesamo e mostarda, è fondamentale nella propiziazione di Śani. Vikramāditya riconobbe infine la supremazia di Śani e il dio soddisfatto gli rese lo status di monarca e gli arti amputati. L’espiazione del karman determinò in Vikramāditya l’insorgere di quell’attitudine compassionevole e di quella sapienza che l’avrebbero reso celebre in tutta l’India.
Un altro testo consigliato dai jyotiṣī, e che svolge la stessa funzione dello Śani Māhātmya, è il Sundarakāṇḍa (una sezione del Rāmacaritmānasa). Il grande santo e poeta Tulsīdāsa vi racconta di Hanumāna che recapita un messaggio del suo Signore, il dio Rāma, alla beneamata moglie Sītā che era stata rapita da Rāvaṇa ed era tenuta prigioniera a Lankā. Le parole di Rāma, colme di affetto,  riferite dal fedele e intrepido Hanumāna, recarono conforto a Sītā, rinsaldarono nel suo cuore la profonda devozione al suo Signore e le instillarono un grande coraggio. Il turbamento di Sītā si acquietò ed ella iniziò a coltivare la determinazione di affrontare con animo più saldo quel periodo di sofferenza in attesa di essere liberata per mano del suo stesso Signore.
Il Br̥hatpārāśara-horāśāstra (II.5) identifica il dio Rāma al Sole. I paṇḍita interpretano così l’episodio del rapimento di Sītā: il jīvātman è separato dalla sua origine, rappresentata dal Sole (ātmakāraka), ed è sottomesso al potere illusivo dell’ignoranza (avidyā) che domina sulla molteplicità. Inoltre qualche paṇḍita collega Rāvaṇa a Śani per la loro funzione fuorviante, ingannevole: essi confondono le persone impedendo loro di distinguere la Realtà dalle cose irreali.
Tutto quanto abbiamo detto fin qui riguarda le persone ordinarie, ma non si applica nel caso dei praticanti delle discipline spirituali. I sādhaka non sono spaventati da una posizione sfavorevole di Śani nel proprio janma kuṇḍalī e nemmeno dal sāṛhe sātī; al contrario essi li accolgono con favore perché determinano l’esaurimento in questa vita di effetti karmici negativi e conducono a un perfezionamento individuale che è foriero di perfezionamento spirituale.16
Vi è inoltre una stretta connessione tra Śani e l’ascetismo. Secondo Br̥hatpārāśara-horāśāstra (LXXXI.1-3) vi sono particolari combinazioni planetarie (yoga) che sono indicatrici di rinuncia (pravrajya): un individuo abbandonerà la casa di origine, la famiglia e seguirà una disciplina spirituale. Se nelle combinazioni planetarie Śani è il graha più potente, la persona diventerà un nāgā sadhū. I nāgā sadhū sono uno dei gruppi di rinuncianti śaiva (daśanāmī) fondati da Ādi Śaṁkarācarya; la loro pratica include rifiutare le vesti, peregrinare da un luogo sacro all’altro e proteggere il dharma dai pericoli esterni. Essi sono considerati asceti guerrieri.
Abbiamo trovato un riferimento a Śani come causa della liberazione dal saṃsāra nei navagraha mantra recitati nei templi dell’India meridionale. Nell’anupallavi e nel caraṇam di un inno vedico si dice che Śani spaventa gli esseri immersi nell’oceano dell’esistenza mondana e annuncia eventi calamitosi, ma concede solo generose ricompense ai devoti che godono del favore del dio Śiva. Tra le sue qualifiche vi sono quelle di possedere un corpo di una scura lucentezza simile al nero collirio per gli occhi, di essere fratello di Yama,17 di avere per cavalcatura il corvo, di indossare abiti blu, una ghirlanda di fiori blu, ornamenti composti di pietre preziose blu, di esaudire tutti i desideri e, soprattutto, di essere il fulgore capace di infrangere la ruota del tempo (kālacakrabhedacitrabhānuṃ).18
Proponiamo un’ultima considerazione. Un mito purāṇico narra che Sūrya ebbe tre figli da Chāyā, l’ancella di sua moglie Saṁjñā: Manu, Tapatī e Śani. Saṁjñā aveva infatti creato una copia di se stessa, Chāyā (che significa ombra) perché non sopportava più la lucentezza e il calore di suo marito. Il Sole, inconsapevole della sostituzione, generò da lei i tre figli. Il padre di Saṁjñā, Viśvakarma, ridusse di un ottavo la lucentezza e il calore del Sole affinché sua figlia potesse vivere ancora con lui. Secondo il phala jyotiṣa, Śani Rāhu e Ketu sono in grado di privare il Sole della sua potenza. Come abbiamo già visto, Sūrya è il simbolo del Sé (ātman). La funzione di Śani è quindi paragonabile a quella del velo di māyā che occulta la vera natura del Sé.
In conclusione possiamo dire che Śani è il pesante fardello della nemesi, ma allo stesso tempo è causa di una palingenesi dell’individuo il quale è spinto ad abbandonare il mondo transitorio ed effimero e a coltivare la ricerca del proprio vero Sé.

Gaṅgā Bhāratī

  1. Sono nove pianeti presi in considerazione dal jyotiṣa, la scienza delle luci, ovvero l’astronomia e astrologia classiche vediche:  Sūrya (Sole), Candra (Luna), Maṅgala (Marte), Budha (Mercurio), Br̥haspati (Giove), Śukra (Venere), Śani (Saturno), Rāhu (Caput Draconis) e Ketu (Cauda Draconis). Rāhu e Ketu sono i nodi lunari ascendente e discendente. La tradizione indiana classifica questi ultimi due tra i pianeti e li definisce chāyā graha, pianeti fatti di ombra. Rāhu e Ketu sono due punti di intersezione tra l’orbita lunare e l’eclittica (l’orbita del sole); diversamente dagli altri pianeti, essi diventano visibili solamente durante le eclissi di Luna e di Sole, due pianeti dei quali essi rappresentano una sorta di immagine in negativo. Per questa ragione, possiamo asserire che i navagraha sono considerati sette più due.[]
  2. La rilevanza della figura di Saturno in India fu riconosciuta anche dalla cultura classica occidentale. Nel Tetrabiblos, il celebre matematico, astronomo e geografo Claudio Tolomeo afferma che il subcontinente indiano è sotto l’influenza del Capricorno, uno dei due segni zodiacali governati da Saturno.[]
  3. Il significato etimologico di graha differisce da quello di pianeta, termine che deriva dal greco planetés e significa errante. Facciamo notare che l’appellativo di graha è dato anche a corpi celesti invisibili (upagraha) e a esseri malevoli (balagraha grahapīṛās) che vanno pacificati per liberare la vittima umana dalla stretta malefica di sofferenze e malattie in cui l’hanno imprigionata.[]
  4. Rāhu e Ketu non sono compresi tra questi.[]
  5. Dal punto di vista iconografico, tutti i pianeti sono ritenuti maschili.[]
  6. Mercurio è l’elemento terra, Venere l’acqua, Marte il fuoco, Giove l’etere, Saturno l’aria. Per quanto riguarda i guṇa: Marte è la tendenza tāmasika, Mercurio quella rajasika, Giove quella sattvika, Venere quella rajasika, Saturno quella tāmasika.[]
  7. jyotiṣī ritengono che gli uomini pii e devoti non soffriranno, neppure durante il sāṛhe sātī, in virtù della fermezza e dei meriti acquisiti con le pratiche religiose e la devozione.[]
  8. Si pensi allo sguardo mortifero della Gorgona nel mito di Perseo.[]
  9. Vedici, purāṇici o tantrici in accordo con le differenti tradizioni rituali di appartenenza.[]
  10. In genere si tratta di un albero di Ficus religiosa (aśvattha). Un semplice rituale di propiziazione è arrotolare per sette volte un filo nero attorno al tronco dell’albero.[]
  11. La presenza del bufalo e, talora, del cane è caratteristica di Śani; si tratta di qualifiche che egli condivide con il dio Yama. Nel caso di Śani, il devoto può pacificare il pianeta irato nutrendo o accudendo un cane nero, specialmente se vecchio e malato. Allo stesso scopo si può dar da mangiare a un corvo o a una vacca nera.[]
  12. Alle donne è proibito toccare la roccia. Gli abitanti del villaggio ritengono che la protezione della mūrti di Śani sia così potente da tener lontani le afflizioni, le sciagure, i ladri, le ingiustizie. Un dato caratteristico è che nel villaggio non vi è alcuna serratura alle porte.[]
  13. Il vrata si compie per trentatré sabati successivi o perlomeno per sette. Il numero trentatré ricorre anche nello yantra di Śani dove trentatré è la somma dei nove numeri incisi sul diagramma, simbolo geometrico del dio. Lo Śani vrata contrasta anche gli effetti negativi causati da Rāhu e Ketu. Il giorno della luna nuova del mese di Jyeṣṭa (maggio-giugno) del calendario hindū è celebrato come lo Śani jayanthī, l’anniversario della nascita del dio.[]
  14. Le pietre preziose utilizzate come amuleti devono avere delle caratteristiche ben determinate quali la trasparenza, la purezza, l’uniformità del colore, ecc. Vari testi classici menzionano le gemme e le loro qualità.[]
  15. Il sabato i devoti gremiscono i templi consacrati ad Hanumāna, il divino messaggero che risveglia la fermezza nel cuore degli esseri umani afflitti.[]
  16. Questa funzione è esemplificata considerando Śani dal punto di vista dell’alchimia (rasāyana vidyā) dove egli è simboleggiato dal ferro, la materia più volgare e corruttibile, che è trasformato in oro, il metallo più nobile e incorruttibile.[]
  17. Yama è dharmarājā. Il fatto che Śani e Yama siano fratelli conferma la funzione svolta da Śani di giudicare, di esaminare le azioni compiute da un individuo.[]
  18.  https://www.scribd.com/doc/117317470/navagraha-slokas-Mantras []