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🇮🇹Angelo Crespi, Ars Attack, Milano, Johan & Levi Ed., 2013. ISBM 978-88-6010.114-3, pp. 103

Fino alla conclusione del XIX secolo, l’arte occidentale si rifaceva, pur con frequenti sussulti eversivi, all’estetica ellenica classica: per mezzo delle forme, essa intendeva spingere la mente di chi contemplava a ricercare la vera natura dell’oggetto rappresentato. L’arte si prestava così a indicare una via di introspezione che permettesse di vedere in trasparenza i significati degli oggetti dell’opera d’arte che, nella loro percezione ordinaria, apparivano opachi e limitati alla loro apparenza quotidiana. Un corpo umano, un oggetto, un elemento paesaggistico, riprodotto sulla tela o nella pietra, bronzo o legno, perdeva la sua pesantezza naturale (sahaja tamas) e si trasformava in un segno che ognuno interpretava a misura della propria capacità d’introspezione. Con il passare dei secoli il messaggio dell’arte diventava sempre più “greve”, perdendo gradualmente i suoi significati intellettuali, emotivi e sensibili. L’arte rimaneva comunque un linguaggio per alludere a qualcosa di più elevato di quanto si cela dietro le apparenze quotidiane, fino a essere in grado a condurre la mente dello spettatore a vette ineffabili, come è ben decritto dall’affermazione pseudo platonica “Il bello è lo splendore del vero”. E se al tramonto del periodo figurativo, l’arte induceva solamente a sensazioni di benessere, serenità, equilibrio, ciò nonostante anche queste ottuse sensazioni potevano rappresentare l’ultimo fioco lucore del “vero”.
Con l’inizio del XX secolo l’arte cambia completamente rotta: si presenta come un campo di “sperimentazione scientifica”, in cui ogni preteso artista propone un suo personale campo d’indagine al fine di proporre agli spettatori uno strumento per la comprensione del mondo. Naturalmente questo campo d’indagine è commisurato con la “visione del mondo” dell’autore, con la sua ideologia, la sua (generalmente scarsa) cultura personale e con le sue più brute inclinazioni, affioranti dal subcosciente per godere d’una incontrollata “libertà” d’espressione, considerata come “ispirazione creativa”. In questo modo, solamente lo pseudo artista intende oscuramente cosa vuole esprimere con il suo manufatto; ma egli circonda di mistero la sua “ispirazione creatrice”, essendo egli stesso incapace di comunicarne ad altri il significato. Ancor più sorprendente è l’atteggiamento degli ammiratori dell’arte contemporanea i quali, impossibilitati non solo a seguire le varie tendenze artistiche, tra loro divergenti e tanto numerose quanti sono i presunti artisti, sono addirittura incapaci di comprendere il significato di una sola “opera d’arte” d’un singolo autore. Questo perché nemmeno l’autore stesso sa chiaramente che cosa ha voluto rappresentare.
Considerando, inoltre, la pretesa “sperimentazione scientifica”, chiamata a giustificare questo nuovo corso dell’“arte contemporanea”, faremo notare quanto questa definizione sia del tutto impropria. Infatti, gli scienziati si dedicano alla sperimentazione al fine di scoprire angoli dalla natura ancora sconosciuti, allo scopo che le loro investigazioni possano portare alla scoperta di qualcosa di utile (arthakara bhogya) per l’umanità. Questa sperimentazione si sviluppa sulla base dell’osservazione degli oggetti esterni, alla ricerca deduttiva di spiegazioni circa il loro naturale modo empirico di esistere e di mutare. Alcune di queste esperienze scientifiche poi, possono portare a dei benefici per la vita empirica degli individui e della società.
L’“arte contemporanea”, invece, si basa su pensieri, idee, simpatie-antipatie, pregiudizi, istinti, tutti sperimentati in modo incontrollato all’interno della psiche volutamente sfrenata degli “artisti”, che alterano l’obiettività della loro percezione sensoriale; per questa ragione il loro uso sregolato di alcohol e droghe è pubblicamente tollerato, se non giustificato come strumenti di “ispirazione”. Non c’è dunque alcuna osservazione distaccata degli oggetti della percezione sensoria né la ricerca deduttiva sulle esperienze tipiche della ricerca scientifica. Su questa base non è possibile che la pretesa “sperimentazione scientifica” dell’“arte contemporanea” possa fornire alcunché di utile o di fruibile. Quale utilità può provenire dall’esposizione di un orinatoio, di un taglio in una tela, di un contenitore di escrementi, o dall’esibizione macabra di cadaveri umani scarnificati e plastificati? La sola utilità ricade sempre e solo nelle tasche dei galleristi e dei critici d’arte, tutti ben identificabili nella lobby internazionale delle banche e dei media, che specula sull’imbecillità dei moderni. In realtà, tutto ciò può evocare nell’osservatore sano soltanto un senso di malessere e di ribrezzo. Solamente ipocriti “intellettuali” collusi ideologicamente potranno decantare tali meraviglie!
La pretesa “sperimentazione scientifica” che giustificherebbe l’“arte contemporanea”, quindi, non è razionalmente sostenibile. Quello che appare evidente è che mercanti, critici e divulgatori di questa vera e propria mostruosità infernale, svolgono una funzione di corruzione della mentalità generale, perseguita attraverso la “consacrazione artistica” del brutto, del deforme, del malvagio, del corrotto, del volgare e, soprattutto, dell’odio nei confronti del sacro.
Angelo Crespi con questo libro snello e di piacevole lettura, denuncia senza timore la grande parodia dell’ “arte contemporanea”, apportando molteplici esempi, indicando complicità e fini coperti da riserbo, fornendo considerazioni spesso acute sul fenomeno che magistralmente smonta. Ciò dimostra che anche senza conoscere dottrine tradizionali e, men che meno, metafisiche, ma con il semplice buon senso e con una comprensione media della realtà mondana, è possibile considerare le cose come sono e non come si vuole obbligare a credere.

Pāpahara Daṇḍakartā Nagottama

Angelo Crespi, Ars Attack, Milano, Johan & Levi Ed., 2013. ISBM 978-88-6010.114-3, pp. 103

Up until the end of the 19th century, Western art recurred, although with frequent subversive jolts, to classical Hellenic aesthetics. By means of forms, it intended to induce the mind of the beholders to seek the true nature of the represented object. Thus, art lent itself to indicate a path of introspection allowing to see in transparency the meanings of the represented subjects, which in their ordinary perception appeared opaque and limited to their daily appearance. A human body, an object, a landscape element, reproduced on canvas or in stone, bronze or wood, lost its natural heaviness (sahaja tamas) and turned into a sign interpreted according to one’s  own capacity for introspection. With the passing of the centuries the message delivered became more and more “heavy”, gradually losing its intellectual, emotional and sensitive meanings. In any case, art remained a language to allude to something higher than what is hidden behind everyday appearances, until it is able to lead the viewer’s mind to ineffable peaks, as described by the pseudo-Platonic dictum “Beauty is the splendor of Truth”. If at the decline of the figurative period art was only able to provoke feelings of comfort, serenity, balance, these dull sensations were nevertheless qualified to represent the last dim glow of the “Truth”.
At the beginning of the 20th century, art took a completely different route, presenting itself as a field of “scientific experimentation” in which every so-called artist proposed a personal line of investigation in order to offer to the public a tool for understanding the world. Naturally, such lines of investigation remained commensurate with the authors’ “vision of the world”, their ideology, their – generally poor – personal culture and with their most brute inclinations emerging from the subconscious to enjoy an uncontrolled “freedom” of expression, considered as “creative inspiration”. In this way, only the pseudo-artist understands obscurely what he wants to express with his artifact; yet he surrounds his “creative inspiration” with mystery, as he himself is unable to communicate its meaning to others. Even more surprising is the attitude of contemporary art admirers who, unable to follow the various artistic tendencies, divergent from each other and as numerous as the alleged artists are, remain helpless in the attempt to understand the meaning of any “work of art” from a single author. This is because even the very author does not know what he wanted to represent.
Moreover, by considering the alleged “scientific experimentation”, invoked to justify this new course of “contemporary art”, we must point out how this definition is completely improper. In fact, scientists dedicate themselves to experimentation in order to discover unknown corners of nature, with the hope that something useful (arthakara or bhogya) for humanity would be come upon. This experimental method is developed on the basis of the observation of external objects, conducting a deductive search for explanations on their natural way of empirical existence and transformation. Some of these scientific experiences can then lead to benefits for the empirical life of individuals and society.
“Contemporary art”, on the other hand, is based on thoughts, ideas, likes and dislikes, instincts, all experienced in an uncontrolled way within the deliberately unrestrained psyche of the “artists”, altering the objectivity of their sensory perception. For this reason their unregulated use of alcohol and drugs is publicly tolerated, if not justified as “inspirational” tools. Therefore, there is no detached observation of the objects of sensory perception, nor deductive research on the experiences typical of the scientific research. On this basis, it is not possible for the alleged “scientific experimentation” of “contemporary art” to provide anything useful or usable. What usefulness can come from exposing a urinal, a cut into the canvas, a container of excrements, or from the macabre display of human corpses stripped of their flesh and plastinated? The sole utility is to benefit the pockets of gallery owners and art critics, all clearly identifiable in an international lobby of Banks and Media that speculates on the imbecility of the moderns. In reality, all this uniquely provokes in the healthy observer a sense of malaise and disgust. Only hypocritical “intellectuals”, ideologically colluded, can extol such wonders!
Therefore, the alleged “scientific experimentation” that justifies “contemporary art” is not rationally sustainable. It is evident that art dealers, critics and popularizers of this authentic hellish monstrosity play a role of corruptors of the general mentality, pursued through the “artistic consecration” of everything is ugly, deformed, evil, corrupt, indecent and, above all, hateful of the sacred.
With this slender and compelling book, Angelo Crespi bravely denounces the great parody of “contemporary art”, bringing many examples, uncovering schemes and complicities covered by secrecy, often making acute observations on a phenomenon that he masterfully dismantles. This shows that even without any knowledge of traditional doctrines, much less of metaphysical ones, but with simple common sense and an average understanding of the worldly reality it is possible to consider things as they are, and not as one wants them to appear.

Pāpahara Daṇḍakartā Nagottama

Angelo Crespi, Ars Attack, Milano, Johan & Levi Ed., 2013. ISBM 978-88-6010.114-3, pp. 103

Hasta finales del siglo XIX, el arte occidental recurrió, aunque con reacciones subversivas frecuentes, a la estética helénica clásica: por medio de las formas, ella se había hecho cargo de estimular la mente de sus espectadores para buscar la verdadera naturaleza del objeto representado. Así, el arte se prestó para indicar un camino de introspección que permitiera ver en transparencia los significados de los objetos artisticos que, en su percepción ordinaria, parecían opacos y limitados al aspecto cotidiano. Un cuerpo humano, un objeto, un elemento de paisaje, reproducidos sobre el lienzo o en la piedra, el bronce o la madera, perdían su pesadez natural (sahaja tamas) y se convirtían en un signo que todos interpretaban según su propia capacidad de introspección. Con el paso de los siglos, el mensaje del arte se hizo cada vez más “grueso”, perdiendo gradualmente sus significados intelectuales, emocionales y sensibles. En cualquier caso, el arte siguió siendo un lenguaje para aludir a algo más alto de lo que se oculta trás las apariencias cotidianas, hasta dirigir la mente del espectador a picos inefables, como lo describe bien la afirmación pseudo-platónica “La belleza el esplendor de la Verdad”. Y si, al final del período figurativo, el arte solo inducía sentimientos de bienestar, serenidad, equilibrio, sin embargo, incluso estas sensaciones mates podían representar el último brillo tenue de la “Verdad”.
Con el comienzo del siglo XX, el arte cambia de ruta por completo: se presenta como un campo de “experimentación científica”, en el que cada supuesto artista propone un campo de investigación personal para ofrecer a sus espectadores un aparato apto a comprender el mundo. Naturalmente, este campo de investigación es acorde con la “visión del mundo” del autor, con su ideología, su cultura personal (generalmente pobre) y con sus inclinaciones más brutas que surgen del subconsciente, para disfrutar de una incontrolada “libertad de expresión”, considerada como una “inspiración creativa”. De esta manera, solo el pseudo artista llega a comprender oscuramente lo que quiere expresar con su artefacto envolviendo de misterio su “inspiración creativa”, ya que él mismo es incapaz de comunicar el significado de sus obras a los demás. Aún más sorprendente es la actitud de los admiradores del arte contemporáneo que, incapaces de seguir las diversas tendencias artísticas, divergentes entre sí y tan numerosas como los supuestos artistas, son incluso incapaces de comprender hasta el significado de una sola “obra” de un autor. Esto se debe al hecho que a menudo ni el mismo autor sabe lo que quería representar con ella.
Considerando, además, la supuesta “experimentación científica”, llamada a justificar este nuevo curso del “arte contemporáneo”, señalaremos cómo esta definición sea completamente inapropiada. De hecho, los científicos se dedican a la experimentación para descubrir rincones aún desconocidos de la naturaleza, con el propósito que sus investigaciones puedan conducir al descubrimiento de algo útil (arthakara bhogya) para la humanidad. Esta experimentación se desarrolla sobre la base de la observación de los objetos externos, la búsqueda deductiva de explicaciones sobre su forma empírica de existir y de cambiar. Algunas de estas experiencias científicas pueden generar beneficios verdaderos para la vida de los individuos y la sociedad.
El “arte contemporáneo”, por otra parte, se basa en pensamientos, ideas, simpatías-adversiones, instintos experimentados de manera incontrolada dentro de la psique deliberadamente desenfrenada de los “artistas”, que alteran la objetividad de su percepción sensorial. Por esta razón, el uso disoluto de alcohol y drogas de su parte està públicamente tolerado y incluso justificado como instrumento de “inspiración”. Por lo tanto, no hay en este caso ni observación imparcial de los objetos de la percepción sensorial ni deducción sobre las experiencias como es en la investigación científica. Sobre esta base, no es posible que la supuesta “experimentación científica” del “arte contemporáneo” pueda proporcionar algo útil o utilizable. ¿Qué utilidad puede tener el exponer un urinario, un corte en un lienzo, un bote de excrementos o la exhibición macabra de cadáveres humanos descuartizados y plastificados? La única utilidad recae siempre y solo en los bolsillos de los galeristas y de los críticos de arte, todos bien identificables en el mismo lobby internacional de bancos y medios de comunicación, que especula sobre la imbecilidad de los modernos. En realidad, todo esto puede evocar en el observador sano únicamente una sensación de malestar y disgusto. ¡Solo los “intelectuales” hipócritas y ideológicamente comprometidos pueden alabar tales maravillas!
La supuesta “experimentación científica” que pretende justificar el “arte contemporáneo”, por lo tanto, no es racionalmente sostenible. Lo que es evidente es que los comerciantes, críticos y divulgadores de esta verdadera monstruosidad infernal, realizan una función de corrupción de la mentalidad general, perseguida a través de la “consagración artística” de lo feo, lo deforme, lo malo, lo corrupto, el indecente y, sobre todo, del odio hacia todo lo que es sagrado.
Angelo Crespi, con este fresco libro de agradable lectura, denuncia sin temor la gran parodia del “arte contemporáneo”, aportando muchos ejemplos, indicando complicidades y fines encubiertos de secreto, proporcionando a menudo consideraciones agudas sobre el fenómeno que consigue magistralmente desmantelar. Esto demuestra que incluso sin conocer doctrinas tradicionales y aun menos, las metafísicas, con el simple sentido común y con una comprensión normal de la realidad mundana, es posible considerar las cosas como son y no como quieren obligarnos a creer.

Pāpahara Daṇḍakartā Nagottama

Angelo Crespi, Ars Attack, Milano, Johan & Levi Ed., 2013. ISBM 978-88-6010.114-3, pp. 103

Jusqu’à la fin du XIXe siècle, l’art occidental faisait référence, avec de nombreuses frémissements subversifs, à l’esthétique hellénique classique: au moyen de formes, elle entendait pousser l’esprit de ceux qui envisageaient de rechercher la vraie nature de l’objet représenté. L’art se prêtait ainsi à indiquer une voie d’introspection qui permettait de voir en transparence la signification des objets de l’œuvre d’art qui, dans leur perception ordinaire, paraissaient opaques et limités à leur apparence quotidienne. Un corps humain, un objet, un élément de paysage, reproduit sur la toile ou dans la pierre, le bronze ou le bois, perdait sa lourdeur naturelle (sahaja tamas) et devenait un signe que chacun interprétait selon sa propre capacité d’introspection. Au fil des siècles, le message de l’art est devenu de plus en plus “lourd”, perdant progressivement ses significations intellectuelles, émotionnelles et sensibles. En tout état de cause, l’art est resté un langage permettant de faire allusion à quelque chose de plus grand que ce qui se cache derrière les apparences de tous les jours, jusqu’à être à même d’amener l’esprit du spectateur à des sommets ineffables, comme le dit bien l’affirmation pseudo-platonicienne “Le Beau est la splendeur du Vrai “. Et si, au crépuscule de la période figurative, l’art ne suscitait que des sentiments de bien-être, de sérénité, d’équilibre, néanmoins ces mêmes ternes sensations pouvaient représenter la dernière faible lueur du «Vrai».
Au début du XXe siècle, l’art change complètement de direction: il se présente comme un terrain “d’expérimentation scientifique”, où chaque soi-disant artiste propose un domaine personnel d’investigation afin d’offrir à ses spectateurs un outil capable de leur faire comprendre le monde. Naturellement, ce champ d’investigation correspond à la “vision du monde” de l’auteur, à son idéologie, à sa culture personnelle (généralement faible) et à ses penchants les plus brutaux sortant du subconscient, pour jouir d’un sentiment incontrôlé de “liberté” d’expression, considérée comme s’il s’agissait d’”inspiration créatrice”. De cette manière, le seul pseudo-artiste entend obscurément ce qu’il veut exprimer avec son artefact; mais il entoure son “inspiration créatrice” de mystère, puisqu’il est lui-même incapable d’en communiquer la signification aux autres. Plus surprenant encore est l’attitude des admirateurs d’art contemporaine qui, incapables de suivre les diverses tendances artistiques, divergentes les unes des autres et aussi nombreuses que les soi-disant artistes, mais même pas capables de comprendre le sens d’une seule “oeuvre d’art” d’un seul auteur, car même l’auteur ne sait pas trop bien ce qu’il a voulu représenter !
De plus, considérant la supposée “expérimentation scientifique” appelée à justifier ce nouveau cours d’”art contemporain”, nous soulignerons en quoi cette définition est totalement inappropriée. En effet, les scientifiques se consacrent à l’expérimentation afin de découvrir des recoins encore inconnus de la nature, afin que leurs investigations puissent mener à la découverte de quelque chose d’utile (arthakara ou bhogya) pour l’humanité. Cette expérimentation se développe à partir de l’observation d’objets extérieurs, afin d’en déduire des explications sur leur manière empirique naturelle d’exister et de changer. Quelques expériences scientifiques peuvent alors apporter des avantages à la vie empirique des individus et de la société.
L’art contemporain, quant à lui, repose sur des pensées, des idées, des sympathies-aversions, des préjugés, des instincts, tous vécus de manière incontrôlée dans la psyché délibérément débridée des «artistes», qui modifient l’objectivité de leur perception sensorielle; pour cette raison, leur consommation éfrénée d’alcool et de drogues est publiquement tolérée, voire justifiée, en tant qu’instrument d’”inspiration”. Il n’y a donc pas d’observation détachée des objets de la perception sensorielle ni de recherche déductive sur les expériences typiques de la recherche scientifique. Sur cette base, il n’est pas possible que la prétendue “expérimentation scientifique” de “l’art contemporain” puisse fournir quelque chose d’utile ou d’utilisable. Quelle utilité peut-il y avoir à exposer un urinoir, une coupure dans une toile, un récipient contenant des excréments ou une macabre présentation de cadavres humains écorchés et plastifiés? La seule “utilité” retombe toujours dans les coffres des galeristes et des critiques d’art, tous clairement identifiables à la lobby internationale des banques et des médias qui spécule sur l’imbécillité des modernes. En réalité, tout cela ne peut susciter chez l’observateur en bonne santé qu’un sentiment de malaise et de dégoût. Seuls des “intellectuels” hypocrites, idéologiquement rassemblés, peuvent décanter de telles merveilles!
La prétendue “expérimentation scientifique” qui justifie “l’art contemporain” n’est donc pas rationnellement soutenable. Ce qui est évident, c’est que les marchands, critiques et vulgarisateurs de cette véritable monstruosité infernale jouent une fonction de corruption de la mentalité générale, poursuivie à travers la “consécration artistique” du laide, du déformé, du mal, du corrompu, du vulgaire et, avant tout, de la haine envers le sacré.
Angelo Crespi avec ce mince livre de lecture agréable, dénonce sans crainte la grande parodie de “l’art contemporain”, en apportant de nombreux exemples, indiquant la complicité et les fins cachés par la réserve, fournissant des considérations souvent aiguës sur le phénomène qu’il démantèle magistralement. Cela montre que même sans connaître des doctrines traditionnelles ou métaphysiques, mais avec un simple bon sens et une compréhension moyenne de la réalité du monde, il est possible de considérer les choses comme elles sont et non comme on les veut faire croire.

Pāpahara Daṇḍakartā Nagottama