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Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja

23. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda

Agama Prakaraṇa

Note sul Śaṃkara Bhāṣya riguardanti il Mantra 7

Nel settimo mantra una delle affermazioni più importanti è: “ekātma pratyaya sāram” (la cui unica prova è la consapevolezza d’essere il Sé). Su che cosa puoi riflettere, su quale base devi pensare a te stesso, su che cosa devi pensare a te stesso? Il mezzo con cui puoi riflettere è “ekātma pratyaya sāram”. Riconosci il fatto che lo stesso Sé è in tutte le esperienze, tu stesso sei lì. La prova della continuità della tua esistenza è il pramāṇam, per l’esistenza della Realtà la prova è la Realtà stessa che è evidente. Il Sé è evidente. “Ekātma pratyaya sāram” significa anche che lo stesso Sé è in tutti e tre gli stati; ogni esperienza presuppone la tua presenza. Riconoscere questo punto è riflessione: in tutte le tue esperienze tu sei lì. Puoi essere senza una data esperienza, per esempio senza lo stato di veglia, ma lo stato di veglia non può essere senza di te. La tua presenza è indipendente dallo stato di veglia, ma lo stato di veglia non può essere percepito senza la tua presenza: quindi il pramāṇam è l’evidenza della Realtà e tale evidenza è indicata dalla śruti. Come indicatore dell’evidenza è pramāṇam, ma l’evidenza stessa è mahā pramāṇam.

La śruti indica solo l’evidenza e il pensiero umano non può mai pensare in termini di tale evidenza. Pensa sempre in termini di presenza delle cose, assenza delle cose, presenza del corpo, assenza del corpo, presenza del pensiero, assenza del pensiero, presenza della vita, assenza della vita. Pensa in termini di bhāva abhāva della creazione: non pensa alla continua presenza di se stesso, non pensa all’innegabile presenza della sua esistenza. Lo śāstra rivolge la sua attenzione all’evidente; se lo śāstra può volgere l’attenzione dell’uomo all’evidente perché l’uomo non può rivolgere la sua attenzione all’evidente? L’uomo non sa nemmeno cosa sia evidente. Questo è qualcosa che deve capire; senza śābda pramāṇam non puoi nemmeno pensare in quella direzione. Senza śābda pramāṇam nemmeno sforzandoti arrivi capire che suṣupti è la tua presenza. Suṣupti non è solo l’assenza della veglia e del sogno; suṣupti significa la presenza di te stesso. L’uomo non può pensare in tale direzione. “Svāmījī, e supponendo che lo possa pensare?” Se pensa in quella direzione lo chiamiamo saggio, ma in generale le persone fanno confusione nella loro riflessione.

Anche Jiddu Krishnamurti parlava solo di coscienza senza scelta: noi accettiamo la Coscienza senza scelta, ma qual è la relazione tra Coscienza e materia? Che relazione hanno? Alla luce della Coscienza questo universo è mithyā; invece, egli diceva che esso è un’altra realtà, quindi era un sāṃkhya che non conosceva il Vedānta. Non conosceva il Vedānta, né parlava di Vedānta: era di scuola Sāṃkhya in quanto accettava la materia come una realtà e la Coscienza come un’altra realtà. Se le si accettano come due realtà parallele, allora non è Vedānta: c’è solo una Realtà che è comprensiva di tutta la materia, è libera dalla materia e non è qualificata da essa. La corda è comprensiva dell’intero serpente e non è qualificata da esso. Pensare in termini di realtà materiale e realtà cosciente non è una grande cosa: anche questo è duplicità (dvyātma). Quindi la Realtà e la materia non sono due realtà, la materia è fatta di Realtà. Il tuo pensiero e tu non siete due cose: viceversa, tu non sei come il pensiero. Il pensatore cosciente è diverso dal pensiero. Non sono due cose parallele, perché il pensatore cosciente è la sostanza del pensiero; quindi è comprensivo del pensiero e tuttavia non è qualificato dal pensiero. Si tratta di un’unità; non c’è divisione spaziale tra pensiero e pensatore cosciente, come non c’è nemmeno divisione temporale.

Il pensiero non esiste dopo il pensatore. Non c’è una sequenza temporale tra il pensiero e il pensatore: c’è un ritardo di percezione (krama pratipatti), ma non un ritardo di tempo (krama kāla). Tra la tua presenza e il pensiero non c’è sequenza temporale. Non puoi dire che prima c’è la tua presenza e poi il pensiero: tu sei eternamente presente. Ciò che è presente sei tu e il pensiero appare in te: quindi non c’è sequenza. Tra due eventi può esserci una sequenza temporale, ma tra la tua presenza e la tua percezione non c’è sequenza temporale, non c’è divisione spaziale; non c’è divisione temporale, non c’è divisione materiale, non c’è divisione di alcun tipo. Il pensiero è un tutt’uno con il tuo Essere. Dove ha luogo il pensiero? In te. Su questo hai riflettuto più e più volte: i pensieri hanno luogo in te. Non dire “I miei pensieri hanno luogo nella mia mente”. Anche la tua mente è un pensiero. I tuoi pensieri hanno luogo in te; anche la tua mente è in te, è collegata al tuo Essere. Perciò tutte le percezioni sono sentite nel tuo proprio Sé, tutti i pensieri sono sentiti nel tuo proprio Sé e quel Sé non è parallelo al pensiero. Non c’è parallelismo, non c’è divisione tra pensiero e pensatore, l’Essere cosciente.

Anche la relazione pensatore-pensiero è un pensiero. Anche la capacità di pensare è un pensiero, perciò quando si pensa un pensiero si è chiamati pensatori; ciò significa che la capacità di pensare è subordinata al pensiero, ma ciò che è subordinato al pensiero è anche un pensiero. Invece, la tua presenza non è subordinata dal pensiero; se fosse subordinata al pensiero, allora il tuo pensiero dovrebbe qualificare il tuo Essere. Se la tua esistenza fosse qualificata da un pensiero, non saresti in grado di pensare un pensiero contrario. Quindi lo śāstra dice che tu pensi innumerevoli pensieri colorati, ma tu non sei colorato da alcun pensiero, come un cristallo che riflette innumerevoli colori, ma non ne è colorato. Solo riflette i molti colori. L’acqua può essere sostanza per tutti i tipi di onde, ma non è qualificata da alcuna forma. Il rapporto tra Realtà ed errore è quello che si chiama unicità.

Dato che non c’è relazione tra Verità [Satya] ed errore, tra il proprio Essere e l’universo non c’è unità; unità significa che dovresti essere comprensivo di tutto e allo stesso tempo dovresti essere libero da tutte le divisioni. Questo si chiama unità, la distanza dalle divisioni non è unità: la corda non è distante dal serpente, la corda è la realtà del serpente, è una percezione errata della corda. Supporre che la corda pensi “io sono un serpente” e si senta a disagio è un errore, un auto-errore. L’uomo pensa “io sono limitato” e si sente a disagio. Il disagio e il senso di limitazione vanno insieme: infatti se una corda in quiete pensa a se stessa come qualcosa di diverso da sé, allora ne sarà inquietata.

Perciò la frase più importante del settimo verso è “ekātma pratyaya sāram”. Memorizzala. “Ekātma pratyaya sāram” significa che l’unica prova della Verità è la Verità. L’evidenza della Verità è l’evidenza della Verità. La presenza innegabile della propria esistenza è l’unica prova della Realtà [Satya]. La Realtà è la sua stessa evidenza e tu sei la tua stessa evidenza. Non si può dire “mi percepisco quindi sono evidente”. No! Ciò che si percepisce è solo una forma, ciò che si percepisce è solo un pensiero. Chi percepisce è evidente. Turīyam è ciò che può essere compreso nella tua stessa vita, alla luce dell’evidenza della continuità del tuo Essere, e ciò che continua è Turīyam , ciò che non è negabile è Turīyam; ciò che è negabile è uno stato, è un pensiero. Stato e pensiero sono sinonimi nel Vedānta. Ci può essere uno stato di pensiero, ma non c’è uno stato di presenza. La tua presenza non passa attraverso molti stati; il pensiero di veglia è uno stato di veglia, il pensiero di sogno è uno stato di sogno e l’assenza di pensiero è uno stato di sonno profondo. Ma in tutti e tre gli stati c’è la tua presenza e questa è la tua esperienza. L’anubhava della tua presenza è tutti e tre gli stati, perché i tre stati sono nella tua esperienza.

Quindi, vedere la presenza continua e innegabile del proprio Essere in tutti e tre gli stati è la prova del fatto che sei Caturtham; l’innegabile è il Caturtham e il negabile è lo stato. Inoltre, l’assenza dei due stati nega la presenza dei due stati e la presenza dei due stati nega l’assenza dei due stati. La presenza dei due stati e l’assenza dei due stati si alternano reciprocamente e questa alternanza è la tua esperienza, che non è alternata da nessuno stato. La presenza dello stato sostituisce l’assenza dello stato e l’assenza dello stato sostituisce la presenza dello stato, ma la presenza dello stato non sostituisce il tuo proprio essere. Questa è una cosa molto ovvia, a cui bisogna prestare attenzione. Perciò il modo più semplice di comprendere Turīyam è che l’innegabile è Turīyam. L’errore è negabile: è suscettibile a diventare non manifesto e a essere corretto.

Quando chiudi gli occhi, se non pensi nel tuo pensiero non c’è alcun serpente. Quando chiudi gli occhi e non vedi il serpente, esso è detto non manifesto. Quando vieni a conoscenza della corda, la percezione del serpente si corregge. Perciò ogni errore è suscettibile a diventare non manifesto come anche a essere corretto. Questo è l’“indizio”, ossia tutto ciò che può diventare non manifesto, tutto ciò che puoi trascendere, tutto ciò che è diverso da te, tutto ciò che è oggettivato da te non è qualcosa che è parallelo a te: è un errore su di te. Il sogno è un errore su di te, la veglia è un errore su di te e quindi ciò che è innegabile è il Caturtham. La frase migliore per parlare di Caturtham è “ekātma pratyaya sāram” e la prova della continuità del tuo Essere è il pramāṇam. Qual è l’evidenza della Realtà? La sua stessa presenza. Non si può avere un’evidenza della Realtà al di fuori di essa. L’errore sulla Realtà non è l’evidenza della Realtà; il pensiero non è l’evidenza dell’Essere cosciente.

La śruti dice: “Pensa sempre che la Realtà è il tuo Essere. Pensa sempre al tuo Essere. Il tuo Essere è il tutto e il fine di tutto. Se l’onda pensa sempre alle altre onde, alla schiuma, ecc., non pensa mai a se stessa. E anche quando pensa a se stessa pensa al suo aspetto, alla sua forma, al suo compimento, ecc., ma non alla sua natura. Questo è il problema. Anche l’uomo, quando pensa a se stesso, percorre l’autobiografia di se stesso, sta parlando solo dell’autobiografia di se stesso, non della sua natura; quindi quando l’uomo pensa a se stesso pensa alla sua vita, non al suo Svarūpa. Quando osserva il suo interno lo guarda solo al passato; quando riflette pensa al passato, ma non pensa al suo Svarūpa senza tempo. Riflettere non significa pensare alla propria autobiografia; l’uomo pensa alla storia di se stesso, mentre, invece, l’uomo non ha storia.

Chi sperimenta i tre stati non ha storia. Una data teoria ha storia, ma la Coscienza non ha storia, è Essere cosciente. Non affermiamo che l’errore abbia una storia, ma che ciò che pensi abbia una storia è un errore. Dedica quindi del tempo a osservare la tua natura, la tua esistenza e non la vita degli eventi; essi non sono nulla. Tutto ciò che può diventare ricordo non è la Verità, tutto ciò che diventa storia non è la Verità e la tua presenza non diventa mai storia. Non potrai mai uscire dall’esperienza che tu sei; la tua esistenza non potrà mai diventare una cosa del passato. Anche la parola “io ero” è un errore sovrapposto a “io sono”, come anche “io sarò” è un errore sovrapposto a “io sono”. Cerchi di uscire da “io sono”? Non è possibile, e questa è l’eternità senza tempo. Quindi pensa a te stesso, non soffermati sui ricordi; essi sono soltanto fastidi. Più trattieni il ricordo e più avrai depressioni. La gente piange ricordando questo e quello. Può essere infelice solo per mezzo della memoria.

Il Quarto non è altro dai tre; è diverso dai tre ma non è lontano dai tre. Altrimenti detto, i tre sono diversi dal Quarto che non è altro dai tre. I tre sono pensiero e il Quarto è l’Essere. I pensieri sono diversi dall’Essere, ma non sono altro dall’Essere. E l’Essere è diverso dai pensieri ma non è lontano da essi, è comprensivo di essi. Se il vostro Essere è comprensivo di ogni cosa, allora cosa puoi desiderare? Che cosa ti manca? Se ogni cosa è uno con te, l’Ātman, allora cosa può mancare all’Ātman? Cosa può desiderare l’Ātman? Non c’è “altro”; dove non c’è altro, quella è la Realtà. Perciò non dire “primo, secondo, terzo e Quarto”. No! Ecco perché la moneta non è composta (gopatva) da quattro lati; è una moneta quadrata (kāśarnapāda). Un pāda sta per “un lato dei quattro di una rūpya”: l’unità è un fatto, un quarto è un pensiero. Non è necessario pensare per essere se stessi, ma percepire una forma è un pensiero. Il secondo pensiero, “sono un sognatore”, è incorporato in quella moneta da una rupia. Suṣupti è l’Ātman che è l’origine di tutto, mentre perfino la prakriyā è un pensiero dello śāstra.

Che tu sia un vegliante è ignoranza senza inizio (anādya avidyā); che tu sia un sognatore è anādya avidyā e che tu sia l’origine di tutto è l’insegnamento dello śāstra; Caturtham è che tu sei solo l’Essere. Perciò il tuo Essere è diverso sia da anādya avidyā sia dal pensiero dello śāstra. Il tuo Essere è diverso dai tre pensieri, ma il tuo Essere non è lontano dai tre pensieri: È la Realità dei tre pensieri. L’acqua è diversa dall’onda ma non è lontana dall’onda. Il vegliante è il primo pāda, il primo quarto. Hiraṇyagarbha è il secondo quarto e Īśvara, il rapporto origine-creazione, è il terzo quarto. Libero da tutti e tre è Caturtham: è l’uno, è l’intera moneta da una rūpya. All’interno della moneta da una rūpya sto immaginando il primo, il secondo, il terzo lato. [Il quarto, che racchiude tutto] è l’uno, è il Fatto.

Śaṃkrācāryajī è chiarissimo quando dice che i quattro pāda non sono come i quattro piedi di una vacca, ma sono come i quattro lati di una moneta. Che una moneta da una rūpya abbia quattro pāda è sempre un pensiero; può esserci un quarto senza l’uno? L’uno deve essere completo o lì o in te stesso. Senza tenere conto dell’uno non puoi pensare a un quarto; un quarto è immaginato (kalpitam) nell’uno, il secondo quarto è kalpitam nell’uno, il terzo quarto è kalpitam nell’uno. Ma l’uno non è kalpitam, è lì [realmente]; il proprio Essere è l’uno. Colui che immagina, ossia fa kalpanā del primo quarto, colui che fa kalpanā del secondo quarto, colui che fa kalpanā del terzo quarto, è egli stesso l’uno. Perciò la Realtà dei tre quarti è una sola e si chiama “Caturtha iti manyante”.

Abbiamo già detto che “la Realtà è libera dall’essere antaḥaprajña e bahiṣprajña” e la śruti dice che è cancellazione del mondo (prapañca upaśamam). Quindi, quando è libera dallo stato di veglia, dallo stato di sogno e dalla relazione causa-effetto (kāryakāraṇa-bhāva), è detta libera dall’universo (prapañca upaśamam). Il Quarto è libero dall’universo, il Quarto è libero dall’individualità (jīvātvam), il Quarto è libero dal tempo: è comprensivo del tempo e tuttavia è libero dal tempo, non è parallelo al tempo. In generale si finisce per pensare in termini di parallellismo. Non si può essere liberi dalla divisione se non c’è una Realtà che sia comprensiva della divisione e non qualificata dalla divisione. È comprensiva della divisione e tuttavia non è qualificata dalla divisione.

Il Quarto è libero dai tre stati; l’uno è libero dai tre quarti. La rūpya intera non è parallela ai suoi tre quarti, è comprensiva dei tre quarti, eppure è una. Essere uno solo si chiama unicità: non esiste “altro”. La Realtà è in pace perché è sola, non ha cambiamenti, non ci sono increspature in essa. Questo è chiamato śiva ed è advaitamAdvaitam è un termine correttivo, e vuol dire che è libero da dualità (dvaitam), è libero da tutte le divisioni. La gente lo chiama Quarto perché è diverso dai tre. È diverso dai tre e, perciò, è il Quarto: c’è un triplice errore e il Fatto è il Quarto. Vedi una corda e se la prendi per un serpente è un errore; altro errore è la ghirlanda, altro errore è il rivolo d’acqua. La stessa corda è vista ora come serpente, ora come bastone, ora come ghirlanda; ma la corda stessa è il Quarto. Il Quarto è il Fatto, i tre sono gli errori. Ecco perché i tre sono chiamati pratiche strumentali (karaṇa sādhana). Karaṇa sādhanam significa che, correggendo i tre, si arriva a conoscere il Quarto.

La corda è evidente (dṛṣṭantam, ciò che si vede), tu sei dṛṣṭantam. Nella corda si percepiscono tante cose: si vede il serpente, si vede la ghirlanda: ma tu rimani corda. Rimanendo corda appari serpente a te stesso; rimanendo illimitato appari a te stesso limitato; rimanendo eterno appari non-eterno a te stesso e questo è ciò che è trasmesso dal mahāvākya Tattvamasi”: tu sei uno, tu sei nirviśeṣam. E prima che il mahāvākya dica “tu sei nirviśeshṣam”, dice “tu sei allo stesso tempo comprensivo di tutto perché sei l’origine di tutto. In quanto origine di tutto sei comprensivo di tutto come te stesso e, quindi, sei nirviśeṣam non qualificato da nulla”.

Tu sei il non veduto (adṛṣṭa). Tu non sei una forma che debba essere vista; tu non sei un oggetto che debba essere udito, non sei un oggetto da toccare, gustare, annusare, dimenticare o ricordare. Tu sei l’adṛṣṭa, ma sei il vedente. Ciò che si trasmette con le parole “tu non sei il veduto, ma il vedente”, è ciò che è insegnato dallo śāstra come ininterrotto (alopa) in ogni esperienza; ossia la natura di vedente. Che tu veda non è confutabile, la tua vista non può essere negata, la tua vista cosciente non è contestabile, la tua natura di sperimentatore non ha negazione. È la natura innegabile del tuo proprio essere che deve essere compresa.

Se sei ignorante, allora tutto ciò che devi capire è il tuo stesso Essere. Una volta conosciuto il proprio Essere, non c’è più divisione né è più necessario conoscerlo di nuovo perché nell’advaitam non c’è più nulla da conoscere. Per questo ci sono i tre pāda,: i tre pāda sono chiamati strumenti di comprensione. Per mezzo della correzione si comprende ed ecco perché si chiamano strumenti di comprensione. Invece il Quarto è la Realtà da comprendere libera dai tre stati. I tre e il Quarto non sono paralleli l’uno all’altro. I tre come blocco unico e il Quarto non sono paralleli l’uno all’altro. Il Quarto è comprensivo dei tre e, tuttavia, non è qualificato dai tre. questa è l’intera visione della śruti: l’intero insegnamento è adhyāropa apavāda nyāya. Volendo riassumere in una frase: è l’origine di tutto non qualificata dalla relazione origine-creazione. Origine di tutto non qualificata da nulla. La corda è la realtà soggiacente al serpente che non è qualificata dal serpente.

Abbiamo concluso il commento di questo particolare mantra. L’importante è che tutto si risolve da solo se la tua attenzione è rivolta al tuo Essere. La linea di pensiero generale dovrebbe essere la tua esistenza. Puoi essere occupato qui, puoi essere occupato là, puoi fare questo, puoi fare quello, ma l’argomento generale della tua riflessione sei tu stesso. Devi voler capire solo te stesso.