🇮🇹 2. Estratti dal Commento all’Adhyāsa Bhāṣya Sugama
Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja
2. Estratti dal Commento all’Adhyāsa Bhāṣya Sugama
Abbiamo detto che il Pūrvapakṣin era un advaitin che stava discutendo su come avviene l’adhyāsa. Si tratta, quindi, del processo di adhyāsa. Ha detto due o tre punti di cui vorrei solo trattare brevemente in questa parte. Il primo punto riguarda “Jñānasya viṣaya pakṣa patitvāt”, che significa che jñānam invariabilmente richiede un indispensabile oggetto. Tuttavia, si tratta di una generalizzazione eccessiva anche in una conoscenza erronea. Un vero jñānam richiede un oggetto vero. Una conoscenza richiede un oggetto corrispondente, un oggetto che sia l’obiettivo di questo jñānam. Vale a dire, il jñānam riguarda sempre qualcosa. In breve, egli intende dire che il jñānam è viṣaya pakṣa patitvāt, che jñānam ha sempre un oggetto. Viṣaya pakṣa patitvāt significa jñānam sadā viṣaya kaḥ: jñānam riguarda sempre qualcosa, senza un oggetto non può esserci jñānam. Se si dice: “Ho un jñānam”, qualcuno chiederà: “Jñānam di che cosa?” Non si può rispondere che è solo un jñānam. Jñānam riguarda sempre qualcosa: jñānam significa manovṛtti, un pensiero della mente.
Poiché si tratta di qualcosa, anche un fraintendimento è un jñānam che richiede un oggetto su cui questo jñānam si basa. È qui che commette l’errore. Se jñānam è di qualcosa, è, quindi, necessario un oggetto; questo va bene, è perfettamente corretto perché così è che lo troviamo. Vedi, su qualsiasi cosa non si deve avere un’idea preconcetta, un’ideologia, un presupposto. Da questo punto di partenza bisogna cominciare a indagare i fatti. Prima bisogna osservare i fatti, poi dai soli fatti dovrebbe emergere la propria comprensione. La tua comprensione, la tua conclusione, la tua idea sul mondo dovrebbero emergere dall’osservazione dei fatti. Non si può partire da un comunismo o da un qualsiasi altro ‘ismo’. Quelli sono idee, ideologie, pregiudizi. Perciò, osserva “jñānasya viṣaya pakṣa patitvāt”: jñānam riguarda sempre qualcosa.
Qui, però, c’è da fare una piccola differenza: la parola jñānam, in sanscrito o nelle altre lingue indiane, è d’uso comune per indicare sia la comprensione sia la non comprensione. In italiano la parola conoscenza ha un uso diverso, ma, anche in questa lingua, la parola comprensione ha due accezioni. In “giusta comprensione” e in “comprensione errata”, anche se la parola comprensione è comune a entrambe. La comprensione giusta richiede necessariamente, invariabilmente, indispensabilmente un oggetto, perché si riferisce a qualcosa. Ma la falsa comprensione è molto diversa. Si ha un’incomprensione di un qualcosa; ma la falsa comprensione è solo una forma; ciò che non si comprende è solo una forma, non è l’oggetto corrispondente alla falsa comprensione. In verità, quella non è per nulla la forma dell’oggetto. C’è solo la forma del malinteso. Il fraintendimento è una forma che riguarda la stessa realtà, della quale si ha una comprensione distorta. È solo una forma di comprensione, ma per la falsa comprensione non c’è oggetto. C’è solo la forma del fraintendimento.
[Il pūrvapakṣin] dice che c’è una conchiglia (śuktikā), e tu ne hai conoscenza come fosse d’argento, ma in realtà è una conchiglia di madreperla. Quindi, c’è una contraddizione, una discrepanza o un’incoerenza. Perché tale incoerenza? Una conoscenza richiede necessariamente un oggetto. La conoscenza riguarda sempre un oggetto. Quindi, per risolvere questa discrepanza, bisogna immaginare un oggetto su cui s’appoggia l’errore conoscitivo. Vedi, dice [il pūrvapakṣin], il fraintendimento, che è una forma di conoscenza, una conoscenza ovviamente sbagliata, richiede un oggetto sbagliato. Oh, dunque un mithyā jñānam richiede un corrispondente mithyā padārtha perché la regola che ha stabilito è che ogni conoscenza riguardi un oggetto. Perciò, a falsa conoscenza dovrebbe corrispondere un falso oggetto. Questo modo di esprimersi in italiano non esiste, quindi dobbiamo crearlo. Per l’errore di comprensione ci sarebbe un oggetto errato, cioè un oggetto falso.
Ora consideriamo laukika–paramārtha. Costui dice dov’è un tale oggetto? Se lo stanno chiedendo tutti. In italiano “chiedendo” significa che tutti stanno facendo supposizioni logiche, stanno immaginando, congetturando. Per prima cosa si deve accettare il principio che la conoscenza riguardi un oggetto, che sia necessario un oggetto. Ora, se qui abbiamo la conoscenza di un serpente o la conoscenza dell’argento, allora ci deve essere necessariamente un oggetto. Dov’è quell’oggetto? [Il pūrvapakṣin] dice che, essendo una conoscenza errata, è necessario che l’oggetto sia erroneo. Falsa conoscenza, questa è l’espressione giusta in italiano. La falsa conoscenza richiede un falso oggetto corrispondente. Questa, secondo il pūrvapakṣin, è la comprensione. Come ti ho detto nell’upadeśa precedente, la comprensione dei vedāntin è: anche la falsa conoscenza ha per oggetto solo un oggetto reale; l’oggetto non cambia, l’oggetto rimane sempre oggetto. Sei tu che hai una conoscenza errata dei un oggetto reale. Quindi, il fraintendimento è una falsa conoscenza priva della presenza dell’oggetto. In effetti, che cos’è il fraintendimento? Dimmelo! Che cos’è la falsa conoscenza? La falsa conoscenza significa che l’oggetto è una cosa, ma che la tua comprensione dell’oggetto è diversa. Questo è ciò che chiamiamo falsa conoscenza. Se la falsa conoscenza richiede un oggetto falso corrispondente, come dice il pūrvapakṣin, allora non è più falsa conoscenza, diventa conoscenza vera. In questo sbaglia, questo è l’errore dei Vyākhyānakāra. Non si trova niente di simile in Śaṃkara, e Svāmījī ha scoperto che nessun falso oggetto è necessario. Se una falsa conoscenza richiede un falso oggetto, allora c’è un oggetto corrispondente alla conoscenza. Se c’è un oggetto corrispondente alla conoscenza, allora quella conoscenza diventa vera conoscenza (satya jñānam), non è più mithyā jñānam. Rifletti: che cos’è la falsa conoscenza (mithyā jñānam)? La falsa conoscenza è solo una conoscenza falsa, non corrispondente all’oggetto. Ma se quello dice che la falsa conoscenza è coerente con un falso oggetto, significa che la falsa conoscenza richiede un oggetto in base al quale sorge questa conoscenza. Ma, allora, diventa una conoscenza vera, reale, non è una falsa conoscenza. Non è più un mithyā jñānam, non è più un adhyāsa. Vedi? Egli non ha capito il punto fondamentale. Ecco perché Satchidānandendra Svāmījī ha detto chiaramente che si sono persi, che hanno deviato da Śaṃkara. Quando dici loro che hanno deviato, si arrabbiano terribilmente. Diciamo che hanno deviato dalla tradizione? Che non hanno capito Śaṃkara? Non prendertela a cuore e non soffrire. È solo un dato di fatto. Osserva bene quello che diciamo, solo per verificarlo.
Una falsa conoscenza significa, dunque, una conoscenza che è falsa, una conoscenza che non corrisponde all’oggetto: l’oggetto è uno, la conoscenza su di esso è altra da ciò che è; questa è chiamata falsa conoscenza. Ora ditemi, la falsa conoscenza richiede un falso oggetto corrispondente? Il mithyā jñānam richiede un mithyā padārtha? Se il mithyā jñānam richiede un mithyā padārtha, quest’ultimo non diventerà forse satya jñānam, vera conoscenza? Pertanto, la conclusione di Svāmījī e anche di Śaṃkara è che il mithyā jñānam non richiede un oggetto. C’è un oggetto su cui si esercita la conoscenza. C’è davvero un oggetto, ma la conoscenza non gli corrisponde. Si dice che qualsiasi conoscenza, falsa o vera che sia, richiede un oggetto. La conoscenza vera richiede di che sia coerente all’oggetto. Anche la falsa conoscenza pretende di essere coerente all’oggetto: ma che la falsa conoscenza richieda un falso oggetto è un Vedānta anomalo.
Ne hai capito il senso? L’ho ripetuto, ripetuto in continuazione. La gente si chiede: qual è la differenza tra il Vedānta di Śaṃkara e quello post śaṃkariano? Qual è la differenza? L’ho detto nei miei insegnamenti. Non so perché sia ancora sfuggito a qualcuno. Chiedono di nuovo; anche gente del nostro ambiente chiedeva a Svāmījī qual è la differenza? Ehi tu! Non hai letto i suoi libri? I suoi libri sono disponibili in Kannada, Sanscrito e Inglese, in una lingua semplice che chiunque può capire. E ancora me lo chiedi? L’ho sempre spiegato nei miei insegnamenti. Comunque, non so perché non lo capiscano. Probabilmente è troppo sottile per loro. È così piano, così ovvio; ma per alcuni sembra essere molto complesso, molto sottile e profondo. Eppure è così semplice, lineare, è così evidente e alla portata di tutti. Tuttavia, trovano che sia molto difficile da comprendere e proprio non riescono a capire. In ogni caso, questa è la nostra funzione: la funzione di chi, come me, continuare a ripetere, ripetere e ripetere. Alcuni di voi avranno capito in un attimo, ma sto solo ripetendo per gli altri che non l’hanno capito.
Ora [il pūrvapakṣin] dice che c’è dell’argento, perché ha detto che è richiesto l’oggetto mithyā. Ma ora dov’è quell’argento? Ha fatto di ciò che pensa un principio, ma il Fatto dovrebbe essere lì. Dice: “Deve esserci, quindi c’è”. Si noti come lo spiega: deve esserci, quindi c’è. Come? Perché deve esserci! È lì perché deve esserci. Com’è lì? Si deve immaginare che ci sia. È una filosofia molto bella! È diventata come una filosofia occidentale. Inizi a speculare invece di indagare e scoprire. Tu scopri il Fatto o immagini il Fatto? Immagini cose come se ci fossero. In verità, è una conchiglia di madreperla, ma tu la pensi come argento. È una corda, ma per la tua comprensione è un serpente. Quindi, per risolvere questa discrepanza, devi supporre che ci sia davvero un serpente e un oggetto d’argento, perché hai fatto la conoscenza del serpente, hai fatto la conoscenza dell’argento. Per tale ragione, devi vedere davvero un oggetto chiamato argento e un oggetto chiamato serpente. Ma dov’è quel serpente? Se c’è un serpente, tutti dovrebbero vederlo. Se sbagli, sei solo tu a vedere il serpente. Lo vedono tutti? Gli altri non lo vedono. Allora, [il pūrvapakṣin] dice che è un serpente diverso dal solito. Diverso dal serpente empiricamente reale: se fosse il solito serpente o il solito argento, tutti li vedrebbero. Ma il fatto è che gli altri non li possono vedere, non sono visibili ad altri. Quindi, cosa succede? Questo serpente e questo argento nascono proprio nel momento della falsa conoscenza. Insieme all’incomprensione nascono contemporaneamente un falso argento, un falso serpente, non come lo sono ora. Come appaiono? Dobbiamo solo accettare un falso serpente o un falso oggetto serpente. Un serpente falso oggetto, un argento falso oggetto. Questo è quanto sostiene.
Ora [il pūrvapakṣin] spiega quale, secondo lui, sarebbe il processo di produzione dell’oggetto serpente o dell’oggetto argento. Dice che adhyāsa indica questo oggetto-adhyāsa. Troverai tale oggetto-adhyāsa, se leggi i commentari sanscriti scritti un secolo, un secolo e mezzo dopo Śaṃkara. Forse si inizia a trovarlo già mezzo secolo o perfino qualche decennio dopo. Tuttavia, non lo si trova in alcuna dichiarazione di Śaṃkara. Svāmījī si chiese la stessa cosa. Negli Śaṃkara Bhāṣya è tutto così chiaro: parla solo di falsa conoscenza. Poi, hanno iniziato a creare un “oggetto falso”. Come è nata questa idea? Penso che il primo commentatore di Śaṃkara provenisse da un’altra tradizione. Voglio dire che deve esserci stato qualcuno all’epoca di Śaṃkara che aveva preso spunto da un’altra tradizione, l’ha inserita in quella di Śaṃkara e l’ha chiamata “commento ai Śaṃkara Bhāṣya”. E, a partire da lì hanno continuato nella stessa direzione. Svāmījī dice che il “falso oggetto” non si trova in nessuna parte degli Śaṃkara Bhāṣya. L’oggetto falso viene chiamato mithyā padārtha. A mithyā jñānam corrisponde mithyā padārtha. Quindi mithyā jñānam è una falsa conoscenza, un fraintendimento; per questo sostengono che c’è un mithyā padārtha. Al contrario, Śaṃkarācārya lo chiama adhyāsa: ignoranza in forma di pensiero errato (adhyāso mithyā pratyaya rūpaḥ). Śaṃkara parla sempre che adhyāsa è mithyā jñānam, la falsa conoscenza è solo un malinteso. La falsa conoscenza, l’incomprensione(bhrāma) è adhyāsa. Ma [il pūrvapakṣin] dice che il solo fraintendimento non è adhyāsa: perché ci sia adhyāsa è necessario anche un oggetto falso. Dice che non c’è jñāna adhyāsa senza artha adhyāsa. Questi sono i termini che si incontrano nei sotto-commentari post śaṃkariani. Quando diciamo che anche Śaṃkara parla di jñāna adhyāsa, loro aggiungono artha adhyāsa. Quando chiediamo loro perché, rispondono: “Oh, [l’artha adhyāsa] non si trova in Śaṃkara, ma gli ācārya post śaṃkariani lo hanno sviluppato, hanno migliorato Śaṃkara e lo hanno reso più perfetto”. Se chiedete a tutti, vi risponderanno che quello che dite è vero, che non si trova negli Śaṃkara Bhāṣya; tuttavia lo dobbiamo accettare perché solo allora gli Śaṃkara Bhāṣya diventano completi; altrimenti gli Śaṃkara Bhāṣya sono incompleti. Questa è la loro spiegazione.
Pertanto, sostengono l’ignoranza-oggetto (artha adhyāsa). Quando citiamo la frase di Śaṃkara, adhyāso mithyā pratyaya rūpaḥ, si irritano. Perciò, al giorno d’oggi, quello che stanno facendo è rimanere in silenzio e non rispondono affatto a Satchidānandendra Svāmījī. Lo boicottano con la congiura del silenzio. Non rispondono, non parlano di lui, non si riferiscono a lui, come se non fosse esistito.
Nell’Adhyāsa Bhāṣya troviamo solo questo: invero, l’ignoranza è un falso pensiero di qualcos’altro, di cui si nutre la buddhi (adhyāso mithyā pratyaya ha, atasmin tad buddhi ityādi camati). In un altro luogo ripete: atasmin tad buddhi ityāvo cama. Abbiamo già detto che l’adhyāsa è atasmin tad buddhiḥ, un pensiero di ciò che è ora, un pensiero di qualcosa, un pensiero di qualcosa che è diverso. Significa che è solo un pratyaya, è solo una nozione, non un oggetto. Ma ora, ovunque Śaṃkara dica che l’adhyāsa è solo una nozione, essi aggiungono: “Sì, l’adhyāsa è una nozione, ma è anche un oggetto”. Quindi continuano ad aggiungere, aggiungere, aggiungere, aggiungere; a ogni punto trattato da Śaṃkara continuano ad aggiungere, aggiungere, aggiungere. Per questo le aggiunte all’Adhyāsa Bhāṣya sono così diffuse tra i post śaṃkariani, come anche sono molte le censure apportate. Censura significa che hanno alterato totalmente molte cose. Svāmījī ha dimostrato che basta seguire il Bhāṣya così com’è per trarne un Vedānta limpido, in accordo con l’anubhava e senza inutili speculazioni.
Ora come procedono? [Il pūrvapakṣin] espone il processo di adhyāsa. Poiché ha accettato che una falsa conoscenza deve avere un falso oggetto (mithyā–jñānam e mithyā padārtha, jñāna– adhyāsa, artha– adhyāsa), questi due processi hanno luogo simultaneamente. Sostiene che c’è una coscienza che è circoscritta alla corda (rajju avacchinna caitanyam). Rajju significa corda e avacchinna caitanyam è la coscienza limitata alla corda, una coscienza che appare sotto una forma evidente (sākṣāt). Dunque, una coscienza limitata alla corda, e su di essa c’è un’avidyā che aderisce a quella coscienza; c’è, un’avidyā positiva, qualcosa di sostanziale, di materiale. Perché deve essere materiale? Perché deve produrre il serpente, il falso oggetto-serpente. Perciò un sottile strato di avidyā, un’avidyā positiva, ricopre la coscienza come lo stesso ajñānam si attacca al Sākṣin. Si incolla al Sākṣin e anche alla sākṣāt-corda. Ora, quando cerco di vedere la corda, la mia vista cerca di raggiungere la corda; ma prima che la raggiunga completamente, prima che la mia vista, la mia visione si applichi direttamente alla corda, da qualche parte si infrappone un ostacolo.
Quindi, l’avidyā positiva che si trova nel vostro Sākṣin, si attacca al Sākṣin e aderisce alla corda o, a loro detta, alla coscienza limitata della corda. L’avidyā che copre la coscienza della corda prende la forma di serpente, e l’avidyā che si attacca al vostro Sākṣin si trasforma in incomprensione. Ci sono, dunque, due aspetti: quello soggettivo e quello oggettivo. Dal lato soggettivo, l’avidyā si trasforma in falsa conoscenza; dal lato oggettivo, l’avidyā che si attacca alla coscienza della corda si trasforma in serpente e appare come un serpente sulla corda. Una bellissima fantasia! Penso che sia una bella fiaba. In questo modo, hai una conoscenza del serpente qui e l’oggetto serpente lì. Poiché la regola è che ogni conoscenza richieda un oggetto, seppure sbagliato, anche la conoscenza errata richiede un oggetto; quell’oggetto può essere falso, ma un oggetto è necessario. È necessario un oggetto, questa è la loro regola.
La domanda successiva è, dunque, perché si chiama mithyā? Abbiamo posto una domanda: se la conoscenza è fedele all’oggetto, è satya jñānam. Se la conoscenza è diversa da ciò che è l’oggetto, è una falsa conoscenza, cioè una conoscenza non vera. Ogni lingua ha la sua bellezza. L’inglese ha un’espressione molto bella, “true to the object” [coerente con l’oggetto], che significa che la conoscenza è esattamente come è l’oggetto. Se non è vera, significa che è perlomeno distorta: l’oggetto è in un certo modo e la vostra conoscenza è qualcosa di diverso da esso. L’oggetto è lo stesso, ma la vostra comprensione è in qualche modo diversa. Un modo diverso di comprendere l’oggetto stesso si chiama mithyā jñānam, cioè falsa conoscenza. Ora, la nostra obiezione è che la falsa conoscenza riguarda l’oggetto stesso, ma con una comprensione diversa. Nel vostro caso, la falsa conoscenza richiede un falso oggetto che gli corrisponda; quindi, la vostra falsa conoscenza corrisponde al falso oggetto. Se la conoscenza dell’oggetto corrisponde, come la si può chiamare mithyā jñānam?
Śaṃkarācārya dice che mithyā jñānam è adhyāsa. Lo ha ripetuto centinaia di volte nei suoi Bhāṣya. Mithyā jñānam è una falsa conoscenza. Ma secondo la loro [dei post śaṃkariani] spiegazione, la falsa conoscenza è vera riguardo un certo falso oggetto. Se è vera, non può più essere una falsa conoscenza, ma solo una vera conoscenza; allora come si fa a chiamarla mithyā jñānam? Sorge, dunque, questo dubbio. Rispondono: il jñānam da solo non è mithyā. La falsa conoscenza e il falso serpente insieme sono mithyā. Perché mithyā? Perché sono il prodotto di mithyā avidyā. C’è una falsa ignoranza (mithyā avidyā). La mithyā avidyā si attacca al Sākṣin e aderisce anche alla coscienza della corda. È uno strato sottile positivo, uno strato sottile che si attacca e copre il Brahman. Copre la coscienza del Brahman e si trasforma anche in corda, in serpente, scusate, perché copre la coscienza della corda e si trasforma in serpente. Questa avidyā è una falsa avidyā. Pertanto, questo serpente e la conoscenza del serpente sono prodotti da questa falsa avidyā sostanziale e positiva. Positivo significa un’avidyā in qualche modo sottile e sostanziale. È un prodotto di un’avidyā falsa; pertanto, è chiamata falsa.
Come definiamo ‘falso’? Che cos’è la falsa conoscenza? Come la concepisci? Una conoscenza che non corrisponde a un oggetto che sta realmente lì è chiamata falsa conoscenza; solo questa è chiamata mithyā–jñānam. Conoscendo l’oggetto giusto, la falsa conoscenza scompare, viene corretta. Questo è ciò che s’intende comunemente. Ora, costoro hanno una definizione tutta loro di mithyā: mithyā jñānam richiede un oggetto-mithyā e questi due sono chiamati mithyā. Ma noi diciamo: come potete chiamarli mithyā? La conoscenza corrisponde a un oggetto! Essi rispondono: “Sì, la conoscenza è fedele all’oggetto, eppure è una mithyā. In che senso? È una mithyā per un motivo diverso. La conoscenza del serpente è falsa non perché non sia vera per il serpente; la conoscenza del serpente è vera per il falso serpente”. Ma, allora non è mithyā: la conoscenza del serpente, essendo vera per il serpente, non è mithyā. La loro spiegazione è che la conoscenza del serpente e l’oggetto serpente, essendo entrambi il prodotto di un falso ajñānam, sono mithyā. Esiste un’altra sostanza positiva chiamata ajñānam. Poiché è un prodotto di mithyā avidyā (o mithyā ajñānam), è quindi mithyā. Guardate come definiscono mithyā! Quindi, essendo il prodotto di mithyā ajñānam, si chiama mithyā. Si chiama falsa conoscenza perché questo serpente, così come la conoscenza del serpente, sono entrambi il prodotto di una falsa ignoranza. Dove si trova? È uno strato sottile. Non è una semplice assenza di conoscenza. È un qualcosa, una sostanza positiva che copre la conoscenza, copre la coscienza, copre il Sākṣin. Coprendo il Sākṣin, velando il Sākṣin, la chiamano āvaraṇam, copertura. Vela il Sākṣin e vela la coscienza della corda. Qualcosa di positivo, sostanza positiva sottile, quella sostanza è una falsa avidyā, una falsa ignoranza. Questa falsa ignoranza produce queste due cose.
Quali? La conoscenza del serpente e il serpente-oggetto. Il serpente della conoscenza del soggetto e il serpente-oggetto, entrambi sono coerenti l’uno con l’altro. La conoscenza del serpente è fedele alla conoscenza dell’oggetto. L’oggetto della conoscenza è percepito mentre la conoscenza del serpente è presente. Quindi queste due cose sorgono simultaneamente e sono prodotte da qualcosa di sostanziale, l’avidyā che si attacca alla corda e che copre il tuo Sākṣin. Copre la coscienza della corda, copre la coscienza del Sākṣin e si trasforma in serpente e in conoscenza del serpente. Pertanto, ora questa conoscenza del serpente e l’oggetto-serpente sono mithyā. Mithyā per quale motivo? Devo ripeterlo un’altra volta? Che cos’è generalmente mithyā e qual è la loro definizione di mithyā?
Distinguiamo. Comunemente pensiamo che la conoscenza sia falsa se non corrisponde all’oggetto: l’oggetto è una cosa ma la vostra conoscenza di esso è qualcosa di diverso, deviato da esso, difforme. Questa è chiamata falsa conoscenza. La falsità consiste solo nella conoscenza. La falsità non è un oggetto. Questo è ciò che pensa un uomo comune. Questo è ciò che anche Śaṃkarācārya dice. Questo è ciò che dice Satchidānandendra Svāmījī. La falsità consiste solo nella conoscenza. Mithyātvam è solo nella conoscenza. Mithyātvam non è un oggetto. Ma si dice che il mithyātvam dei post śaṃkariani sta sia nell’oggetto sia nella conoscenza. Come puoi dire questo? Il mithyātvam per loro consiste sia in un oggetto sia nella conoscenza, c’è un mithyā jñānam e un oggetto-mithyā, una falsa conoscenza e un falso-oggetto. In tal caso, come abbiamo già obiettato, il mithyā jñānam sarebbe vero se l’oggetto fosse mithyā. Se il mithyā–jñānam richiede un oggetto mithyā corrispondente, allora quel mithyā jñānam non è più mithyā–jñānam, diventa satya jñānam; altrimenti sarebbe una conoscenza senza oggetto o non corrispondente all’oggetto reale. Se la conoscenza è fedele all’oggetto, diventa satya jñānam, non è più mithyā–jñānam. Ma, dicono che mithyā–jñānam richiede un corrispondente mithyā padārtha. Quindi, la falsa conoscenza è fedele al falso-oggetto. In tal caso, come abbiamo già obiettato, il mithyā–jñānam è vero per l’oggetto mithyā. Cosa si chiama mithyā? In risposta a questo dicono che diventano mithyā sia mithyājñānam sia il corrispondente oggetto mithyā. Entrambi sono chiamati mithyā perché sono il prodotto di una cosiddetta mithyā–ajñānam. Ci sarebbe un mithyā ajñānam, una sottile sostanza positiva, un velo, che fa la copertura (āvaraṇam) del Sākṣin e della coscienza della corda. Questa è una sostanza positiva, è mithyā, che copre la coscienza della corda e del Sākṣin.
Ma allora perché chiamate questo mithyā? Solo perché è una sostanza positiva, solo perché copre il vostro Sākṣin, solo perché copre la vostra coscienza della corda, solo perché si trasforma in mithyā jñānam e mithyā padārtha? Perché lo chiamate mithyā? Per loro mithyā significa anirvacanīya. Mithyā così significa che né esiste né non esiste. Mithyā significa che l’ajñānam positivo che è attaccato al Sākṣin e alla coscienza della corda ed è un sottile strato di sostanza positiva, si trasforma in oggetto-serpente e in conoscenza-serpente. Si trasforma in sarpa jñānam e sarpa padārtha. Questo mithyā, questo ajñānam positivo, questa cosa-ignoranza (bhāva ajñānam), perché si chiama mithyā? Perché non esiste né non esiste realmente: è sadasadhyama anirvacanīyam. Non si può dire che esista né che non esista. È mithyā a causa di questa natura intermedia tra esistente e non esistente, che non si può né classificare come esistente né classificare come non esistente.
Sapete cos’è mithyā? In genere, mithyā significa falsa conoscenza. Consideriamo il suo significato generale, lasciando da parte i post śaṃkariani. Che cos’è mithyā? Mithyā è solo nella conoscenza, non c’è alcun oggetto mithyā! Mithyātvam consiste solo in jñānam. La falsità è solo in termini di conoscenza. La falsità non è in termini di oggetto. Perché la falsità è solo in termini di conoscenza e non di oggetto? Perché la conoscenza riguarda un oggetto. La conoscenza richiede un oggetto. Ma se l’oggetto è uno e la conoscenza è in qualche modo diversa da esso, allora la chiamiamo falsa conoscenza. Al contrario, se la conoscenza corrisponde all’oggetto si chiama conoscenza corretta (samyag jñānam). Se la conoscenza non è fedele all’oggetto, se la comprensione della cosa è diversa da ciò che è, da ciò che effettivamente è, la si chiama falsa conoscenza. Quindi la falsità può essere solo nella conoscenza, non c’è un oggetto falso. D’accordo? Perciò mithyā può essere solo l’aggettivo di jñānam: mithyā jñānam.
Perché, dunque, lo chiamate mithyā? Quando c’è una conoscenza del serpente corrispondente all’oggetto serpente, la conoscenza è fedele all’oggetto in quanto l’oggetto serpente è lì; tu ne hai conoscenza e la tua conoscenza è coerente con l’oggetto. Quando la conoscenza del serpente è fedele all’oggetto, diventa samyag jñānam, non è più falsa. Allora come fai a definirla falsa? Questa è la nostra obiezione. Rispondono: “Perché sono il prodotto di mithyā ajñānam, una sostanza mithyā”. Che cos’è l’ajñānam di cui avete parlato e di cui non ho mai sentito parlare? “Deve esserci, lo dovete accettare”. Dove si trova? “È nella vostra coscienza-Sākṣin, copre il Sākṣin, si attacca al Sākṣin e copre anche la conoscenza della corda, la coscienza della corda. Si trova insieme nei due modi soggettivo e oggettivo. Essendo l’avidyā falso, anche il suo prodotto diventa falso”. Perché è falso? “Perché è un indescrivibile stato di essere e non-essere (sadasadbhyā anirvacanīyam)”. Per loro la falsità è la natura di un oggetto; per noi la falsità è solo nella conoscenza quando non corrisponde all’oggetto. La falsità, mithyātvam, consiste nella conoscenza, cioè quando la conoscenza riguarda un oggetto ma non è corrispondente a esso, all’oggetto. Pertanto, la falsità consiste nella sola conoscenza. Dicono che falsa è la natura di una cosa che non è né esistente né inesistente. Quindi, sadasadbhyā anirvacanīyam è falso. Mithyātvam cosa significa? Che non esiste né non esiste. Non può essere classificato né come esistente né come non esistente. Questa natura che non può essere classificata, cioè l’incapacità di classificarla come esistente o come non esistente, si chiama falsità.
Ora hai capito cos’è la falsità per Śaṃkara e per Satchidānandendra Svāmījī, e la loro idea di falsità. È una cosa molto sottile, altamente tecnica. Ecco perché mi sto ripetendo. Quindi, credo che tu lo abbia capito e che ora sia molto chiaro. Procediamo: quindi, due cose, il serpente della conoscenza e il serpente dell’oggetto, jñāna adhyāsa e artha adhyāsa, si corrispondono l’un l’altra. Anche in questo caso non c’è falsità, perché la conoscenza corrisponde all’oggetto. Allora è un samyag jñānam e non c’è alcun falso jñānam. Non è così? Non è mithyā jñānam, eppure chiamano tale conoscenza mithyā jñānam e l’oggetto mithyā: il serpente e l’oggetto-serpente, diventano entrambi mithyā per loro. Entrambi insieme sono mithyā. Come? Perché? Perché sono il prodotto di una sostanza mithyā: essendo il prodotto della mithyā materiale, sono chiamati falso oggetto (mithyā padārtha) e falsa conoscenza (mithyā–jñānam). Vedete quale direzione stanno prendendo? La fiaba telugu narra che la vita del fachiro-mago è in un pappagallo, che sta da qualche parte sotto un albero. Dove si trova? È al di là dei sette oceani. Quindi, questo mondo è mithyā perché ha una causa positiva e quella causa lo produce. È mithyā perché è un prodotto della mithyā materiale, altrimenti non sarebbe una mithyā.
Allora perché la sostanza causale è mithyā? Perché non è né esistente né inesistente. Non può essere categorizzato come esistente o non esistente. Quindi, questo tipo di non catalogabilità è mithyā e questa non catalogabilità è la qualità, la natura di quell’avidyā materiale che copre il Sākṣin e anche la coscienza della corda. È la natura, la qualità di una sostanza che viene chiamata mithyā. Mithyātvam è una qualità della cosa. Mithyātvam è la natura di una cosa. Vedi come mithyā sia scomparsa. Pertanto, l’idea stessa di mithyā nei post śaṃkariani è diversa dalla mithyā di Śaṃkara. Credo di essere stato sufficientemente chiaro.
Come si fa a rimuovere questo mithyā–jñānam? La falsità di mithyātvam consiste nella conoscenza, non nell’oggetto. Non esiste alcun oggetto mithyā che nessuno può vedere. Se è un oggetto, allora c’è. Se è un oggetto, è reale. Perché solo la conoscenza può essere falsa? Perché la conoscenza può essere non corrispondente all’oggetto. La forma della conoscenza potrebbe essere diversa dalla realtà: l’oggetto è in un modo, la vostra comprensione è in un altro, un po’ diversa; questa è chiamata falsa conoscenza. Se c’è un oggetto corrispondente a questa conoscenza, questa conoscenza non è più falsa. Diventa una conoscenza vera. Se una conoscenza richiede un oggetto corrispondente, se la conoscenza del serpente richiede un oggetto serpente corrispondente, diventa satya jñānam, samyag jñānam, non è più mithyā–jñānam.
Un altro punto è che l’ignoranza ha la forma di un pensiero sbagliato (adhyāso mithyā pratyaya rūpaḥ). Śaṃkara in tutti i suoi Bhāṣya dice che mithyā jñānam è adhyāsa. L’adhyāsa è solo jñāna adhyāsa, non esiste alcun artha adhyāsa; non c’è oggetto-adhyāsa, c’è solo conoscenza sbagliata (mithyā jñānam). Esiste solo la falsa conoscenza e solo questa è adhyāsa. Adhyāso mithyā pratyaya rūpaḥ, atasmin tad buddhiḥ ityāvo cama: così, nello stesso Adhyāsa Bhāṣya, dice che mithyātvam è solo in jñānam e che mithyā jñānam è adhyāsa. E ripete la stessa cosa in tutti i suoi Prasthānatraya Bhāṣya.
Il Pūrvapakṣa deve essere molto chiaro, non deve confondere. Come rimuovere questa avidyā? Per noi vedāntin mithyā jñānam non corrisponde all’oggetto. La falsa conoscenza è che si ha una conoscenza di qualcosa che non corrisponde a quel qualcosa. Hai una conoscenza del serpente al posto della corda, ma non corrisponde alla corda; quindi è una falsa conoscenza. Allora, come correggere la falsa conoscenza? Arrivando alla visione corretta della corda. Quando si ha una visione della corda, quella forma serpentina sulla corda è falsa. La mancanza di comprensione, la mancanza di conoscenza della corda è l’errore, perché si dovrebbe avere la conoscenza della corda. Non può esserci l’errore del serpente nella corda; l’errore è solo della conoscenza, non dell’oggetto. La forma serpentina è un pensiero proiettato sulla corda, quindi è una falsità. Questa falsità viene corretta quando si arriva a riconoscere la corda. “Oh, avevo capito male. Ho pensato che fosse un serpente. Non lo è. È solo una corda”. Il tuo malinteso, la tua errata comprensione della corda viene corretta e… vedi la corda. Ora, se, come si dice, la sostanza positiva è la causa dell’adhyāsa e se questo è l’errore, come si potrebbe rimuovere l’ignoranza in forma di falsa conoscenza (mithyā bhāvarūpa avidyā)? Come si farebbe a rimuoverla? È qualcosa di assurdo. Hanno una strana spiegazione su come rimuovere l’avidyā. La rimozione dell’avidyā è il punto successivo del Pūrvapakṣa.