50. Il ritorno dell’Ermetismo
50. Il Ritorno dell’Ermetismo
Nella cristianità occidentale, fino all’XI secolo, l’unico testo ermetico che si era conservato fin dall’epoca ellenistica era l’Asclepius, traduzione latina dell’originale greco attribuita ad Apuleio di Madaura. Il libro tratta principalmente dei rituali che gli antichi sacerdoti egizi svolgevano per caricare le immagini dei loro Dèi con le potenze degli astri corrispondenti. Finché la tradizione dell’antico Egitto era sopravvissuta, non c’era nulla da eccepire sulla validità di quei riti paragonabili all’animazione delle icone (sskrt. prāṇa pratiṣṭhā) com’è in uso ancor oggi in India. È lecito chiedersi che cosa gli ermetisti dell’alto medioevo intendessero animare, quando la tradizione egizia era ormai scomparsa con tutti i suoi Dèi, travolta dal monoteismo cristiano. Se gli gnostici alessandrini avevano simulacri greco-romani su cui esercitare la loro teurgia, certamente nel medioevo tali superstizioni dell’antichità erano esercitate unicamente per caricare di energie sottili alcuni oggetti non religiosi.
La principale attività degli ermetisti della cristianità occidentale si limitò, dunque, alla preparazione di amuleti e feticci, con l’uso della magia simpatetica (od omeopatica) e di quella antipatetica (o allopatica). Raccoglievano, dunque, metalli, pietre, erbe e animaletti che corrispondevano per certe analogie a pianeti, asterismi celesti e segni zodiacali, traendone gli elementi con cui modellare talismani. L’uso maligno o benigno di questi oggetti era poi demandato alle intenzioni di chi dovesse usarli. È perciò comprensibile che i maghi ermetici fossero malvisti dalle autorità ecclesiastiche e imperiali e trattati alla stregua di guaritori, fattucchiere e stregoni di campagna. Tuttavia la fabbricazione dell’oro da metalli vili mosse sempre la cupidigia dei potenti che si trovavano spesso indebitati. Perciò non è da stupirsi che anche Michele Scoto frequentasse la corte dell’Imperatore Federico II o che Ruggero Bacone fosse protetto da papa Clemente IV.
Alcuni testi di alchimia araba cominciarono a essere conosciuti in Spagna, Francia e Italia a partire dalla fine del XII secolo, al seguito delle traduzioni delle opere di al-Kindi, Avicenna e Averroé presso le prime Università. Non è certamente un caso che quei testi che, attraverso la magia, precorrevano la chimica moderna e la mentalità razionalistica, arrivassero in Europa grazie allo studio di filosofi arabi profani. Queste opere erano considerate il prodotto della feconda penna dell’alchimista Geber.
All’inizio del XIV secolo cominciarono a dilagare nella cristianità latina altre opere arabe di Geber . Gli ermetisti posteriori lo hanno, con una certa faciloneria, identificato a Jābir ibn Hayyān (721~815), ma con ogni probabilità dietro a quel nome si celavano uno o più moros di Spagna dediti all’alchimia da laboratorio. È comunque indicativo che nei testi arabi attribuiti a quell’alchimista persiano, laddove è presente la catena dei maestri che gli avrebbero trasmesso (silsilah, sskrt. paramparā) le conoscenze cosmologiche, si cominci con Ermes Trismegisto, per poi, attraverso Orfeo, Pitagora e Platone, arrivare ai neo-platonici: nessun accenno, dunque, a una continuità più recente attraverso il taṣawwuf! Quello che è certo è che nell’islam l’ermetismo d’origine alessandrina non entrò in conflitto con la religione. Esso fu considerato come una filosofia, residuo di una rivelazione precedente abrogata dall’islam e, come tale, considerata come isra’iliyat.
Tuttavia era una forma di espressione e un deposito di simboli e nozioni cosmologiche, che poteva essere assunto in ambito esoterico, come anche in quello essoterico, per esprimere certe verità rivelate dal Corano o certe deduzioni tratte dalla natura. In questo modo ‘Ali Ibn Abī Tālib, Ja’far aṣ-Ṣādiq, Dhul Nūn al-Miṣrī, lo stesso Muhiddin Ibn ‘Arabi e altri ben noti sufi, poterono esprimersi talora in forma ermetica, ma la loro trasmissione iniziatica rimase sempre quella regolare muḥammadica. E, parallelamente, i filosofi e gli alchimisti islamici privi della ba’yat (sskrt. dīkṣā) sufica, continuarono a essere dei profani: i primi, ermetisti teorici, soffiatori alla ricerca di fabbricare l’oro, i secondi. Gli esoteristi occidentali dovrebbero a questo punto interrogarsi sui seguenti quesiti: avrebbero potuto gli ermetisti cristiani aver ricevuto l’iniziazione sufica con relativa trasmissione del simbolismo e linguaggio ermetico senza convertirsi all’islam? Oppure avrebbero potuto ricevere la dottrina ermetica e il corrispondente metodo alchemico da ermetisti teorici o da soffiatori musulmani? O avrebbero ricevuto una improbabile trasmissione sufico-ermetica per mezzo della sola lettura dei libri di alchimia araba? Le tre domande possono ricevere soltanto un’unica risposta negativa, perché una iniziazione ermetica autonoma in tutta evidenza era inesistente.
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Nel 1438 Giorgio Gemisto Pletone (1355~1450), assieme al suo seguace, il cardinale Bessarione (1403-1472), accompagnò il basileus Giovanni VIII per partecipare al Concilio di Ferrara e Firenze nel tentativo di riunire le chiese cattolica e ortodossa. A Firenze, Pletone affascinò Cosimo il Vecchio de’ Medici con la sua idea di ripristinare il pensiero ellenistico. Fu questa suggestione che spinse Cosimo a fondare in seguito l’Accademia Neo-platonica medicea, primo nucleo dell’umanesimo. Con umanesimo s’intende un movimento culturale che, ispirandosi agli scritti e alle opere d’arte classiche ed ellenistiche, ne imitava gli stili nel desiderio di riproporre tale civiltà a modello di una nuova visione del mondo. Questa tendenza, non avendo alcuna continuità tradizionale, consisté in una riproduzione e rivisitazione delle forme esteriori dell’antichità, in un senso puramente estetico. Il contenuto di questa ripresa di forme antiche, invece, non poteva essere che lo specchio di una mentalità completamente antitradizionale: in luogo della centralità della Divinità e dell’uomo quale sua immagine, caratteristica della tradizione medievale, era posto il mondo considerato in un’ottica naturalistica e, ben presto, meccanicistica. Questo piano si manifestò in modo palese con lo sviluppo rinascimentale dell’umanesimo che intese sostituire la religione con la scienza e la magia, e l’ordine imperiale con l’invasione dell’intero mondo da parte di mercanti armati e di strozzini. Così ebbe origine il mondo moderno.
Con la conquista di Bisanzio da parte degli ottomani nel 1453, monaci ortodossi in fuga portarono con sé nella penisola balcanica parti dei ricchi archivi dei loro monasteri e delle biblioteche imperiali. I cristiani d’occidente, più che preoccuparsi delle tristi sorti dei greci, cercarono di salvare quei tesori di sapienza antica. Cosimo il Vecchio inviò alcuni messi nei Balcani per cercare di acquistare manoscritti antichi a buon prezzo dai profughi bizantini. Per prime arrivarono alcune opere di Platone, che Marsilio Ficino (1433-1499) fu incaricato di tradurre in latino. Nel 1460 il frate francescano Leonardo da Pistoia ritornò dalla sua missione in Macedonia e consegnò a Cosimo de’ Medici il manoscritto del Corpus Hermeticum, fino ad allora sconosciuto in Occidente. Il magnate fiorentino, sempre attratto dalle scienze occulte, interruppe le traduzioni di Marsilio ordinandogli di dare la priorità alla traduzione dei testi ermetici. Ficino tradusse d’un fiato la raccolta che pubblicò sotto il nome di Pimander. Da quel momento egli fu un entusiasta sostenitore della filosofia ermetica, influenzando con la sua passione l’intero circolo dall’Accademia. Nella sua traduzione si avvalse anche dell’Asclepius; tuttavia questo libro, sempre attribuito a Ermes, era decisamente più simile a un grimorio, la cui magia confinava con la negromanzia e l’evocazione di demoni.
Fino a quel momento la magia, ermetica o meno, era tenuta fuori dell’ambito della religione, se non addirittura combattuta come arte diabolica. Fu impegno di Ficino quello di far accettare come cattolica la magia ermetica. Accuratamente evitò di affrontare la netta condanna proferita a suo tempo da Sant’Agostino contro l’ermetismo, preferendo citare Lattanzio e Clemente d’Alessandria. Ricordiamo che Lattanzio interpretava il termine ‘figlio di Dio’, preannunciato da Pimandro, come una profezia della venuta del Cristo; in realtà, a più accurata lettura, appare chiaro che con ‘figlio di Dio’ il Corpus Hermeticum intendesse indicare il Demiurgo di gnostica concezione. Marsilio protestò sempre la sua fedeltà al cattolicesimo imperante, temendo che la magia di cui si era fatto propagatore fosse condannata dalla chiesa come stregoneria. In vari modi egli argomentò per distinguere la magia ‘bianca’ da quella ‘nera’, quella attivata dall’intervento degli angeli da quella ispirata dai diavoli. In questo modo, Ermes Trismegisto e i suoi immediati successori, pur essendo prisci magi (antichi maghi) erano nel contempo prisci theologi (antichi conoscitori di Dio). Da un altro punto di vista affermava che la magia ermetica doveva essere considerata naturale. In altre parole voleva far passare la magia come una qualsiasi scienza naturale, perciò non contraria alla religione, ma, in qualche modo, neutra.
Si noti che il medesimo procedimento fu usato dai rinascimentali per far accettare la scienza empirica come compatibile con la fede. Una volta riusciti a fare accettare la scienza in questi termini, puntualmente, si affermò che la scienza doveva essere considerata vera conoscenza e la fede credenza personale. Dal punto di vista pratico, poi, il Ficino produceva amuleti sui quali evocava la discesa di influenze celesti, con procedure magiche non molto dissimili da quelle che questa categoria di intellettuali umanisti disprezzava considerandole magia di campagna. Ma, nonostante le sue precauzioni, le sue operazioni magiche si spingevano ben oltre:
“questo albero umano deve essere bagnato con giovanile liquido umano, per far sì che riprenda vigore. Scegli dunque una giovane donna sana, formosa, lieta, di complessione temperata, e succhiane avidamente il latte quando la luna è crescente […]. È una opinione comune e antica che certe vecchie saghe, che volgarmente sono chiamate anche streghe, succhiano il sangue degli infanti, per ringiovanire nelle forze. Perché anche i nostri vecchi, privati di ogni altro rimedio, non possono succhiare il sangue di un giovinetto? Di un giovinetto consenziente, dico, sano, lieto, di complessione temperata, che abbia sangue ottimo e forse troppo abbondante. Ne succhino dunque, come le sanguisughe, una o due once da una vena del braccio sinistro appena aperta […]”.
A questa pratica di vampirismo, Ficino aggiunge la magia amorosa:
“Ma perché si chiama l’amore mago? Perché tutta la forza della magica consiste nello amore; l’opera della magica è uno certo tiramento dell’una cosa dall’altra per similitudine di natura. Le parti di questo mondo come membri d’uno animale dependendo tutte da uno Auctore, si connectono insieme per comunione di natura, e però come in noi nel cervello, polmone, cuore, fegato e gli altri membri, traggono l’uno dall’altro qualche cosa, e scambievolmente si favoreggiano, e alla passione dell’uno compatisce l’altro, così i membri di questo grande animale, cioè tutti e corpi del mondo, intra loro concatenati, accattano intra loro e prestansi loro nature. Per questa comune parentela nasce amore comune, da tale amore nasce el comune tiramento, e questa è la vera magica”.
Per questa ragione “alchimia spirituale” è l’eufemismo gergale ermetico per indicare la pratica della magia sexualis in voga ancora oggi presso i pretesi eredi dell’ermetismo rinascimentale.
Magia e scienza, occultismo misteriosofico e naturalismo, ammirazione per il paganesimo e rifiuto della tradizione cristiana medievale, attrazione per l’arcano gnostico e repulsione per la logica aristotelico-scolastica, fascino per complicati simbolismi impenetrabili e ripulsa per la tensione interiore, la preferenza per una vita godereccia e per il facile benessere e l’insofferenza per l’ascesi monastica e l’austerità feudale, amore per l’allegoria e avversione per la trattatistica logica, esotismo nei confronti di altre religioni e la presa di distanza dalla propria fede, l’interesse per la forma piuttosto che per i contenuti, l’ansia per una riforma della chiesa e di abrogazione delle antiche dottrine e rituali, tutto ciò segnò un desiderio di radicale cambiamento anche nell’ambito delle arti. Sandro Botticelli, Antonio e Piero del Pollaiolo, Leonardo da Vinci, Perugino, Luca Signorelli frequentarono l’Accademia e divennero i fondatori del nuovo stile rinascimentale. In pochi lustri una nuova mentalità dilagò dall’Italia affascinando tutta l’Europa, convogliata soprattutto dalle nuove classi emergenti di borghesi arricchiti. Questi si sentivano ormai alla pari con quelle che erano state da tempo immemorabile le classi dominanti ed erano insofferenti di essere ripartiti nelle gilde e nelle arti. Il popolo grasso disdegnava quelle organizzazioni di mestiere, come il figlio del contadino, diventato industriale, disprezza e si vergogna dell’umile condizione di suo padre. Sotto il manto di una perfezione estetica, di effetti illusionistici affascinanti, d’una bellezza mai vista in precedenza, si propagò il veleno che ancora affligge l’Occidente e che, con le grandi scoperte geografiche, con le esplorazioni e le conquiste ha intossicato il mondo intero. L’Italia ha la grave responsabilità di aver dato i natali a questo squilibrio cosmico. E ancor oggi ce ne gloriamo!
Gian Giuseppe Filippi