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16. I Neoplatonici

    I Neoplatonici

    Nel 337 a.C. Filippo II, Re di Macedonia, s’impadronì di tutta la Grecia, affrancandola dal dominio persiano. La Macedonia era un piccolo regno situato a nord della Grecia e considerato dagli Elleni come un paese barbaro; ma la grande forza militare e la perizia amministrativa della sua dinastia regnante portò la Macedonia a diventare in breve un impero immenso.
    Alessandro Magno1, figlio di Filippo II, sconfitti i Persiani e gli Egiziani, conquistò tutti i territori compresi tra la Grecia, il fiume Nilo e l’Indo. Quando Alessandro morì, aveva solo trentatré anni e il suo impero si disgregò immediatamente: infatti i generali del suo esercito, dopo essersi proclamati Re, divisero l’Impero in tanti piccoli regni; ma nonostante la sua breve durata, l’Impero di Alessandro ebbe un grande significato culturale. Infatti, l’unione di così tanti popoli, tradizioni e religioni ruppe i limiti della mentalità particolarista ed esclusivista dei greci, dando origine a una civiltà più universale conosciuta come “Ellenismo”. L’erede diretto della Civiltà Ellenistica fu l’Impero Romano che in tre secoli conquistò quasi tutti i regni in cui era stato frantumato l’Impero di Alessandro.
    Fu proprio sotto l’egida del dominio universalistico romano che in Alessandria d’Egitto, città fondata da Alessandro, fu istituita la scuola pitagorico-platonica che diede vita al “Neoplatonismo” e Roma, la capitale imperiale, divenne così il secondo centro per importanza dei misteri neoplatonici.

    Furono due le principali novità che caratterizzarono la Scuola Neoplatonica: la prima consisteva nel fatto che venne reso meno rigoroso il confine tra esoterismo ed essoterismo grazie all’opera di diffusione della conoscenza promossa da quei filosofi, in controtendenza rispetto ai loro predecessori Pitagorici che avevano celato gelosamente ai profani la dottrina esoterica. La seconda novità consisteva nel fatto che essi incorporarono nella tradizione misterica pitagorico-platonica molti elementi di altre iniziazioni, come quelle di provenienza egizia, caldea2 ed ebraica.

    Il fondatore del neoplatonismo fu Plotino (204-270 d.C.). Discendeva da un’antica famiglia egizia di casta sacerdotale: egli, oltre ad essere iniziato ai Misteri Isiaci3, ottenne anche l’iniziazione ai Misteri Pitagorico-Platonici. Insegnava che l’uomo è come un blocco di pietra informe; con l’iniziazione, la pietra è scolpita e, con la rimozione di tutte le parti superflue viene rivelata la sua vera forma nascosta4. Si tratta di un’opera di purificazione volta a liberare la natura individuale da tutti i vizi che la deturpano; ma questo è solo il primo passo del percorso iniziatico. In effetti, quanto emerge dalla sgrossatura della pietra è ancora solo una forma. L’Uno (τό Ἕν, leggi tò Hen), il Principio Metafisico Divino, è al di là della forma e per maturare la consapevolezza che l’Uno è la nostra vera natura bisogna superare ogni limitazione e dualismo; pertanto l’individualità deve essere completamente annullata. Così facendo, tutta l’apparenza della separazione viene rimossa e

    Non c’è più distinzione, non c’è più la dualità, ma solo l’Uno”5.

    Nella vita quotidiana, l’uomo non riesce a realizzare che in realtà è un “essere superiore” (sskrt. Puruṣa) e riesce solo a identificarsi con “l’uomo ordinario” (sskrt. manuṣya) che si preoccupa prevalentemente delle necessità corporali e pensa secondo le percezioni sensoriali. L’Uno è sempre presente, ma noi siamo assenti a noi stessi perché rivolgiamo la nostra attenzione altrove. Bisogna riconoscere che tutta questa esistenza, che sembra essere costantemente in divenire, questo Tutto (Πᾶν, leggi Pan), è in realtà l’Immutabile senza molteplicità (Ἀ-πόλλων, leggi A-pollon, il nome del Dio Apollo; in sanscrito A-bahutā). Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di espandere la nostra coscienza e concentrare la nostra attenzione solo sull’“Uomo superiore”.

    Il metodo (μέθοδος, leggi méthodos, sanscrito prakriyā) utilizzato da Plotino consisteva nel distrarre l’attenzione dagli oggetti esterni, per rivolgerla al sé interiore e ottenere così la visione dell’Uno, tò Hen. Quando era giovane, Plotino aveva cercato di raggiungere l’India per attingere alla saggezza dei Brāhmaṇa, ma una guerra scoppiata in Persia lo fermò. Tuttavia, poté sicuramente incontrare alcuni Brāhmaṇa presso le piccole comunità indiane dislocate in Egitto, dove era nato, e in Italia, dove morì.

    Indubbiamente il fondatore della Scuola fu la personalità intellettualmente più elevata tra i neoplatonici. I successori di Plotino, sebbene tutti abbastanza degni di nota, mostrano meno interesse per la metafisica e più attenzione al mondo empirico. Specialmente Porfirio (233-305 d.C.), Giamblico (250-330 d.C.) e Proclo (412-485 d.C.) affermavano che l’umanità dell’Età del Ferro (Kali yuga) era così decaduta che il metodo di Plotino era diventato inefficace. Per tale ragione diedero più importanza agli aspetti rituali del metodo e, siccome non consideravano adeguati i riti della precedente tradizione pitagorica, presero a prestito altri cerimoniali dagli antichi Misteri caldei ed egizi. In particolare, furono influenzati dalla Teurgia insegnata dal filosofo greco-caldeo Giuliano il Teurgo (II secolo d.C.).

    La Teurgia, che significa “azione di Dio”, era un’arte con cui veniva evocata ritualmente la presenza reale di una divinità; per esempio, quando il maestro comandava al discepolo l’adorazione di una particolare forma della Divinità (iṣṭadevatā6), celava in una cavità all’interno dell’idolo, un particolare insetto, una pianta, una pietra preziosa o altri simboli sacri a quel Dio. Quindi il maestro evocava ritualmente la presenza reale della Divinità nella sua icona (prāṇapratiṣṭhā7). A seguito di ciò l’immagine era pronta per il culto iniziatico. Lo stesso rito teurgico poteva ugualmente essere eseguito sul discepolo, cosicché questi, posseduto dal Dio, diveniva capace di oracolare. Questo fenomeno ottenuto ritualmente era molto simile alla possessione spontanea di Socrate da parte del suo “demone”. Nel Pitagorismo, la filosofia era considerata una preparazione pre-iniziatica o essoterica alla Sophia, la conoscenza esoterica. Allo stesso modo, per i Neoplatonici, la filosofia doveva condurre alla Teurgia; lo scopo della Teurgia era infatti quello di ottenere un intelletto (νοῦς, leggi nus; sskrt. buddhi) capace di unirsi alla Realtà intellettuale divina (adhidaivika jagat o Mahātman)8 e in tal modo conoscere le cose di quel mondo e armonizzarle con le azioni necessarie in questo: sostenevano che ciò costituiva la loro modalità di unione con l’Uno. Anche se questi neoplatonici raggiunsero un livello inferiore rispetto a Plotino, a nostro parere ebbero il merito di tramandare ai posteri molti insegnamenti esoterici di Orfeo, Pitagora, Empedocle, Eraclito, Parmenide e specialmente di Platone, che fino ad allora erano inaccessibili.

    Commentarono anche diverse parti di opere di Omero e di Esiodo, spiegando in modo chiaro il significato dei simboli racchiusi nei loro versi: in tal modo si poté comprendere il senso più profondo di quei poemi epici, celato sotto il “velame” letterario. Ma alla fine, l’uso continuo di rituali teurgici condusse gli esponenti di questa scuola a delle deviazioni, spingendoli spesso alla ricerca dei poteri (siddhi)9 e alla produzione di fenomeni magici; inoltre, da un punto di vista dottrinale, l’assunzione di simboli, rituali e credenze riprese da tradizioni e religioni non greche li fece fatalmente assumere una tendenza sincretistica. Questa inclinazione ha prodotto un nuovo modo di pensare, non derivato dal neoplatonismo, ma spesso adottato da alcuni neoplatonici: lo gnosticismo.

    D. K. Aśvamitra

    1. Alessandro era stato iniziato da Aristotele.[]
    2. I caldei erano una casta sacerdotale risalente all’antica tradizione dei Sumeri (4000 a.C.), popolazione forse proveniente dall’India. Vi sono prove di molti contatti tra i Sumeri e la civiltà Indo-Sarasvatī. I caldei rimasero la casta sacerdotale anche dopo la scomparsa della civiltà sumera, svolgendo le loro funzioni anche nelle più recenti civiltà semitiche come la babilonese, e l’assira. Erano molto famosi per la loro vasta e profonda conoscenza metafisica e cosmologica. La loro grande fama è all’origine anche del nome dei Celti e dei monaci cristiani irlandesi, i Culdei. Anche la mitica Caledonia deriva il suo nome dalla stessa radice.[]
    3. I Misteri Isiaci erano riti di iniziazione al culto della Dea Madre Egizia Iside.[]
    4. Una coincidenza con il simbolismo massonico del I grado, in cui il lavoro del neofita consiste proprio in questa attività di sgrossatura, volta a “sottomettere la volontà e costruire oscure e profonde prigioni al vizio” [N. d. T.].[]
    5. Plotino, Enneadi, VI.7-34.[]
    6. Istadevatā significa letteralmente “divinità scelta per la meditazione”. Sebbene Dio sia Uno, i supporti per coglierLo attraverso la meditazione sono molteplici. La via della bhakti dà la libertà agli aspiranti spirituali di scegliere uno di questi aspetti a quel fine: qualunque sia l’aspetto scelto dall’aspirante, quello diventa la sua iṣṭadevatā. La regola generale è che l’aspirante deve concentrarsi sulla propria iṣṭadevatā, ripetendo il mantra che le pertiene, fino alla realizzazione di quella forma divina. [N. d. T].[]
    7. Prāṇapratiṣṭhā significa letteralmente “infondere la vita in un’immagine”. Adorare Dio attraverso un’immagine è un aspetto comune della religione pratica. L’immagine, tuttavia, sia stabilita in un tempio o in una casa, deve prima essere infusa di vita. Questo processo è chiamato prāṇapratiṣṭhā. L’idea di base è che Dio che è nel proprio cuore, deve essere trasferito cerimonialmente all’immagine e poi adorato. Nella consacrazione dei templi, dopo diversi rituali, sia maggiori che minori, il prāṇapratiṣṭhā viene fatto pronunciando il mantra posizionando il pollice sul cuore dell’immagine [N. d. T.].[]
    8. Adhidaivika significa letteralmente pertinente al divino, ossia a Hiraṇyagarbha. Jagat, il cosmo, sia della veglia sia del sogno [N. d. T.].[]
    9. I poteri ottenuti con la pratica di uno yoga sādhana [N. d. T.].[]

    16. The Neoplatonics

      The Neoplatonics

      In 337 B.C. Philip the II, King of Macedonia, seized the whole Greece, taking it away from the Persian hegemony. Macedonia was a small kingdom located north of Greece, considered by the Hellenes as a barbarian country. The great military and administrative ability of its ruling dynasty led Macedonia to become a colossal Empire. Alexander the Great1, son of Philip the II, defeated the Persians and the Egyptians arriving to conquer all the territories from Greece, to the Nile and the Indus rivers. When Alexander died he was only thirty-three years old and his Empire immediately fell apart.
      Alexander’s Generals, having proclaimed themselves Kings, divided the Empire in several realms. Despite its ephemeral duration, Alexander’s Empire had great cultural significance. Indeed, the union of so many different peoples, traditions and religions broke the limits of the particularistic and exclusivist mentality of the Greeks, giving rise to a more universal civilization known as “Hellenism”. The direct heir of Hellenistic civilization was the Roman Empire that in three centuries conquered almost all the kingdoms in which the Alexander’s Empire had been divided. It is precisely under the Roman universalistic domain that in Alexandria of Egypt, city founded by Alexander, the Pythagorean-Platonic school called “Neoplatonism” was established. Rome, the imperial capital, became the second centre of the Neoplatonic Mysteries.
      In the Neoplatonic attitude there were two innovations: the first was that these philosophers brought to light the knowledge that the previous Pythagoreans had jealously hidden from the profane people, making less rigorous the boundary between esoterism and exoterism. The second one was that they incorporated into Pythagorean-Platonic Mysteric tradition many elements from other initiations, such as the Egyptian, the Chaldean2, and the Jewish ones.
      The founder of Neoplatonism was Plotinus (204-270 A.D.). He descended from an ancient Egyptian priestly caste family and, besides being initiated into the Isiac Mysteries3, he also got the initiation from the Pythagorean-Platonic Mysteries. He taught that man is like a shapeless stone block. Initiation leads to sculpt and remove all the superfluous parts until the hidden statue is displayed. It is a work of purification which finally releases its own individual nature from the wastes. This is just a first step of the initiatory path. In fact, the statue which one has cleansed is only a form. The One (τό Ἕν, read tò Hen), the Divine Metaphysical Principle, is beyond the form, and in order to know that tò Hen is our real nature, one must overcome any limitation and dualism. Therefore, individuality must be completely eliminated. Doing so, all the appearance of separation are removed and then “there is nothing that distinguishes, there is no longer the duality, but only the One.”4 In everyday life man does not realize that in reality he is the “superior man” (sskr. Puruṣa) and he only identifies himself with the “secondary man” (sskr. manuṣya) who cares about the needs of the body, which feels and thinks according to sensory perceptions. The One is always present, but we are absent to ourselves because we turn our attention to elsewhere. One must acknowledge that all this existence that appears to be constantly in becoming, this All (Πᾶν, read Pan), is in reality the Unchangeable without multiplicity (Ἀ-πόλλων, read A-pollon, the God Apollo’name; sskr. a-bahutā). To achieve this, we need to expand our consciousness and focus our attention only on the “superior man”. The method (μέθοδος, read méthodos, sscr. prakriyā) used by Plotinus consisted in abandoning the vision of external objects, turning the attention to the inner self in order to obtain the vision of the One, tò Hen. When he was young, Plotinus had tried to go to India to tap into the wisdom of the Brāhmaṇas, but a war in Persia stopped him. However, he certainly could meet some Brāhmaṇas of the small Indian communities located in Egypt, where he was born, and in Italy, where he died.
      Undoubtedly the founder of the school has been intellectually the highest among the Neoplatonics. Plotinus’s successors, though all quite noteworthy, show less interest in metaphysics and more attention to the empirical world. Specially Porphyrius (233-305 A.D.), Iamblichus (250~330 A.D.) and Proclus (412-485 A.D.) claimed that the humanity of the Iron Age (i.e. kali yuga) was so decayed, that the Plotinus’s method had become ineffective. They gave more importance to the ritual aspects of the method; as they considered the rituals of the previous Pythagorean tradition to be insufficient, they borrowed other rituals from the ancient Chaldean and Egyptian Mysteries. Particularly they were influenced by the Theurgy taught by the Greek-Chaldean philosopher Julian the Theurgist (2nd century A.D.).
      Theurgy, whose meaning is “the action of the Gods”, was an art designed to call down the real presence of a ritually evoked Deity. For example, when the master enjoined the adoration of a particular form of God (sskr. iṣṭadevatā) to the disciple, in a cavity inside the idol, a peculiar insect, a plant, a precious stone, and other symbols sacred to that God were hidden. Then the master ritually evoked the God’s real presence in the statue (sskr. prāṇapratiṣṭhā). At the end, the idol was ready for the initiatory worship. The same Theurgy could be performed on the disciple himself so the disciple was possessed by a God and became able to produce oracles. This ritually obtained phenomenon was very similar to the spontaneous possession of Socrates by his “demon”.
      In the Pythagoreanism, philosophy was considered as a pre-initiatory or exoteric preparation to Sophia, the esoteric knowledge. Similarly, for the Neoplatonics, philosophy had to lead to Theurgy. The purpose of Theurgy was to obtain an intellect (νοῦς, read nus; sskr. buddhi) able to join the divine intellectual sphere (sskr. adhidaivika jagat) and, in this way, to know the things of that world, and harmonize the mundane actions with it. They maintained that this was their union with the One. Even if these Neoplatonics reached a lower level if compared to Plotinus, for us they had the merit of making manifest many esoteric teachings of Orpheus, Pythagoras, Empedocles, Heraclitus, Parmenides, and especially of Plato, which were hitherto inaccessible.
      They also commented several parts of the Homer and Hesiod’s Poems, explaining in details the meaning of the symbols enclosed in the verses. In this way, those Poems revealed their deepest meanings, hidden beyond their mere literary appearance. However, the continued use of Theurgic rituals often led them to the quest of powers (sskr. siddhi) and the production of magic phenomena. However, from a doctrinal point of view, the assumption of symbols, rituals and beliefs from non-Greek traditions and religions fatally led them to a syncretistic tendency. This inclination produced a new way of thinking, independent from Neoplatonism, but often adopted by some Neoplatonics: the Gnosticism.

      D. K. Aśvamitra

      1. Alexander had been initiated by Aristotle.[]
      2. The Chaldeans were a priestly caste dating back to the ancient tradition of the Sumerians (4000 BC), population perhaps proceeding from India. There is the evidence of many contacts between Sumer and the Indo-Sarasvatī civilization. The Chaldeans remained the priestly caste even after the disappearance of Sumerian civilization, performing priestly functions also at the most recent Semitic Assyrian Babylonian civilizations. They were very famous for their vast and deep metaphysical and cosmological knowledge. Their great fame is at the origin of the name of the Celts, of the Culdees Irish Christians monks and of the land of Caledonia.[]
      3. Those Mysteries were initiation rites dedicated to the Egyptian Mother Goddess Isis. Of them we will be covered in a later chapter.[]
      4. Plotinus, Enneads, VI.7.34.[]