6. L’Età dell’Oro: gli Iperborei
L’Età dell’Oro: gli Iperborei
C’è una “Terra Santa” per eccellenza che è il prototipo di tutte le altre. Questo centro spirituale a cui sono soggette tutte le altre “terre sacre” è la sede della Tradizione Primordiale o Sanātana Dharma, da cui ogni Tradizione, a forma dhārmika o religiosa, deriva adattandosi a condizioni di tempo, luogo e generazione di umanità.
Questa “Terra Santa” primordiale è la “Contrada Suprema”, secondo il termine sanscrito Paramadeśa, deformato dai Caldei in Pardes e dai Latini in Paradisum, Paradiso. La Tradizione Primordiale, fonte di tutte le altre, si situava a nord, o più esattamente al Polo Nord, come menzionato nei Veda e in diversi Libri sacri di altre tradizioni.
Durante il regno di Kronos nell’Età dell’Oro, il Satya yuga degli hindū, la Contrada Suprema, dove giorno e notte duravano ciascuno sei mesi, era situata nelle regioni polari o al Polo stesso.
Chiameremo Hyperborea quella terra, come facevano gli antichi greci, anche se questo termine mostra che avevano già perso la conoscenza della sua vera posizione. In effetti, se Borea significa Nord, Hyperborea (oltre il Nord) appare come un’assurdità. In questo modo Borea è l’equivalente esatto del termine sanscrito varāha. La radice var per il nome dei suini selvatici si trova nelle lingue anglosassoni sotto la forma verro. Poiché Hyperborea era una terra o un’isola, dovremmo chiamarla nella forma femminile Vārāhī, cioè “Paese del cinghiale”. Più tardi, nella successiva Età dell’Argento (Treta yuga), fu conosciuta come il “Paese dell’orso”. Questa seconda Era coincise con l’affermazione della casta degli kṣatriya e delle sue regole corrette e ristabilite da Paraśurāma.
Gli antichi greci simboleggiavano la ribellione kṣatriya contro i brāhmāṇa con il mito della caccia al cinghiale caledonio. L’uccisione del cinghiale caledonio ad opera di Guerrieri e Re rappresentava la sconfitta della casta sacerdotale. Atenæus di Naucratis riferisce che il cinghiale caledonio era di colore bianco, così come lo Śveta Varāha della tradizione hindū. Anche nella tradizione celtica cinghiale e orso erano rispettivamente i simboli dell’Autorità spirituale e del potere temporale, vale a dire le due caste dei Druidi e dei Cavalieri.
Durante l’antichità greco-romana, l’isola Hyperborea era chiamata anche in due altri modi: Thule e Siria. Per quanto riguarda Thule, c’è un breve testo di Pitea di Marsiglia che tratta del viaggio alla ricerca di questa terra fino ai ghiacci polari.
Il nome greco Thule è ovviamente l’equivalente del sanscrito Tula, che significa “scala” o “libra” (bilancia), che è il segno zodiacale della Bilancia; tuttavia, secondo un’altra interpretazione tradizionale, nei tempi primordiali Tula era il nome della costellazione polare. I due piatti della bilancia erano rappresentati dall’Orsa Maggiore e dall’Orsa minore, che in India sono le due costellazioni chiamate “sette orsi” (saptaṛkṣa). L’orso, come abbiamo visto, è il simbolo dell’usurpazione kṣatriya, perciò questo nome deve essere considerato posteriore all’originale Tula e databile all’epoca immediatamente precedente alla discesa di Paraśurāma. Tuttavia, la Bilancia, come costellazione polare, è anche la dimora dei sette ṛṣi, e in questo caso si chiama Saptarṣi; questo nome brahmanico è sicuramente più antico della denominazione tipicamente kṣatriya di Saptaṛkṣa e ci riconduce alla tradizione iperborea.
Omero nel Poema Odissea riferisce che il nome della Terra Suprema è Siria (Συρία, leggi Syrìa); questo nome significa “Casa del Sole” (sanscrito Sūrya). Questa terra è descritta come un’isola situata oltre l’Ortigia (l’antico nome di Delos), un’altra isola lontana nell’Oceano Atlantico. Essendo più lontana di Delos, la Siria può essere facilmente identificata con Hyperborea.
Ora aggiungeremo alcune informazioni su Hyperborea tratte dalla letteratura greca e romana. Diodoro Siculo afferma:
“La loro terra era nell’Oceano ed era simile per dimensioni alla Sicilia: Leto, madre del Dio Apollo, nacque lì. Questo spiega il legame molto stretto che lega Apollo a queste genti e la presenza in quella terra di un magnifico tempio sferico dedicato al Dio. Gli iperborei vivevano in perfetta felicità ignorando il dolore, la malattia e la morte”.
Plinio aggiunge alcuni dettagli:
“In quel paese si trova uno dei cardini [uno dei due poli] attorno al quale ruota il cosmo. Questa è una terra soleggiata e temperata, libera da ogni aria nociva; qui gli iperborei vivono in boschi e foreste e non conoscono alcun conflitto o malattia”.
In quell’età benedetta gli Dei si confondevano con gli esseri umani ed era difficile distinguerli. In effetti gli uomini erano così longevi da sembrare quasi immortali. Nascevano direttamente dalla terra e la terra forniva loro spontaneamente tutti i tipi di cibo. Dalle precedenti informazioni possiamo dedurre che gli Iperborei erano strettamente imparentati con gli Haṃsa della tradizione hindū, l’umanità primordiale non ancora divisa socialmente in caste (ativarṇa).
Nell’Inno omerico dedicato al Dio Dioniso leggiamo:
“Non è possibile trovare la meravigliosa strada per Hyperborea”;
Pindaro afferma anche:
“Né per terra né per mare, nessuno poteva trovare la meravigliosa strada che porta alle feste iperboree”.
Con l’inizio dell’Età dell’Argento, la strada per l’Hyperborea si interruppe. La nuova umanità decaduta non poteva più raggiungere quella Terra benedetta durante la vita terrena. Tuttavia, dalla loro inaccessibile dimora gli Iperborei continuano a proteggere l’umanità indebolita con interventi costanti, ogni qual volta è necessario correggere le deviazioni manifestatesi nelle diverse generazioni dell’umanità. Ora si può più facilmente riconoscere una certa identità fra Hyperborea e l’Uttarakuru della tradizione hindū. A seguito della chiusura dell’accesso alla comune dimora originaria, la Tradizione ha preso due direzioni diverse in oriente e occidente. In Asia, il Sanātana Dharma continuò nella sua corretta forma vedica, mentre nei paesi occidentali sviluppò tendenze devianti manifestate nella successiva tradizione Atlantidea. Da allora la patria iperborea fu protetta dai grifoni, animali mitici con testa d’aquila e ali e corpo di leone che stazionavano presso il monte polare del Dio Apollo e che tiravano il suo carro (vāhana). I grifoni proteggevano le frontiere iperboree dagli Arimaspi, barbari con un occhio, dediti solo alla metallurgia, simili ai monocoli Ciclopi. Nella mitologia greca, i Ciclopi erano gli assistenti di Efesto, Dio dei fabbri. Da ciò possiamo dedurre che gli Arimaspi, i nemici di Iperborea, erano collegati a tenebrosi poteri sotterranei; come vedremo in seguito, anche gli Atlantidi erano dediti alla metallurgia.
Esaminiamo ora le caratteristiche di Apollo, il Supremo Dio iperboreo figlio di Zeus e Latona. Quando Latona cercava un rifugio dove partorire i suoi figli, fu accolta soltanto nell’isola di Delos, nel territorio Iperboreo; lì diede alla luce i divini gemelli Apollo e Artemide, il Dio del sole e la Dea della luna. All’età di quattro anni, Apollo costruì il suo tempio sferico, l’emisfero celeste boreale a Delo. Poi si recò in Grecia trasportato da cigni (sskrt. haṃsa), gli uccelli sacri iperborei. In quel periodo dell’Età dell’Argento, la Grecia fu devastata da Pitone, un mostruoso serpente titanico (asura o Ahi). A Delfi, Apollo uccise Pitone con le frecce del suo infallibile arco, frecce che sono i raggi del sole; quindi costruì un santuario oracolare sul cadavere dell’asura. In questo Santuario il Dio stabilì una sacerdotessa, la Pizia, che proferiva oracoli quando era da lui posseduta; Apollo fu così soprannominato Pitagora, “colui che possiede la Pizia”. E da lì a poco Delfi sarebbe diventato il tempio più importante di tutta la Grecia.
In conclusione, riportiamo un passaggio di Giamblico che dimostra che l’organizzazione iniziatica (sampradāya) fondata da Pitagora non fu altro che la continuazione di una primordiale paramparā iperborea:
“Un certo Abaris, sacerdote di Apollo, giunse da Iperborea, di cui il Dio era originario. Era un uomo anziano e saggio, molto esperto in scienze sacre. Stava tornando dalla Grecia nella sua terra e aveva raccolto dell’oro da offrire al Tempio del suo Dio. Attraversando l’Italia conobbe Pitagora e lo trovò del tutto somigliante al Dio di cui era sacerdote. Abaris, dunque, lo riconobbe come fosse Apollo stesso in base ai tratti venerabili che in lui ravvisava, oltre che dai segni distintivi che, in quanto suo sacerdote, già conosceva. Così “restituì” a Pitagora la freccia che aveva portato con sé come suo veicolo durante il suo lungo viaggio. Pitagora accettò la freccia senza sorpresa e senza chiedere la ragione di quel dono, anzi proprio per dimostrare che era davvero il Dio iperboreo, in privato mostrò ad Abaris la sua coscia d’oro, confermandogli definitivamente con questa prova che la sua intuizione era fondata. Inoltre, Pitagora dopo aver enumerato uno ad uno tutti i doni votivi custoditi nel Tempio iperboreo, rafforzò la sua convinzione d’essere proprio al cospetto del Dio. Infine, Pitagora spiegò che si era insediato lì allo scopo di prendersi cura e beneficare l’umanità; ma aveva assunto le sembianze umane in modo che gli uomini non fossero intimoriti dalla sua natura divinità e non rifuggissero dal suo insegnamento”.
Gaṇapati