Śrī K.A. Krishnaswami Iyer
Solipsismo e Vedānta
Perché il solipsismo è inconfutabile? Il solipsismo è la convinzione che “esisto solo io”. Si tratta di una posizione assurda che una società reale composta da individui realmente distinti con uguali pretese di diritto all’esistenza, non può prendere sul serio. Tuttavia è evidentemente inconfutabile e nessun sistema di pensiero che pretenda di avere la certezza delle sue verità è stato in grado di evitare tale minaccia permanente alla sua accettabilità e al suo credito. Ogni pensatore che discute sulla realtà delle altre menti ne parla con timore e si comporta come se il solipsismo, quasi fosse l’immagine della morte, ossessionasse continuamente la sua immaginazione e gli stesse davanti come uno spauracchio inamovibile. I critici avversari si compiacciono di accusare ogni sistema che cade nel solipsismo della perdita di credibilità, accusa che viene tranquillamente usata come un’arma sicura per relegarlo tra le assurdità. Dal momento che il soggettivismo, l’assolutismo, l’idealismo, il panteismo e persino il realismo, spinti alle loro estreme conseguenze logiche, assumono indubbiamente le caratteristiche del solipsismo così universalmente temuto e aborrito, non dovrebbe essere fuori luogo indagare se la sua vera natura debba essere respinta così severamente e fino a che punto possa essere suscettibile di una migliore interpretazione. Se è assolutamente inconfutabile, cosa gli manca per renderlo accettabile o per spogliarlo della riprovazione che lo colpisce? La verità più elevata è riconosciuta degli uomini se è esente da contraddizioni. Ciò è sufficiente a suscitare, nelle menti libere da preconcetti, il sospetto che, dopo tutto, il solipsismo potrebbe non essere così da respingere e che, in taluni suoi aspetti, potrebbe presentare le caratteristiche delle verità più profonde e vitali per l’uomo.
I termini ‘io’, ‘soggetto’ e ‘coscienza’ hanno un significato preciso ed escludono logicamente ogni pluralità. Non ha senso parlare di più di un ‘io’ o di più di un ‘soggetto’ o di più d’una ‘coscienza’. Per ‘me’ tutto il resto dell’umanità deve essere classificato tra ‘voi’ e ‘loro’, ecc., cioè tra gli oggetti che si oppongono a ‘me’ come ‘soggetto’ o ‘coscienza’ percepente. Questa è una prerogativa inalienabile delle stesse nozioni veicolate da tali termini.
Ogni sistema può essere accusato di solipsismo
Ogni forma di idealismo, e non di solo soggettivismo, che considera l’intero universo come una mera idea della mente, deve necessariamente includere le cosiddette altre menti nel mondo percepito dal pensatore e, pertanto, affermando una mente unica, diventa colpevole di solipsismo. L’idealismo trascendentale di Kant, l’idealismo assoluto di Hegel, l’idealismo attuale di Gentile, l’idealismo puro di Berkeley e Fichte devono tutti sottostare a questa accusa comune, per quanto possano protestare con enfasi contro di essa. Per sfuggire all’imbarazzo, è stato creato un fantoccio chiamato ‘mente cosmica’ o ‘Io trascendentale’. Ma l’espediente è inutile. Se il mondo intero è un concetto della mente, lo è anche la ‘mente cosmica’ o ‘ego trascendentale’, che non è altro se non una semplice generalizzazione della ‘mia’ mente.
Anche il realismo scientifico e il pluralismo contemporaneo sono in fondo bolle convenzionali, incapaci di resistere all’urto d’un venticello polemico. Bertrand Russell confessa che l’unica verità che può resistere all’esame logico è il solipsismo, ma che tuttavia non riesce a credere in esso. Preferisce pensare che il mondo sia reale e che contenga molte menti indipendenti, anche se, per dimostrarne l’esistenza, non può andare oltre la propria mente, sul cui verdetto deve forzatamente fare affidamento. Il solipsismo può estendere il suo dominio anche sul panteismo. Se tutto è Dio, allora io sono Dio e quindi sono tutta la realtà. Se da un lato negare altre menti, come quelle dei nostri genitori, è chiaramente contrario a tutte le nostre convinzioni e desideri, alle nostre inclinazioni e attività, dall’altro lato nessuna posizione filosofica fondata su una logica rigorosa può evitare il destino finale di ricadere nel solipsismo.
Punto di vista vedāntico sul solipsismo
Il Vedānta aiuta a svelare questo mistero. Secondo la Taittirīya Upaniṣad, l’anima umana, l’essenza spirituale del profondo dell’uomo, è avvolta in cinque involucri o guaine, uno sopra l’altro, dei quali il più sottile è il più interno, mentre il corpo grossolano è il più esterno. A ciascuno di questi livelli, l’uomo si identifica momentaneamente con quella particolare guaina e la considera il suo vero ‘Io’. Così all’inizio considera il suo corpo come se stesso e, poiché a questo livello percepisce innumerevoli altri corpi simili al suo, riconosce la pluralità degli elementi su questo piano di esperienza. Ammette cioè l’esistenza di altri ego come lui, associati a corpi. Il solipsismo a questo livello gli sembra naturalmente assurdo. Da questo ego fisico, possiamo passare al livello successivo della coscienza dell’uomo, cioè alla sfera sensoriale. Anche in questo caso, l’uomo percepisce che la sua cognizione degli oggetti esterni dipende dal vigore e dalla salute dei suoi sensi, distinti da quelli degli altri. Quindi, per spiegare le differenze di esperienza, concepisce l’‘Io’ sensoriale come se si muovesse in un mondo di molteplicità. Il terzo involucro esterno è la mente con le sue volizioni. Questo è l’‘Io’ mentale, anch’esso in contrasto con gli altri ‘Io’ simili, che scopre d’esistere al livello della molteplicità. Il solipsismo non può trovare posto nemmeno qui.
Il quarto è la guaina dell’intelletto con le sue facoltà di discriminazione, identificazione e giudizio. Anche questo livello l’‘Io’ intellettuale si trova nel bel mezzo della molteplicità. Neppure qui il solipsismo può essere accettabile. Infine, il quinto, ovvero l’involucro più interno che ricopre l’Essere, è la sfera del piacere o della fruizione. L’‘Io’ che fruisce deve mantenere la sua individualità in mezzo a molte altre che sono impegnate allo stesso modo nel mondo. Questi sono gli estremi limiti per la molteplicità o per la pluralità. E l’ego che si trova a questo livello non può realmente pensare a se stesso come l’unica Esistenza. Il solipsismo sarebbe in contraddizione con l’esperienza. Ora si deve determinare la natura dell’ego che si trova all’interno di queste cinque guaine e che, di fatto, è l’essenza spirituale dell’uomo. In realtà non è certamente un ego, perché non conserva nessuno dei caratteri individualizzanti che appartengono alle guaine. Di per sé non ha sentimenti, volontà o conoscenze individuali. Tuttavia, è colui che vuole, sente e conosce per mezzo di quelle guaine che l’avvolgono. Come lo spazio in una stanza è limitato dalle pareti che lo racchiudono, ma diventa indistinguibile dallo spazio generale quando le pareti vengono abbattute; e come l’espressione “spazio nella stanza” non indica realmente una divisione nello spazio universale, così l’uomo come Ātman è uno e indivisibile. Il solipsismo, da questo punto di vista, è la verità più profonda.
Due aspetti del solipsismo
Possiamo ora spiegare gli aspetti apparentemente opposti che il solipsismo presenta. Lo Spirito Universale, il Dio nell’uomo, trascende le leggi del tempo e dello spazio. Al di là della parola e del pensiero c’è la Realtà, che non conosce né parte né divisione né porta segni di individualità. Si manifesta nei successivi livelli di coscienza, identificandosi temporaneamente con ciascuna di quelle guaine, denominandosi corpo-ego [annamayātman], sensi-ego [prāṇamayātman], mente-ego [manomayātman], intelletto-ego [vijāñamayātman] e piacere-ego [ānandamayātman]. Come ego, svela il suo carattere di essere l’Uno senza secondo e, in quanto limitato dalle guaine, annuncia il suo ingresso nelle sfere della molteplicità per agire ai diversi livelli. Nel pensiero “Io solo esisto” si riconosce la grande verità che ogni uomo, in quanto Sé indifferenziato, è l’unica Realtà, mentre il mondo percettivo non è che il pensiero che lo oggettiva. D’altra parte, la pluralità delle menti è indiscutibile, poiché a livello mentale il Sé funziona in un mondo di molteplicità. Mentre sono infinite le distinzioni che si osservano tra le apparenti forme del Sé, come il corpo, i sensi, la mente e gli oggetti di godimento appartenenti alle singole anime, ciò che si manifesta contemporaneamente come ‘Io’ e mondo è l’essenza più intima dell’uomo e non è la sola Realtà, ma la Realtà intera. È indicato con i termini: ego, soggetto, Testimone o Coscienza, nessuno dei quali può ammettere rigorosamente la pluralità.
La consapevolezza dell’ego per la psicologia è un mistero e trova la sua spiegazione solo negli insegnamenti del Vedānta, dimostrando così che questi si basano su verità profondamente radicate nelle intuizioni universali dell’uomo. Il Vedānta dà fondamento alle opinioni di tutti i grandi pensatori che hanno parlato intuendo la verità attraverso un solipsismo non confessato, di cui erano inconsapevoli e che si sforzavano di ripudiare. Ma il solipsismo è l’insopprimibile termine per indicare l’‘Io’ supremo. È riprovevole quel solipsismo che ritiene come unica realtà un ‘io’ separato dal non-io, perché è assolutamente falso. Quel solipsismo ha la forma della filosofia, ma il cuore di legno marcio. Appare a tutti i sistemi come un mostro. Nessuna speculazione è riuscita a bandirlo dai domini del pensiero, e nessuna lo può tollerare. Il Vedānta ritiene che l’ego sia a gradi. L’essere più basso, confuso con il corpo, è giustamente marchiato come tale. Quello che si considera indipendente dal corpo e dalla vita presente è di un grado superiore, perché la sua vita terrena sarà modulata in modo da prepararla a un futuro felice. Ma l’ego più elevato deve essere onnicomprensivo: non più un individuo o un ego, ma la Realtà stessa, perché l’essenza dell’ego, in qualsiasi modo la si consideri, non può essere un’entità oggettiva. Solo un ego può essere l’essenza di un altro ego. Ma le limitazioni degli ego inferiori sono eliminate in quello più elevato, che tuttavia è l’unico termine in cui lo si possa descrivere. In questo senso trascendente, l’ego più alto, il più puro, è la Realtà totale e non c’è né può esserci nient’altro al di fuori di essa. Questa è la verità che sta alla base del solipsismo, che lo ha dotato di vita eterna.
Invano lo si tenta di abbattere. Si rialza di nuovo con doppio vigore. Il Vedānta mostra che è nato in cielo e che conduce a una vita incantevole. “Io sono Brahman”, “Io sono tutto, non c’è nient’altro”, queste sono le parole che vibrano di verità immortale. Gli altri termini, ‘Sé’, ‘Dio’, ‘Realtà’, ‘Verità’, ‘Coscienza’ non possono accostarsi alla parola ‘Io’ in quel suo peculiare potere di trasmettere l’intuizione che è al di là della parola e della comprensione e che ci porta nel più profondo della nostra natura. Quelli possono solo evocare concetti oggettivi della realtà e quindi sono infedeli come rappresentazioni della sua vera natura che non permette l’oggettivazione e che può essere immediatamente percepita solo come ‘Io’. Mi conosco molto meglio come ‘Io’ piuttosto che come ‘soggetto’, ‘Sé’, ecc. che sono concetti acquisiti e appresi. Inoltre, la mia realtà è sempre indiscussa. Whitehead dice che “le cose intorno sono reali per il fatto che ‘Io’ sono”. Questo è discutibile. Infatti, mentre esamino la maestà della realtà del non-io, lo faccio sempre grazie alla certezza della mia. Se qualcuno mi dice: “Sei irreale”, tali parole cadono nel vuoto. Non si riesce a concepire la propria irrealtà. “Quando sono completamente isolato, posso ignorare la realtà di altre cose; ma non posso mai essere non cosciente della mia Realtà.”
Oṃ Tat Sat