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Il post mortem dei sādhaka secondo la dottrina di Śaṃkarācārya – V

BRAHMA SŪTRA ŚAKARA BHĀṢYA

IV Adhyāya – 3 Pāda

Domanda: È stabilito che fino al punto in cui cominciano le [due] vie il processo di abbandono del corpo è simile. Ma la stessa via [del devayāna] è descritta in forma differente nelle diverse Upaniṣad. In una il percorso inizia con la connessione tra le nāḍī e i raggi solari: “Egli dunque sale lungo proprio questi raggi” (ChU VIII.6.5). In un’altra si parte dalla fiamma: “Essi salgono alla divinità della fiamma, da questa alla divinità del dì…” (BU VI.2.15). Il sentiero è così ulteriormente descritto: “Raggiungendo il sentiero degli Dei, egli va al mondo del fuoco” (KauU I.3). Infine, c’è ancora un’altra descrizione: “Liberi da ogni impurità, procedono lungo il cammino del sole dove dimora quel Puruṣa immortale e immutabile” (Muṇḍaka Upaniṣad (MuU), I.2.11). Perciò può sorgere il seguente problema: si tratta di vie differenti tra loro o sono la stessa via descritta in modo diverso?

Oppositore del Vedānta: Quando ci si trova in tali frangenti si deve concludere che questi sentieri sono di sicuro diversi per il fatto che, riferendosi a [risultati di] varie pratiche di meditazione, si trovano in differenti contesti. Inoltre, la sicura affermazione “Egli dunque sale lungo proprio questi raggi” (ChU VIII.6.5) dovrà essere riconsiderata se si dà credito all’altra che riguarda la fiamma ecc. (BU VI.2.15). Allo stesso modo sarà messo in discussione anche il passaggio circa la velocità [di tale processo] “Egli raggiungerà il sole alla stessa velocità con cui la mente meditando va da un oggetto a un altro” (ChU VIII.6.5.). Perciò queste vie devono obbligatoriamente essere diverse tra loro.

Vedāntin: Noi rispondiamo con il sūtra:

  1. [Il jīva se ne va] per la via che comincia dalla [luce della] fiamma, come è ben risaputo.

Affermiamo che tutti quelli che raggiungeranno Brahman1 devono procedere lungo la via che inizia dalla fiamma. Perché con “come è ben risaputo” si vuole esprimere che questa via è ben nota ai saggi. Nel passaggio della śruti che dichiara “Coloro che così conoscono e coloro che con śraddhā meditano sul Brahman reale nella foresta, salgono alla divinità della fiamma” (BU VI.2.15), meditazione che riguarda i cinque fuochi, veniamo a conoscenza che, anche quelli che praticano altri tipi di meditazione procedono sulla via che parte dalla fiamma.

Oppositore: Può darsi che questa via che parte dalla fiamma possa essere attribuibile a quelle meditazioni per le quali non si menziona alcun percorso. Ma nei passaggi testuali in cui sono descritti sentieri differenti, perché li si dovrebbe fare coincidere con questo percorso che inizia dalla fiamma?

Vedāntin: Questa obiezione potrebbe essere valida se i percorsi descritti fossero completamente diversi. Ma di fatto questa strada che conduce al Brahmaloka è sempre la stessa anche se, avendo molte caratteristiche, in certi passaggi è descritta solo con alcune tra esse. Questo è quanto sosteniamo: poiché in tutte le differenti descrizioni i particolari possono essere riconosciuti come singoli aspetti dello stesso percorso, si può comprendere che fanno parte di un unico disegno, collegati tra loro da tutta una serie di nomi e aggettivi. Esattamente come una meditazione può essere compiuta su vari oggetti in fasi diverse e, alla fine, quegli aspetti differenti devono essere unificati poi in una singola esperienza, così anche le caratteristiche di questa via devono essere integrate tra loro. Sebbene le meditazioni possano differire, il cammino deve essere lo stesso, poiché è chiaro che si tratta di una serie di tappe sulla stessa via, presentate come suoi aspetti particolari; perciò la meta da raggiungere attraverso tutti [quei singoli passaggi] è la medesima. Che, seppure tramite differenti rappresentazioni, si punti allo stesso risultato è evidente dalle seguenti citazioni: “In quei mondi di Brahmā raggiungono la perfezione e vi permangono per un incalcolabile numero di anni. Essi non ritornano quaggiù.2” (BU VI.2.15); “Egli vive lì per anni illimitati” (BU V.10.1); “Vince ovunque e ottiene la stessa qualità onnipervadente di Brahmā” (KauU I.4); “Quelli che ottengono il Brahmaloka per mezzo del brahmacārya” (ChU VIII.4.3). L’obiezione secondo cui, se si accettasse la via che parte dalla fiamma, allora si contraddirebbe l’inequivocabile affermazione: “Egli dunque sale lungo proprio questi raggi” (ChU VIII.6.5), non pone alcuna vera difficoltà, poiché questo testo intende semplicemente indicare il raggiungimento dei raggi3. In base alla sola parola ‘proprio’ non si può sostenere che il raggiungimento dei raggi si contrapponga all’uscita attraverso la fiamma. Si deve perciò capire che quel testo semplicemente mette in evidenza il collegamento con i raggi. Nemmeno la via che parte dalla fiamma può essere contrapposta al passaggio che tratta della velocità [con cui il jīva procede] (ChU VIII.6.5), perché con ciò si vuole semplicemente dire che si raggiunge Brahmā più rapidamente di altre mete: è come quando si dice «sarò lì in un istante». Inoltre, il passo “Essi non se ne vanno per nessuno di questi due percorsi” (ChU V.10.8), che accenna a una terza categoria4, dimostra che, a parte la via degli antenati, c’è solo quella degli Dei a essere suddivisa in tappe quali la fiamma e le seguenti. Inoltre, in alcuni testi upaniṣadici che parlano del percorso che inizia dalla fiamma, le tappe sono piuttosto numerose, mentre sono poche in altri testi, ed è logico che il numero minore debba essere contenuto in quello maggiore. In base a questa considerazione è stato detto: “Il jīva percorre la via che parte dalla fiamma perché ciò è ben noto.

2. [Il jīva di chi conosce il Brahman qualificato,] dall’anno raggiunge l’aria, in base all’assenza e alla presenza di precisazione.

Questa volta le tappe dell’ascesa dell’anima dovranno essere descritte in un ordine preciso, indicandone nomi e qualità. Tale descrizione deve essere trasmessa da un maestro che si comporta amorevolmente. I [maestri che appartengono alla tradizione Kauśītaki] interpretano il loro viaggio in questo modo: “Raggiunta questa via degli Dei, egli va al mondo del Fuoco, va al mondo dell’Aria, va al mondo di Indra, va al mondo di Prajāpati [Viraṭ] e raggiunge il mondo di Brahmā” (KauU I.3). In questo contesto con “mondo del Fuoco” essi intendono la fiamma (BU VI.2.15), in quanto entrambi i termini descrivono la cremazione: così non è necessario alcuno sforzo per riconoscere in che ordine stiano. Ma dove si situerà l’Aria, dato che non è menzionata nel percorso che comincia dalla fiamma? La risposta è prontamente trovata nel medesimo testo menzionato: “Essi raggiungono la fiamma, dalla fiamma al dì, dal dì alla quindicina luminosa della luna, dalla quindicina luminosa ai sei mesi del viaggio del sole verso nord, dai sei mesi all’anno, dall’anno alla divinità del sole” (ChU V.10.1). La posizione dell’Aria deve stare tra l’anno e la divinità del sole. Si sa questo proprio “in base all’assenza e alla presenza di precisazione5. È così che sulla posizione dell’aria, che non si trova nel testo “va al mondo dell’Aria” (KauU I.3), si esprime chiaramente un’altra Upanisad: “Quando un uomo se ne parte da questo mondo, raggiunge l’aria, che per lui crea un’apertura come il mozzo di una ruota di carro, sale attraverso di essa e raggiunge il sole” (BU V.10.1). Poiché in questo testo l’aria è situata con precisione prima del sole, le deve essere assegnata una posizione tra l’anno e il sole.

Oppositore: Perché, per la stessa ragione, dopo aver saputo che è menzionata la precisazione che l’aria viene dopo il fuoco (Kau I.3), l’aria non dovrebbe essere posta subito dopo la fiamma?

Vedāntin: Noi affermiamo che tale precisazione non esiste.

Oppositore: Ma come, non è stato forse citato il testo: “Raggiunta questa via degli Dei, egli va al mondo del Fuoco, va al mondo dell’Aria… (KauU I.3)”?

Vedāntin: Quel testo soltanto enumera le cose una dopo l’altra, senza voler indicarne l’ordine preciso. Ciò che si raggiunge è qui elencato dicendo che il jīva va in tale o talaltro mondo; invece nel testo [della BU V.10.1] si spiega che, per raggiungere il sole, egli passa oltre un’apertura stretta come il mozzo di una ruota di carro, specificando così chiaramente l’ordine di successione. Perciò l’affermazione “in base all’assenza e alla presenza di precisazione” è razionalmente sostenibile. Tuttavia, i Vājasaneyin6 ne danno questa lettura: “dai mesi al mondo degli Dei (devaloka), dal mondo degli Dei al sole” (BU VI.2.15). Secondo quel testo, il jīva dovrebbe raggiungere l’aria salendo dal mondo degli Dei7, cosicché il sole dovrebbe essere posto subito dopo. Ma quando il sūtrakāra dichiara che l’anima raggiunge l’aria provenendo dall’anno, si basa sulla Chāndogya (V.10.1). Dunque, la Chāndogya non menziona il devaloka e la Bṛhadāraṇyaka ignora l’anno. Ma, poiché tutte e due sono autorevoli, si dovranno aggiungere entrambe le tappe. Per metterle in ordine si deve dedurre che l’anno, essendo connesso con i mesi, deve essere posto prima e il mondo degli Dei dopo.

3. Varuṇa va collocato dopo la folgore essendo connesso con l’acqua.

Nella śruti: “Va dal sole alla luna, dalla luna alla folgore” (ChU IV.15.5), Varuṇa deve essere posto dopo la folgore in forza del testo: “Egli va al mondo di Varuṇa” (KauU I.3), perché la folgore e il dio della pioggia sono connessi tra loro. Quando lunghi fasci di folgori danzano nelle viscere delle nuvole con rombi di tuono, poi cade la pioggia, come si legge anche nei Brāhmaṇa [qui per Upaniṣad]: “Scoppiano lampi e rombano tuoni: pioverà sicuramente” (ChU VII.11.1). Śruti e smṛti ci insegnano che Varuṇa è il dio delle acque. Sopra Varuṇa stanno Indra e Prajāpati, perché lo stesso passo citato dalla Kauṣitakī Upaniṣad lo afferma e non si può trovare da nessuna parte un’altra collocazione per loro. Il Varuṇaloka e i mondi seguenti devono essere situati verso la sommità, in quanto sono gli ultimi citati e non sono stati posti nel tratto che inizia dalla fiamma e arriva al mondo della folgore (Cfr. ChU IV.15.5; BU VI.2.15).

Domanda: Ci si può chiedere se la fiamma e le seguenti tappe debbano essere considerate come segnali sulla via, come mondi di fruizione oppure come guide per i jīva che stanno salendo.

Oppositore: A questo punto, la conclusione a cui si arriva è che sono semplicemente segnali sulla via, dato che sono descritti come semplici punti di riferimento. Anche nell’esperienza comune, quando qualcuno vuole andare in un villaggio o in città, gli si danno istruzioni come: «Raggiungi quella collina, poi troverai un albero di banian, poi un fiume e poi finalmente raggiungerai il villaggio o la città». Allo stesso modo, qui si dice: “Dalla fiamma al dì, dal dì alla quindicina luminosa” e così via. Oppure potrebbero essere mondi di fruizione [bhogaloka]. Infatti, il fuoco e le altre tappe sono anche chiamati con la parola mondo (loka), come, per esempio “Egli va al mondo del fuoco” (KauU I.3). Nel linguaggio comune la parola loka è usata per indicare luoghi dove si fanno esperienze [di certi risultati] come, per esempio: “Il mondo degli uomini, il mondo dei pitṛ, il mondo dei deva” (BU I.5.16) e così via. Anche in un testo tratto dai Brāhmaṇa si trova: “Essi si associano al mondo dei giorni e delle notti” (Śātapātha Brāhmaṇa, X.2.6.8). Perciò la fiamma e le altre divinità non sono guide. Inoltre, esse non possono logicamente condurre dei jīva perché non sono esseri coscienti e nell’esperienza quotidiana è un uomo competente che, su incarico di un Re, accompagna altri per rotte sconosciute.Vedāntin: Noi rispondiamo con il sūtra seguente:

  1. Come sarà evidenziato di seguito, in questo contesto con Brahman si intende sempre il non-Supremo, Brahmā.[]
  2. BU VI.2.15.[]
  3. Infatti una tale interpretazione letterale comporterebbe anche l’idea che chi muore di notte non possa raggiungere il devayāna; difficoltà che è facilmente superata se si integrano i testi che parlano dell’uscita dalla fiamma con quelli della risalita lungo i raggi solari.[]
  4. D’altronde quei piccoli esseri che trasmigrano senza posa, non sono nati seguendo nessuna di queste due vie. Questa terza condizione è descritta dalle parole «Vivi e muori!».” (ChU V.10.8) Śaṃkara così commenta: “Questi piccoli esseri come tafani, zanzare, pulci […] Questo percorso trasmigratorio è tanto doloroso che deve essere evitato. Anche perché le piccole creature, la cui vita passa solo sperimentando la sofferenza della nascita e della morte, abbandonate senza alcuna zattera alla terribile oscurità d’un abisso senza fondo da cui è difficile uscire, sono senza speranza d’attraversarlo. Si dovrebbe evitare, avere paura, detestare questo destino della trasmigrazione, in modo che non si possa ricadere in questa terribile, vasta corrente del saṃsāra.” (ChUŚBh V.10.8). L’immediata trasmigrazione, senza nemmeno passare per i naraka, è dovuta alla rituale dissipazione del prāṇa, e dei relativi prolungamenti sottili, di quei demoni umani (mānuṣa rākṣasa) che: “posseduti da desideri insaziabili e pieni di ipocrisia, superbia e ira, con perversa intenzione nata dall’illusione, compiono rituali a fini dissacranti […] nati in grembi diabolici, quegli stolti non vengono mai a me e peggiorano continuamente la loro condizione, o figlio di Kuntī.” (BhG XVI.10; 20)[]
  5. Per il Nyāya, “assenza e presenza di precisazione” significa che se un testo della śruti non menziona un certo particolare, un altro testo che tratta dello stesso argomento può fornire la precisazione richiesta: un testo integra l’altro. Al contrario, nel caso che un testo non precisi un particolare e che non si trovi alcuna ulteriore precisazione in altre parti della śruti, si dovrà recedere da ogni conclusione definitiva. Secondo il Vedānta, tale vuoto di informazione potrà essere riempito soltanto dall’esperienza dell’intuizione universale.[]
  6. I successori della linea di maestri fondata dal ṛṣi Yājñavalkya, appartenenti alla scuola dello Yajur Veda bianco.[]
  7. Si tratta degli svarga, i mondi di fruizione per i salvati, ovvero la sezione più alta del pitṛloka, che il jīva devayāni incrocia in questa fase. Invece, come si è già visto, il jīva pitṛyāṇi attraversa il pitṛloka immediatamente prima di raggiungere il cielo della luna.[]