C) Io non sono la buddhi o intelletto
Oltre ad ahaṃkāra e manas, antaḥkāraṇa ha una terza forma che è la buddhi, l’intelletto. Quando i sensi riportano la conoscenza degli oggetti esterni, essa è la funzione della mente che li conosce uno a uno; quando queste conoscenze individuali sono congiunte dalla mente e quest’ultima le presenta all’intelletto, esso le determina in questo modo: «Questa è una tal cosa». Allora ahaṃkāra, l’ego, o la nozione dell’“io”, che dir si voglia, si sente orgogliosa e pensa: «Ho raggiunto questa conoscenza; la conosco così e così». Allora, come conseguenza della conoscenza degli oggetti esterni, si prova sia felicità (sukha) sia dolore (duḥkha). Antaḥkāraṇa è lo strumento unico che genera questi sukha e duḥkha, per fruirne, sperimentarli e conoscerli distintamente. In ogni modo, giacché anche l’intelletto è, come l’ego, semplicemente uno strumento di cognizione, ed è da noi conosciuto, si conclude che anche l’intelletto è distinto dalla nostra vera natura (svarūpa). Le modificazioni che avvengono in antaḥkāraṇa nelle sue forme di manas, buddhi1 e ahaṃkāra, come anche i susseguenti cambiamenti, felicità (sukha) e dolore (duḥkha), desiderio (kāma), ira (krodha), paura (bhaya), vergogna (lajjā) ecc., sono chiamate vṛtti o costruzioni mentali. La mente, l’intelletto e l’ego ecc. sono vṛtti rivolte all’azione cognitiva, mentre la felicità, il dolore ecc. sono vṛtti chiamate vedana (sensazioni, sentimenti), prodotte dall’esperienza (anubhava) degli oggetti esterni. Poiché tutte queste vṛtti avvengono nel solo antaḥkāraṇa e poiché questo antaḥkāraṇa è semplicemente uno strumento, sādhana2, è evidente che il mio vero “Io”, che usa questo strumento, è distinto da questo antaḥkāraṇa e dalle sue vṛtti; nessuna di queste è in verità la mia vera natura (svarūpa). Così dovrebbe pensare un viveki.
D) Io non sono i prāṇa
Alcuni in questo mondo hanno pensato che: «Noi non siamo né il corpo né i sensi né la mente né l’intelletto né l’ego. Siamo solamente chi utilizza tutti questi a nostro vantaggio e beneficio. Per esempio: quando voglio, io alzo il mio braccio, se ne ho abbastanza, lo abbasso; se voglio un oggetto, lo afferro, se non lo voglio lo respingo; se mi piace un argomento, mi concentro e penso a quello; se non m’interessa lo trascuro e lo dimentico; nel sonno profondo io dissolvo l’ahaṃkāra, cioè l’ego, e la mente. Oppure, senza permetter loro di vagare qua e là, li fermo in un punto. Così quella entità al cui comando il corpo e i sensi obbediscono, è essa stessa quell’“Io”».
Questa opinione non è corretta, perché il potere che fa in modo che il corpo e le facoltà d’azione (karmendriya) funzionino è chiamato prāṇa. Il sostrato di quel prāṇa è il mio Sé, vale a dire l’“io”. Proprio come l’ahaṃkāra il manas e la buddhi menzionati prima sono in relazione con i jñānendriya, così sono anche in relazione con il prāṇa. Pensando: «Io conosco questo oggetto» noi indichiamo chiaramente che l’“io” è ahaṃkāra, l’aspetto cognitivo è manas e la decisione della conoscenza cognitiva è fatta dalla buddhi; allo stesso modo possiamo determinare l’aspetto motorio del prāṇa in tutte le azioni del corpo e dei karmendriya. Vale a dire che quando noi diciamo: «Io compio questa o quell’azione», l’aspetto che assume il ruolo di agente dell’azione (kartṛbhava) è ahaṃkāra; lo strumento o mezzo che concepisce l’azione è manas, e quello che prende la responsabilità della decisione di compiere l’azione è buddhi. In questo modo il prāṇa inizia a funzionare solo dopo una definitiva decisione a compiere una determinata azione. Il fatto che ahaṃkāra ecc. siano anātman è stato già chiarito prima. Perciò anche prāṇa, che funziona con supporto di quegli anātman è necessariamente solo anātman e non il mio Sé reale, e questa verità, ora, si impone da sola. Oltre al prāṇa che entra in funzione nella veglia a nostra volontà, il prāṇa agisce anche autonomamente. Per esempio, il respiro, il battito cardiaco, la circolazione del sangue, la produzione dei vari succhi come la bile, che sono secreti da diverse ghiandole e organi, l’escrezione dal corpo dell’urina e delle feci ecc., tutte queste funzioni involontarie sono compiute senza alcun intervento della nostra volontà. Poiché questa prāṇaśakti, forza vitale, agisce in vario modo nel nostro corpo, alcuni testi scritturali dicono che questo prāṇa ha cinque vṛtti, o modificazioni, cioè prāṇa, apāna, samāna, vyaṇa e udāna 3. Queste prāṇavṛtti, sono convenzionalmente chiamate prāṇabheda, o modalità differenziate della forza vitale. Se vogliamo, possiamo immaginare che nello stato di veglia, in cui noi tutti abbiamo una relazione o associazione con il corpo, i sensi ecc., ne abbiamo anche una con il prāṇa: ma nello stato di sonno profondo, in cui non si ha alcuna relazione con nessuna altra cosa se non con il proprio Essere, è evidente che non se ne ha nemmeno con alcuna funzione prāṇica. Quando siamo svegli possiamo osservare altri che dormono e da questo deduciamo che durante il nostro sonno profondo, senza essere coscienti, molte funzioni continuino ad agire. Ma questo è quanto immaginiamo durante la veglia, perché del nostro sonno profondo non abbiamo alcuna esperienza in questo senso. Infatti, nel sonno profondo, che noi sperimentiamo intuitivamente e direttamente, non abbiamo alcuna prova che i prāṇa siano in funzione, oppure no.
Allo scopo di determinare l’ultima Realtà, l’esperienza intuitiva, anubhava, è uno strumento più forte dell’immaginazione o della deduzione. Perciò la corretta interpretazione da assumere deve essere: «Il nostro svarūpa non ha alcuna relazione con il prāṇa né con l’antaḥkāraṇa che è il suo sostrato, per le seguenti ragioni: 1) le prāṇaśakti sono molteplici; 2) anche esse subiscono mutamenti; 3) sono conosciute da noi come oggetti; 4) nel sonno profondo sono completamente assenti». Si stabilisce così definitivamente e senza equivoco che anche i prāṇa sono di natura grossolana 4 , diversi dalla nostra vera natura (svarūpa); e, di conseguenza se ne trae che solo la nostra vera natura è cosciente. Il nostro svarūpa è diverso e separato da loro, perciò è capace di conoscerli.
- Tuttavia le modificazioni della mente non sono le medesime di quelle dell’intelletto. Infatti manas, in base al suo grado d’intuizione, elabora i pensieri relativi alle informazioni sensoriali sugli oggetti esterni, percependoli come gradevoli o sgradevoli, giudicandoli secondo le categorie dell’istintiva attrazione (rāga) o repulsione (dveṣa) che prova per essi. Invece la buddhi elabora le sue discriminazioni soppesando se gli oggetti esterni possano essere a lei utili o inutili, benefici o nocivi. Per esempio, il manas può provare antipatia istintiva per una persona o per una situazione, ma la buddhi saprà controllare l’istintività della mente qualora decidesse che ciò potrebbe risultarle conveniente, vincendo così quell’avversione. Questo dimostra che l’intelletto si comporta da controllore della mente, agendo nei suoi confronti come fosse apparentemente il suo Sé [N.d.T.].[↩]
- Qui sinonimo di kāraṇa. Generalmente con sādhana s’intende il metodo o una specifica tecnica iniziatica, detta anche prakriyā. Da non confondere con sādhanā al femminile, che è la via o percorso iniziatico [N.d.T.].[↩]
- 1)-Prāṇa: l’inspirazione, considerata come una insufflazione attraverso le narici, dapprima in direzione ascendente fino alla base del cervello (mastiṣka), poi discendente fino al cuore e polmoni, dove deposita gli elementi sottili assorbiti dall’ambiente esterno, provenienti sia da jīva ghana, sia dalle eiezioni sottili emesse per espirazione dalla collettività degli esseri viventi. 2)-Apāna: l’aspirazione che scende dai polmoni fino alla base della colonna vertebrale, convogliando e diffondendo in tutte le arterie sottili (nāḍī) presenti nel corpo gli elementi assunti dall’esterno. Apāna deposita gli elementi utili che saranno assimilati nella fase successiva, all’altezza dell’ombelico, ossia nella regione del corpo dedicata alla funzione di assimilazione, mentre fa cadere verso il basso gli elementi inutili o i rifiuti dell’assimilazione per essere espulsi. Questo soffio è anche preposto ad attuare altre funzioni d’espulsione, come l’eiezione del feto o di corpi estranei dalle ferite. 3)-Samāna conclude la fase dell’ingestione di aria. Per questa ragione è considerato una pausa nel duplice processo della respirazione e, allo stesso tempo, esso coincide con il trattenimento del soffio nella regione inferiore del plesso solare. Samāna è la funzione assimilatrice e discriminatrice di ciò che è stato ingerito con la respirazione. 4)-Vyāna diffonde il soffio in tutto il corpo. Generalmente messo in relazione con il sistema circolatorio del sangue per la sua capillare diffusione in tutto il corpo, è il prāṇa che colloca all’interno degli organi corporei gli elementi assimilati, rendendoli partecipi dell’organismo vivente. È perciò tra i pañcaprāṇa quello che anima e fa muovere i corpo. Allo stesso tempo sostituisce con gli elementi recenti quelli già sfruttati, abbandonandoli ad apāna per essere secreti. 5)-Udāna, l’espirazione, ovvero la seconda fase della respirazione. Tramite l’aria emessa con udāna il corpo si libera anche delle componenti sottili: per esempio, se i rifiuti costituiti dagli elementi terra, acqua e fuoco, sono eliminati dagli organi di escrezione e dalla pelle (il sudore), i rifiuti o i componenti esausti dell’aria e dell’etere sono restituiti all’ambiente circostante proprio tramite l’espirazione. Similmente si disperdono anche gli scarti delle componenti sottili, sia prāṇiche sia concettuali, e in questo modo si restituisce a Hiraṇyagarbha quanto assimilato da lui tramite l’inspirazione. Poiché Hiraṇyagarbha deve essere considerato l’anima prāṇica generale del mondo in cui viviamo, le nostre componenti sottili così espirate si vanno a mescolare con quelle emesse da tutti gli altri esseri, viventi o già defunti, dando così forma a quella che si chiama “la mentalità” del tempo. Infatti con udāna avviene anche l’esalazione dell’ultimo respiro, che determina l’uscita del jīva accompagnato da tutte le componenti sottili e la conseguente morte del corpo (dehānta). [N. d. T.].[↩]
- Anche in questo caso “grossolano” non significa composto dai cinque elementi, poiché i prāṇa sono di natura sottile; ma paragonati all’“Io”, appaiono più pesanti, sthūla [N.d.T.]. [↩]