Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja
9. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda
Agama Prakaraṇa
Mantra 4-5
Se Brahman ha quattro pāda, i primi tre pāda implicano l’intero errore, sia l’avidyā kalpitam sia lo śāstra kalpitam1. Quando l’uomo si considera un corpo, il metodo (prakriyā) chiamato śāstra kalpitam è adhyāropa dṛṣṭi. Così i tre pāda non devono escludere nulla; quindi, se il primo pāda indicasse solo il vegliante e non l’universo di veglia, quest’ultimo sarebbe fuori dal primo pāda. E, se il secondo pāda indicasse solo il sognatore e non l’universo del sogno, allora anche il secondo pāda lascerebbe fuori il mondo del sogno. Quindi, il primo, il secondo e il terzo pāda devono includere ogni particolare di adhyāsa, ogni particolare del kalpitam. Qualsiasi cosa sia kalpitam è implicato nei tre pāda, sia l’avidyā kalpitam sia lo śāstra kalpitam. Entrambi i problemi, come anche la prakriyā, sono rappresentati dai tre pāda. I tre pāda sono, dunque, il mezzo; il quarto pāda è il fine. Ciò significa che per mezzo della falsificazione dei tre pāda si capisce il quarto pāda, così quello che è capito è il Quarto. Il Brahman, il Fatto, e il metodo per capire il Fatto si conseguono con la correzione dell’errore. Perciò, correggere l’errore è il metodo e la Realtà capita è lo scopo. Correggendo la percezione del serpente, si capisce la corda; non c’è successione temporale (kāla krama)in questo. Si può anche dire che, capendo la corda si corregge la percezione del serpente: è la stessa cosa. Perciò i primi tre pāda sono chiamati kāraṇa sādhanam e il Quarto è Sadyam (immediato), è karma sādhanam, cioè l’argomento capito. Quando io lo capisco significa che capisco la mia esistenza come nirviśeṣam. Quello che è capito è detto karma sādhanam, il mezzo con cui si capisce è detto kāraṇa sādhanam. Così il primo pāda non deve escludere nemmeno una piccola parte della veglia e, perciò, il vegliante e l’intero universo di veglia è il primo pāda chiamato Virāṭ. Il nirviśeṣam visto come sognatore e sognato, è chiamato secondo pāda, quindi, a questo punto, sorge questa domanda: se il vegliante è descritto come primo pāda, perché s’include l’intero universo? Perché l’universo non ha alcuna esistenza se non in relazione al vegliante. L’identità cosciente del vegliante non è mai limitata, è comprensiva dell’interno jagat. Perciò il vegliante implica l’individuo, il pramāta, come anche l’intero prameya; perciò il primo pāda significa Virāṭ e non piṇḍātman. In quanto limitati alla forma, siamo chiamati piṇḍātman, che significa ‘una parte’; questo corpo è solo piṇḍa, una frazione (paricchinna) della misura di un pollice; come comprensivo, apparendo sia come vegliante sia come universo di veglia è privo di divisione (aparicchinna). Questo è il primo pāda.
Bisogna capire la rilevanza della parola saptāṅga (con sette membra): con saptāṅga s’intende Virāṭ. Perciò il primo ‘piede’ (prathama pāda) include l’intero universo. Quindi, prathama pāda è bahiṣprajña (cosciente dell’esterno), jāgrat sthāna (stato di veglia), saptāṅga, ekonaviṃśati mukha (con diciannove bocche), sthūla bhuk (fruitore del grossolano), Vaiśvānara. Il secondo pāda include l’intero stato di sogno. Il mahāvākya inizia proprio qui, affermando che come piṇḍātman sei Vaiśvānara; non sei limitato, sei onnicomprensivo. Il saṃskāra su cui riflettere sulla propria comprensività, inizia con il primo pāda. Nel capire il primo pāda, s’inizia pensando che non si è limitati in quanto esseri coscienti, perché in realtà, non si ha alcuna altra identità. Anche il sognatore è fondamentalmente cosciente; lo si può chiamare sognatore, ma è cosciente. In quanto essere cosciente è onnicomprensivo. Poi viene il terzo pāda. Tutti questi tre pāda sono falsificati alla luce del Quarto. Quando il terzo pāda viene capito, è il Quarto pāda, è libertà dal terzo pāda. Non capito, rimane attaccato al primo, al secondo e al terzo pāda; una volta capito, non ci sono pāda. L’acqua, capita come origine dell’onda, è il Quarto, perché non c’è alcuna relazione origine-creazione. L’origine capita, non è più considerata origine, è libera dalla relazione origine-creazione.
Il terzo pāda può essere guardato in tre modi, anche se lo śāstra ne parla in due modi. L’uomo comune dice che è uno stato di ignoranza e questo è il primo punto di vista. “Non conoscevo nulla, non conoscevo il mondo, non c’era alcun pensiero sul mondo e su me stesso; è una completa ignoranza”: questo è ciò che pensa l’uomo comune nello stato di veglia. Tutti i punti di vista sul sonno sono fatti in veglia. Non si può avere un punto di vista sul nirviśeṣam nel nirviśeṣam: tutti i punti di vista sul nirviśeṣam sono nel dominio del saviśeṣam. Uno di questi punti di vista è che “Non conoscevo nulla, non c’era sofferenza (duḥkha), ero pacificato, dormivo beatamente; ma non conoscevo nulla, quindi ero in uno stato di ignoranza e di oscurità”. Questo punto di vista dell’uomo comune è preso come verità dai buddhisti, in quanto vacuità. Il punto di vista universale sullo stato di sonno profondo, dai buddhisti è considerato il Fatto. Non possono proprio superarlo perché, in un modo o nell’altro, danno credito alla visione universale2 sul sonno profondo. Il punto di vista dello śāstra è che esso non è assenza di tutto, non è uno stato d’ignoranza, è uno stato della propria presenza libera dall’ignoranza, libera da qualsiasi oggetto, libera dalla percezione della veglia, libera dallo stato di sogno. Poiché non si può sperimentare l’assenza di qualcosa, si deve ricordare la presenza di qualcosa e si può solo fare un vikalpa, una specie di conclusione: “Era lì, devo ricordarlo”, e allora si dice “Ora non è lì”. Devo pensare per sentire l’assenza. Ma questo pensiero non c’è nel sonno: ma se questo pensiero non c’è nel sonno, come può essere uno stato d’assenza? Non puoi imbatterti in uno stato d’assenza, non puoi pensare all’assenza, non c’è un anubhava dell’assenza, non puoi mai sperimentare l’assenza. Perciò il sonno profondo non è sperimentare la vacuità, non è uno stato di semplice ignoranza, perché l’ignoranza sta nell’errore. Nel deho’ham (io sono questo corpo)io posso sentire l’errore, nell’errore posso sentire l’errore e nell’errore posso provare anche l’ignoranza. Se non c’è il deho’ham in suṣupti, non c’è ignoranza; non è un’esperienza d’ignoranza, non è uno stato in cui si sperimenta oscurità e vacuità, non è uno stato in cui si sperimenta l’assenza, non si può sperimentare unicamente l’oscurità, perché per chiamare l’oscurità oscurità, si deve ricordare la luce. Se si chiudono gli occhi è buio e per considerare l’oscurità come oscurità, è necessario il ricordo della luce. Quando chiudo gli occhi la chiamo oscurità perché ricordo quello che c’è quando ho gli occhi aperti. Questo è un pensiero, se non vi dispiace! L’oscurità è un pensiero e così anche la vacuità e l’ignoranza sono pensieri. Ma nel sonno profondo non ci sono pensieri, quindi non può essere uno stato in cui si sperimenta la vacuità, l’oscurità o l’ignoranza. È essere la propria presenza meno tutto questo (idam), è uno stato di libertà da tutto il pensiero, è uno stato di Essere. Non è uno stato in cui si sperimenta śūnya (il nulla); anche se questo è il punto di vista dell’uomo comune, se si è veramente obiettivi, la verità emerge da sola. Se non c’è pensiero, come può esserci oscurità? Se non c’è pensiero non c’è neanche memoria; e se non c’è memoria, come può esserci oscurità? Se non c’è identificazione con il corpo, come può esserci ignoranza? Se non c’è ricordo, come può esserci assenza? Quindi non è uno stato di assenza di cose, è uno stato della propria presenza libera da tutto. Non è uno stato di assenza di tempo, è uno stato della tua presenza libera dal tempo; è uno stato del tuo bhava (essere)senza kāla (tempo). È uno stato di tua presenza libera da spazio, libera dall’universo. Il punto di vista dello śāstra è che è uno stato di presenza di nirviśeṣam. Ma lo stesso śāstra, quando insegna il nirviśeṣam come kāraṇam (causa od origine) di jāgrat e di svapna, lo chiama Īśvara. Nirviśeṣam insegnato come origine della veglia e del sogno è chiamato Īśvara: questo è detto śāstra kalpitam. Ma in realtà, suṣupti è la presenza del proprio Sé come nirviśeṣam: questo non è immaginazione (kalpitam). La sua descrizione come nirviśeṣam è kalpitam, la sua presenza non è kalpitam. La sua descrizione come nirviśeṣam è kalpitam, il nome usato è kalpitam, ma la sua presenza è akalpitam. Il silenzio è sperimentato come akalpitam, ma la parola silenzio è kalpitam. Il nirviśeṣam insegnato come origine della percezione di veglia e di sogno è chiamato Īśvara, e questo è il terzo pāda. Come è detto dallo śāstra, il primo pāda è Virāṭ, il secondo è Hiraṇyagarbha e il terzo è Īśvara e il Quarto è il Fatto, il nirviśeṣam. Rendendo falsi i tre pāda, quando si falsifica jāgrat e svapna, si falsifica il nirviśeṣam in quanto origine, la relazione origine-creazione è così falsificata. Anche īśvaratvam (la realtà di Īśvara) è falsificato, avendo dietro solo il nirviśeṣam. Così i primi tre pāda sono kāraṇam sādhanam, il Quarto è karma sādhanam. Quindi i primi tre pāda sono i mezzi con cui posso capire; falsificando i tre io capisco il Quarto, quindi i tre sono gli strumenti e il Quarto è il fine. Nel sonno profondo si sta come nirviśeṣam, questo è l’argomento trattato. Ma, invece di capire suṣupti come presenza di se stessi in quanto nirviśeṣam, la si pensa come uno stato di assenza: questo è avidya, questo è il problema. Così, quando si sperimenta l’oggetto, si sta solo sperimentando il nirviśeṣam, si sperimenta solo la presenza, non l’oggetto. L’oggetto è kalpitam, il soggetto dell’anubhava sei tu stesso, è la tua presenza con una forma. La tua presenza, anche se in relazione alla forma, non è la presenza dell’oggetto, è la tua presenza. Quando l’onda si forma, non si deve dire che è la presenza dell’onda; è la presenza dell’acqua con una forma kalpitam. Similmente, anche qui, quando si vede l’universo, non è uno stato di presenza dell’universo, non è uno stato di presenza del tempo, del pensiero o dello spazio. È uno stato della tua presenza con jagat kalpitam. Anche il sogno è la tua presenza con il sogno kalpitam. E il sonno profondo è la tua presenza meno la forma. In tutti e tre gli stati, quello che è presente è il proprio Sé. Così descrivere il vegliante e l’universo di veglia assieme è Virāṭ, il sognatore assieme all’universo di sogno è Hiraṇyagarbha. La si può mettere in questo modo: il nirviśeṣam visto come vegliante e universo di veglia è Virāṭ, come sognatore e universo di sogno, è Hiraṇyagarbha; lo stesso nirviśeṣam insegnato dalla śruti come causa di Virāṭ e di Hiraṇyagarbha è Īśvara, e nirviśeṣam in quanto nirviśeṣam, è il Quarto pāda. Non è uno dei pāda kalpitam; i primi tre sono kalpitam, il Quarto è il Fatto stesso, la Realtà. Per questo la śruti dice: “Caturtham manyante” (MU 7). Lo descrive innecessariamente come Quarto, perché ricade nel campo dei pāda, è trattato assieme ai pāda. Quando il fatto è menzionato con i tre pāda ci si riferisce a esso come pāda, altrimenti non è un pāda, è solo il fatto. Il primo, il secondo e il terzo pāda, possono essere falsificati, il Quarto no: è la propria esistenza. Il primo e il secondo pāda sono la propria percezione, il terzo pāda è prakriyā3e il Quarto è la propria esistenza. Avendo esaminato il primo e il secondo pāda, passiamo ora al terzo
5
Yatra supto na kaṅcan kāmam kāmayate na kaṅcan svapnam paśyati tat suṣuptam ǀ
Suṣuptasthāna ekībhūtaḥ prajñānaghana evānandamayo hyānandabhuk cetomukhaḥ prājñastṛtīyaḥ pādaḥ ǁ
Questo stato è il sonno profondo, laddove il dormiente (yatra suptaḥ) non desidera alcun oggetto e non vede alcun sogno. Il terzo pāda è Prājña (il Cosciente), che ha come campo il sonno profondo (suṣupta), in cui tutto diventa unificato, che è soltanto una massa di mera coscienza indifferenziata, che è pienezza di beatitudine (Ānanda), della cui beatitudine gode, e che è la porta (mukha) verso l’esperienza (degli altri due stati di sogno e di veglia).
Secondo l’uomo comune, suṣupti è uno stato d’ignoranza e la parola Prājña si riferisce a quel punto di vista. Il punto di vista dello śāstra è che non è uno stato d’ignoranza, è uno stato della propria presenza meno ogni altra cosa: è uno stato di sperimentazione della tua presenza, e, in quanto stato del nirviśeṣam può essere chiamato Prājña; è uno stato di solo Essere non duale, svarūpa avasthā. Lo si chiama avasthā perché jāgrat e svapna sono avasthā, altrimenti è svarūpa. Essere acqua non è svarūpa sthāna, è svarūpam. Perciò Prājña è il punto di vista dell’uomo ordinario, è ciò ch’egli pensa e non l’esperienza. È il punto di vista del vegliante riguardo suṣupti. Generalmente ciò che accade è che nel pensiero comune, a causa della mediocrità delle idee, non si capisce che il punto di vista del vegliante su suṣupti è avidyā. Lo śāstra non dice che è uno stato d’ignoranza, ma che è uno stato di tua presenza, perché l’ignoranza non può mai essere ignoranza assoluta. La non comprensione avviene soltanto per una mescolanza di conoscenza erronea. Non può esserci la non comprensione senza fraintendimento. Quando non c’è alcun fraintendimento, non c’è non comprensione, è uno stato di propria presenza. Quando non c’è alcun oggetto, si pensa che ci sia assenza di oggetto; ma questo è sbagliato: non è un’esperienza, non si può mai sperimentare l’assenza delle cose, non si sperimenta mai esclusivamente ignoranza, non si può mai sperimentare l’oscurità in quanto essa comporta l’assenza di percezione. Mentre si percepiscono le cose, si può pensare all’assenza, si può visualizzare senza quelle cose. Perciò l’assenza di qualcosa è un pensiero, la presenza di uno oggetto è un pensiero, ma nello stato di sonno profondo non stai pensando né alla presenza di cose né alla loro assenza; Non è uno stato di presenza di cose né di assenza di cose. È uno stato di tua presenza libero dalle cose. È uno stato della tua presenza non duale. I buddhisti non hanno affrontato questo. Non crediate che tutti i grandi filosofi siano molto acuti. Non è così. Non è che tutti i grandi speculativi siano intelligenti. Generalmente, chi pensa sulla base degli śāstra è una persona elevata. Se il tuo pensiero non è in accordo con lo śruti pramāṇa, per quanto geniale tu sia, la tua conclusione sarà sbagliata. È molto difficile rendersi conto che è privo di senso che si possa sperimentare l’assenza delle cose. Le persone pensano sempre di sperimentare la presenza e l’assenza di cose. Non puoi superare questo ostacolo. Il buddhismo è nato da questo ostacolo, è l’incarnazione di questo ostacolo. Tutti i filosofi fanno lo stesso errore: di sperimentare la presenza e l’assenza delle cose. Ma una volta che scopri che non si può sperimentare l’assenza, non sperimenti nemmeno la presenza; stai solo sperimentando te stesso con il pensiero della presenza. Percependo cose, non stai sperimentando la loro presenza; esse non hanno presenza, solo tu hai presenza. Essere è la tua natura e che il mondo sia presente è il punto di vista di avidyā.
Quindi, cerca di capire che Prājña ha due significati: quando si riferisce al punto di vista universale dell’uomo comune, è un punto di vista sullo stato di sonno profondo, ma non è un’esperienza. Per l’esperienza, lo śāstra si riferisce a essa come Prājña che significa unicamente essere cosciente, libero da pensiero. Anche nello stato di veglia non si può sperimentare l’assenza di pensiero; si stanno solo ricordando i pensieri e non la loro assenza, non si può sperimentare l’assenza di pensieri, cioè che i pensieri non sono lì. Quello che è presente sei solo tu, è la tua presenza libera dal pensiero. Non si può nemmeno dire che è la tua presenza meno i pensieri: è la tua presenza libera dai pensieri. Questa è la tua presenza. Quando il pensiero viene è la tua presenza con un pensiero: senza il pensiero è la tua presenza libera dal pensiero; e quando non c’è affatto pensiero, affatto ricordo e neppure tempo, è la tua assoluta presenza libera da ogni cosa. Così il punto di vista dell’uomo volgare (“non c’era nulla, non c’era il mondo e gli oggetti ecc.”) è stabilito dalla parola Prājña, mentre lo śāstra dice che non è uno stato d’ignoranza o assenza di cose od oscurità; è uno stato di tua presenza. Come stato della presenza del nirviśeṣam è Prājña (il Cosciente); ma è chiamato Prajñāḥ (la Coscienza): “Prajñāḥ eva Prājña” deve essere capito come Prājña, è solo jñāna svarūpam, è solo anubhava svarūpam, non c’è alcun anubhava viśaya (oggetto d’intuizione o di esperienza). Quel Prājña è il terzo pāda, il nirviśeṣam, insegnato come origine, è il terzo pāda. Lo stato di sonno profondo è quando si dorme senza avere alcun desiderio e quando si è liberi da tutti i desideri, non si sogna. “Na kaṅcan kāmam kāmayate” significa essere liberi dallo stato di veglia; e “na kaṅcan paśyati” significa che è libero dal sogno. Quando cioè si è liberi dalla veglia e dal sogno, allora è suṣupti, che non è uno stato di pensiero, ma è il mio Essere. Se questa è la natura, perché non ci si risveglia illuminati? L’illuminazione presuppone l’incorporamento e questo deve essere discriminato. Si deve correggere l’errore nel campo dell’errore. I tre stati sono un indizio per riconoscere la mia reale natura; non per la corretta conoscenza o l’errata conoscenza, ma per la mia natura. La corretta comprensione è sempre differente dalla propria natura. Quando sono libero dai pensieri, è la mia presenza, la mia natura. Se il pensiero fosse la mia natura, non potrei essere realmente libero da esso; quando sono libero nella mia natura, non sono in relazione con la veglia né con il sogno: non sono qualificato né dalla veglia né dal sogno. La mia presenza non è relazionata alla veglia e dove la mia presenza non è relazionata al sogno e alla veglia, quella è la mia natura. Quindi cos’è suṣupti? È il proprio svarūpam; ma suṣupti è vista dall’uomo comune come un terzo stato. È forse sperimentata come terzo stato? No, nella veglia io penso allo stato di sonno profondo come a un terzo stato, ma questo stato non è sperimentato come terzo. È universalmente considerato da tutti come terzo stato, ma la śruti lo interpreta così: questo terzo stato che tutti pensano così, questa suṣupti è svarūpam, anche se quello che è visto universalmente come terzo stato è chiamato suṣupti. ‘Supti’ (suṣupti) significa tornare al proprio Sé. Cos’è tornare al proprio Sé? Vuol dire tornare a essere libero da ogni cosa, libero dal dominio del pensiero, essere la propria natura. Perciò dove uno è libero dalla veglia e dal sogno, quello è svarūpam, anche se è visto come terzo stato chiamato suṣupti sthānam.
Ora, consideriamo suṣupti come terzo stato, cioè dal punto di vista universale: nel suṣupti sthānam non ci sono divisioni. Svarūpa è ekam, ma dal punto di vista universale, in quanto non manifestato, è ekībhūtam, omogeneo. Nella veglia i pensieri sono diversi uno dall’altro, c’è un senso di divisione e così anche nel sogno. Ma nello stato di sonno profondo non c’è senso di divisione, è uno stato indivisibile; non c’è la divisione di pramāṇa, pramāta e prameya né la divisione soggetto-oggetto, vedente-visto, udente-udito. Prajñānaghana (massa di coscienza unificata) è uno stato di esperienza senza alcuna divisione, è uno stato di esperienza libero dalla divisione di sperimentatore-sperimentato. Non immaginare che sia nulla (śūnya); se fosse śūnya, ti chiederei come puoi conoscerlo. È la mia esperienza. Quell’esperienza è chiamata prajñānaghana e quello śūnya che immagini dallo stato di veglia, non è lo stato di sonno profondo. Quello è solo prajñānaghana, è un’esperienza indivisibile, è uno stato di esperienza solo della tua presenza; è anubhava svarūpam. Non c’è anubhava viṣaya, non c’è oggetto d’esperienza, ma è uno stato d’esperienza. Dal punto di vista dell’uomo ordinario, suṣupti è ānandamaya in quanto è seguita dal saṃsāra: invece, per l’esperienza, è Ānanda svarūpam. È chiamata prajñānaghana dall’uomo comune, perché è seguita da vibhim prajñānam (consapevolezza della paura), che significa dvaita prajñānam. È chiamata prajñāna ghanam, ma per l’esperienza è solo prajñānam. Dal punto di vista dell’uomo comune è ekībhūtam, altrimenti è ekam. Per l’uomo comune è ānandamaya, per l’esperienza è Ānanda. Per l’uomo comune è ānanda bhuk, il fruitore di ānanda, ma per l’esperienza non c’è relazione fruitore-fruito; tu sei solo Ānanda svarūpam. Cetomukhaḥ è la natura della Coscienza ed è l’accesso (dvāram) per la veglia e il sogno, per tutte le percezioni, è la sorgente dell’intera creazione (sṛṣṭi), è chiamato Prājña perché dal punto di vista dell’uomo comune significa prāyeṇa ajñaḥ (generalmente ignorante) e per lo Śāstra è svarūpam. L’uomo comune pensa che sia un’assenza di questo e di quello, ma non è uno stato di esperienza di assenza, perché non si può sperimentare l’assenza. Quando dici “sperimento l’assenza del sesto elemento” non stai sperimentando la sua assenza, stai solo ricordando i cinque elementi e immagini che ‘il sesto non sia lì’; è uno stato di ricordo dei cinque e il ricordo dei cinque e l’immaginazione dell’assenza del sesto sono entrambi pensati, mentre la presenza appartiene a te, è la tua presenza. Questo è il terzo pāda dal punto di vista dell’uomo comune che lo pensa come terzo stato, mentre lo Śāstra dice che è sperimentare la propria presenza libera da ogni cosa, non duale. Non è possibile sperimentare l’assenza di qualcos’altro, perché non è possibile sperimentare l’assenza di qualcosa. Perciò suṣupti non è sperimentare l’assenza, è uno stato libero da ogni cosa. Se non c’è duḥkham non dire che è uno stato di assenza di duḥkham, ma che è uno stato della tua pacificata presenza libera da duḥkham; la parola ‘libero da duḥkham’ è un ricordo di duḥkham. Il linguaggio che si usa, per la verità, non è una parte della verità, è solo usato per adhyāropa dṛṣṭi. È dal punto di vista della creazione che usiamo il linguaggio e questa denominazione non qualifica la Realtà. Usiamo il linguaggio per discriminare la creazione dalla Realtà, quello che è veramente sperimentato è ciò che è percepito; per discernere l’anubhava svarūpam e l’anubhava viṣaya. Per insegnare la differenza tra questi, lo Śāstra usa il linguaggio, ma questo non è parte della Realtà. Quando non c’è duḥkham sei pacificato, è la tua presenza meno duḥkham. Ma la definizione “è la tua presenza meno duḥkham” non fa parte della tua esperienza; la denominazione che si riferisce all’esperienza non è parte dell’esperienza, è parte dell’insegnamento. Devi essere acuto, quando tratti di Vedānta; per le altre cose puoi essere ottuso. Ora la śruti dice che quello che chiami terzo pāda è nirviśeṣam per l’esperienza, è veramente l’origine della veglia, il tuo svarūpam è l’origine del mondo della veglia. Dove non percepisci lo stato di sogno, dove non hai alcun desiderio, dove non sogni nulla, quello è suṣupti; è chiamato suṣupti universalmente, ma non è suṣupti, è svarūpam. Non è uno dei tre stati: per l’esperienza è il proprio Sé. Non è mai sperimentato come uno dei tre stati. Per sperimentare suṣupti come uno dei tre stati, dovrei avere il ricordo degli altri due. Perciò, per l’esperienza è il nirviśeṣam; non stai sperimentando alcuna presenza di qualcosa né alcuna assenza. Sperimentare la propria presenza è davvero svarūpam, è detto suṣupta sthāna; lo chiami suṣupta, quindi è suṣupta sthāna. Dal punto di vista universale è ekībhūtam (essere unico), in quanto avyākṛta è ekībhūtam; altrimenti, per l’esperienza è ekam. Guardandolo come stato non manifestato è prajñānaghana, altrimenti è parajñāna svarūpam. Per l’uomo comune è ānandamaya, per l’esperienza è Ānanda. Per l’uomo comune è ānanda bhuk, invece è Ānanda Svarūpam. Per lo Sāstra prakriyā è cetomukhaḥ, mentre è nirviśeṣam, libero da kārya-kāraṇa bhāva. Ho esposto entrambi i punti di vista su suṣupti: quello dell’ignorante e quello in base all’esperienza. Anche per guardare correttamente la propria esperienza bisogna essere obiettivi. Generalmente si ascolta soltanto quello che è ripetuto da generazioni e si pensa che sia così; ma quello che la gente pensa è il proprio punto di vista, non il Fatto. Il Fatto è sempre la propria esperienza; la propria esistenza come propria esperienza. È chiamato Prājña: secondo l’uomo comune è prāyeṇa ajñaḥ e, in base all’esperienza, è Prājña. Come avyākṛta è prajñānaghana, è ekībhūtam, per l’esperienza è ekam. Perché ekībhūtam, prajñānaghana, ānandamaya, ānanda bhuk, tutti questi sono immaginazioni (kalpitam). Qualsiasi relazione è kalpitam, che sia avidyā kalpitam o śāstra kalpitam. Kalpitam è kalpitam: un kalpitam è universalmente kalpitam e lo śāstra fa la kalpanā del kārya-kāraṇa bhava, avyākṛtam ecc., e questo è chiamato śāstra kalpitam. Tieni a mente queste due formule: avidyā kalpitam e śāstra kalpitam. Kalpitam è kalpitam e non qualifica l’esperienza. Kalpitam è menzionato solo da un altro punto di vista kalpitam, che è chiamato punto di vista della veglia (jāgrat dṛṣṭi); mentre la tua esperienza è libera sia da avidyā kalpitam sia da śāstra kalpitam. Quando consideri che suṣupti è solo nirviśeṣam, libera sia da avidyā kalpitam sia da śāstra kalpitam, allora la śruti dice che se capisci, questo è il nirviśeṣam, che è la tua esperienza, che è cetomukhaḥ, che è l’origine del jagat. Che tu sia l’origine di quello che vedi, è evidenziato dalla tua propria esperienza e ciò è stabilito nella Kārikā seguente. Che il silenzio sia l’origine del suono è evidente alla tua esperienza, perché il suono nasce nel silenzio, è fatto di silenzio; il rumore è fatto di serenità e l’universo è fatto proprio dal vedente; questo è evidente nella propria esperienza.
- Se l’avidyā kalpitam è qualsiasi immaginazione proiettata dall’ignoranza, vale a dire i tre stati come appaiono nell’ottica della veglia, a cui s’aggiunge il pensiero di aham, mama e jagat, lo śāstra kalpitam è l’insegnamento della sezione karma kāṇḍa del Veda, ingiunto da un guru della conoscenza non suprema (Aparabrahman vidyā). Si tratta del punto di vista illusorio assunto in quanto adhyāropa e utilizzato come karmayoga per compiere la purificazione (śuddhadhī) della mente, in modo da permettere l’accesso alla via della conoscenza (jñāna mārga) com’è insegnata dall’Advaita Vedānta [N.d.C.].[↩]
- Vale a dire, unanimemente condivisa dal punto di vista della manifestazione vyāvahārika. Si ricordi di non confondere l’universale con l’assoluto [N.d.C.].[↩]
- È di uso metodico per la conoscenza [N.d.C.].[↩]