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Il Diluvio e l’Arca

Le popolazioni barbare che fuggivano davanti alla spinta degli unni provenienti da Oriente, cercarono rifugio presso le province romane più occidentali. In questo modo l’Impero Romano d’Oriente1 soffrì molto meno delle invasioni da parte dei popoli anglosassoni. Per l’Impero Romano d’Occidente le invasioni barbariche rappresentarono un vero diluvio universale, un pralaya, che concluse il glorioso ciclo storico del dominio romano, durato per più di dodici secoli. Le invasioni furono rovinose: la splendida civiltà latina fu stroncata, le città devastate e date alle fiamme, la popolazione sterminata, le case, i templi, le chiese, i palazzi saccheggiati. Le strade romane passarono sotto il controllo di bande di razziatori.​Resistettero a questo scempio soltanto alcune isole di pace che, come delle arche, riuscirono a traghettare l’antica civiltà romana attraverso le tribolate acque del diluvio barbarico. La prima categoria di isole di pace furono i monasteri. I monaci cattolici ortodossi2, che usavano vivere isolati come eremiti o in piccoli cenobi, si organizzarono per concentrarsi a vivere in grosse comunità, al riparo di robuste mura. Di fatto i monasteri divennero delle vere e proprie fortezze, capaci di resistere alle orde barbariche. Ogni monaco viveva nella sua cella seguendo l’ascesi che gli era propria. Con l’andar del tempo i monaci si diedero una regola per stabilire le norme comuni per poter convivere pacificamente.​
In questo modo si spartirono dei compiti sia nell’ambito delle attività manuali sia in quelle intellettuali. I monasteri divennero così le sedi di scuole d’iniziazione monastica, che da questo periodo assunse il nome di Esicasmo3. I monaci si dedicarono anche a raccogliere, per quanto fosse possibile in tempi così pericolosi, i manoscritti dell’antico sapere, salvandoli dalle distruzioni e devastazioni dei barbari, moltiplicandone le copie. Si può perciò affermare che i monasteri trasmisero per alcuni secoli la sapienza iniziatica sacerdotale (brahmavidyā) e le conoscenze dell’antica sapienza precristiana.​
Un’altra “arca” che servì a superare il pralaya barbarico furono le villæ4, le fattorie dei patrizi romani che si erano rifugiati nelle campagne di loro proprietà per evitare i saccheggi a cui erano sottoposte le città. Le villæ erano grandi palazzi fortificati che in seguito, man mano che il pericolo delle invasioni aumentava, si trasformarono in vere e proprie fortezze, castra, e castelli, castella5. Durante l’Impero, i patrizi romani, che disponevano di ville fortificate, potevano essere capi di stato maggiore (principes officiorum militiæ) di un generale in capo (dux) o perfino dello stesso Imperator, oppure essere degli alti ufficiali (comites, compagni) che accompagnavano il capo dell’esercito in quanto membri dello stato maggiore capitanato dal princeps. Infine potevano essere vicecomites, cioè coloro che potevano sostituire il comes in sua assenza. In questo modo le villæ patriziali romane, che resistettero alle orde barbariche, erano i possedimenti di principi, conti e visconti6.
Nella villa il patrizio manteneva le militiæ formate soprattutto da cavalieri (equites). Per mantenere il possedimento (latifundium) i signori (domini) di gradi diversi accoglievano tra le loro mura ogni tipo di artigiani, mercanti e contadini. In questo modo si trasmisero ai secoli successivi le iniziazioni di mestiere (collegia fabrorum, sskr. śreṇi), nonché le tecniche e le arti. Quanto ai milites equites, cioè i cavalieri, essi perpetuarono l’iniziazione delle classi guerriere (sskr. vīra mārga) e le arti marziali, tattiche e strategiche dell’Impero Romano. Fu all’interno delle villæ che si mantenne e si trasmise il titolo di Imperator, non più come capo dello Stato, ma come maestro (sskr. guru) delle vie iniziatiche guerriere (magister militum, sskr. rājaguru)7.​
I capi delle tribù barbare che assunsero il controllo dell’Italia rimasero sempre affascinati dall’antica gloria di Roma, la “Città Eterna”. Non osarono mai usurpare il titolo imperiale, rispettarono le istituzioni romane, come il Consolato e il Senato, anche se esse erano ormai prive di un vero potere, e si dichiararono vassalli dell’Imperatore d’Oriente. Al massimo, ambirono a essere riconosciuti come pari dei patrizi. Così Odoacre fu riconosciuto patrizio romano dal Senato e, quando si auto nominò Re d’Italia, il Senato romano gli convalidò il titolo. Tuttavia, questo Re degli Eruli alla fine cercò di espandere il suo dominio nei territori dell’Impero d’Oriente. L’Imperatore di Costantinopoli allora gli mandò contro Teodorico, generale barbaro al servizio dell’Impero e Re degli Ostrogoti. Teodorico uccise Odoacre e si impadronì dell’Italia in nome dell’Imperatore d’Oriente. Anche Teodorico fu poi riconosciuto patrizio dal Senato di Roma.​
I Re barbari d’Italia cercarono di inserirsi nella tradizione imperiale: assunsero maestri spirituali e maestri guerrieri romani. Ma sia Odoacre sia Teodorico alla fine entrarono in conflitto con la civiltà latina. Essi erano seguaci della Chiesa eretica ariana e, per quanto all’inizio del loro regno andassero d’accordo con il Papa e gli altri vescovi cattolici, con l’andar del tempo divennero sempre più ostili.
Re Teodorico, per esempio, arrivò a far uccidere il proprio maestro spirituale, il Senatore e Console romano Severino Boezio, e a far morire in prigione due papi. Anche il patrizio Cassiodoro, che fu maestro militare8 di Teodorico, suo ministro e consigliere, ebbe rapporti tesi con il Re fin quando non riuscì a convincerlo a migliorare le relazioni con la Chiesa cattolica e con il Senato di Roma. Alla morte di Teodorico, Cassiodoro restò consigliere dei suoi due successori. Molto anziano si fece monaco e fondò nel sud d’Italia il monastero di Vivarium, non lontano da dove aveva insegnato Pitagora undici secoli prima, dove morì a novantacinque anni9. Nel periodo in cui l’anziano Teodorico perseguitava la popolazione romana e la Chiesa di Roma, vi fu un intervento armato dell’Impero d’Oriente per liberare dai barbari i territori dell’antico Impero d’Occidente10. L’Imperatore Giustiniano inviò il generale (magister militum) Belisario in Africa settentrionale, Spagna e Italia. Le spedizioni bizantine ebbero uno straordinario successo: L’Africa settentrionale fu sottratta ai Vandali e la Spagna meridionale ai Visigoti. Inoltre la campagna d’Italia riportò sotto il controllo imperiale gran parte del regno degli Ostrogoti. Le guerre che Bisanzio dovette sostenere contro la Persia al suo confine orientale resero però effimera questa riconquista.
Alla metà del VI secolo, i Longobardi, espulsi dai Balcani dalle armate bizantine, invasero l’Italia11, rovesciando il regno degli Ostrogoti. Barbari particolarmente rozzi e violenti, subirono l’influenza e il fascino di Roma più di qualsiasi altra tribù di invasori. Dopo un inizio rovinoso, i Longobardi presto si convertirono dall’arianesimo al cattolicesimo, assunsero la lingua latina e rielaborarono e ripristinarono le leggi romane. Furono anche i primi a creare un’arte romano-barbarica. Il Re longobardo d’Italia che risiedeva nel Nord, donò alcuni castelli al papa permettendo così alla Chiesa di costituirsi un suo potere temporale; cominciò così a crearsi uno stato indipendente, di cui il Vaticano è l’ultimo rimasuglio.​
Per giustificare la fondazione di uno stato pontificio, nel nono secolo gli scribi papali falsificarono diversi documenti, tra i quali il più importante è la cosiddetta Donazione di Costantino. L’Imperatore Costantino, secondo questi documenti, avrebbe riconosciuto il papa come capo di tutti i Patriarcati, Vescovadi e del clero d’Oriente e d’Occidente. Gli avrebbe concesso anche un territorio come germe iniziale di un futuro stato. Avrebbe anche riconosciuto la superiorità dell’autorità papale su quella imperiale. Questi documenti, indiscutibilmente falsi, furono il pretesto per tutte le pretese di supremazia papale su tutte le Chiese cristiane, sull’Impero e sui Regni cristiani, che di fatto si perpetua fino al giorno d’oggi.
La situazione del papato, della gerarchia cattolica e dei sacerdoti durante i secoli delle invasioni barbariche fu di grande corruzione e all’insegna della quasi totale ignoranza rituale e dottrinale12. In particolare i preti trascuravano spaventosamente i loro doveri, profittavano dei benefici e delle donazioni che ricevevano dai fedeli per condurre una vita viziosa. Vescovi e papi si dedicavano alla politica più sfacciata e ingannevole per aumentare il loro potere e le loro ricchezze.​
Fu questa situazione degenerata che indusse S. Benedetto da Norcia a proibire l’entrata dei preti nei monasteri.

Petrus Simonet de Maisonneuve

  1. L’Impero d’Oriente aveva come capitale Bisanzio, che l’Imperatore Costantino I rinominò Costantinopoli (l’attuale città turca di Istanbul). Con il collasso dell’Impero d’Occidente, l’Impero Romano d’Oriente s’allontanò lentamente dalle sue origini latine, fino ad adottare il greco come lingua ufficiale. La stessa capitale, Costantinopoli, nel corso dei secoli, riprese l’antico nome di Bisanzio. L’Impero Bizantino sopravvisse ancora per un millennio quando, nel 1453, cadde sotto il dominio dei Turchi Ottomani.[]
  2. Fu all’epoca dell’Imperatore Teodosio che la Chiesa cristiana assunse il titolo di “cattolica e ortodossa” ossia “universale e dalla retta dottrina”. In seguito, con la separazione della Chiesa latina da quella greca, la prima predilesse il titolo di “cattolica”, senza rinunciare a ritenersi “ortodossa”; al contrario la Chiesa greca preferì il titolo di “ortodossa”, senza rinunciare a ritenersi “universale”[]
  3. Dal greco ἡσυχία (esykhìa), la via della pace spirituale (sskr. śānta sādhana).[]
  4. Con il passare dei secoli le villæ diedero riparo a un maggior numero di rifugiati, diventando delle piccole città.[]
  5. Castellum è un diminutivo di castrum[]
  6.  L’autentica origine del feudalesimo derivò dalla struttura gerarchica e iniziatica dell’esercito romano. L’invenzione illuminista, per cui la nascita del sistema feudale era da attribuire ai regni barbarici, ha avuto l’unico scopo di rappresentarlo come un regime incivile in paragone con le civilissime forme di governo borghesi come, per esempio, quella del Terrore, frutto della rivoluzione francese.[]
  7. Non ci si deve stupire se nei libri di storia non si trova cenno all’opera di trasmissione tradizionale delle villæ, mentre, invece, si parla profusamente dei monasteri. Ciò è imputabile alla propaganda anti imperiale della Chiesa di Roma, poi ripresa e aggravata dalle ideologie borghesi e proletarie.[]
  8. Ebbe la carica di comes sacrarum largitionum (conte delle elargizioni sacre), che teneva i rapporti con le sopravvissute organizzazioni cavalleresche latine.[]
  9. Sia Severino Boezio sia Cassiodoro, pur essendo entrambi cattolici, continuarono a trasmettere l’iniziazione pitagorica romana. Inoltre, Severino Boezio era stato in gioventù ad Alessandria d’Egitto dove era stato anche iniziato alla scuola neoplatonica. Tutti e due questi maestri hanno lasciato importanti opere, come il De consolatione philosophiæ (Iniziazione alla filosofia; in un prossimo capitolo si spiegherà l’uso del termine consolatio consolamentum per iniziazione) di Boezio, e il De Anima (Sull’Anima) di Cassiodoro.[]
  10. Sull’Impero d’Oriente e sulla religione cristiana ortodossa sarà dedicato un capitolo specifico più avanti.[]
  11. Tuttavia, in molte parti dell’Italia rimase, fin tutto l’ottavo secolo, una presenza bizantina che i longobardi non riuscirono mai a debellare. La Repubblica di Venezia rimase in seguito come una presenza della civiltà bizantina in Occidente ancora per diversi secoli.[]
  12. Vi furono, naturalmente, delle lodevoli eccezioni, come il monaco S. Benedetto da Norcia, il papa S. Gregorio Magno, l’eremita S. Calogero di Sicilia e altri.[]