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4 Settembre, 2022

1. Avasthatraya Viveka

    Brahmajñākavi Śrī Deva Rao Kulakarni (Hombala)

    1. Avasthatraya Viveka

    A cura di Maitreyī

    Prefazione dell’Autore

    Ci sono molti metodi utilizzati nel Vedānta per realizzare la propria natura di Brahman non-duale. Anche se tutti questi metodi sono inclusi nel solo metodo generale, vale a dire l’adhyāropāpavāda prakriyā, la discriminazione della triplice esperienza di vita, chiamata avasthātraya viveka, è quello con cui gli aspiranti si riconoscono nella propria vera natura in modo diretto e immediato. Nell’introduzione in sanscrito alla sua Māṇḍūkya Rahasya Vivṛtiḥ, Śrī Śrī Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī l’ha definito come il dharma straordinario (asādhāraṇa dharma). Secondo Śaṃkara, ogni avasthā,nella sua interezza che comprende macrocosmo e microcosmo, dev’essere presa come una sovrapposizione sulla vera natura dell’Essere. La pratica di come prendere posizione nel proprio Essere, che è il sostrato della comparsa e della scomparsa dello stato duale, deve essere appresa solo attraverso gli insegnamenti dello Śāstra e del Guru. Se un aspirante ha imparato ciò, smetterà di identificarsi con la propria individualità e rimarrà direttamente come Turīya, cioè come il Brahman non duale. Questa è la peculiarità del metodo basato sulla triplice esperienza di vita.

    In questo trattato, nei primi tre capitoli si spiegano quattro diversi punti di vista sui tre stati di veglia, sogno e sonno profondo, in consonanza con le affermazioni della śruti e dei commentari di Śaṃkara. Per questo tipo di approccio ci siamo inizialmente ispirati alla Māṇḍūkya Rahasya Vivṛtiḥ del nostro venerato Gurudeva. Chiarendo questi argomenti, il discepolo si libererà di qualsiasi dubbio sulla natura delle avasthā e sulle relazioni che tra esse intercorrono. In questo modo, potrà riconoscersi nella sua reale natura di Sé, assolutamente libero dalla contaminazione con le avasthā. Per collocarsi nella Realtà ultima, le prime (ed errate) opinioni che si hanno sulle avasthā, sono usate come una scala per salire sul tetto d’una casa. Questa correzione di quanto l’uomo ordinario pensa sulle avasthā aiuterà gli aspiranti alla conoscenza a comprendere gli insegnamenti segreti che costellano le Upaniṣad in molti passaggi.

    A causa della mancanza di discriminazione si prende la Realtà, lo stesso Brahman non duale, per i tre stati. Veglia, sogno e sonno profondo non sono eventi che si succedono in un’unica serie temporale, altrimenti sarebbero vissuti come parti di un unico stato continuo. Ma nessuno li sperimenta come tali. Non esiste nemmeno una relazione di causa-effetto tra gli stati, essendo tra loro indipendenti. A rigore di termini, ciascuno dei tre stati è una manifestazione completa dell’Ātman ossia della Realtà, altrimenti non si può spiegare perché gli stati non siano sperimentati in giustapposizione fra loro, o perché non siano connessi tra loro da un tempo unico.

    Perciò dire che le avasthā si svolgono in ordine cronologico nello stesso tempo o che si trovano uno accanto all’altro nello spazio è un’assurdità. Le idee stesse di spazio e di tempo, sebbene sembrino infiniti, sono limitate a un particolare stato, sia esso di veglia o di sogno. Nel sonno profondo, invece, non esiste nemmeno alcun concetto di tempo o di spazio. Ma quando si traduce questa esperienza d’intuizione diretta nel linguaggio dell’intelletto della veglia, soltanto allora si afferma che “ci sono tre stati”. In termini rigorosi, la triplicità (tritva) è di per sé un’illusione. Sebbene questo sia il fatto, all’inizio, a scopo d’insegnamento, si accetta che gli stati siano in numero di tre e da lì si procede a esaminare le diverse opinioni su ogni stato. Questa è la fase adhyāropa delle avasthā. Alla fine, quando viene indicato il punto di vista assoluto e il discepolo si colloca in esso, allora è in grado di realizzare che non ci sono affatto avasthā di sorta: allora, egli rimane come Turīya, perché il Sé è sempre privo di qualsiasi avasthā. Le avasthā sono attributi proiettati sul Sé e quando si addiviene a questa comprensione, allora si realizza l’apavāda, ossia si cancella la precedente immaginazione dell’avasthātraya. Quindi, lo stesso metodo avasthātraya mīmāṃsā rientra nel metodo più ampio dell’adhāyaropāpavada, proprio come accade per altri metodi esposti nelle Upaniṣad. Nel quarto capitolo si discuterà sulla natura di Turīya e sul metodo per realizzarlo seguendo gli insegnamenti di Śaṃkarācārya come spiegati da Śrī Śrī Satchidānandendra Sarasvatī SvāmījīTuriya non è un quarto stato, come alcuni credono, come fosse il samādhi, la transe o altro. Secondo il Brahma Sūtra Bhāṣya di Śaṃkara, Turīya, che è il sostrato di tutti e tre gli stati concepiti come realmente esistenti a causa dell’ignoranza, è detto essere Quarto, in relazione al numero illusorio di tre, solo ai fini dell’insegnamento. Śaṃkara lo descrive quale “māyā sāṃkhya Turīya”, ovvero “enumerato come Quarto a causa dell’ignoranza”, mentre, al contrario, è solo l’Ātman reale, come ci dicono espressamente le Upaniṣad. Egli è “neti netyātma”, della natura di neti neti. Poiché Turīya non è un’avasthā, la diffusa identificazione con il samādhi è del tutto infondata. Dimostreremo questo punto in modo approfondito nel quarto capitolo di questo trattato.

    All’inizio avevamo inviato queste argomentazioni in risposta ai quesiti del mio condiscepolo Śrī Manas Kumar Sanyal di Calcutta, un ardente vicārin del Vedānta śaṃkariano e un appassionato auditore (śrāvaka) degli insegnamenti di Śrī Śrī Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī. Invero, queste pagine non erano state scritte con l’intenzione di essere pubblicate sotto forma di libro, ma l’entusiasmo con cui sono state accolte ci ha indotti a farlo apparire dopo alcuni aggiustamenti.

    Le risposte alle domande di Śrī Sanyal sono state, poi, risistemate dal mio amico R.B.B. Gopinath di Bangalore, anch’egli ardente discepolo di Vedānta a cui va la mia riconoscenza. Il lettore che ha ascoltato l’interpretazione dell’avasthātraya prakriyā,com’è divulgata di questi tempi, in questo libro potrà trovare un approccio non abituale. Tuttavia, dobbiamo ribadire che gli insegnamenti qui contenuti sono in tutto e per tutto in accordo con gli insegnamenti di Śrī Śaṃkara come è stato ampiamente dimostrato da Śrī Śrī Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī. L’aspirante al Vedānta dovrà dunque essere grato a Śrī Manas Kumar Sanyal per avergli permesso d’aver accesso a questo metodo.

    Verrei meno al mio dovere se non apprezzassi l’attitudine generosa del curatore Śrī Manas Kumar Sanyal. Mi congratulo con lui per aver pienamente compreso l’argomento e di averlo riproposto fedelmente ai lettori. Prego il Signore e Śrī Sadguru Mahārāja di benedire lui e gli altri aspiranti alla realizzazione della Realtà.

    D.K.

    1. Unicità del metodo Avasthātraya Viveka

    Il metodo vedāntico delle avasthā non richiede alcuna precedente preparazione, non implica fede in alcuna autorità e non s’avvale dell’aiuto di alcuna intuizione straordinaria. Si basa sul fondamento dell’esperienza umana e s’appoggia sul fatto che tutte e tre le avasthā, veglia, sogno e sonno profondo, debbano essere indagate per poter fare luce sulla Realtà Assoluta, Sostrato delle apparenze della vita. Come unico metodo, ci insegna a considerare ognuno dei tre stati come un’espressione completa della Realtà. Poi, raffrontando ciascuno di essi agli altri due, arriva al risultato supremo che il nostro Ātman, in quanto Coscienza-Testimone di tutti e tre gli stati, è davvero la Realtà ultima, libera dalla contaminazione dell’illusione delle avasthā sovrapposta dalla conoscenza empirica.

    Śrī Śrī Svāmī Satchidānandendra Sarasvatī

    La vita dell’uomo, se considerata nella sua interezza, comprende i tre stati di veglia, di sogno e di sonno profondo. Se l’uomo vuole arrivare alla Verità, non può permettersi di avere una visione parziale della vita, dando la prevalenza al solo stato di veglia. L’intera serie delle esperienze umane è racchiusa solo in questi tre stati. “Non c’è nulla da conoscere al di fuori di questi tre stati, perché tutte le teorie delle altre scuole sono comprese in questi” (Māṇḍūkya Upaniṣad Gauḍapāda Kārikā Śaṃkara Bhāṣya, IV.88). Pertanto, solo tenendo conto di tutti e tre gli stati di coscienza si potrà avere una visione globale della vita. Il Vedānta, per arrivare alle sue conclusioni, prende in considerazione le esperienze umane di tutti e tre gli stati, cioè la veglia, il sogno e il sonno profondo, in modo che queste diventino inconfutabili e valide per tutti i tempi. Nessun’altra dottrina, ad eccezione del Vedānta, basa la sua ricerca sulla triplice esperienza di vita universalmente riconosciuta.

    Molti ritengono che l’esame degli oggetti debba essere effettuato solo attraverso i validi mezzi di conoscenza (pramāṇa), quali la percezione (pratyākṣa), l’inferenza (anumāna), gli insegnamenti da parte di una persona degna di fiducia (āptavākya) ecc. Tuttavia, Śaṃkara sostiene che qualsiasi indagine debba essere intrapresa sulla base dell’esperienza intuitiva (Sākṣi anubhava) che esiste in tutti e tre gli stati di coscienza, esperienza che è il anche sostrato degli stessi pramāṇa.

    Śrī Śrī Satchidānandendra Sarasvatī Svāmījī ha trattato di questa visione completa della vita spiegando il triplice metodo del Vedānta, l’avasthātraya prakriyā. A questo riguardo, il lettore può leggere l’introduzione sanscrita del libro di Śrī Svāmījī intitolato Māṇḍūkya Rahasya Vivṛtiḥ, dove spiega l’intera serie degli stati della vita. Il testo, basato sul commento di Śaṃkara alla Māṇḍūkya Upaniṣad, è diviso in due parti: Darśana Vṛtti Avasthā, ovvero gli stati di veglia e sogno, nei quali c’è qualcos’altro di percepibile) e Adarśana Vṛtti Avasthā, lo stato in cui non si vede nulla.

    Lo ‘stato’ di sonno profondo pare essere caratterizzato dall’assenza di conoscenza della Realtà, caratteristica simile a quella degli altri due stati nei quali si percepiscono la presenza e l’assenza degli oggetti (Māṇḍūkya Upaniṣad Śaṃkara Bhāṣya, 5).

    Qui Śaṃkara tratta entrambi, veglia e sogno, come sogno, poiché in essi si percepisce la Realtà erroneamente. Nelle altre Upaniṣad si adotta lo stesso metodo, come, per esempio, nella Kena Upaniṣad (I.4), dove sono chiamati ‘stato percepito’ e ‘stato non percepito’ (viditāvidita), e nella Bṛhadāraṇyaka (II.3.1) in cui sono definiti ‘stato materiale’ e ‘stato immateriale’ (mūrtāmūrta). La stessa cosa si riscontra nella Bhagavad Gītā, dove sono definiti quali ‘stato perituro’ e ‘stato imperituro’ (kṣarākṣara) (BhG XV.16), ‘presente’ e ‘non presente’ (satasat) (BhG XIII.12), ‘manifestato’ e ‘non manifestato’ (vyaktāvyakta) (BhG VIII.18) e, nel Brahma Sūtra Śaṃkara Bhāṣya, ‘visibile’ e ‘invisibile’ (vyākṛtāvyākṛta) (BSŚBh II.1.27).

    Nel Vedānta è importante osservare e valutare la realtà di questi due aspetti della vita, vale a dire l’intera vita in tutte le sue forme manifeste e non manifeste. Tutti i tipi di esperienza, quelli dell’uomo comune, come pure le esperienze straordinarie degli yogi, degli upāsaka e così via, sono tutti inclusi nello stato della percezione manifestata (vyakta darśana avasthā), ossia nello stato della modificazione percepibile (darśana vṛtti avasthā). E nel sonno profondo, dove, dal punto di vista dello stato di veglia, il mondo della dualità non appare, si dice che è comune a tutti, che lì il mondo della dualità rimane in forma seminale, il che significa che di tanto in tanto scompare, ecc. È un fatto innegabile che non esiste una terza categoria di esperienza e la seconda è chiamata avyākṛta (non visibile) o adarśana vṛtti avasthā (stato di pensiero privo di visione).

    In questo modo si ha la visione totale della vita. Questo tipo di osservazione della vita non si basa su alcuna esperienza individuale. Le esperienze individuali che si ottengono con sforzo, sono legate al tempo, allo spazio e alle relazioni causali; invece, il proprio Essere, che è il sostrato dei due stati di darśana e di adarśana vṛitti, è chiaramente al di là delle condizioni dualistiche di spazio, di tempo, ecc. Il Vedānta di Śaṃkara si fonda e si costruisce su questo solido terreno del proprio Essere, il Testimone della vita. Coloro che non hanno capito questo puro Essere sono in tutta evidenza incapaci di comprendere correttamente il cuore dell’insegnamento di Śaṃkara. Questo metodo della triplice esperienza intuitiva è sufficiente per permettere al vero cercatore di collocarsi in modo diretto e immediato nella sua vera ed essenziale natura di Essere, di Sé-Testimone.

    Vari aspetti delle avasthā

    La gente ordinaria non ha alcuna idea che si possono osservare le avasthā da quattro punti di vista diversi. A tale scopo, i vari aspetti dei tre stati sono descritti come segue:

    a) Stato di veglia:

    1. Dal punto di vista della fisica;
    2. Dal punto di vista della psicologia;
    3. Dal punto di vista delle varie forme religiose;
    4. Dal punto di vista vedāntico o del Testimone della vita.

    b) Stato di sogno:

    1. Dal punto di vista empirico;
    2. Dal punto di vista scritturale;
    3. Dal punto di vista del Testimone;
    4. Dal punto di vista del sogno stesso.

    c) Stato di sonno profondo:

    1. Dal punto di vista della stanchezza;
    2. Dal punto di vista della forma seminale del mondo e delle vāsanā;
    3. Dal punto di vista dell’ignoranza causale;
    4. Dal punto di vista dell’esperienza intuitiva del sonno profondo.

    Passiamo ora a discutere in dettaglio questi vari punti di vista.

    2. Quattro aspetti dello Stato di Veglia

    A. Il punto di vista della fisica

    L’uomo comune presume che il mondo o universo esista e che anche il suo ‘io’ esista in questo mondo. Questo è il punto di partenza dell’indagine per comprendere la verità sul mondo esterno. A questo fine, ci si affida agli organi di senso, alla mente, ecc. Il processo della scienza materiale si basa su tre strumenti d’indagine per conoscere gli oggetti: l’esperimento, l’osservazione e la deduzione. In questo modo, la scienza moderna ha scoperto tante cose prodigiose, per esempio le macchine utili e altro. Usando tali strumenti per scoprire la realtà degli oggetti esterni, la scienza è ora giunta a pensare che elettroni, protoni neutroni, ecc., siano le unità di base di tutte le cose del mondo e quindi dell’intera creazione. Analogamente, l’indagine sugli esseri animati ha portato alla conclusione che il principio alla base degli esseri viventi siano le cellule, i geni, ecc. In questo modo, s’è dato forma a un nuovo tipo di scienza, la genetica. Alla domanda da dove abbiano origine il nucleo, gli elettroni, le cellule, i geni, ecc. gli scienziati non hanno una risposta e lo spiegano dicendo che esistono del tutto naturalmente. Quindi, affinché queste cose possano funzionare in modo naturale, è data come necessaria l’esistenza aprioristica di tempo e spazio. Se poi si chiede loro come siano nati il tempo e lo spazio, allora liquidano la faccenda dicendo che queste domande riguardano la metafisica. In altre parole, ammettono che queste domande sono al di là della loro sfera cognitiva. Questa è solo una scarna descrizione della scienza fisica che riguarda solo le cose esterne. Alcuni pensatori di metafisica ritengono che tutto l’universo sia regolato dal tempo, dallo spazio e dal fattore causale. Queste persone hanno quindi iniziato a riflettere sulla natura del tempo e dello spazio. Cos’è il tempo e cos’è lo spazio? In sintesi, paiono esserci tre opinioni al riguardo:

    1. Per ‘spazio’ si intende la distanza tra due cose e per ‘tempo’ il periodo che intercorre tra due eventi. Secondo questa opinione, l’esistenza di spazio e tempo è dimostrata dagli oggetti.
    2. Altri ritengono che la tesi precedente sia sbagliata perché per affermare 1, 2, 3, ecc., ci deve essere uno spazio o un tempo continui ed eterni. Per esempio, le cose che si trovano una accanto all’altra ossia che esistono nello spazio, possono essere enumerate come 1, 2, 3, ecc. In questa visione, le cose sono nello spazio, quindi l’esistenza dello spazio non è dimostrata dalle cose, bensì è lo spazio che è il sostrato per l’esistenza delle cose. Soltanto accettando questa premessa si è in grado di contare le cose come 1, 2, 3, ecc. Lo stesso principio è applicabile anche al fattore tempo: senza il sostrato del tempo, non potrà esserci alcun conteggio della serie degli eventi. Pertanto, la precedente affermazione non è corretta.
    3. Alcuni altri filosofi occidentali affermano che i concetti di tempo e spazio sono nozioni aprioristiche della mente, il che significa che ogni volta che la funzione della mente entra in azione, inevitabilmente inizia con le nozioni di tempo, spazio e causalità, ecc. La mente ritiene che i fattori tempo-spazio siano eterni. Quindi non possiamo conoscere ‘la cosa in sé’, il noumenon, cioè in che modo mondo e mente esistano indipendentemente da tempo e spazio. La conclusione che ne traggono è che questi ultimi sono solo concetti mentali. E c’è anche un ulteriore punto di vista che afferma che il tempo, lo spazio, la causalità e le cose esterne sono tutte collegate l’una all’altra relativamente. Non c’è nulla di assoluto in questo mondo. Questa è la teoria della relatività, con cui si può ipotizzare che, a parte questo mondo fenomenico totalmente relativo, ci potrebbe anche essere un noumenon, un principio assoluto come un Dio grande geometra. Questa è l’ipotesi finale di Einstein.

    Tuttavia, queste riflessioni ‘metafisiche’ non forniscono una spiegazione definitiva del mondo in rapporto a tempo, spazio e causalità.

    B. Il punto di vista della psicologia

    Gli psicologi hanno spostato il loro campo di indagine dal mondo esterno alla mente cognitiva. Studiano la natura della mente e la varietà dei pensieri, ecc., esaminando la mente delle altre persone e degli animali. Questo è lo studio della mente in quanto oggetto. Come la propria mente è evidente per intuizione diretta, la mente degli altri non lo è altrettanto, ma può essere solo oggetto di deduzione. Tramite inferenza, hanno classificato la psiche come natura della mente, psicologia infantile, psicologia animale, ecc. Fa parte di questa teoria ritenere che la coscienza sia la mente stessa. Per determinare la natura della mente devono anche accettare come reali i concetti di tempo, spazio e causalità. Anche se può essere utile alla nostra vita quotidiana per dare sollievo certi problemi, questo punto di vista non è in grado di determinare la vera natura del tempo, dello spazio, della causalità e del mondo.

    C. Il punto di vista delle varie forme religiose

    Il punto di vista religioso afferma che esiste un’anima, il jīva. Il jīva è quello che possiede e controlla il corpo, la mente e i sensi. L’anima è considerata del tutto diversa dal corpo grossolano: essendo dotata della facoltà d’agire, è il ricettacolo delle conseguenze delle sue azioni, buone o cattive che siano, in questo o in altri mondi. Tali credenze si basano sulle affermazioni contenute nelle differenti scritture come il Veda, i Purāṇa, il Grantha Sāhab1, la Bibbia, il Corano ecc. In paragone ai due punti di vista precedenti, si tratta di idee maggiormente basate sulla soggettività. Anche in questo caso si accetta l’esistenza di una pluralità di anime e di un Dio, ben distinto dal mondo e dalle anime in quanto creatore, sostenitore e distruttore di questo universo. Quando si dice che chi agisce deve raccogliere i frutti delle proprie azioni, si accettano automaticamente i concetti di tempo, spazio e causalità. Nemmeno da questo punto di vista è possibile giungere a una conclusione definitiva sulla reale natura del mondo, del tempo, dello spazio e della causalità.

    D. Il punto di vista del Vedānta o del Testimone della vita

    Nel Vedānta Śāstra si dice che l’intero universo è limitato allo stato di veglia. Per essere più esaustivi, il fenomeno2 dell’universo è diviso in tre modalità:

    1. Il mondo divino: il sole, la luna, i pianeti, i miliardi di stelle, ecc. e anche altri mondi, come i cieli, ecc. Questo insieme è chiamato ādhidaivika prapañca (mondo divino).
    2. Il mondo materiale: il mondo materiale è l’insieme dei cinque elementi, spazio (ākāśa), aria, fuoco, acqua e terra, e comprende tutti i corpi grossolani di tutte le creature, tutti gli oggetti e tutte le invenzioni della tecnologia, ecc. È chiamato ādhibhautika prapañca (mondo materiale).
    3. Il mondo interno al corpo: comprende il corpo, la forza vitale, le facoltà d’azione, le facoltà di senso, la mente, l’intelletto, i sentimenti di sofferenza e di godimento, il senso dell’‘io’ (cioè l’idea del proprio ego). È chiamato ādhyātmika prapañca (mondo interiore).

    Anche le idee di tempo infinito, di spazio e di causalità devono essere incluse nell’universo fenomenico. Secondo il Vedānta, l’intero universo, con tutta la sua molteplicità, insieme ai concetti di tempo, spazio e causa infiniti, è limitato al solo stato di veglia. Così Śrī Śaṃkara spiega la natura dell’universo nel suo Brahma Sūtra Bhāṣya (I.1.2): “… questo universo, che si manifesta per mezzo del nome e della forma, che è associato a diversi agenti ed esperienze, che è il piano d’appoggio per le azioni e per i loro risultati ben regolati da spazio, tempo e la causalità, mette a dura prova tutte le ipotesi sulla reale natura della sua creazione”.

    Ogni volta che appare lo stato di veglia, tutti i fenomeni sopra citati appaiono simultaneamente o contemporaneamente. Il Testimone della vita, cioè il Sé che è al di là della nozione dell’‘io’, è il sostrato della comparsa dello stato di veglia. L’aspirante alla conoscenza deve rendersi conto che “poiché sono il testimone dello stato di veglia (compresa la nozione di ‘io’), in me appare lo stato di veglia”. Lo stato di sogno è esattamente uguale: prima che accada il sogno, c’è il proprio Essere (il sonno profondo) e in quell’Essere appare l’intero stato di sogno assieme a tutti i fenomeni già descritti per lo stato di veglia: ovvero il mondo divino, il mondo materiale, il mondo interiore, i concetti di tempo, spazio, causalità, ecc. Anche il risveglio deve essere osservato alla stessa stregua. Quando l’aspirante l’osserva, in quel momento si colloca nella sua vera natura di Testimone della vita e perde l’errata identificazione con l’ego della veglia e con l’ego del sogno. Infatti, questo Essere non solo è il sostrato dello stato di veglia, ma non c’è altra origine per lo stato di veglia all’infuori di questo Essere. La conclusione che se ne trae è che l’Essere puro stesso appare sotto le vesti dello stato di veglia senza perdere la sua vera natura. Così, nel terzo mantra della Māṇḍūkya Upaniṣad, questa forma è descritta come Vaiśvānara pāda. In quel mantra l’Ātman è chiamato Vaiśvānara ed è descritto come dotato di sette arti (il mondo divino è la testa; il sole è l’occhio; l’aria è il prāṇa, il fuoco la bocca, lo spazio il torace, l’acqua la vescica e la terra i piedi) e di diciannove 19 bocche (i cinque organi di azione, i cinque organi di senso, le cinque energie vitali, le quattro forme di antaḥkaraṇa cioè manasbuddhicitta e ahaṃkāra). Questo perché Vaiśvānara è il Testimone di tutto l’universo della veglia che comprende il conoscitore (pramātṛ), i mezzi di conoscenza (pramāṇa) e gli oggetti di conoscenza (prameya). Il Bhāṣyakāra solleva un’obiezione: il Sé, che è il più interno e al di là della nozione di ‘io’, cioè il sé individuale, come può essere coinvolto in tutte queste cose? Oppure gli appartengono? In tal caso il Sé sarebbe limitato a un corpo particolare. A questa obiezione lo stesso Śaṃkara risponde così nel suo commento:

    Tutti i fenomeni duali dell’intero stato di veglia, compresi quelli del mondo divino, devono essere considerati come una limitazione aggiuntiva (upādhi) sovrapposta al Sé più profondo (e non al sé individuale con i soli upādhi del corpo e dei sensi). In questo modo si può eliminare o falsificare l’intero stato di veglia e realizzare la natura non duale del Sé, vedendo tutte le creature in lui e lui in tutte le creature. Questo tipo di natura non duale, descritta nelle Upaniṣad (p. es. Īśa Upaniṣad, 6) e nella Gītā (VI.29), può essere realizzato solo prendendo il Sé, cioè l’Ātman-Testimone, come se fosse condizionato dall’associazione con l’apparenza dell’intero stato di veglia. Allora soltanto s’arriva alla giusta visione della realizzazione non duale. È solo in base a questa supposizione che può essere identificato realmente come Brahman, poiché l’universo condizionante si dimostra essere solo un’apparenza. Altrimenti, se sosteniamo l’opinione per cui il Sé è suddiviso in ogni corpo, arriveremmo alle conclusioni della dottrina del Sāṃkhya di Kapila, che è un dualismo sofistico. E se così fosse, si contradirebbe l’Advaita, l’insegnamento unico della śruti” (MUŚBh 3).

    Da questo punto di vista, il Vedānta riconosce la reale natura dell’universo in quanto Brahman. Invece, quando non si conosce la vera natura di Brahman, si confonde Brahman con l’universo.

    Come realizzare la vera natura di Brahman

    Per realizzare la vera natura di Brahman si adottano cinque mezzi del Vedānta basati sul metodo di sovrapposizione e cancellazione.

    1. L’osservazione dello stato di veglia sovrapposto come un tutt’uno: i fattori sovrapposti (cioè il Vaiśvānara pāda, ecc.) vengono prima descritti in modo preciso e comprensivo, come è stato illustrato sopra.
    2. Considerare la vera natura del Sé al di là dell’ottica della veglia, privo dello stato di veglia e non toccato dallo stato di veglia, sul solido terreno dell’esperienza globale della vita universalmente condivisa, cioè, attraverso l’analisi discriminativa di ‘costanza e variabilità’, notando la continuità della persistenza dell’Ātman in tutti e tre gli stati come fattore costante (anvaya) e la natura avventizia ed effimera dello stato di veglia come non-Sé, in quanto fattore differenziante (vyatireka).
    3. Riflettere sul Sé quale sostrato dello stato di veglia: per lo stato di veglia non c’è altra fonte all’infuori di questa vera natura del Sé, cioè la stessa esistenza dello stato di veglia è mutuata dalla vera natura dell’Essere puro che è il Sé. Non esiste quindi un’esistenza indipendente dello stato di veglia rispetto al Sé. È evidente a tutti che il proprio Essere continua nello stato di sonno profondo privo di stato di veglia, dove non c’è esperienza dell’esistenza dello stato di veglia ma solo quella del proprio Essere in quanto tale. Quindi, lo stato di veglia è una mera apparenza, mentre il Sé è l’essenza e l’unica verità.
    4. Riflettere sul fatto che ogni volta che lo stato di veglia si verifica nel Sé, è completamente pervaso dal Sé, proprio come il Vināyaka (l’immagine di Gaṇeśa) che appare nell’argilla (cioè, che è fatto di argilla) è completamente pervaso dall’argilla. Chi vede questa onnipervasività del Sé, allora per costui la veglia è falsificata.
    5. Realizzare la meta finale, che è la ferma convinzione che la coscienza onnipervadente sia l’unica Realtà. A questo punto l’aspirante intuisce la natura non duale di Brahman come proprio Sé. Quando discrimina lo stato di veglia e il suo sostrato, cioè il Sé, e se ne trae la conclusione di cui sopra, ci si rende conto che anche se si era assunto il punto di vista che esistebbe sia il mondo sia il Sé, rimane solo il Sé non-duale. Nell’esempio del Vināyaka fatto d’argilla citato sopra, l’argilla e il Vināyaka non sono due entità separate: l’argilla stessa appare in forma di Vināyaka. Quindi, l’argilla è un’entità non duale anche se appare sotto forma di Vināyaka. Allo stesso modo, il Sé appare nella forma dello stato di veglia senza subire alcun cambiamento nella sua reale natura. Non c’è quindi una vera distinzione come se il Sé fosse uno e lo stato di veglia un secondo. Quindi il Sé è uno non duale.

    Tutte queste discriminazioni riguardano solo la nozione di ‘io’. Quando si sarà persa l’identificazione con la nozione di ‘io’ e ci si collocherà nella vera natura di Essere, allora non ci sarà alcun bisogno di una parola (abhidhānam) o del concetto (abhidheyam) di stato di veglia. A questo punto, si realizzerà la non-dualità del Sé. Vaiśvānaratva è attribuito al Sé a tale scopo: cioè il Vedānta, per eliminare la nozione di individualità, attribuisce Vaiśvānaratva al Sé. In seguito, evidenziando la natura non duale del Sé, si rimuove anche la precedente attribuzione di Vaiśvānaratva. A questo punto, Vaiśvānara stesso rimane come Turīya. Śaṃkara dice a questo proposito:

    Quando ci si rende conto che l’intero stato di veglia risiede in me e che io sono il sostrato del mondo della veglia, allora si realizza la natura non duale del Sé e la cancellazione del mondo della veglia” (MUŚBh 3).

    Il punto di vista vedāntico sta dalla parte del soggetto e si basa sulla condivisione universale e sulla visione globale della vita. Per questa ragione ciò che si ottiene con questo metodo resta incrollabile. Tutte le altre scienze non hanno nemmeno il concetto del Testimone della vita nella sua interezza, che è il sostrato di tutto lo stato di veglia. Perciò questo quarto punto di vista per esaminare lo stato di veglia dal punto di vista dell’insegnamento vedāntico, è del tutto unico.


    1. Il testo sacro dei sikh[]
    2. Il termine è qui usato nel senso originario del greco φαίνομήνον, apparizione o apparenza[]