56. I manifesti Rosacroce
56. I manifesti Rosacroce
Nel 1614 fu pubblicato a Kassel per i tipi di Wilhelm Wessel un libello in tedesco, il cui lungo titolo è noto nella sua forma abbreviata: Fama Fraternitatis. In esso si narra di un tale fra’ C. R., nobile decaduto e monaco tedesco, che viaggiò alla volta della Terra Santa, dirigendosi prima a Damasco con l’intenzione di raggiungere poi Gerusalemme. Cadde malato a Damasco dove si fece conoscere per la sua abilità nell’arte medica. In contatto con medici locali, C. R. perse interesse per Gerusalemme e pregò i suoi contatti di condurlo (dietro pagamento) alla cittadina di Damcar, dove fu accolto generosamente dai sapienti e medici di quel luogo. Damcar, nel racconto della Fama, appare caratterizzata da una totale autonomia rispetto al circostante dominio ottomano, come fosse una repubblica di saggi e medici, una sorta di utopia. Dove fosse situata, poi, non è affatto chiaro: certamente sulla strada che da Damasco conduceva a Gerusalemme. C. R. rimase lì per tre anni, apprendendo le meraviglie del Libro della Natura insegnate dai filosofi di Damcar.
In quel frattempo tradusse in tedesco il misterioso Liber M, che più avanti diventerà il testo di riferimento dei suoi seguaci. Quando fu debitamente istruito, C. R. fu inviato alla città di Fez, in Marocco, presso un ambiente di sapienti strettamente connessi con quelli di Damcar. A proposito di questa seconda tappa d’istruzione, la Fama ci informa che a Fez C. R. perfezionò le sue conoscenze in “magia, qabbalah, medicina e filosofia”. C. R. confessò che la conoscenza della qabbalah, che aveva avuto in precedenza, era contaminata dalla sua religione cristiana. Ciò che apprese dai saggi di Fez fu “una qabbalah superiore” che egli adattò alla religione cristiana in una forma più adeguata alle sue origini. Così egli apprese una scienza con la quale poteva comprendere e armonizzare tutti i campi dello scibile, essendo opera del Diavolo tutto ciò che non quadrasse con questa sua visione del mondo. Dopo due anni C. R. partiva per la Spagna. Qui egli cominciò a esporre ai sapienti locali le sue conoscenze, ma costoro erano irrimediabilmente infettati da pregiudizi cattolici ed erano ancora seguaci di Porfirio, Aristotele e Galeno. Partì, quindi, alla volta della Germania. Lì sì trovò dei veri intellettuali che abbracciarono con entusiasmo i suoi insegnamenti e il contenuto del misterioso Liber M. All’inizio a C. R. si unirono altri tre fratres, che percorsero le strade della Germania elargendo le benedizioni del loro sapere. Essi portavano un abito che non li distingueva dagli altri tedeschi e si presentavano sotto l’aspetto di medici, curando i pazienti gratuitamente.
La Fama accenna anche all’alleanza con Teofrasto (Paracelso), il quale, pur non facendo parte del Collegio Invisibile, ne condivideva i medesimi ideali. Oltre a queste notizie, la Fama ci informa che quei primi quattro fratres elaborarono una scrittura e un linguaggio magico con cui redassero un Dizionario di ogni sapienza. Si riunivano in un edificio chiamato Sancti Spiritus. Dopo qualche anno raddoppiarono il loro numero e in seguito arrivarono a trentasei membri. Il loro scopo era quello di incrementare le conoscenze scientifiche in modo da migliorare le condizioni di vita e di compiere prodigi per cambiare la mentalità antiquata che ancora vigeva in Europa. Affermavano: “Crediamo fermamente che, se i nostri fratelli e genitori fossero vissuti alla chiara luce che ci illumina, non avrebbero seguito né il Papa né Maometto né gli scribi, gli artisti e i sofisti”. La fraternità, comunque, non sarebbe rimasta occultata per sempre perché, essendo il loro scopo principale quello di aiutare a sviluppare la “nazione germanica”, in futuro si sarebbero palesati pubblicamente. Il primo a morire tra i fratres fu J. O., medico molto esperto e versato nella qabbalah, che aveva guarito il conte di Norfolk dalla lebbra. Dopo questa morte R. C. si preoccupò di costruirsi una tomba carica di significati allegorici e ripiena di libri e oggetti meravigliosi, in un luogo segreto. R. C. predisse che per centovent’anni la sua tomba sarebbe rimasta occultata. Ma passato quel periodo i suoi successori avrebbero dovuto cominciare a intervenire negli avvenimenti europei, rivelando la loro presenza come Collegio Invisibile. La Fama prosegue con la scoperta miracolosa del sepolcro di R. C. nel 1604.
La descrizione della tomba è una prolissa allegoria in cui simboli matematici e geometrici si accompagnano alla presenza della biblioteca del defunto fondatore, del Liber M e di prodigiosi automata a metà fra la magia e la meccanica. La conclusione del libello comprende un utopico piano di perfezionamento universale magico-scientifico, sotto le insegne di un Gesù Cristo anodino, olistico e “tollerante”, liberato da tutte le interpretazioni astruse della teologia medievale. In poche parole una religione priva di dogmi, riti, gerarchie, che fosse comprensiva della sapienza pagana, di quella qabbalistica e di quella alchemica; ovviamente l’alchimia di cui si tratta doveva essere rigorosamente protestante.
L’anno successivo, il 1615, apparve per i medesimi tipi un secondo manifesto, questa volta scritto in latino. Quello che è conosciuto da tutti come Confessio Fraternitatis, evidentemente voleva rivolgersi alle classi colte. Non parte da una narrazione, come la Fama, a cui però esplicitamente si richiama. Consiste in una serie di affermazioni di fede e descrizioni di un piano di Riforma “universale”. Riforma genericamente protestante e, quindi, radicata più sull’Antico Testamento. Infatti fin dal principio è invocato Jehovah, Signore del Sabbath imminente. Tuttavia questo Dio menzionato con il suo nome ebraico è inteso quale garante del divenire della natura, attraverso i cui fenomeni Egli si manifesterebbe ai “saggi” e per mezzo delle cui calamità punirebbe gli “empi”; vale a dire tutti coloro che non accettassero il verbo rivelato in questi manifesti.
Poiché la comparsa della Fama Fraternitatis era stata accolta con comprensibile ostilità dagli ambienti ortodossi, la Confessio fin dall’inizio si cautela: “Affinché nessuno possa accusarci della più piccola eresia né di seguire principi malvagi né di tramare contro il potere temporale, condanniamo l’Oriente e l’Occidente – il Papa e Maometto – che sono bestemmiatori di nostro Signore Gesù Cristo e offriamo con buona fede al capo supremo dell’Impero Romano le nostre preghiere, i nostri segreti e i nostri grandi tesori d’oro”. Cosa s’intenda qui con la formula ambigua di “capo supremo dell’Impero Romano” è da verificare. Infatti il documento insiste a proporre un grande cambiamento della struttura del Santo Impero. Come si vedrà di seguito, anche l’azione politica che questi manifesti ispirarono sarà improntata in senso chiaramente eversivo. Il piano non era solamente quello di protestantizzare l’Impero, ma quello di distruggere il cattolicesimo, “religione dell’Anticristo”.
Ma perché usare la formula di “capo supremo dell’Impero” invece del più usato titolo di Imperatore? La risposta a questo quesito sarà fornita dall’esame del terzo e ultimo manifesto. Il contenuto della Confessio poi elenca gli ideali che il piano di riforma avrebbe dovuto attuare: tolleranza religiosa tra le varie sette protestanti, l’ebraismo e le correnti di libero pensiero; uso “benigno” della magia, incremento delle scienze, soprattutto matematiche e meccaniche, sostegno alle arti, soprattutto quelle allegoriche ed utopiche, sviluppo economico e sociale per il benessere di tutti. Queste innovazioni e scoperte erano intese soprattutto a creare un cambiamento di mentalità per seppellire il ricordo dell’Europa ecumenica medievale. Tuttavia le ambizioni di questa corrente occultistica, precorrendo in modo impressionante le spinte alla globalizzazione del XX e XXI secolo, non si arrestavano all’Europa: “Non sarebbe meraviglioso vivere in un luogo nel quale i popoli che vivono al di là del fiume Gange in India non occultassero più nulla, come anche coloro che vivono nel Perù smettessero di mantenere segrete le loro conoscenze invece di non farle conoscere a nessuno?”
Richiamandosi all’avventura arabica del frater C. R., in questo secondo documento si aggiunge quanto segue: “È stato necessario pubblicare la Fama nella lingua madre di tutti [in tedesco!] perché non restassero senza conoscerla coloro che -anche se non sapienti – non erano esclusi da Dio dalla felicità di questa Fraternità, che deve in qualche modo dividersi e separarsi in gradi [gerarchici]; proprio come quelli che vivono nella città di Damcar in Arabia, che hanno un ordinamento politico e sociale del tutto diverso da quello degli altri arabi”. Il documento preconizza che anche in Europa possa fondarsi una tale zona franca retta solo da saggi, cioè da loro. Per arrivare a tale realizzazione si deve diffondere l’uso del libero esame individualistico della Bibbia, svincolandone così la lettura da ogni magistero. La Confessio, poi, si conclude con una lunga appendice in cui con livore si accusa d’ogni nefandezza il cattolicesimo, facendo leva sul nazionalismo protestantico tedesco. Questi due primi manifesti esplicitamente invitavano tutti coloro che fossero stati interessati alla riforma magico-scientifica dell’Europa nei termini di una nuova religione “universale” a prendere contatti con i fratres.
Il terzo documento, Le nozze chimiche di Christian Rosencreutz, apparve a Strasburgo nel 1616, pubblicato anonimo alla maniera dei due manifesti che lo precedettero. Tuttavia l’autore è certamente il pastore luterano, mago e occultista Giovanni Valentino Andreæ (1586-1654), in quanto già nel 1604 costui ne aveva pubblicata una prima versione firmata, intitolata Chymische Hochzeit. Per la prima volta, dunque, il significato delle diverse forme di acronimo presente nei precedenti manifesti era rivelato. La novella narra del matrimonio di due principi nel loro castello fatato, pieno di meraviglie magiche e di meccanismi animati, a cui sarebbe stato invitato Christian Rosencreutz. La cerimonia di nozze si svolgeva nel corso di una settimana. Rosencreutz ogni giorno dovette passare per diverse esperienze ampollosamente descritte tramite allegorie misteriose, simbolismi oscuri, rappresentazioni teatrali allusive. L’intento era quello di rappresentare sette passaggi di grado di una non ben definita iniziazione ermetico-qabbalistica. Tralasciamo di soffermarci sui particolari degli accadimenti “prodigiosi” di quella settimana, che possono interessare soltanto chi è affetto da simbolomania, che si conclude con l’ordinazione di Rosencreutz e degli altri invitati a cavalieri della Pietra d’Oro.
Prima di descrivere l’ambiente che accolse con entusiasmo la pubblicazione di questi tre documenti e gli effetti storici che ne derivarono, è necessario fare alcune considerazioni sui loro contenuti come li abbiamo esposti. L’atmosfera arcana di cui erano avvolte Fama e Confessio ebbe un immediato successo nei circoli occultisti tardo rinascimentali dell’Europa protestante. Molte personalità della cultura laica protestante cercarono di mettersi in contatto con i misteriosi appartenenti alla Fraternitas. Poiché i manifesti non indicavano alcun recapito, furono prese d’assalto le case editrici; in primis la casa Wilhelm Wessel, che aveva pubblicato la Fama e la Confessio. In seguito anche altre case editrici, come la Lazarus Zetzner di Strasburgo, la de Bry di Francoforte-Oppenheim, la Godfrey Basson di Leiden, che avevano pubblicato opere di Andreæ e di suoi omologhi, come Robert Fludd e Michael Maier, furono oggetto di pressanti richieste di contatto. Poiché nessuno rispondeva, alcuni fecero pubblicare dai medesimi editori dei libelli con domande di ammissione alla Fraternitas o, almeno, di contatto epistolare. Fu tutto invano.
Come spesso avviene negli ambienti pseudoiniziatici, l’assenza di risposte non fu considerata motivo di delusione o di sospetto. Mantenere misteriose le proprie origini, non rivelare il nome dei maestri, occultare una conclamata dottrina dietro astrusi simbolismi e allegorie, attrae invincibilmente coloro che desiderano farsi ingannare. Tutti si erano rivolti all’enigmatico acronimo C. R., fino a quando non apparve il libro Le nozze chimiche di Christian Rosencreutz, che finalmente svelava il nome del fondatore e il titolo della Fraternitas Rosicruciana. È senz’altro vero che la rosa e la croce erano due simboli universalmente noti e usati in precedenza sia nella liturgia esteriore cattolica sia nel simbolismo autenticamente iniziatico. Tuttavia è altrettanto vero che il simbolo unificato di rosa e croce fu una innovazione recente. Infatti la prima volta che compare nella storia dell’Occidente fu nel glifo dell’anello di Martin Lutero.
Avendo riconosciuto Christian Rosencreutz nel frater C. R., sarà opportuno ora dare una scorsa alla Fama Fraternitatis con occhio distaccato. Costui si era recato in una cittadina dall’inesistente nome di Damcar in Arabia, dove era atteso come allievo predestinato. I saggi che lì risiedevano godevano di una forte autonomia dall’amministrazione ottomana. Lì apprese “magia, qabbalah, medicina e filosofia”. Si trasferì poi a Fez dove un’altra comunità di saggi gli insegnò “una qabbalah superiore” che adattò poi alla sua religione cristiana. La Confessio, da parte sua, conferma quei dati: “Quelli che vivono nella città di Damcar d’Arabia, hanno un ordine politico e sociale del tutto diverso da quello degli arabi”, ordine che R. C. avrebbe dovuto esportare in Europa. Sia i maestri appartenenti a quelle comunità insediate nelle terre islamiche sia i loro discepoli protestanti rosacroce esercitavano l’arte della medicina. Essi indossavano gli abiti dei paesi che visitavano e non gli abiti che li avrebbero identificati come appartenenti a un’altra comunità.
Considerato che nella Fama la qabbalah è citata quattro volte e due volte nella Confessio, e che entrambi i manifesti maledicevano come eretici e blasfemi il Papa e Maometto, appare piuttosto evidente che i rosacroce si recavano in Oriente non certo per ricevere insegnamenti dai sufi. Non si sa cosa significhi il nome di Damcar. Quel ch’è certo è che tra Damasco e Gerusalemme è situata la città di Safed. Nel XVI secolo la città era stata la sede della scuola qabbalistico-messianica del rabbino Isaac Luria. Questa corrente si rifaceva alla deviazione misticheggiante dell’iniziazione ebraica fondata da Abulafia e da cui, nel corso del XVII secolo, procedette il falso messia Shabbeṯāy Ṣevī. Safed ottenne dall’Impero ottomano larghe autonomie. Ancor oggi quella città sul lago di Tiberiade è considerata la capitale della qabbalah messianico-apocalittica.
Gian Giuseppe Filippi