52. La Riforma protestante. Gli emuli di Lutero
52. La Riforma protestante. Gli emuli di Lutero
A questo si aggiungeva un odio irrazionale per tutto ciò che era latino o romano. Così le popolazioni germaniche e anglo-sassoni, che aderirono al protestantesimo rifiutando la latinizzazione e Roma che le avevano parzialmente civilizzate, ripiombarono nella loro barbarie d’origine. Questa grave crisi dell’Occidente segnò un ridimensionamento dell’Impero e della Chiesa. Quest’ultima, che tanta responsabilità aveva avuto nel corso del medioevo nel portare la latinità in tale stato di confusione tramando contro l’Impero per l’egemonia temporale, tardivamente s’accorse d’aver agito soprattutto contro se stessa. Da questo momento storico in cui nacque l’eresia luterana, quello che rimaneva della Chiesa si mise sotto l’ala protettrice dell’Imperatore, ridimensionato, ma ancora potente e rispettato da tutti i regni in cui si era frammentata la cristianità.
I tedeschi, come s’è già detto, erano divisi in un gran numero di regni, ducati, marche, altri feudi ecclesiastici o nobiliari e comuni, tutti dipendenti direttamente dal Sacro Romano Impero. I grandi signori feudali invidiavano i re degli stati nazionali, Francia e Inghilterra che, anche se nominalmente ancora parti dell’Impero, di fatto se n’erano staccati grazie alla loro potenza militare e alla vastità dei territori. In simile modo, Francia e Inghilterra si erano anche rese quasi del tutto autonome dall’autorità papale. I principi tedeschi ambivano ad acquistare un simile stato d’indipendenza nazionale, e ravvisarono nella predicazione ribelle di Lutero l’occasione per emanciparsi dai due poteri della tradizione cattolica. In quell’inizio del XVI secolo il selvaggio arricchimento del popolo grasso aveva mandato in rovina non soltanto la plebe di città e i contadini, ma anche la piccola e media nobiltà. Le famiglie dei grandi feudatari, invece, avevano stretto alleanza con i nuovi ricchi, distanziandosi sempre di più dalla nobiltà e dal patriziato cittadino decaduto. Anche questa importante parte della società tedesca vide con simpatia la predicazione popolaresca e la religiosità ridotta al minimo di Martin Lutero. Dal 1524 al 1526 si scatenò una rivolta di massa contro i principi, guidata da cavalieri indebitati e in rovina seguiti da masse di popolani affamati. Martin Lutero dovette scegliere da che parte schierarsi: e si schierò con coloro che maggiormente potevano essergli d’appoggio nella sua opera di eversione internazionale del cattolicesimo. Scelse i principi. “[…] Chi può, deve farli a pezzi, strangolarli, infilzarli, in segreto o pubblicamente, come si deve ammazzare a bastonate un cane randagio”, dichiarava amorevolmente a proposito dei ribelli. La rivolta fu soffocata nel sangue con più di centomila morti.
Nascosto dai suoi illustri protettori, profittando della lealtà e cavalleria dell’Imperatore Carlo V, questo campione di virtù ritenne che Gesù Cristo in persona lo avesse prosciolto dai diversi giuramenti e voti assunti come monaco. Lutero poté perciò sposarsi con una monaca e scegliere come residenza per lui e per la sua famiglia l’intero monastero sconsacrato di Wittemberg, di cui in passato aveva occupato una cella. Negli ultimi anni della sua vita egli si dedicò a consolidare l’eresia che aveva scatenato. Ma ormai la sua opera era stata già sfruttata a fondo dai suoi protettori. Sentendosi ormai isolato si dedicò a redigere scritti di contenuto ripetitivo, ma sempre più aspro, e a consolarsi rifugiandosi nella crapula e nella lussuria. Morì nel 1546.
Contemporaneamente alla protesta luterana si sollevarono altri riformatori. Lo svizzero tedesco Huldreich Zwingli (1484-1531) fece leva sul nazionalismo dei cantoni tedeschi per avviare una riforma molto simile a quella di Lutero, ma con caratteri decisamente più borghesi e più battaglieri. Egli sosteneva la predestinazione, ma accentuava l’importanza della grazia divina in favore delle persone colte e benedette dalla fortuna, accentuando così il suo legame con la mentalità umanistica. Entrò in contrasto con la setta protestante degli anabattisti di Zurigo che nel 1526 furono tutti condannati a morte per annegamento. Cadde in battaglia contro le truppe svizzero-tedesche ancora cattoliche.
Di poco più giovane, Giovanni Calvino (1509-1564) seguì dapprima le orme di Zwingli. Dalla Francia natale si rifugiò in Svizzera per sfuggire all’Inquisizione. Da Basilea a Ginevra tentò di fondare una società utopica, scontrandosi con il cattolicesimo e con tutte le altre sette protestantiche. Predicò che la fede doveva dimostrare certezza assoluta (Institutio christianae religionis, III.2.6) e che la certezza assoluta era la prova della fede garantita dallo Spirito Santo (Ibid. III.2.7). Ciò comportava la convinzione che Dio assegnasse gli uni alla salvezza e gli altri alla condanna eterna, sotto forma di una predestinazione inevitabile la buona fortuna in vita era segno della predilezione divina (Ibid. III, 21, 5). Il suo fanatismo s’impose alla fine nella città di Ginevra assumendo le forme più violente, a dimostrazione che massacri, ammazzamenti, torture, roghi di streghe e di eretici e altro, non solo non erano diminuiti con la riforma protestante, ma erano talmente aumentati da costituire un qualcosa di mostruoso. Nella Ginevra di Calvino s’imposero regole ferree, polizia spirituale, delazione, pene molto severe e sanguinarie. Si mandò in camera di tortura o sul rogo chi la pensava diversamente dal riformatore, indipendentemente dalle azioni compiute. A questo s’aggiunsero i “roghi delle vanità” (Bildersturm, tempesta sulle immagini) con cui si bruciava qualunque cosa bella, sacra o considerata superflua.
Il colmo dell’abiezione fu raggiunto dalle imprese della setta riformata degli anabattisti. I seguaci di questa setta sorta in Svizzera nel 1525 presentavano poche differenze dal luteranesimo. La loro caratteristica maggiore, però, consisteva nella ricerca di essere posseduti da Dio e di voler profetare. Nel 1534 arrivarono alla città di Münster due “profeti” anabattisti provenienti dai Paesi Bassi. In breve tempo riuscirono a fanatizzare la popolazione della città, instaurando un regime di terrore nella totale assenza di regole. La famiglia fu distrutta, la morale proscritta, la violenza gratuita considerata volontà divina. Anche i neoconvertiti anabattisti cominciarono a essere posseduti, principalmente le donne, con risultati scandalosi e sconvolgenti. La città, cinta d’assedio dalle truppe feudali sia cattoliche sia luterane, resistette per diciotto mesi con atti di follia collettiva. Quando alla fine la città fu liberata, la popolazione era più che dimezzata, non come effetto degli scontri armati, ma per le esecuzioni sommarie eseguite tra anabattisti. Il profeta sopravvissuto, che si era parodicamente autoproclamato Re, con tanto di corona e ornamenti d’oro, ritrattò tutto pur di salvare, invano, la vita.
Seguendo l’esempio della riforma protestante, nel 1533 Enrico VIII d’Inghilterra si autoproclamava capo della chiesa anglicana. Il motivo per tale spaccatura con Roma fu davvero triviale: il Re voleva divorziare per sposare un’altra donna, cosa non lecita per il cattolicesimo che considerava il matrimonio indissolubile. Con quest’ultima eresia la chiesa cattolica ritornava a essere essenzialmente latina.
In conclusione, il protestantesimo nelle sue numerose sette è caratterizzato dall’assenza di rituali, sostituiti da cerimonie sociali o commemorative, e di una vera teologia, sostituita da teorie, a loro modo, morali. Come tale non può essere considerato nell’ambito della religione e, tanto meno, del dharma. Né può in alcun modo essere considerato un essoterismo su cui possa continuare ad appoggiarsi legittimamente alcuna forma iniziatica rimasta in Occidente.
Un’ultima osservazione. Poiché il protestantesimo si basa soltanto sulla parola espressa a voce o per iscritto, usò per la sua diffusione lo strumento della stampa. Questa innovazione tecnologica, legata alla leggenda di Mefistofele, svolse così, per la prima volta nella storia dell’umanità, l’opera della propaganda e della divulgazione.
I popoli germanici e anglo-sassoni sono la causa dello sviluppo e della diffusione della civiltà moderna, vero cancro che con le sue metastasi ha portato all’agonia l’intero pianeta. Le loro armi postcoloniali sono rappresentate dal capitalismo selvaggio e dallo strozzinaggio delle banche, che scaturiscono dalla loro morale protestantica e dal loro continuo ispirarsi al giudaismo. Costoro, con una sfacciataggine repellente continuano a definire P.I.G.S. i popoli non protestanti, anche in documenti ufficiali. Gli unici popoli, questi, che hanno rappresentato la tradizione in occidente.
Solamente una testa d’asino può definirli “fratelli separati”!
Maria Chiara de’ Fenzi