47. Il collasso della tradizione nell’Europa occidentale
Il collasso della tradizione nell’Europa occidentale
Dante anticipò a due papi ancora viventi il destino di finire all’inferno. Essi furono Bonifacio VIII1 e Clemente V2. Il primo fu il più fanatico sostenitore della supremazia temporale della Chiesa sull’Imperatore, re e principi della cristianità occidentale. Eminenza grigia durante il papato del suo predecessore, Celestino V, ebbe una importante influenza per indurre quel papa mite e schivo ad abdicare. In questo modo, con un conclave truccato, subentrò a Celestino, che era tornato a fare l’eremita. Tuttavia, timoroso di una reazione da parte dei sostenitori di Celestino V e sospettoso che il predecessore si pentisse del suo atto di rinuncia, lo fece imprigionare. Celestino morì in prigione. L’Impero era in crisi poiché il candidato Imperatore, il re di Germania Adolfo di Nassau, era stato deposto dagli stessi principi che lo avevano eletto, scatenando così una tragica guerra civile. Bonifacio, dunque, era consapevole che l’Impero non costituiva in quel mentre alcun pericolo per la sua politica; invece temeva la crescente potenza del re di Francia. A questo fine si avvicinò al re d’Inghilterra, che allora era anche duca d’Aquitania, spina nel fianco della Francia. Nonostante questa alleanza e la violenza con cui esercitò il potere sullo Stato della Chiesa3, il papa dovette venire a patti con Filippo di Francia: accettò di incoronare suo cugino Carlo d’Anjou a re di Napoli e a santificare suo nonno, Luigi IX. Usò senza scrupoli la scomunica, l’inquisizione e la canonizzazione4 come strumenti politici. Tuttavia le sue pretese di potere temporale furono frustrate proprio da quei sovrani nazionali che il papato, già da due secoli e mezzo, aveva istigato a rendersi autonomi dall’Impero. La morte lo colse in un momento in cui tutti i potenti dell’epoca, il senato e il popolo di Roma gli erano dichiaratamente avversi.
Il secondo papa destinato da Dante all’inferno, Clemente V, fu un protagonista della persecuzione dei templari assieme al re di Francia. Dopo la caduta di San Giovanni d’Acri (1291), gli ultimi trecento monaci-cavalieri templari d’Oriente si ritirarono a Cipro, sotto la guida del Gran Maestro Jean de Montfort5. In quell’isola i sopravvissuti si dedicarono a condurre una vita ascetica: scemata l’energia guerriera, i templari avevano ripiegato sulla vita contemplativa. Anche i cavalieri che erano rimasti in Europa per amministrare feudi, commanderie e castelli dell’Ordine, persero progressivamente l’antica tensione ascetico-militare per ritirarsi a vita religiosa. Questa attitudine indebolì anche la funzione dell’Ordine, quella di presiedere e coordinare le organizzazioni iniziatiche d’Occidente. I templari, pur vivendo frugalmente la loro vita quotidiana, avevano ricevuto in donazione dai principi dell’epoca un immenso patrimonio. Anche il loro compito di controllo sulla monetazione degli stati cristiani6, li rendeva potenti e i diversi principi sempre più spesso si rivolgevano loro per ottenere prestiti e sostegno finanziario. Filippo IV, detto il Bello, re di Francia, allo scopo di rafforzare il potere regio7, si era indebitato pesantemente con l’Ordine. Consapevole di non essere in grado di restituire i prestiti e preso dalla cupidigia per le immense ricchezze dell’Ordine del Tempio, decise di impadronirsene8. Il 13 ottobre 1307, fece arrestare con l’inganno tutti i templari del regno di Francia in una sola notte9. Essi furono accusati di inesistenti colpe di eresia10, idolatria11 e sodomia. Clemente V, papa francese eletto nel 1305 per le pressioni di Filippo il Bello12, sebbene consapevole della falsità di quella montatura processuale, sospese l’Ordine, ordinando che il patrimonio fosse devoluto al rivale Ordine degli ospedalieri. Ovviamente in Francia fu il re a impadronirsi di tutto, compreso quanto era stato assegnato agli ospedalieri13. Il processo contro i templari durò fino al 1314. Sottoposti ai più spietati supplizi, una sessantina di cavalieri confessò colpe inesistenti, spesso ritrattando a fine tortura14. La tragedia si concluse con la condanna del Gran Maestro Jacques de Molay a essere bruciato vivo. Si dice che Molay, affrontando serenamente il supplizio, predicesse l’imminente morte dei responsabili di quell’orrore. Di fatto, nel giro d’un anno morirono sia il papa sia Filippo IV15. I cavalieri in fuga si rifugiarono in Inghilterra, in Scozia16, nei regni della penisola iberica, nei principati della Germania e dell’Italia. Essi furono accolti presso ordini cavallereschi locali o corporazioni di mestiere17.
Negli altri stati d’Europa lo scioglimento dell’Ordine del Tempio fu eseguito secondo i dettami papali, ma in nessuna parte si procedette con arresti e processi come stava accadendo nel regno di Francia. Tuttavia i templari avevano in Francia il loro centro principale, perciò l’azione antitradizionale di Filippo il Bello aveva decapitato l’intera gerarchia magistrale. La situazione generale delle organizzazioni iniziatiche collegate o subordinate al Tempio fu di massimo allarme e di sbandamento generale. Non è un caso che lo stesso Dante fosse presente a Parigi durante il processo ai templari; il capo segreto delle vie iniziatiche cristiane e appartenente al Terz’ordine del Tempio non poteva non accorrere per raccogliere un qualche legato. Questo è l’episodio più misterioso della sua vita, tant’è che molti accademici sono propensi a dubitare di questo soggiorno18.
Nel frattempo altri avvenimenti si erano verificati. Nel 1308, alla morte di Alberto d’Asburgo, era diventato re di Germania e di Arles il templare Arrigo VII di Lussemburgo. Scese in Italia dopo aver ristabilito l’ordine in Germania, al fine di essere incoronato Imperatore. La spedizione militare, pur osteggiata da Filippo il Bello, da Roberto d’Anjou, re di Napoli e dai molti Comuni che si erano ribellati all’autorità imperiale dietro istigazione papale, fu in gran parte un successo. Arrigo fu incoronato re d’Italia, re dei Romani e, nel 1312, Imperatore. I Fedeli d’Amore e i templari italiani videro in quegli eventi la possibilità di una restaurazione dell’ordine tradizionale, proprio mentre a Parigi accadevano i gravi fatti sopra descritti. Dante stesso apparve quasi come l’ispiratore sapienziale di quella esaltante avventura. Il sogno s’interruppe bruscamente: nel 1313 l’Imperatore morì all’improvviso avvelenato con l’arsenico, probabilmente per mano del suo confessore francescano. Fu il crollo d’ogni speranza: templari e trovatori si dispersero. Molti di essi furono colpiti dall’inquisizione. Dante stesso, pur ospite di cavalieri di altissimo rango, si rese conto degli sfavorevoli segni dei tempi e trasformò la sua opera, la Divina Commedia, in un testamento di tutta la sapienza iniziatica occidentale per i tempi futuri. Vuole la tradizione che egli prevedesse che il significato del suo messaggio sarebbe stato compreso soltanto seicento anni dopo la sua morte. E così è stato.
Dopo la scomparsa di Dante in tutta evidenza nessuno gli successe nella funzione di maestro, sebbene ci fosse una generazione di Fedeli d’Amore di grande rilevanza, quali Petrarca e Boccaccio. Quest’ultimo s’impegnò in modo particolare a confondere le idee dei profani sulla Fede Santa. Mentre in Europa la peste falcidiava la popolazione, si assisté all’ultimo tentativo di raddrizzamento della tradizione. Cola di Rienzo, di cui si dice fosse figlio naturale di Arrigo VII, prese il potere della città di Roma, in piena decadenza essendo abbandonata dai papi e in preda alle ruberie di potenti famiglie rivali. Il suo tentativo fu quello di restaurare la res publica dell’antica Roma, pur mantenendo l’Urbe come capitale dell’Impero e del papato. Ma i tempi erano cambiati. Dopo i primi successi, nonostante l’appoggio sia imperiale sia papale, egli rimase ucciso dall’ira del popolaccio romano19.
La tradizione in Occidente s’era ormai interrotta. Da quel momento prevalse ovunque una civiltà mercantile, dedita alle peggiori perversioni dell’individualismo, della magia e del naturalismo20. Era nato il mondo moderno.
Petrus Simonet de Maisonneuve
- Divina Commedia, Inferno, XIX.53-72.[↩]
- Divina Commedia, Inferno, XIX.79-117; Paradiso, XVII.82; Paradiso, XXX.142-148.[↩]
- La distruzione di Palestrina ne è un esempio. Anche Dante fu vittima dell’odio di Bonifacio: fu questo papa che richiese al Comune di Firenze di condannarlo a morte, di espropriarlo di tutti i beni, obbligando così il Poeta all’esilio dalla sua patria.[↩]
- Con la canonizzazione si riconosce la santità di una persona e se ne permette la venerazione pubblica. Si vedrà, più avanti, come la canonizzazione sia stata usata quale strumento politico fino all’epoca contemporanea.[↩]
- Per tutta la seconda metà del XIII secolo, l’incapacità bellica di Luigi IX, re di Francia, Edoardo I d’Inghilterra e Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, condusse a dei disastri irreparabili, con molte vittime umane. I templari si prodigarono per riparare con le armi alle folli scelte strategiche di quegli avidi sovrani, pagando un caro prezzo in numero di caduti.[↩]
- Filippo il Bello aveva anche falsificato le monete d’oro e d’argento del suo Regno, contravvenendo al controllo dell’Ordine del Tempio. Paradiso, XXXIII.118-120.[↩]
- Per la verità la trasformazione del regno feudale di Francia in una monarchia nazionale centralizzata e assoluta era già stata in gran parte realizzata da Luigi IX. Costui aveva messo l’amministrazione della cosa pubblica nelle mani di giuristi plebei, riducendo e limitando i privilegi feudali e accentrando nelle sue mani il potere dello stato. Devoto a una religiosità tutta gallicana, insubordinato nei confronti delle pretese di egemonia politica papale, aveva appoggiato gli ordini mendicanti (soprattutto i francescani) in opposizione alle gerarchie ecclesiastiche. Filippo il Bello ereditò e aggravò questa frizione con Roma.[↩]
- Sulla cupidigia di Filippo per le ricchezze del Tempio si leggano i versi di Dante Purgatorio, XX.85-96. Sull’amorazzo illecito tra Filippo IV (il gigante) e la Chiesa (la puttana), Purgatorio, XXXII.148-160.[↩]
- Questo dimostra l’efficienza raggiunta dal regime “poliziesco” del sovrano assoluto. Non risultano resistenze da parte dei templari, ingannati dalle motivazioni “fiscali” della convocazione; questo però denota anche impreparazione, ingenuità e debolezza da parte loro. La manovra antitemplare fu predisposta fin dal 1305, quando il sovrano francese aveva raccolto le vendicative calunnie di alcuni cavalieri espulsi dall’Ordine per indegnità. Alcuni emissari regi furono allora infiltrati nell’Ordine come spie. A questi si devono le prime confessioni durante l’arresto; nondimeno, ciò non risparmiò anche a questi traditori d’essere condannati. Jules Michelet, Procès des Templiers, Paris, Imprimerie Nationale, 1851, vol. I, p. 458.[↩]
- Non fu provata alcuna eresia dottrinale. L’unica anomalia riscontrata fu la seguente: ogni giovedì santo i cavalieri ricevevano l’eucarestia soltanto con il vino. L’assenza del pane fu ritenuta eretica. In realtà un tale rito confermava che i templari continuavano la tradizione rituale iniziatica di bere il sangue di Cristo dalla coppa del Graal.[↩]
- Durante il processo si tentò di accusare i templari di adorare un idolo chiamato Bafomet, rappresentato da una testa. Gli inquisitori sostennero che si trattava di un culto rivolto a Maometto. Ora, è noto che Saladino faceva decapitare tutti i templari che aveva occasione di catturare perché era impossibile convertirli all’Islam. Probabilmente, sotto il nome di Bafomet, inventato dagli inquisitori, essi veneravano la Veronica o la Sindone ripiegata, reliquie che erano state in possesso dell’Ordine.[↩]
- Questo papa fu un vero burattino nelle mani del sovrano francese. Egli fu indotto ad abbandonare la tradizionale Sede romana, per trasferirla in Francia. Lì i papi rimasero dal 1313 al 1377 alla mercé della volontà politica dei re. La viltà di quel papa fu tale che permise le esecuzioni di massa di cavalieri che erano stati assolti religiosamente per non aver commesso alcuna colpa. I diversi studi di Barbara Frale, che vorrebbero assolvere Clemente V dalle sue responsabilità, al contrario sottolineano la viltà e la complicità del papa nell’eccidio. Con lettera circolare del 18 marzo 1311, il papa richiedeva a tutti i principi e agli inquisitori d’Europa di arrestare e sottoporre i templari alla tortura. Robert L. John, Dante Templare, Milano, Hoepli, 1991 (I ed. Dante, Wien, Springer-Verlag, 1946), p. 132.[↩]
- Ciò poteva accadere perché nel 1307 nei territori imperiali di Germania e Italia regnava il caos: infatti i feudatari, ormai quasi del tutto secolarizzati, e i Comuni autoproclamatisi liberi, lottavano tra loro per sottrarre all’Impero territori, mercati e ricchezze. Alberto I d’Habsburg, dopo aver vinto e ucciso Adolfo di Nassau in battaglia, riaccese la guerra civile in Germania. Nel tentativo di farsi incoronare Imperatore, s’alleò al re di Francia e abbandonò al suo destino il “Giardino dell’Impero”, l’Italia. Per tali misfatti, Dante lo maledisse nel Purgatorio, VI.100-102.[↩]
- Tra coloro che non sopravvissero alla tortura e quelli condannati al rogo morì un centinaio di cavalieri. Ma i circa duemila sopravvissuti furono condannati all’isolamento a vita. In questo modo si impedì la prosecuzione della paramparā. Georges Lizerand (Éd.), Le dossier de l’Affaire des Templiers, Paris, Soc. d’Édition «Les Belles Lettres», 1964, pp. III-XII.[↩]
- Guillaume Nogaret, ministro plebeo di Filippo, ispiratore di tanto scempio, morì misteriosamente perfino prima della sentenza finale.[↩]
- Furono accolti a braccia aperte dal re Robert Bruce.[↩]
- Per esempio, alcuni cavalieri furono “accettati” nella gilda dei tagliapietra di Kilwinning. “Accettazione”, nel linguaggio delle gilde, consisteva nel riconoscere un iniziato a una via diversa dalla propria, cavalleresca, corporativa o, anticamente, monastica. In epoca più tarda furono “accettati” anche ermetisti e qabbalisti ritenuti, a torto o ragione, come iniziati e che furono perfino ammessi a partecipare ai rituali; e, in epoca di decadenza, furono iniziati come “accettati” semplici profani che non esercitavano alcun mestiere corporativo (Daniel Ligou (éd.), Dictionnaire de la franc-maçonnerie, Paris, PUF, 2004, pp. 7-8). Nel medioevo chi era “accettato”, se estraneo al mestiere, poteva presenziare ai riti dell’arte senza parteciparvi attivamente. Facevano eccezione il cappellano e il medico che ricevevano l’iniziazione senza però poi assumere altri gradi o uffici (ibid. p. 224; Lorenzo Frau Abrines, Diccionario Enciclopédico de la Masonería, Chihuahua, Ed. Del Valle de Mexico, 1976, vol. I, p. 265). Perciò l’accettazione di templari nella suddetta loggia non aveva fatto diventare “cavalieri” tutti gli operai della gilda, come sosteneva Ramsey (René Le Forestier, La Franc-Maçonnerie Templière et occultiste, Paris, La Table d’Émeraude, 1987, vol. I, pp. 53-56; ibid. vol. II. p. 781, n. 54). Ciò dimostra che il “Templarismo” è una sorta di collegamento ideale, ma privo di una reale trasmissione (Gastone Ventura, Templari e Templarismo, Roma, “Atanòr”, 1980). Anche Dante dovette essere accettato nella corporazione dei medici e speziali di Firenze perché, in quanto aristocratico, non avrebbe potuto partecipare alla vita politica del regime comunale borghese.[↩]
- R. L. John ben argomenta questo soggiorno parigino del Poeta nel 1311 (cit. pp. 47-51). È tuttavia indicativo che Dante sia stato studente di teologia alla Sorbonne nell’anno 1294: nello stesso anno e nella medesima università era lector di teologia Meister Eckhart. Ed Eckhart era tornato come magister alla Sorbonne dal 1311 al 1313. Si vuole considerare casuale la contemporanea presenza a Parigi dei due massimi rappresentanti della sapienza iniziatica occidentale? Su Meister Eckhart è in elaborazione uno studio che sarà pubblicato su questo Sito.[↩]
- Carmela Crescenti, Cola di Rienzo. Simboli e allegorie, Parma, Ed. All’insegna del Veltro, 2003. L’autrice di questo ottimo saggio rende giustizia al personaggio, spiegando chiaramente che Cola di Rienzo non intendeva fondare un Comune borghese né una tirannide personale né una repubblica italiana, come è stato scritto negli ultimi due secoli. Il libro si sbilancia però a paragonare il tentativo di restaurazione tradizionale da parte d’un Fedele d’Amore, per quanto velleitario, con l’avventura del tutto sospetta di Giovanna d’Arco.[↩]
- È indicativo che al giorno d’oggi romanzi, film e giochi per ragazzi abbiano ripreso a descrivere i templari del Medioevo come la peggior accolita di criminali malvagi e corrotti della storia. La persecuzione, dunque, continua, al fine di seminare odio verso la tradizione e in difesa dei due ultimi peggiori secoli della storia dell’Occidente.[↩]