44. Dante: la Vita Nova – I
Dante: la Vita Nova – I
Guido Guinizzelli fu il maestro (sskrt. guru) di un giovanissimo aristocratico fiorentino, Guido de’ Cavalcanti (1255-1300). Personalità spiccata, di grande intelligenza e sapienza, il Cavalcanti succedette a Guido Guinizzelli nel magistero (sskrt. gurutva). Attorno a lui si radunò un gruppo di giovani cavalieri trovatori, tra cui Ser Durante di Alighiero degli Alisei, più noto come Dante Alighieri (1265-1321). Quest’ultimo divenne in breve il più importante rimatore che, per la perfezione della sua poesia, l’universale sapienza e l’elevatezza della sua dottrina, può essere riconosciuto come il massimo esponente dell’iniziazione cristiana medievale. Tra i suoi scritti descriveremo le due opere più importanti per i nostri fini: la Vita Nova, in cui Dante descrive le sue esperienze iniziatiche e il procedere delle sue realizzazioni interiori (sskrt. ādhyātmika anubhava); la Divina Commedia, vasto poema che descrive le corrispondenze tra il suo percorso interiore (sskrt. sādhaka anubhava), gli eventi mondani (sskrt. ādhibhautika vikāra) e la realtà divina (sskrt. ādhidaivika sattā). Dedichiamo questo articolo a un sunto della Vita Nova, cosicché i nostri lettori indiani possano riconoscere la somiglianza tra la via iniziatica della Fede Santa e quelle del tantrismo e della bhakti.
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Il libro così intitolato indica che si tratta del racconto degli avvenimenti che hanno portato Dante a esperienze interiori nel corso della sua via di realizzazione. La nuova vita, infatti, è quella che segue la rinascita iniziatica (dvijanman). Dante comincia la sua narrazione da quel momento affermando che la sua vita da non iniziato (sskrt. asādhaka) non è degna di ricordo. Nove anni dopo essere stato iniziato, ossia d’aver ricevuto la mercé, per la prima volta gli apparve, vestita di rosso, la sua Donna, anch’ella novenne, che era chiamata Beatrice da chi non sapeva il suo vero nome. Si tratta dell’ottenimento del primo grado di esperienza interiore da parte di Dante: a quella vista l’anima vitale che risiede nel cuore (sskrt. jīvātman) tremò dicendo: «Ecco un Dio più forte di me, venuto per dominarmi.» La mente e i sensi (antaḥkaraṇa) che stanno nel capo riconobbero: «È apparsa la vostra beatitudine.» Invece i soffi (prāṇa) che legano l’anima alle funzioni corporee lamentarono: «Ora saremo sotto controllo.» Da quel momento Amore dominò l’anima del Poeta facendo coincidere la sua volontà a quella di lui; e Amore lo spingeva di continuo a cercare in se stesso quella Donna angelica. Parrebbe che si trattasse di fuggevoli e continue esperienze interiori (sskrt. antaranubhava), prodotte dalla sua immagine sempre ripetutamente presente nel cuore di Dante, che lo spingeva verso Amore; ed egli seguiva questa attrazione verso Amore che Beatrice gli ispirava, sempre con il consiglio della ragione.
Dopo altri simbolici nove anni, Dante, percorrendo la via, ebbe una nuova apparizione di Beatrice avvolta in un abito bianco immacolato. Per la prima volta ella rivolse a Dante il saluto (lingua d’Oc salut). Si trattava di una nuova e più elevata influenza spirituale (sskrt. anugraha) che, tramite la parola, carica l’iniziato (sskrt. sādhaka) di potenza, virtù e sapienza. In uno stato di tensione spirituale, Dante si ritirò a casa in solitudine. Durante quella notte in sogno egli ebbe una visione: vide Amore, gioioso e ardente come il sole, con in mano il cuore fiammeggiante del Poeta. In braccio teneva Beatrice sopita, tutta avvolta in un drappo sanguigno. Amore, svegliata la Donna, l’obbligava a divorare il cuore. Poi, piangendo, sempre con Beatrice tra le braccia, salì in alto verso il cielo. La visione pare un sunto dell’intero percorso iniziatico di Dante a partire dalle prime esperienze da neofita (l’abito rosso di Beatrice), a cui s’aggiunge la previsione del suo raggiungimento del più alto dei cieli. Sconvolto dal messaggio ricevuto in sogno, Dante scrisse un sonetto per chiedere spiegazione del suo significato ai più sapienti trovatori della sua cerchia (sskrt. kula) della Fede Santa. Eccetto il Cavalcanti, nessun altro Fedele d’Amore fu in grado di interpretare il sogno. Guido, il suo guru, riconobbe nel sogno di Dante la premonizione per il raggiungimento della più perfetta realizzazione da parte del suo straordinario discepolo; ma espresse questa opinione con incertezza, poiché neppure lui, il maestro, ne aveva avuta esperienza né poteva ambire a un livello spirituale così alto. A seguito di quella visione, Dante s’impegnò in una più severa ascesi volta a ottenere le benedizioni d’Amore. Agli occhi di tutti, smagriva di corpo e appariva distratto. A coloro che gli chiedevano di che male soffrisse, egli, giocando con le parole, affermava che erano le pene d’amore per una qualche dama di Firenze. Colse così l’occasione che una fanciulla lo fissasse mentre erano in chiesa a pregare, per sceglierla a schermo al fine di nascondere la verità. In questo modo la curiosità della gente fu appagata. Tuttavia, dopo pochi anni la “donna dello schermo” dovette partire e Dante non poté più stare in pace nascondendosi dietro quel presunto amore terreno. Si fingeva disperato per la lontananza della “donna dello schermo”, ma la beatitudine di cui godeva in cuor suo spesso emergeva in atteggiamenti di pura gioia. Queste contraddizioni aumentavano così il sospetto dei curiosi. Tale comportamento bizzarro poteva essere giustamente interpretato come una transe (sskrt. samādhi) indotta da metodi iniziatici. Il pericolo soprattutto era rappresentato dall’Inquisizione; questa istituzione amministrata dall’Ordine domenicano, confondeva di buona voglia le vie iniziatiche con le pseudo-religioni clandestine popolari, quali il catarismo e il valdesismo, allora presenti anche a Firenze. La necessità di nascondere agli estranei il suo stato d’intenso rapimento iniziatico coincideva effettivamente con un periodo di persecuzione nei confronti delle organizzazioni esoteriche. Dante ne diede l’allarme non solo ai trovatori della sua famiglia iniziatica, ma anche ad altre organizzazioni che erano derivazioni o rami dell’Ordine del Tempio. Puntualmente, in quel frangente, l’Inquisizione, chiamata Morte Villana, colpì. Un Fedele d’Amore, di cui Dante non fa il nome e che era stato spiritualmente molto vicino a Beatrice, fu condannato a morte. Il medesimo rappresentante d’Amore, Guido de’ Cavalcanti, pianse per il grave crimine. Piangere vuole anche dire ‘nascondersi’: si tratta di un segnale per tutti i trovatori. Dante, al fine di scampare alla persecuzione, fuggì dalla città alla ricerca della “donna dello schermo”. Lungo il cammino gli si accompagnò un personaggio vestito di stracci. Era Amore, anch’esso in fuga camuffato da pellegrino. Ma il cammino insieme diventò un percorso realizzativo. La grazia di Amore lo percorse e la fontana d’insegnamento diventò vasta come un fiume. Dante, in tutta evidenza, durante questo occultamento ottenne dei doni spirituali inaspettati. Amore, per proteggerlo, gli consigliò di assumere un’altra “donna dello schermo”: si trattava della religione esteriore. Il nostro poeta rientrò al galoppo in città per assumere il nuovo travestimento che Amore gli aveva consigliato. A quanto pare si mise a frequentare un ambiente di frati francescani, perché è in quel periodo che afferì al Terz’ordine di S. Francesco. Nonostante avesse assunto, con apparente entusiasmo, quella pesante copertura esteriore, Beatrice, l’Intelletto attivo (Mahan Ātman) continuava a dialogare intensamente con la sua buddhi, riempiendolo di grazie e di conoscenza. A questo punto della Vita Nova, la figura di Beatrice si sdoppia. Infatti la troviamo anche a rappresentare l’ambiente della Fede Santa, vale a dire la famiglia iniziatica degli altri Fedeli d’Amore; quegli stessi che non avevano compreso l’elevatezza degli ultimi stati interiori raggiunti da Dante. I trovatori, indignati dal suo comportamento, lo denunciarono di tradimento per aver rinunciato alla via iniziatica ed essere diventato un devoto profano della Chiesa esteriore. Gli fu, dunque, negata la partecipazione ai rituali (del saluto) dell’assemblea degli iniziati (sskrt. satsaṅga). Questo allontanamento indebolì il Poeta: infatti, assistendo a quei periodici riti di saluto, Amore lo pervadeva tutto ed egli ne traeva sempre nuova potenza. A seguito di questa esclusione, triste e solo, Dante s’appartò. Allora gli apparve Amore come un fanciullo vestito di candide vesti. Il Dio gli spiegò che la Fede Santa, probabilmente tramite la convocazione di una Corte d’Amore, aveva giudicato il suo comportamento noioso. Egli ancora non poteva assumere a sua volontà qualsiasi comportamento esteriore, perché gli altri Fedeli d’Amore non l’avrebbero capito. Solamente chi, come Amore stesso, stava al centro del cerchio del divenire, poteva essere del tutto al di sopra delle forme. Tuttavia Dante era prossimo a quella stazione; perciò Amore gli suggerì di scrivere una ballata in sua difesa, in modo che Beatrice-Corte d’Amore (sskrt. satsaṅga) potesse essere messa al corrente della sua situazione spirituale. Così fece Dante, che scrisse al maestro della Fede Santa spiegandogli le ragioni del suo comportamento e riaffermandogli di essere sempre Fedele d’Amore in cuor suo. Dopo poco tempo Dante fu portato da un altro Fedele d’Amore ad assistere a un raduno in occasione di un matrimonio. Arrivato in quel luogo, egli si accorse dall’improvviso tremito del suo cuore e dall’agitazione di tutti gli altri soffi vitali, d’essere capitato in una riunione d’iniziati sconosciuti. Timoroso di essere stato portato con l’nganno davanti alla Corte d’Amore per essere condannato all’espulsione, Dante istintivamente simulò di esser lì per caso. Ma subito vide in mezzo a essi Beatrice e altri membri della sua stessa famiglia iniziatica. Allora non riuscì a trattenere una sua subitanea trasfigurazione estasiata. Questi rapidi cambiamenti di comportamento furono visibili a tutti che presero a ridere di lui, compresa Beatrice. Tornato a casa, Dante le inviò un sonetto, vale a dire al suo maestro e agli altri trovatori, cercando di spiegare quanto gli era avvenuto durante quella riunione. Vi affermava che alla semplice loro vista (sskrt. darśana) si era riempito di potenza come fosse stato presente a un rituale di satsaṅga. Amore lo aveva posseduto e gli aveva concesso quell’estasi irrituale. E per la prima volta Dante qui afferma che, ormai. per comprendere il suo stato interiore, sarebbe stato necessario che essi fossero stati Fedeli d’Amore al suo stesso livello di realizzazione.
Maria Chiara de’ Fenzi