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44. Dante: la Vita Nova – I

    Dante: la Vita Nova – I

    Guido Guinizzelli fu il maestro (sskrt. guru) di un giovanissimo aristocratico fiorentino, Guido de’ Cavalcanti (1255-1300)1. Personalità spiccata, di grande intelligenza e sapienza, il Cavalcanti succedette a Guido Guinizzelli nel magistero (sskrt. gurutva). Attorno a lui si radunò un gruppo di giovani cavalieri trovatori2, tra cui Ser Durante di Alighiero degli Alisei3, più noto come Dante Alighieri (1265-1321). Quest’ultimo divenne in breve il più importante rimatore che, per la perfezione della sua poesia, l’universale sapienza e l’elevatezza della sua dottrina, può essere riconosciuto come il massimo esponente dell’iniziazione cristiana medievale. Tra i suoi scritti descriveremo le due opere più importanti per i nostri fini4: la Vita Nova, in cui Dante descrive le sue esperienze iniziatiche e il procedere delle sue realizzazioni interiori (sskrt. ādhyātmika anubhava); la Divina Commedia, vasto poema che descrive le corrispondenze tra il suo percorso interiore (sskrt. sādhaka anubhava), gli eventi mondani (sskrt. ādhibhautika vikāra) e la realtà divina (sskrt. ādhidaivika sattā). Dedichiamo questo articolo a un sunto della Vita Nova, cosicché i nostri lettori indiani possano riconoscere la somiglianza tra la via iniziatica della Fede Santa e quelle del tantrismo e della bhakti5.

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    Il libro così intitolato indica che si tratta del racconto degli avvenimenti che hanno portato Dante a esperienze interiori nel corso della sua via di realizzazione. La nuova vita, infatti, è quella che segue la rinascita iniziatica (dvijanman). Dante comincia la sua narrazione da quel momento affermando che la sua vita da non iniziato (sskrt. asādhaka) non è degna di ricordo. Nove anni6 dopo essere stato iniziato, ossia d’aver ricevuto la mercé, per la prima volta gli apparve7, vestita di rosso, la sua Donna, anch’ella novenne8, che era chiamata Beatrice da chi non sapeva il suo vero nome. Si tratta dell’ottenimento del primo grado di esperienza interiore da parte di Dante: a quella vista l’anima vitale che risiede nel cuore (sskrt. jīvātman) tremò dicendo: «Ecco un Dio più forte di me, venuto per dominarmi.» La mente e i sensi (antaḥkaraṇa) che stanno nel capo riconobbero: «È apparsa la vostra beatitudine.» Invece i soffi (prāṇa) che legano l’anima alle funzioni corporee lamentarono: «Ora saremo sotto controllo.» Da quel momento Amore dominò l’anima del Poeta facendo coincidere la sua volontà a quella di lui; e Amore lo spingeva di continuo a cercare in se stesso quella Donna angelica. Parrebbe che si trattasse di fuggevoli e continue esperienze interiori (sskrt. antaranubhava), prodotte dalla sua immagine sempre ripetutamente presente nel cuore di Dante, che lo spingeva verso Amore; ed egli seguiva questa attrazione verso Amore che Beatrice gli ispirava, sempre con il consiglio della ragione9.
    Dopo altri simbolici nove anni, Dante, percorrendo la via, ebbe una nuova apparizione di Beatrice avvolta in un abito bianco immacolato10. Per la prima volta ella rivolse a Dante il saluto (lingua d’Oc salut). Si trattava di una nuova e più elevata influenza spirituale (sskrt. anugraha) che, tramite la parola, carica l’iniziato (sskrt. sādhaka)11 di potenza, virtù e sapienza. In uno stato di tensione spirituale, Dante si ritirò a casa in solitudine. Durante quella notte in sogno egli ebbe una visione: vide Amore, gioioso e ardente come il sole, con in mano il cuore fiammeggiante del Poeta. In braccio teneva Beatrice sopita, tutta avvolta in un drappo sanguigno. Amore, svegliata la Donna, l’obbligava a divorare il cuore. Poi, piangendo12, sempre con Beatrice tra le braccia, salì in alto verso il cielo. La visione pare un sunto dell’intero percorso iniziatico di Dante a partire dalle prime esperienze da neofita (l’abito rosso di Beatrice), a cui s’aggiunge la previsione del suo raggiungimento del più alto dei cieli13. Sconvolto dal messaggio ricevuto in sogno, Dante scrisse un sonetto per chiedere spiegazione del suo significato ai più sapienti trovatori della sua cerchia (sskrt. kula) della Fede Santa. Eccetto il Cavalcanti, nessun altro Fedele d’Amore fu in grado di interpretare il sogno. Guido, il suo guru, riconobbe nel sogno di Dante la premonizione per il raggiungimento della più perfetta realizzazione da parte del suo straordinario discepolo; ma espresse questa opinione con incertezza, poiché neppure lui, il maestro, ne aveva avuta esperienza né poteva ambire a un livello spirituale così alto. A seguito di quella visione, Dante s’impegnò in una più severa ascesi volta a ottenere le benedizioni d’Amore. Agli occhi di tutti, smagriva di corpo e appariva distratto. A coloro14 che gli chiedevano di che male soffrisse, egli, giocando con le parole, affermava che erano le pene d’amore per una qualche dama di Firenze. Colse così l’occasione che una fanciulla lo fissasse mentre erano in chiesa a pregare, per sceglierla a schermo al fine di nascondere la verità. In questo modo la curiosità della gente fu appagata. Tuttavia, dopo pochi anni la “donna dello schermo” dovette partire e Dante non poté più stare in pace nascondendosi dietro quel presunto amore terreno. Si fingeva disperato per la lontananza della “donna dello schermo”, ma la beatitudine di cui godeva in cuor suo spesso emergeva in atteggiamenti di pura gioia. Queste contraddizioni aumentavano così il sospetto dei curiosi. Tale comportamento bizzarro poteva essere giustamente interpretato come una transe (sskrt. samādhi) indotta da metodi iniziatici. Il pericolo soprattutto era rappresentato dall’Inquisizione; questa istituzione amministrata dall’Ordine domenicano, confondeva15 di buona voglia le vie iniziatiche con le pseudo-religioni clandestine popolari, quali il catarismo e il valdesismo, allora presenti anche a Firenze. La necessità di nascondere agli estranei il suo stato d’intenso rapimento iniziatico coincideva effettivamente con un periodo di persecuzione nei confronti delle organizzazioni esoteriche. Dante ne diede l’allarme non solo ai trovatori della sua famiglia iniziatica, ma anche ad altre organizzazioni che erano derivazioni o rami dell’Ordine del Tempio16. Puntualmente, in quel frangente, l’Inquisizione, chiamata Morte Villana17, colpì. Un Fedele d’Amore, di cui Dante non fa il nome e che era stato spiritualmente molto vicino a Beatrice, fu condannato a morte. Il medesimo rappresentante d’Amore, Guido de’ Cavalcanti, pianse per il grave crimine. Piangere vuole anche dire ‘nascondersi’: si tratta di un segnale per tutti i trovatori. Dante, al fine di scampare alla persecuzione, fuggì dalla città alla ricerca della “donna dello schermo”. Lungo il cammino gli si accompagnò un personaggio vestito di stracci. Era Amore, anch’esso in fuga camuffato da pellegrino. Ma il cammino insieme diventò un percorso realizzativo. La grazia di Amore lo percorse e la fontana d’insegnamento diventò vasta come un fiume. Dante, in tutta evidenza, durante questo occultamento ottenne dei doni spirituali inaspettati. Amore, per proteggerlo, gli consigliò di assumere un’altra “donna dello schermo”: si trattava della religione esteriore18. Il nostro poeta rientrò al galoppo in città per assumere il nuovo travestimento che Amore gli aveva consigliato. A quanto pare si mise a frequentare un ambiente di frati francescani, perché è in quel periodo che afferì al Terz’ordine di S. Francesco19. Nonostante avesse assunto, con apparente entusiasmo, quella pesante copertura esteriore, Beatrice, l’Intelletto attivo (Mahan Ātman) continuava a dialogare intensamente con la sua buddhi, riempiendolo di grazie e di conoscenza. A questo punto della Vita Nova, la figura di Beatrice si sdoppia. Infatti la troviamo anche a rappresentare l’ambiente della Fede Santa, vale a dire la famiglia iniziatica degli altri Fedeli d’Amore; quegli stessi che non avevano compreso l’elevatezza degli ultimi stati interiori raggiunti da Dante. I trovatori, indignati dal suo comportamento, lo denunciarono di tradimento per aver rinunciato alla via iniziatica ed essere diventato un devoto profano della Chiesa esteriore. Gli fu, dunque, negata la partecipazione ai rituali (del saluto) dell’assemblea degli iniziati (sskrt. satsaṅga). Questo allontanamento indebolì il Poeta: infatti, assistendo a quei periodici riti di saluto, Amore lo pervadeva tutto ed egli ne traeva sempre nuova potenza. A seguito di questa esclusione, triste e solo, Dante s’appartò. Allora gli apparve Amore come un fanciullo vestito di candide vesti. Il Dio gli spiegò che la Fede Santa, probabilmente tramite la convocazione di una Corte d’Amore, aveva giudicato il suo comportamento noioso20. Egli ancora non poteva assumere a sua volontà qualsiasi comportamento esteriore, perché gli altri Fedeli d’Amore non l’avrebbero capito. Solamente chi, come Amore stesso, stava al centro del cerchio del divenire, poteva essere del tutto al di sopra delle forme. Tuttavia Dante era prossimo a quella stazione; perciò Amore gli suggerì di scrivere una ballata in sua difesa, in modo che Beatrice-Corte d’Amore (sskrt. satsaṅga) potesse essere messa al corrente della sua situazione spirituale. Così fece Dante, che scrisse al maestro della Fede Santa spiegandogli le ragioni del suo comportamento e riaffermandogli di essere sempre Fedele d’Amore in cuor suo. Dopo poco tempo Dante fu portato da un altro Fedele d’Amore ad assistere a un raduno in occasione di un matrimonio. Arrivato in quel luogo, egli si accorse dall’improvviso tremito del suo cuore e dall’agitazione di tutti gli altri soffi vitali, d’essere capitato in una riunione d’iniziati sconosciuti. Timoroso di essere stato portato con l’nganno davanti alla Corte d’Amore per essere condannato all’espulsione, Dante istintivamente simulò di esser lì per caso21. Ma subito vide in mezzo a essi Beatrice e altri membri della sua stessa famiglia iniziatica. Allora non riuscì a trattenere una sua subitanea trasfigurazione estasiata. Questi rapidi cambiamenti di comportamento furono visibili a tutti che presero a ridere di lui22, compresa Beatrice. Tornato a casa, Dante le inviò un sonetto, vale a dire al suo maestro e agli altri trovatori, cercando di spiegare quanto gli era avvenuto durante quella riunione. Vi affermava che alla semplice loro vista (sskrt. darśana) si era riempito di potenza come fosse stato presente a un rituale di satsaṅga. Amore lo aveva posseduto e gli aveva concesso quell’estasi irrituale. E per la prima volta Dante qui afferma che, ormai. per comprendere il suo stato interiore, sarebbe stato necessario che essi fossero stati Fedeli d’Amore al suo stesso livello di realizzazione.

    Maria Chiara de’ Fenzi

    1. Cavalcanti fu anche discepolo del fiorentino Ser Brunetto Latini, che si rifaceva più direttamente alla linea iniziatica (sskrt. paramparā) dei trovatori provenzali. Fu anche influenzato dai trovatori Ser Rustichello Filippi da Firenze (1235~1295), Ser Bonagiunta degli Orbicciani da Lucca (1220~1290) e da Guittone del Viva d’Arezzo (1230-1294). Quest’ultimo, però, nella seconda metà della sua vita, abbandonò la Fede Santa per entrare nell’ordine dei Frati Gaudenti. Si trattava d’un ordine religioso essoterico che si esprimeva allo stile trovadorico per rivolgere l’Amore verso la chiesa e il papato, in netta opposizione ai Fedeli d’Amore.[]
    2. Tra questi è bene menzionare Gianni degli Alfani, Lapo Gianni, Cino de’ Sigilbuldi da Pistoia, Dino Compagni, Francesco da Barberino, Dino Frescobaldi, Dante da Majano e altri. Come Guido e Dante, molti di questi appartenevano a famiglie d’origine patrizia romana.[]
    3. Gli Alisei discendevano dalla gens Anicia, Tra gli antenati di Dante vi furono gli Imperatori romani Petronio Massimo e Flavio Anicio Olibrio, Severino Boezio, San Benedetto da Norcia, papa Gregorio Magno (Carlo Padiglione, L’Arme di Dante Alighieri, Napoli, Nobile ed. 1865).[]
    4. Oltre al già menzionato Il Fiore, Dante scrisse: Detto d’Amore, breve rifacimento del Roman de la Rose; in volgare toscano le Rime, ossia la sua corrispondenza iniziatica rimata con diversi Fedeli d’Amore; il Convivio, trattato in volgare rimasto incompiuto, con cui Dante, imitando il Simposio di Platone, desiderava istruire la classe dirigente a governare. Il Convivio voleva essere un’applicazione essoterica dei principi della Fede Santa, che il poeta esprimeva seguendo le argomentazioni aristoteliche. In questo trattato Dante spiega che, allo stesso modo della Sacra Scrittura, anche i suoi scritti devono essere interpretati a quattro livelli: il senso letterale; il senso morale, ossia le istruzioni di comportamento e delle azioni iniziatiche (sskrt. prakriyā); il senso allegorico, vale a dire l’interpretazione simbolica; e infine quello anagogico, quello dottrinale. Nel De Vulgari Eloquentia, si spiega perché abbandonare il latino, lingua ormai essoterica ed ecclesiastica, e come deve essere il linguaggio volgare dei Fedeli d’Amore: illustre, ossia purificato dalla rozzezza popolare; aulico, ossia adatto a trattare di argomenti propri del potere imperiale; curiale, cioè idoneo a illustrare tematiche teologiche; e, infine, cardinale, vale a dire conveniente per descrivere le dottrine che sono il cardine della Realtà. Nel Monarchia, Dante espone la sua visione di come debba essere governato il mondo. L’Impero che risale a una tradizione romana e anche precedente. La Chiesa, che risale a Cristo e ai suoi antenati, i re Davide e Salomone. Imperatore e papa sono i due soli che illuminano la cristianità (qualcuno affermato erroneamente che l’uno è il sole e l’altro la luna). L’Imperatore governa per il bene dei viventi, il papa conduce le anime dei defunti ai cieli. L’uno e l’altro sono interdipendenti, ma si trovano da secoli in cattive condizioni: l’Impero deve recuperare il suo potere universale, il papato deve smettere con le sue bramosie di potere terreno. Due Egloge in latino, sullo stile di Virgilio, in cui Dante, con lo pseudonimo di Mopso, riprende il simbolismo poetico dell’epoca augustea, che già s’era risvegliata presso la corte dei merovingi e di Carlo Magno. La Questio de Aqua et terra, un trattato latino sulla struttura del nostro pianeta Terra, base per la concezione del trimundio nella Divina Commedia. Infine, le Epistole in latino, con cui Dante esorta l’Imperatore Arrigo VII, ammonisce e rimprovera i grandi feudatari italiani ch’egli frequentava, vescovi e cardinali, per riportare pace e giustizia nella cristianità, restaurando il potere imperiale e purificando la Chiesa dai vizi terreni.[]
    5. Volutamente prendiamo le distanze da ogni interpretazione profana dei dantisti accademici sia essa letteraria, filologica, ideologica o quant’altro. Costoro, come il cherubino con la spada fiammeggiante davanti alla porta dell’Eden, gli voltano le spalle all’unico scopo di tenere lontani coloro che vogliono entrarvi. Essi sono però all’opposto della natura sapienziale dei cherubini e la loro arma è l’ottusità. Già meglio vanno i rari commenti scritti da esoteristi. Tuttavia, sono limitati dalla loro conoscenza esclusivamente libresca o da aver partecipato a cerimonie prive d’efficacia iniziatica, il che impedisce di capire, tramite esperienze interiori analoghe, le realtà descritte nella Vita Nova. Un esempio ne è il libro di Marcello Vicchio, Dante l’iniziato, Arcireale-Roma, G.E. Bonanno, 2015. Molti nostri lettori indiani śākta, invece, sapranno riconoscere appieno l’interpretazione sunteggiata che segue.[]
    6. Questa donna fu accompagnata dal numero nove, a dare intendere ch’ella era un nove, cioè un miracolo [‘azione divina nel mondo], la cui radice [quadrata] è solamente la mirabile trinidade” (VN, XXIX.10). Il numero nove è il simbolo di tutto ciò che attiene a Beatrice, colei che conduce alla beatitudine. La Donna di Dante, infatti, altro non è che l’Intelletto attivo, irraggiamento nel mondo manifestato della realtà divina. L’Intelletto attivo (sskrt. Mahan Ātman) è il principio che opera nel mondo sottile apportando le grazie delle tre persone della Trinità cristiana. Quest’ultima concezione, come è stato segnalato altrove su questo Sito, corrisponde molto da vicino al Sacciddānanda delle dottrine hindū. L’attività, che esprime la triplicità non agente della Trinità nel trimundio (sskrt. tribhuvana), è simboleggiata appunto dal numero nove (3×3), che è il vero nome di Beatrice. D’altra parte, in latino il nome di questa gentilissima è Beatr-IX, il nove (IX) che rende beati. L’intelletto individuale o possibile (sskrt. buddhi) è il ricettacolo delle influenze spirituali, delle conoscenze e delle virtù, con cui potrà, infine, unirsi all’intelletto universale o attivo, Mahan Ātman in quanto jīva ghana o Hiraṇyagarbha. Questo, tra le altre cose, spazza via l’idea tenace dei medievisti che vedono in ogni dove l’influenza di Avicenna e Averroé. Costoro, infatti, sostenevano l’assurda opinione per cui l’intelletto passivo (sskrt. buddhi) sarebbe stato un principio sopraindividuale presente nell’individuo. Sulla contrarietà a tale opinione in Dante v. Francesco Perez, La Beatrice svelata, Palermo, Flacconio ed., 2001 (I ed. 1865), pp. 127-142.[]
    7. A differenza di altre occasioni, in cui Dante incontrò per strada, in chiesa o altrove la Donna umana che gli era stata assegnata per rappresentare Beatrice, come voleva la tradizione cavalleresca, in questo caso si tratta di una vera apparizione, come lo stesso Poeta insiste a narrare.[]
    8. Anche Jacopo da Lentini aveva affermato: “Le merzè [le iniziazioni] siano strette [concesse raramente], che nulla parte siano dette, perché paiono gioie nove; in nulla parte siano trovate né dagli amadori chiamate infino che compie anni nove”. Nell’Ordine del Tempio erano necessari nove anni di apprendistato affinché uno scudiero potesse essere iniziato cavaliere. (L. Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei “Fedeli d’Amore”, Roma, Optima, 1928, p. 274). Non si devono però intendere sempre in senso letterale queste grandezze temporali basate sul simbolismo del numero nove: nove, nell’opera di Dante, rappresenta ‘il tempo appropriato, il tempo necessario’ (sskrt. ṛtukāla), il ‘tempo preparato dalla provvidenza o volontà divina’ (sskrt. daivakṛta). È evidente che i due “bimbi di nove anni” simboleggiano il grado di “fanciullo e fanciulla” di Francesco da Barberino, di cui si è parlato nel capitolo precedente, il 43° di questa serie.[]
    9. Dante non specifica mai quale metodo (sskrt. prakriyā) avesse usato. Questo costante richiamo dell’immagine di Beatrice alla mente parrebbe alludere a una tecnica di visualizzazione (sskrt. dṛṣṭi darśana) interiore. Sappiamo, tuttavia, che Dante trattò anche dei nomi divini ‘I’ e ‘El’ usati tradizionalmente come dei veri e propri mantra.[]
    10. Nel simbolismo ermetico, di cui parleremo più avanti, la morte alla profanità era rappresentata dal colore nero, la rinascita iniziatica dal rosso e il bianco indicava la massima purezza. Cfr. con i colori dei tre guṇa dell’induismo. Il color bianco, sattva, è, come afferma Dante per l’occasione, il simbolo d’aver raggiunto il limite più alto della beatitudine.[]
    11. Potrebbe essersi trattato di un rituale di passaggio di grado con la concessione di una tecnica metodica più potente per gli iniziati che avevano già raggiunto dei livelli alti di realizzazione. Forse anche Lapo Gianni usufruì dello stesso rituale assieme a Dante (Valli, cit. p. 185)[]
    12. Nel parler cloz piangere significa simulare, agire in modo che altri non ne comprendano il senso.[]
    13. Si esaminerà più avanti il percorso dantesco verso il più alto dei cieli, un vero devayāna compiuto in vita, e la sua conclusione al di là di essi.[]
    14. Certamente costoro non erano soltanto i profani (sskrt. adīkṣita), ma anche gli altri cavalieri della Fede Santa che non avevano compreso lo stato di realizzazione di Dante.[]
    15. Confusione tipica dei profani di ieri e di oggi che non sanno né vogliono distinguere tra le false religioni, sette, eresie, congreghe stregonesche e ciò che trascende l’essoterismo religioso. Confondendo volutamente ciò che le è superiore con ciò che è inferiore, la religione esteriore tende volutamente a equivocare sui termini “esoterismo” e “gnosi” (sskrt. jñāna), facendoli passare per sinonimi di luciferismo, satanismo o peggio. Nel quinto sonetto de Il Fiore, Amore esorta il cavaliere in tale modo: “I’ son tu’ Deo ed ogn’altra credenza metti a parte né non creder né Luca né Matteo né Marco né Giovanni”. Invece del superamento delle scritture esteriori in favore di una conoscenza superiore, l’essoterismo pretende di vedervi un atto di ribellione.[]
    16. In un sonetto, Dante ricorda ai Fedeli d’Amore le parole del profeta Geremia che riguardano l’ordine divino di proteggere il Tempio di Gerusalemme. In questo caso egli allude all’Ordine del Tempio e a tutte le sue diramazioni. Tra esse la Fede Santa era in tutta evidenza la più importante per la trasmissione della sapienza. In molte parti dell’opera del Poeta, infatti, contemplare s’identifica al significato di cum Templo, a indicare, con un gioco di parole, che la contemplazione (sskrt. dhyāna) e Ordine del Tempio indicavano rispettivamente la conoscenza e l’organizzazione iniziatica che la custodiva. Sulla Fede Santa come ordine terziario dei Templari v. Robert L. John, Dante Templare, Milano, Hoepli, 1987.[]
    17. Morte villana” è l’esatto opposto di “A-mor” gentile: indica la Chiesa plebea nemica della nobile immortalità.[]
    18. Cavalcanti, alludendo a questa emergenza storica che indusse Dante alla simulazione, afferma: “Religion guardar dal quarto lato/ ben provveder di porres’ in su’ grato. / È ‘l quinto che de’ l’omo avere in core”. L’importante è conservare la quintessenza nel proprio cuore![]
    19. Il Terz’ordine era riservato a laici che assumevano la regola di San Francesco rimanendo sposati e vivendo nelle loro abitazioni private. Intorno alla fine degli anni ’80 del XIII secolo a Firenze erano più influenti i domenicani, ma, poiché essi gestivano l’Inquisizione, fu più prudente per Dante scegliere il francescanesimo.[]
    20. La parola toscana medievale noia deriva dal provenzale ennoi e, tramite l’antico lombardo inodio, trae la sua origine dal latino in odio. Odio rappresenta con vivezza l’avversione contro Amor, proprio dell’essoterismo ecclesiastico di quell’epoca.[]
    21. Il testo dice che s’appoggiò a una pittura per nascondersi, ossia assunse una ostentata maschera d’indifferenza.[]
    22. Si riconosce facilmente i curiosi fenomeni di rapimento da samādhi. Questo ultimo termine è stato tradotto da Eliade con l’insensato neologismo di ‘enstasi’. In verità i vari tipi di samādhi rappresentano proprio uno spostamento artificiale della coscienza individuale fuori della sua condizione ordinaria. Perciò si tratta di stati estatici. Semmai, è proprio lo stato ordinario di coscienza di veglia che dovrebbe essere definito ‘enstasi’.[]

    44. Vita Nova, Dante’s "New Life" – I

      Vita Nova, Dante’s “New Life” – I

      Guido Guinizzelli was master (sskrt. guru) to a young Florentine aristocrat, Guido de’ Cavalcanti (1255-1300)1. Blessed with a strong personality, acute intelligence and wisdom, Cavalcanti succeeded Guido Guinizzelli in the magisterium (sskrt. gurutva). A group of young troubadours2 formed around him; among them there was Ser (Eng. Sir) Durante son of Alighiero degli Alisei3, better known as Dante Alighieri (1265-1321). The latter soon became the most important rhymer and due to the perfection of his poetry, universal wisdom and elevate doctrine, he has to be acknowledged as the greatest exponent of the medieval Christian initiation.
      For our purpose we will examine two of his most important works4Vita Nova (the New Life), where Dante describes his initiatic experiences and the progress of his inner realizations (sskrt. ādhyātmika anubhava); and the Divine Comedy, a vast poem that describes the correlations among his inner path (sskrt. sādhaka anubhava), the worldly events (sskrt. ādhibhautika vikāra) and the divine reality (sskrt. ādhidaivika sattā). First, we will summarize the Vita Nova; in this way our Indian readers will be able to recognize the similarity between the initiatic path of the Holy Faith and those of Tantricism and Bhakti5.

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      The book’s title reveals that it is the narration of the events leading Dante to his inner experiences on the path to realization. The New Life, in fact, follows his initiatic rebirth (sskrt. dvijanman). Dante begins his narration from that moment; he actually stated that his life before initiation (sskrt. asādhaka bhava) was not worthy of remembrance. Nine years6 after his initiation, i.e. after having received the mercy, his also nine-years old Dame7 appeared for the first time to him8 in a red dress. She was called Beatrice by those who did not know her real name. This event announces Dante’s achievement of the first degree of inner experience. At that sight the vital soul residing in the heart (sskrt. jīvātman) trembled and said: «Here is a God stronger than me coming to dominate me». The mind and the senses (sskrt. antaḥkaraṇa) in his head recognized: «Your blessedness appeared». On the contrary, the breaths (sskrt. prāṇa) that bind the soul to the bodily functions complained: «Now we will be under control». From that moment Love dominated the soul of the Poet by making their two wills one and same; and Love was always urging him to look inside himself for that Angelic Woman. It was as these fleeting and repeatedly inner experiences (sskrt. antaranubhava) that pushed Dante towards Love, were induced by her image always present in his heart. And he followed this attraction towards Love inspired by Beatrice, always under the guidance of reason9.
      After another symbolic nine years, along his path, Dante had a new apparition of Beatrice, wrapped in an immaculate white dress10. For the first time Beatrice addressed her salute to Dante (Provençal salut; it. saluto). This symbolised the achievement of a higher spiritual influence (sskrt. anugraha); the salute in fact charges the initiate (sskrt. sādhaka)11 with new power, virtue and wisdom. In a state of spiritual tension, Dante retired at home in solitude. During the night he had a vision in dream: he saw Love, joyful and ardent as the very sun, with the flaming heart of the Poet in his hand. He was holding in his arms a sleeping Beatrice, wrapped in a blood coloured cloth. Once the woman woke up, Love forced her to devour Dante’s flaming heart. Then, while crying12 and still with Beatrice in his arms, he climbed up into the sky. The vision seems a summary of Dante’s entire initiatic journey. It starts with his first experiences as a neophyte (marked by the red dress of Beatrice), and it continues with the prediction of Dante’s reaching the highest of skies13. Shocked by the message received in dream, Dante wrote a sonnet to the wisest troubadours of his circle (sskrt. kula) asking them to explain its meaning.
      Only Cavalcanti was able to interpret his dream. Guido, his guru, recognized in Dante’s dream the premonition of the achievement of the most perfect realization by his extraordinary disciple. However, he expressed this opinion with incertitude, since even he, the master, had not experienced it and could not aspire to such a high spiritual level. After that vision, Dante engaged in a more severe asceticism to obtain Love’s blessings. In everyone’s eyes, he became thinner and looked distracted. To those who asked him what he was suffering from14, he answered by playing with words that it was heartache for some lady in Florence. One day while he was in a church preying, he saw a girl staring at him and he seized the opportunity to choose her as screen to hide the truth. In this way the curiosity of the people was satisfied. However, after a few years the “screen-woman” left Florence and Dante could no longer hide behind that alleged earthly love. He pretended to be desperate for the absence of his “screen-woman”, but the beatitude that he felt in his heart often emerged in attitudes of pure joy. These contradictions increased the suspicion of the curious. His bizarre behaviour could rightly be interpreted as a trance (sskrt. samādhi) induced by initiatic practices.
      The danger was above all represented by the Inquisition; this institution, administered by the Dominican Order, willingly confused15 the initiatic schools with some clandestine folk pseudo-religions, such as the Cathars and Waldesians present at that time in Florence. The need to hide his state of intense initiatic rapture from the outsiders, coincided in fact with a period of persecution of esoteric organizations. Dante alerted not only the troubadours of his initiatic family, but also other organizations that were derivations or branches of the knights of the Order of the Temple’s 16. As expected, the Inquisition, named “Rude Death17, hit right at that moment. A Faithful of Love, that Dante does not name and who was spiritually very close to Beatrice, was sentenced to death. The same ‘representative’ of Love, Guido de’ Cavalcanti, was crying for the terrible crime. But in their jargon to cry also meant “to hide”: it was an alert to all troubadours. Dante, in order to escape persecution, fled the city in search of the “screen-woman”. In his narration, a character dressed in rags joined him in his escape. It was Love, also on the run and disguised as a pilgrim. And thus, the path they took together turned into a realization journey. The Grace of Love covers that path and the fountain of teachings became as vast as a river.  During this period of concealment Dante evidently obtained unexpected spiritual gifts. Love, in order to protect him, advised him to find another “screen-woman”: this was the exterior religion18.
      Our Poet rode back to the city to take on the new disguise that Love recommended during the apparition. He began to see a circle of Franciscan friars and in that period he became a member of the St. Francis Third Order19. Despite having assumed that burdensome external cover with seeming enthusiasm, Beatrice, the active Intellect (sskrt. Mahan Ātman) continued to dialogue intensely with his buddhi, filling him with graces and knowledge. At this point, in the Vita Nova, the meaning of “Beatrice” becomes double. She represents not only the Universal Intellect, but also the sampradāya of the Holy Faith, the initiatic family of the Faithful of Love, including those who had not understood the height of the last inner states reached by Dante. The troubadours, outraged by his sanctimonious behaviour, denounced him of treason for having renounced the initiatic path and for having become a profane devotee of the exterior Church. He was therefore denied participation in the rituals (of the salut) of the initiatic assembly (sskrt. satsaṅga). This interdiction weakened the Poet: in fact, when witnessing those periodic rites of salute, he was wholly pervaded by Love and each time he acquired new power from it. After this exclusion, Dante kept apart sad and lonely. Then Love appeared to him like a child dressed in white clothes. God explained to him that the Holy Faith, probably through the convocation of a Court of Love, had judged tedious (it. noioso20) his behaviour. He still could not assume any exterior conduct at his will, because the other Faithfuls of Love would not have understood it. Only those who, like Love himself, stood at the centre of the wheel of becoming (bhavacakra), could completely transcend the forms.
      However, being Dante close to that spiritual degree, Love suggested him to write a ballad defending himself, to permit the Beatrice-Court of Love (sskrt. satsaṅga) to be aware of his inner situation. Dante wrote to the master of the Holy Faith explaining the reasons of his behaviour, reaffirming that in his heart he was always a true Faithful of Love. Soon after, another knight took Dante to a gathering for a wedding. As soon as he arrived there, he understood from the sudden trembling of his heart and from the agitation of all the other vital breaths, that he was at a meeting of unknown initiates. Fearing he had been brought to a Court of Love to be officially expelled, Dante instinctively tried to hide his inner excitement21. Suddenly he saw Beatrice and other members of his own initiatic family. At that moment he became unable to retain his sudden, ecstatic transfiguration. These rapid behavioural changes were so visible that everyone started to laugh at him, including Beatrice22. Returned home, Dante sent a sonnet to Beatrice (his master) and to the other troubadours, trying to explain what had happened during that meeting. He declared that just by looking at them (sskrt. darśana) he felt filled by an uncontrollable power as if he was attending a ritual satsaṅga. Love had possessed him and granted him that overwhelming ecstasy. For the first time, in that instance, Dante stated that to really understand his inner state, his fellow Faithfuls of Love should have reached his same level of realization.

      Maria Chiara de’ Fenzi

      1. Cavalcanti was also disciple of the Florentine Ser Brunetto Latini, who referred directly to the initiatic line (sskrt. paramparā) of the Provençal troubadours. He was also influenced by the troubadour Ser Rustichello Filippi from Florence (1235 ~ 1295), Ser Bonagiunta degli Orbicciani from Lucca (1220 ~ 1290) and from Guittone del Viva d’Arezzo (1230-1294). The latter, however, in the second half of his life, abandoned the Holy Faith and entered the order of the Gaudenti Friars (frati gaudenti). This was an exoteric religious order that expressed itself in the Trovadoric style to turn Love towards the Church and the Papacy, in clear opposition to the Faithfuls of Love.[]
      2. Among these we can mention Gianni degli Alfani, Lapo Gianni, Cino de’ Sigilbuldi from Pistoia, Dino Compagni, Francesco da Barberino, Dino Frescobaldi, Dante da Majano and others. Like Guido and Dante, many of these had Roman patrician origin.[]
      3. The Alisei family descended from the gens Anicia; among the ancestors of Dante there were the Roman Emperors Petronius Maximus and Flavius Anicius Olibrius, Severinus Boethius, St. Benedict of Norcia, Pope Gregory the Great (Carlo Padiglione, L’Arme of Dante Alighieri, Napoli, Nobile ed., 1865).[]
      4. In addition to the already mentioned Il Fiore, Dante wrote: Detto d’Amore [Statement of Love], a short remake of the Roman de la Rose; using Tuscan vernacular he wrote the Rhymes, or rather his initiatic correspondence with different Faithfuls of Love; the Convivio [Banquet], inspired by Plato’s Symposium, an unfinished treatise in vernacular written by Dante with the purpose of instructing the ruling class on how to govern. The Convivio wanted to be an exoteric application of the principles of the Holy Faith, expressed following the Aristotelian arguments. In this treatise Dante explains that like the Sacred Scripture, his writings must also be interpreted on four levels: the literal sense; the moral sense, a sum of instructions on initiatic behaviour and actions (sskrt. karman); the allegorical sense, that is its symbolic interpretation; and finally, the anagogic, namely the doctrinal one. In De Vulgari Eloquentia, he explains the reasons why it was time to abandon the Latin language, by then an exoteric and ecclesiastical language, and to use instead the vernacular. He describes how the Faithfuls of Love language had to be: illustrious, purified from the coarseness of the daily common language; courtly, suitable for topics proper to the imperial power; curial, apt to illustrate theological themes; and, finally, cardinal, convenient to describe the doctrines that are the key of Reality. In the Monarchia, Dante presents how the world should be governed. He writes about the origins of the Empire that dates back to a Roman, and even earlier, tradition; about the Church, which dates back to Christ and his ancestors, kings David and Solomon. For Dante Emperor and Pope are the two suns that illuminate Christianity (someone mistakenly said that one is the sun and the other the moon). The Emperor rules for the sake of the living, the Pope leads the souls of the dead to the heavens. Both are interdependent, and both had been in a poor state for centuries: the Empire must recover its universal power, the papacy must stop with its cravings for earthly power. Two Eclogues in Latin, on Virgil’s style, in which Dante, with the pseudonym of Mopsus, takes up the poetic symbolism of the Augustan era, already in use at the Court of the Merovingians and Charlemagne. The Questio de Aqua et terra, a Latin treatise on the structure of our planet Earth, which was foundational for the three-world conception of the Divine Comedy. Finally, the Latin Epistles in which Dante calls on the Emperor Henry VII, admonishes and reproaches the great Italian feudal lords he was acquainted with, and scolds bishops and cardinals exhorting them to restore peace and justice in Christianity, by reviving the Imperial power and purifying the Church from earthly vices.[]
      5. We deliberately distance ourselves from any profane interpretation, be it literary, philological, historical or ideological, made by the academic scholars of Dante. Like the cherub with the flaming sword at the door of Eden, they turn their backs to it to keep away those who want to enter. But they have an opposite nature to the sapiential one of the cherubs and their weapon is only obtuseness. Even the rare comments written by esotericists are better. However, they are limited by their exclusively bookish knowledge or having participated in initiatic ceremonies devoid of any effectiveness, which prevents them from understanding the realities described in the Vita Nova, also because they never had those same experiences. An example is the book by Marcello Vicchio, Dante l’iniziato, Arcireale-Roma, G.E. Bonanno, 2015. Many of our śākta Indian readers, on the other hand, will be able to fully recognize the summed-up interpretation that follows.[]
      6. This woman was accompanied by the number nine, in the sense that she was a nine, that is, a miracle [the divine action in the world], whose [square] root is only the admirable Trinity” (VN, XXIX.10).The number nine is the symbol of everything pertaining to Beatrice, the “Beatifying One”. In fact, Dante’s Dame is nothing but the Active Intellect, radiance of Divine Reality in the manifested world. The Active Intellect (sskrt. Mahan Ātman) is the principle that operates in the subtle world and that brings the graces of the three Persons of the Christian Trinity. This last conception, as it has been already pointed out in this Site, corresponds very closely to Sacciddānanda in the Hindū doctrines. What expresses the non-agent triplicity of the Trinity in the three-worlds (sskrt. tribhuvana), is symbolized by the number nine (3×3), which is actually the true name of Beatrice. In fact, in Latin the name of this most gentle Lady is Beatr-IX, the nine (IX) which beatifies. The individual or possible intellect (sskrt. buddhi) is the receptacle of spiritual influences, knowledge and virtues, and they are all useful to it when it will eventually be reunited with the universal or Active Intellect, Mahan Ātman as jīva ghana or Hiraṇyagarbha. This, inter alia, wipes out the tenacious idea of the medievalists who see everywhere the influence of Avicenna and Averroes. These Arab philosophers, in fact, supported the absurd opinion that the passive intellect (sskrt. buddhi) was a supra-individual principle present in the individuality. On the opposition of Dante to this opinion see Francesco Perez, La Beatrice svelata, Palermo, Flacconio ed., 2001 (I ed. 1865), pp. 127-142.[]
      7. Jacopo da Lentini had also stated: “The mercies [the initiations] must be reduced [rarely granted], they must not be spoken of anywhere, because they must appear as joys afresh; not even the Faithfuls of Love must find them before nine years have passed”. In the Order of the Temple it took nine years of apprenticeship for a squire to be initiated as knight. (L. Valli, Il Linguaggio segreto di Dante e dei “Fedeli d’Amore”, Rome, Optima, 1928, p. 274). However, these temporal quantities based on the symbolism of the number nine must not always be understood in a literal sense. Nine, in Dante’s thought represents ‘the appropriate time, the necessary time’ (sskrt. ṛtukāla), the ‘time prepared by Providence or Divine Will’ (sskrt. daivakṛta). It is evident that the two “nine-year-old children” represent the degree of “child and maiden” of Francesco da Barberino, which was discussed in the previous chapter, the 43rd of this series.[]
      8. Unlike other circumstances, in which Dante met on the street, in church or elsewhere the human woman who had been assigned to him to represent Beatrice, as required by the knightly tradition, in this case this is a true apparition, as the Poet himself insists to describe.[]
      9. Dante never specifies the method (sskrt. prakriyā) he had used. This constant evoke of the image of Beatrice to the mind would allude to an interior visualization technique (sskrt. dṛṣṭi or darśana). We know, however, that Dante also utilized the divine names ‘I’ and ‘El’, traditionally used as mantras.[]
      10. In the hermetic symbolism, which we will discuss later, death to profanity was represented by the black colour, the initiatic rebirth by red, while white indicated the higher purity. See the colours of the three guṇa of Hinduism. The white colour, the sāttvika one, is the symbol of having reached the highest limit of beatitude as also Dante states.[]
      11. It could have been a passing of grade ritual with the granting of a more powerful technique for initiates who had already reached high levels of realization. It is possible that also Lapo Gianni took part to the same ritual together with Dante (Valli, cit. p. 185)[]
      12. In the parler cloz to cry means to simulate, to act in such way that others do not understand the true meaning.[]
      13. We will later examine Dante’s journey towards the highest of the heavens and its conclusion once beyond them. It was a true devayāna accomplished in life.[]
      14. Certainly, these were not only the profane (sskrt. adīkṣita) or his adversaries, but also the other knights of the Holy Faith who had not understood the grade of Dante’s realization.[]
      15. Typical confusion of the profanes, both in the past and in the present times, who do not know, or want to distinguish between false religions, sects, heresies, witches’ covens and all that transcends religious exotericism. By deliberately confusing what is superior with what is inferior, the external religion purposely tends to misunderstand the terms “esotericism” and “gnosis” (sskrt. jñāna), passing them off as synonyms of luciferianism, satanism or worse. In the 5th sonnet of Il Fiore, Love thus exhorts the knight: “I am your God and every other belief set aside; do not believe neither Luke nor Matthew nor Mark nor John”. Instead of seeing the overcoming of the external scriptures in favour of a higher knowledge, exotericism claims to see it as an act of rebellion.[]
      16. In a sonnet, Dante reminds the Faithfuls of Love of the words of the prophet Jeremiah about God’s command to protect the Temple of Jerusalem. In this case he alludes to the Order of the Temple and all its branches. Among those, the Holy Faith was clearly the most important for the transmission of wisdom. In many parts of the Poet’s works, “to contemplate” means “cum Templo” (in Latin: with the Temple), to indicate, with wordplay, the identity between con-templation (sskrt. dhyāna) and Order of the Temple. This means that the initiatic knowledge and the organization which was keeping it were the one and same thing. On the Holy Faith as a tertiary order of the Templars see Robert L. John, Dante Templare, Milan, Hoepli, 1987.
        In a sonnet, Dante reminds the Faithfuls of Love of the words of the prophet Jeremiah about God’s command to protect the Temple of Jerusalem. In this case he alludes to the Order of the Temple and all its branches. Among those, the Holy Faith was clearly the most important for the transmission of wisdom. In many parts of the Poet’s works, “to contemplate” means “cum Templo” (in Latin: with the Temple), to indicate, with wordplay, the identity between con-templation (sskrt. dhyāna) and Order of the Temple. This means that the initiatic knowledge and the organization which was keeping it were the one and same thing. On the Holy Faith as a tertiary order of the Templars see Robert L. John, Dante Templare, Milan, Hoepli, 1987.[]
      17. Rude Death” is the exact opposite of “Gentile A-mor” (Noble Love – In-mortality’): it indicates the plebeian Church which is the enemy of noble immortality.[]
      18. Cavalcanti, alluding to this historical emergency that led Dante to the simulation, states: “Let the Religion be kept to one side, making sure not to be disliked”. The important thing is to preserve the quintessence in your heart![]
      19. The Third Order was reserved for lay people who assumed the rule of St. Francis remaining married and living in their private homes. Around the end of the 1280s the Dominicans were more influential in Florence, but since they ran the Inquisition, it was more prudent for Dante to choose Franciscanism.[]
      20. The medieval Tuscan word noioso (tedious) derives from the Provençal ennoi and this, through the ancient Lombard inodio, takes its origin in the Latin form in odio (in hate). Hate vividly represents the aversion against Love (the God Amor), of the ecclesiastical exotericism of that period.[]
      21. The text says that he “leaned on a painting to hide”, which means that he assumed an ostentatious mask of indifference.[]
      22. The curious phenomenon of rapture is easily recognized as a samādhi. This saṃskṛta term has been translated by Eliade with the senseless neologism of “enstasy”. Indeed, the various kinds of samādhi represent precisely an artificial displacement of the individual consciousness out of its ordinary condition. Therefore, these are simply ecstatic states. It is precisely the ordinary state of waking consciousness that should rather be called “enstasy”.[]