34. Crisi dell’Impero carolingio e nuove invasioni barbariche
Crisi dell’Impero carolingio e nuove invasioni barbariche
Dovremo ora dedicare alcune pagine alla storia, necessarie per spiegare le grandi modifiche che precedettero il crollo della Tradizione in Occidente.
Carlo Magno divise i suoi domini in tre parti, seguendo i costumi dei sovrani franchi che lo avevano preceduto. Al figlio Pipino (o Carlomanno) aveva lasciato il Regno d’Italia, che comprendeva tutti i domini già appartenuti ai Longobardi, ai Bizantini, oltre al Patrimonio di S. Pietro e al Regno di Burgundia, suoi vassalli.
A Ludovico il Pio era assegnato il Regno dei franchi occidentali, che comprendeva gran parte dell’attuale Francia, la marca spagnola (l’Aragona) e il vassallo Regno delle Asturie. Il terzo figlio, Carlo il Giovane, riceveva in eredità il Regno dei franchi orientali (attuale Belgio, Germania, Austria, Boemia e Ungheria). Pipino (o Carlomanno) e Carlo in Giovane, però, morirono prima del padre, perciò l’intera eredità territoriale fu raccolta da Ludovico il Pio. Quest’ultimo fu perciò Re d’Italia, Re di Francia, Re di Germania e, inoltre, fu acclamato Imperatore.
L’Imperatore Carlo Magno s’era dimostrato abile guerriero, giudice equanime, amministratore lungimirante. Inoltre aveva saputo condurre con mano ferma i rapporti con la Chiesa e aveva impostato il suo Impero sul modello delle organizzazioni iniziatiche che da lui dipendevano. Ludovico, invece, s’occupò prevalentemente dei rapporti con la Chiesa, confermando la sua autorità sacrale e intensificando la relazione spirituale tra lo Stato e le organizzazioni iniziatiche kṣatriya. Per questo suo impegno prevalentemente spirituale, passò alla storia con l’attributo di Pio. Ludovico ebbe tre figli di primo letto e Carlo il Calvo di secondo letto. Lotario, il primogenito, ereditò il titolo di Re d’Italia.
Il suo regno divideva l’Impero verticalmente, comprendendo l’Italia, la Provenza e la Lotaringia (Lorena) fino alle foci del fiume Reno. Egli fu in seguito acclamato Imperatore dai baroni imperiali, dal popolo, dal Senato di Roma e fu incoronato a Roma nel 823. A Pipino, il secondogenito di Ludovico il Pio, venne assegnato il regno di Aquitania, ossia della Franconia occidentale, che comprendeva gran parte dell’attuale Francia. Il terzogenito, Ludovico II il Germanico, ottenne il regno della Franconia orientale (Germania). I tre fratelli non andarono d’accordo né con il padre, l’Imperatore, né tra loro. A questo s’aggiunsero le trame del fratellastro Carlo il Calvo, che riuscì a sostituirsi a Pipino come re d’Aquitania. Alla morte di Lotario, Ludovico il Germanico fu eletto Imperatore e da quel momento in poi il titolo imperiale rimase quasi sempre in dotazione ai Re di Germania e d’Italia. Le diatribe tra Carolingi impedirono che il titolo imperiale diventasse dinastico. Se da un punto di vista questa caratteristica elettiva della carica imperiale rendeva il suo potere effettivo minore rispetto a quello delle dinastie regali consolidate, da un altro conferiva all’Imperatore dei cristiani un prestigio dovuto al merito pubblicamente riconosciuto e un carisma sacrale incomparabile.
Le contese tra i discendenti di Carlo Magno, però, indebolirono la struttura difensiva del Sacro Impero, anche se il titolo imperiale fu sempre regolarmente trasmesso tramite rami cadetti o cognati della dinastia Carolingia, almeno fino all’inizio del 900.
Questo periodo di crisi coincise con il rinnovarsi di ulteriori invasioni barbariche. Certamente la minaccia dei nuovi barbari non fu mai così grave da mettere in pericolo l’esistenza dell’Impero, come era accaduto alla caduta di Roma ai tempi di Alarico. Il primo popolo barbaro fu quello dei normanni o vichinghi, che aggredì l’Impero provenendo dal mare del Nord, spesso risalendo i fiumi di Francia e Germania e portando devastazioni alle città fluviali.
Generalmente le razzie dei normanni erano temporanee: i pirati, carichi di bottino, si ritiravano poi nei paesi scandinavi da cui provenivano. Solamente a partire dall’ 880 essi occuparono permanentemente la Normandia, nel nord della Francia occidentale. La seconda minaccia barbarica apparve al confine orientale dell’Impero: dopo il tentativo di sfondamento da parte dei popoli slavi durante tutto il secolo VIII, si affacciarono gli ungari, popolazione guerriera di origine siberiana. Dopo aver minacciato seriamente l’esistenza dell’Impero d’Oriente, essi furono federati all’esercito bizantino e utilizzati dai Basileis per contenere l’espansione del Sacro Romano Impero verso i Balcani. Tuttavia, all’inizio dell’XI secolo, la loro conversione al cattolicesimo, promossa dal Re Santo Stefano, li fece entrare nell’orbita del Sacro Romano Impero.
La terza minaccia barbarica fu rappresentata dai pirati saraceni. Una storiografia contemporanea compiacente suole descrivere la società islamica di questo periodo come altamente civilizzata; ciò è certamente vero, soprattutto nel Vicino Oriente, Sicilia, Marocco e Spagna. Però si dimentica troppo spesso di menzionare che l’Africa settentrionale era costellata di piccoli emirati e città-stato indipendenti che prosperavano solo grazie alla razzia, alla pirateria, al brigantaggio, e al mercato degli schiavi. Nell’anno 843 i saraceni arrivarono a saccheggiare Roma e, in seguito, a stabilire porti e covi pirati un po’ ovunque nell’Italia meridionale e nelle isole. Anche in questo caso l’impreparazione marinara dell’Impero fu la causa di tante sciagure.
In tali frangenti i papi si distinsero per la loro doppiezza politica: a ogni difficoltà che si verificava nell’Impero essi si affrettavano ad accampare sempre maggiore autonomia dalla corona, confezionando falsi Decretali e falsificando documenti provenienti dalla seconda capitale imperiale, Aquisgrana. Tuttavia i papi erano pronti a ritirare tutte le loro pretese e a giurare lealtà e sottomissione all’Imperatore ogni qual volta fossero stati minacciati da arabi, bizantini o da insurrezioni longobarde.
Petrus Simonet de Maisonneuve