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Perché gli Avatāra si manifestano solo in India?

    Śrī Śrī Svāmī Hariharānanda Sarasvatī “Karapātrī

    Perché gli Avatāra si manifestano solo in India?1

    Oh Bhārata! Ogni volta che l’ordine (dharma)2 diminuisce e il disordine (adharma) aumenta, io manifesto me stesso.3 
    Di era in era (yuge yugeio discendo per la protezione dei saggi, l’annientamento dei malvagi e la restaurazione del dharma.4

    Qui si pone la seguente riflessione: il Signore5 discende nel mondo per la protezione del dharma, solamente in India6 oppure anche in altre parti del mondo? E se egli scende solo in India, come può essere il Signore di tutto? Egli è il controllore e il fulcro di tutto l’universo. La sua funzione è quella di estrarre l’universo intero dalla lordura della perversione e ristabilire la virtù. Cioè, fermando la decadenza del dharma e l’incremento dell’adharma, è necessario che i principi della legge universale siano ristabiliti, che i saggi siano protetti e le malvagità nullificate.
    Tuttavia, perché solo in India il Signore assume una forma per attuare ciò? Il Signore, equanime e onnipervadente, dovrebbe compiere questa attività come avatāra in qualsiasi regione del mondo. E se vi sono degli avatāra in ogni paese, essi chi sono? Con ciò è da chiarire se le religioni (dharma) di ogni paese siano state stabilite e conservate dal Signore stesso. Se così fosse, perché esistono religioni così differenti e ostili tra loro, a seconda delle circostanze temporali, e non solo in paesi diversi ma anche nello stesso paese? Perché tale antagonismo e tante differenze se il dharma è basato su un unico onnipotente e onnisciente Signore? I seguaci delle religioni si sono messi in contrasto tra loro tanto da voler distruggere i dharma altrui, e far trionfare le proprie dottrine. Come si può affermare che queste dottrine siano il dharma e che il loro fondatore e conservatore sia veramente il Signore?
    Considerando queste domande, innanzitutto è necessario chiarire quale dharma si intende nel passaggio della Gītā sopra citato. Compreso ciò, si potrà capire anche quali siano i saggi e quali i malvagi, poiché nel dharma stabilito da Kṛṣṇa sono descritte sia le qualità del giusto sia quelle dell’iniquo. Non vi è dubbio che oggidì grande importanza sia attribuita all’universalità e all’estensione degli insegnamenti della Gītā in materia di dharma karma7, anche in forma divulgativa. Sebbene la Gītā definisca con estrema semplicità i confini del dharma, chiarendo anzitutto che il karma è comprensibile nella sua interezza solo attraverso gli śāstra8 (śāstraikasamadhigamya9), tuttavia anche dagli scritti dei critici moderni traspare quella stessa idea di universalità. A detta di alcuni, se i soli Veda possono essere considerati testi autorevoli e il dharma è l’azione derivata dalle indicazioni dell’ortodossia vedica (śruti) e purāṇica, (smṛti)10, attinente ai principi del varṇāśrama11, intelligibile solo mediante le scritture, allora, in tal caso, la Gītā ne rappresenterebbe solo una forma ridotta, e quindi limitata. Tale affermazione, però, non s’addice a un testo di portata universale qual è la Gītā. D’altro canto, rispetto al mondo intero, l’India è un piccolo paese in cui il rispetto e la trasmissione dei Veda e del dharma sono coltivati ormai solamente in qualche ambiente. Finché la Gītā è considerata soggetta alle medesime istruzioni testuali (śāstra) e allo stesso dharma, allora essa non sarà null’altro che la scrittura di un determinato paese e, conseguentemente, non potrà essere considerata né universale, né unanimemente condivisa.
    Seguendo questa premessa, in ogni paese, a seconda dei periodi storici, sono considerati testi autorevoli quelli nei quali i pensatori più illuminati codificano le azioni conformi e difformi alla norma. Secondo quelle stesse scritture, karma dharma sono quelle azioni o quelle intenzioni motivate da esigenze politiche, economiche, individuali o collettive. Oltre a ciò, sono ritenuti autorevoli gli scritti di persone sagge e rispettabili, degne di unanime considerazione, che decidono quale sia la prosperità e il benessere in questa vita e nell’altro mondo per le creature che appartengono a un determinato paese e a un certo periodo storico. Questa mentalità considera dharma ogni azione (karma) sorta dal corpo, dai sensi, dalla mente o dall’intelletto, che tenda verso la prosperità.
    Pur affermando quanto precede, essi insistono sull’universalità del messaggio della Gītā. Considerando la prospettiva tipica di questi pensatori moderni, basata su procedimenti empirici, [ci si renderà conto che nondimeno] essi, a loro modo, riconoscono l’elevatezza della Gītā, rendendo universale il suo messaggio [o, meglio, ciò che di esso intendono]. Tuttavia, essi pretendono di farlo negandone principi e significati, e perciò a loro è preclusa ogni attribuzione di universalità. In verità l’autentico riconoscimento d’elevatezza di qualcosa è quello celebrato rispettandone la natura propria. Non si può dire che vi sia riconoscimento d’elevatezza di qualcosa quando la sua stessa natura è tradita.
    Agli intellettuali è nota la differenza tra vantaggi e svantaggi materiali che può ottenere l’uomo di limitati mezzi di conoscenza, forza e azione. Però molti sono completamente ciechi per quanto riguarda la conoscenza e l’ottenimento della felicità ultramondana e metafisica. A seconda delle differenti epoche e luoghi sono possibili enormi cambiamenti nelle attività e nei costumi che dipendono dalla ricchezza e dai piaceri. Quindi non è impossibile per l’uomo definire un’unica via di comportamento su tali questioni. Ma gli insegnamenti pronunciati da Prajāpati, Bṛhaspati, Śukra, Manu e altri Veggenti e Legislatori12 pressoché onniscienti (sarvajña), sono una base su cui il cambiamento o la conservazione sono facilitati, per cui si genera maggiore certezza. Per l’ignorante (alpajña) è estremamente difficile capire quali siano le azioni che nell’aldilà procureranno gioie o sofferenze. Nonostante le grandi differenza di spazio, tempo e circostanze, le variazioni nel dharma e nell’adharma non sono illimitate. Infatti, se perfino in politica (nīti) è impossibile un cambiamento disordinato, nel dharma lo è ancora di più.
    In ogni situazione si determina l’entità da definire (lakṣya) a seconda della sua caratteristica (lakṣaṇa)13. Quando si deve determinare una definizione riguardante un oggetto direttamente esperibile dai sensi (pratyakṣa), in quel caso la definizione deve essere priva di difetti quali la scarsità di estensione (avyāpti), l’estensione eccessiva (ativyāpti), o l’impossibilità (asambhava)14.
    Ma quando ciò che si intende definire non è immediatamente percepibile (apratyakṣa), la sua determinazione si avrà solo grazie alle definizioni. In questo caso, quando la definizione (lakṣaṇa) non è calzante, la comprensione di ciò che viene definito (lakṣya) rimane imperfetta.
    Però oggi nella società si definisce ciò che è corretto e ciò che non lo è in base al comportamento della maggioranza. Considerando lo stato attuale delle cose, la mentalità moderna si è conformata a un cambiamento incessante. Una cosa è definire il dharma secondo gli insegnamenti originali che lo riguardano, mentre altra cosa è tracciare i limiti del dharma dopo aver valutato la situazione e il comportamento individuale. Secondo la prospettiva della Gītā ogni genere di azione o sforzo non è necessariamente dharma, in quanto, senza un ordine, l’azione è condizionata dalle tre tendenze15 insite nella manifestazione. Così in sentenze quali “kuru karmaiva16 e altre, il karma a cui si tenderebbe naturalmente è quello il cui necessario compimento è indicato dalle scritture. Per questo si dice che uno śāstra è misura e garanzia nello stabilire cosa fare e cosa non fare: “Conosciuti i principi dettati dagli śāstra, si compia il karma17.
    Lo śāstra non è un insieme di regole disordinate, fissate dalle diverse società succedutesi durante le epoche, perché, a seconda dei tempi, si può verificare una preponderanza di tendenze spirituali o profane. La società è composta da molti individui e non vi è certezza nella loro capacità di discriminazione. Anche i migliori possono sbagliare in cose semplicissime; in questa epoca si ritiene fermamente valido e vero ciò che si capisce, nonostante che, con il senno di poi, ci si renda conto dei propri limiti ed errori. L’influenza dell’agitazione, prodotta da rajas e dall’ottundimento dovuto a tamas, offusca la naturale e cristallina preponderanza di sattva nell’intelletto (buddhi). Quest’ultima qualità rimane velata se non dimostra una tensione verso il Supremo e se è priva di disciplina (yoga). Per questo oggi ignoranza ed errore sono presenti in ogni rango della società, anche in forma collettiva. Per definire dharma adharma non è necessaria alcuna valutazione individuale né della collettività né della sua maggioranza. Le regole fissate da un individuo o da una collettività, anche per quanto concerne l’elevazione etica, politica o quella economica non potranno produrre un successo stabile. Il vero successo si realizza con la conoscenza dei principi della politica, dell’etica e dell’economia come descritti da Manu e dagli altri saggi onniscienti.
    Per esempio in medicina non ha alcun valore che l’opinione di un medico venga considerata corretta da migliaia di scienziati di altre materie. Allo stesso modo, per quanto riguarda il dharma, ogni punto di vista particolare che ignora l’insegnamento vedico non avrà alcun valore permanente.

    Secondo la Gītā, i Veda sono quelle scritture che stabiliscono quali siano le azioni da eseguire. Quando si tratta degli śāstra, nella Gītā compare il nome dei Veda: “Io sono colui che è conosciuto da tutti i Veda18; “ṚgSāma e anche Yajur19; “Tra i Veda sono il Sāma”20. Il discepolo (Arjuna), il maestro (Kṛṣṇa), l’autore e tutti i grandi uomini descritti in differenti contesti della Gītā e del Mahābhārata sono personaggi della società e della cultura vedica, in cui credettero fermamente. Nella Gītā confluiscono insegnamenti vedici, i Veda stessi e tutta la tradizione testuale conforme ai principi vedici e non contraria a essi21. Tutte le azioni ivi descritte sono in accordo costante con i precetti testuali, sia per quanto riguarda gli aspetti mondani sia per gli aspetti strettamente scritturali riguardanti la casta e gli stadi di vita. La Gītā è coerente con gli śāstra, raccogliendo in sé una linea di condotta che, nei diversi aspetti dell’esistenza, è esattamente quella da seguire (vidheya). Sebbene gli śāstra e il dharma siano la radice di ogni prosperità in questo e nell’altro mondo, e da essi ognuno possa trarre beneficio, a causa del declino generale dovuto al precipitare dei tempi, qualcuno li potrebbe definire chiusi o ristretti, ma ciò evidenzierebbe soltanto il difetto insito in un’interpretazione individuale e limitata. Le condizioni della realtà non si preoccupano di piacere o meno alle singole creature. Le cose che cambiano a seconda del mutare del mondo non sono vere. È dovere dei componenti di una società seguire le regole della stessa, e chi, per indisciplina, non accetta tali norme, è da essa allontanato. A causa di alcuni soggetti indisciplinati non devono esserci cambiamenti nei precetti fondamentali della società. I legislatori e i governanti fedeli al dharma e alla cultura vedica allontanavano regolarmente coloro che trasgredivano le regole che, essendo di origine divina e fondate su una base stabile, escludono ogni tipo di errore. Coloro che pensano in modo disarmonico e confuso non conoscono il corretto percorso indicato negli śāstra, poiché ṚgSāmanYajusMantraBrāhmaṇaSūtraKalpaItihāsaPurāṇa, tutti insieme sono il respiro stesso di Īśvara, eterno (nitya), senza inizio (anādi)22. Ogni cambiamento spaziale, temporale e circostanziale è fissato fin dal principio. Il dharma non può essere inteso come chiuso e ristretto, anche se oggi è molto diminuito il numero delle persone che lo seguono. Pochissimi sono coloro che hanno realizzato direttamente l’Identità Suprema o, per meglio dire, pochissimi sono interessati a ottenerla23. Tuttavia ciò non toglie che il dharma sia connaturato all’essenza delle cose e abbia un respiro universale. Allo stesso modo, nonostante la completezza e l’universalità degli śāstra e del dharma, col procedere ciclico e con l’accrescersi del disordine, la maggioranza dei paesi e delle persone hanno deviato dalla rettitudine. Anche in India chi è rimasto fedele al dharma costituisce una minoranza. Dagli śāstra è noto che, come nello svarga24 e negli altri piani di esistenza, anche molte parti della Terra (bhūmaṇḍala) erano luoghi di mera fruizione (bhogabhūmi) e non di azione (karmabhūmi). Perciò fu stabilita una legge umana (mānavadharma) appositamente promulgata per gli uomini, che prevedeva rispetto, verità e altre virtù25. Da sempre l’India è stata considerata karmabhūmi, la terra del sacrificio. In India vi fu il completo fiorire e prosperare della legge perenne nelle sue varie sfaccettature, come il varṇāśrama, il sacrificio (yajña), lo yoga e tutti gli altri metodi descritti nei Veda. In India si raggiungeva con facilità la perfezione (siddhi) nel rito, nelle pratiche spirituali e nella conoscenza. Proprio grazie ai riti compiuti qui, Indra26 ebbe accesso al suo stato di signoria. Per questo anche gli Dèi vogliono nascere in India. Come una lanterna posta in un luogo della casa la può illuminare tutta, così nel solo spazio del cuore si rivela l’antarātman, l’anima interiore, che illumina e attiva tutto il corpo. Analogamente la terra di Bhārata è il centro di tutta la sfera terrestre. Secondo i Purāṇa l’isola del Jambu –il subcontinente Indiano– è posta al centro delle altre isole. In essa si situa il monte Meru, la cui estensione più importante è la terra di Bhārata. Per questa ragione l’India è il cuore di tutto il mondo. Come l’ātman, seppur onnipervadente, trova il suo luogo di manifestazione più idoneo nel cuore di ognuno, allo stesso modo le norme impartite dalle scritture e il Signore che le ha emanate, sebbene siano entità universali e onnicomprensive, si manifestano specialmente in India. Tutto il mondo è illuminato e reso conforme alla norma grazie alla luce della conoscenza e l’influenza relativa al dharma infuse dall’India. Il codice di Manu afferma:

    etaddeśaprasūtasya sakāśādagrajanmanaḥ/
    svaṃ svaṃ caritraṃ śikṣeran pṛthivyāṃ sarvamānavāḥ//
    Ogni uomo in questo mondo dovrebbe apprendere il proprio comportamento dai brāhmaṇa nati in questo luogo.27

    La vita può rimanere nel corpo anche se mancano le mani, i piedi o altre parti, ma è impossibile che la vita continui senza il cuore. Così il mondo continua a esistere, anche se gli altri paesi hanno deviato dal dharma e dal Signore; ma se il dharma venisse a mancare in India, nel cuore del mondo, sarebbe certa la sua distruzione. Proprio per questo, qualora l’India si allontanasse definitivamente dal dharma e dagli śāstra, la distruzione del mondo diverrebbe inevitabile. Come è più importante proteggere il cuore che le altre parti del corpo, così il Signore si manifesta per la protezione del dharma e degli śāstra [che sono il cuore dell’umanità]. Sebbene moltissimi paesi abbiano deviato dalla Tradizione primordiale, tanto da perdere ogni conoscenza e sacralità dei riti come l’agnihotra28 ecc., e del karma relativo alle tre principali divisioni della società (traivarṇika karma)29, tuttavia in essi è rimasto una sorta di dharma servile (śūdradharma)30 o semplicemente umano31. Con l’ascolto dei Purāṇa e degli Itihāsa quelle società decadute possono migliorare e incamminarsi di nuovo nella direzione del dharma32. Ma il vero insegnamento porta successo solamente a chi è in accordo con esso, non a chi ne è contrario. Coloro che rigettano i Veda, gli śāstra e la legge vedica, anche se fossero brāhmaṇa non potrebbero venire istruiti da alcuno. Tutte le creature sono parte del Signore, perciò gli sono care e mai, da Lui o dai suoi devoti, ignorate o escluse. Anche in quei paesi o società che oppongono una testarda resistenza al dharma vedico, per mantenersi anche di poco sulla retta via, qualche personalità di spicco riesce a stabilire e diffondere una vaga forma di ordine. Anche in quel caso vi è un atto regolatore e un controllo degli istinti più bassi. Ma è necessario che da qualche parte venga mantenuto il vero dharma e le scritture che lo insegnano. Per questo nella terra di Bhārata, il cuore spirituale del mondo, il Signore si manifesta per la protezione del Veda, degli śāstra e della Tradizione primordiale. In altri paesi si dice che in qualche dove si è manifestato il messaggero di Dio, oppure il figlio di Dio, ma solo in India si ha la discesa del Signore stesso, perché la difesa del dharma vedico e della sua luce intellettuale rende possibile la protezione di tutto il mondo. La luce dell’ātman non è direttamente percettibile in ogni parte del corpo, però da ciò non si può inferire che l’ātman sia ristretto o limitato. Anche se il Signore si manifesta solo in India per la restaurazione del dharma, non è comunque possibile sostenere alcun particolarismo delle sue scritture. Il dharma vedico è realizzabile ovunque ci siano personalità autorevoli, i cui giudizi siano costantemente validi e non viziati, che agiscano per il più alto grado di benessere di tutti gli esseri viventi. Riflettendo su quanto detto si potrà comprendere perché gli avatāra si manifestano solo in India.

    Oṃ śānti śānti śānti

    1. Svāmī Śrī Hariharānanda Sarasvatī, “Bārata hī meṇ avatāra kyoṇ”, in Bhakti Sudhā, Vṛndāvana-Dillī-Kolkattā, Rādhākṛṣṇa Dhānuka Prakāśan Sansthān, 2000. Tradotto e annotato da Corrado Puchetti in L’uomo e il sacro in India: Svāmī Karapātrī, G. Pellegrini (cura di), Indoasiatica 5, Venezia, Cafoscarina ed. 2009, pp. 207-218.[]
    2. La Legge Universale, l’Ordine Cosmico Integrale, la Tradizione primordiale. Dalla radice verbale dhṛ, “tenere, mantenere, portare, conservare, continuare, continuare a vivere”, ecc. Il termine dharma ha un’estensione di significati più ampia della parola religione con il quale viene spesso tradotta: nel suo significato più generale non designa altro che una “maniera d’essere”; individualmente è la natura essenziale di un essere (svadharma), ma la stessa nozione può essere applicata a una collettività organizzata, a una specie, a tutto l’insieme degli esseri di un ciclo cosmico o all’ordine totale dell’Universo. Nelle lingue analitiche moderne la parola dharma rende una gamma di significati quali “tradizione, statuto, ordine, legge, uso, pratica, osservanza di una condotta precisa, dovere, diritto, giustizia, virtù, moralità, religione, opere di bene, natura, carattere, condizione o qualità essenziale, marchio, peculiarità”, ecc. In MahābhārataŚānti Parvan, 109.11, si legge: “Dharma è così chiamato perché conserva (dharaṇa) il mondo; quindi ciò che possiede questa caratteristica di sostegno e conservazione è dharma”. Nel buddismo dharma sono i precetti morali, la legge o la dottrina.[]
    3.  Il senso è che il Signore assume un’avataraṇa, una discesa della Divinità sulla terra. Le più famose sono le dieci principali forme di Viṣṇu: il pesce, Matsya, la tartaruga, Kūrma, l’uomo-leone, Narasiṃha, il nano, Vāmana, Paraśurāma, Rāmacaṅdra, Kṛṣṇa, e il Buddha (a volte Jagannātha); le prime nove sono già passate, mentre la decima, il Kalkin, arriverà alla fine di quest’era, il kaliyuga. Nel mito, e secondo le diversità delle età cicliche, ognuno di costoro svolge la funzione di restaurare il dharma qualora il disordine minacci di avere il sopravvento. La funzione dell’avatāra ha insomma tre scopi: la protezione dei giusti, la distruzione degli iniqui e la restaurazione del dharma. Secondo alcune letture l’ottavo avatāra di Viṣṇu è Balabhadra o Balarāma, fratello maggiore di Kṛṣṇa che, in tal caso, diventa il nono avatāraŚrī Mahādevī Bhāgavata Purāṇa (I. 3): “… nella lista delle ventisei discese di Mahāviṣṇu, Buddha è il venticinquesimo avatāra”.[]
    4. Bhagavad Gītā, IV. 7-8.[]
    5. Usiamo la parola Signore per Bhagavān, “dotato di splendore,” “glorioso,” “dotato di maestà,” usato spesso come sinonimo di Viṣṇu. Si tratta del Brahman considerato in relazione con la manifestazione, identificabile con Īśvara, nella sua funzione causale.[]
    6. Bharata, figlio di Duṣyanta e Śakuntalā, fu un re della dinastia lunare che regnò sull’India per ventisettemila anni e perciò quella terra prese da lui il nome di Bhārata, come viene ancor’oggi chiamata tradizionalmente. La presenza del fiume Sindhu fece chiamare questa terra Hindustan dai Persiani, per cui, in seguito, fu chiamata India dagli occidentali. Così fu detto hindū dharma quel dharma cui partecipavano le genti a oriente del suddetto fiume; ma in nessun riferimento bibliografico dai testi sia vedici sia purāṇici si trova l’epiteto hindū. L’aggettivo sanātana, “perenne, permanente,” spesso affiancato alla parola dharma, sta a indicare la primordialità, la perpetuità e la stabilità del dharma vedico.[]
    7. Azione, rito. Il karma può essere inteso come atto sacrificale, nel senso di sacrum facere, o, in senso generale, come l’intero aggregato delle azioni.[]
    8. Ordine, comando. Ogni trattato scientifico, testo o manuale in grado, con i suoi dettami, di recare insegnamenti benefici all’uomo, s’indica con il termine śāstraśāstraṃ hitaśāsanāt. Spesso il termine comprende anche i Veda.[]
    9. Termine tecnico dalla Pūrvamīmāṃsā che indica l’autorità delle sole scritture dottrinali.[]
    10. Memoria, tradizione. Costituisce un corpo di testi che trasmette ciò che è ricordato, in forma riflessa, a differenza della śruti, la conoscenza vedica direttamente trasmessa dai veggenti (ṛṣi).[]
    11. Varṇāśrama è l’istituzione delle quattro divisioni per rango sociale della società hindū, mentre, per ogni singolo individuo, è l’istituzione dei quattro stadi della vita tradizionale, finalizzati alla prosperità mondana e alla Liberazione. Con la parola varṇa, colorazione, si attribuisce un colore alle quattro principali funzioni della società: il bianco corrisponde alla funzione intellettuale, quella dei brāhmaṇa; il rosso a quella di controllo, della nobiltà guerriera, gli kṣatriya; il giallo alla funzione amministrativa, mercantile, agricola e allevatrice, soddisfatta dai vaiśya, mentre il nero corrisponde agli śūdra, che sono preposti al servizio delle altre tre caste. Āśrama è ciascuno dei quattro stadi nella vita dei brāhmaṇa, cioè il periodo di studentato (brahmacārya), quello di capofamiglia (gṛhastha), cui segue un periodo di abbandono delle cose del mondo e interiorizzazione dei riti sinora compiuti esteriormente (vānaprastha) e, infine, la rinuncia totale (saṃnyāsa). Gli kṣatriya e i vaiśya possono, tradizionalmente, accedere ai primi tre āśrama, ma difficilmente al quarto stadio; tuttavia anche su ciò vi sono differenti punti di vista.[]
    12. In BhG X. 6, sono indicati i sette Veggenti, Bhṛgu e i quattro Legislatori come dei Manu, tutti nati dalla mente di Bhagavān e dai quali hanno origine tutte le creature di questo mondo.[]
    13. Lakṣya è ciò che deve essere definito. Lakṣaṇa è la definizione in quanto tale, che deve esprimere la caratteristica inconfondibile di un oggetto (asādhāraṇa dharma), in modo da corrispondere in tutto e per tutto al lakṣya.[]
    14. Una definizione, per essere del tutto calzante, deve essere priva di tre tipi di errori (doṣa), che sono quelli espressi nel testo. Si dice avyāpti, o estensione ridotta, quella definizione che coglie solo una parte dell’oggetto da definire, lasciando indefinita l’altra parte. L’esempio classico è: “la vacca è bianca”, definizione che coglie una parte dell’oggetto, in quanto alcune vacche sono bianche, ma che non include anche le vacche di altri colori. Ativyāpti, è l’eccessiva estensione ossia quando la definizione si estende a un campo che non ha più a che fare con l’oggetto da definire, per esempio: “La vacca ha le corna”. Vediamo, infatti, che le corna sono anche caratteristica di cervi, bufali ecc. Asambhava, è la totale inapplicabilità di una certa definizione all’oggetto da definire, come “La vacca ha uno zoccolo unito”, il che è vero per i cavalli, ma non per le vacche che hanno gli zoccoli bipartiti.[]
    15. Sattvarajastamas, le tre principali qualità, o meglio, tendenze (guṇa), che sottendono alla manifestazione. Si veda BhG XIV et passim.[]
    16. “Compi esattamente il rito”, BhG IV. 15.[]
    17. BhG XVI. 24.[]
    18. BhG XV. 15.[]
    19. BhG IX. 17.[]
    20. BhG X. 22.[]
    21. BhG XI. 23-24. “Ignorando i precetti delle scritture, chi agisce sotto l’impulso della passione non ottiene perfezione né felicità né lo scopo supremo. Quindi siano gli śāstra il tuo autorevole riferimento su ciò che è da fare e da non fare. Compreso il tuo dovere, come presentato dalle ingiunzioni delle scritture vediche (śāstra), sii in grado di compierlo.”[]
    22. Si confronti con Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, II.4.10.[]
    23. BhG VII. 3.[]
    24. Il cielo, la dimora degli Dèi. Un luogo dove si fruiscono i frutti delle azioni meritorie, anche se per una limitata estensione temporale.[]
    25. Vedi BhG XVI. 1-2, et passim.[]
    26. Uno dei nomi di Indra è Ṥatakratu, Colui che ha compiuto cento sacrifici del cavallo.[]
    27. Manusmṛti, II. 20.[]
    28. Oblazione giornaliera al fuoco.[]
    29. Le prime tre categorie (brāhmaṇakṣatriya vaiśyav. n. 11) dette anche dvijā, due volte nati.[]
    30. Dharma in questo caso indica l’insieme di diritti e doveri degli śūdra, la casta più bassa. Con il termine śūdradharma, si allude a una sorta di ordine minimale mantenuto possibile grazie a una rigida morale, spesso cieca e sorda, e alla minaccia esercitata del potere temporale.[]
    31. Mānavadharma, il dharma proprio alla natura umana, ovvero una norma che riconosce in modo convenzionale la legge naturale, l’ordine insito nelle cose.[]
    32. È da notare che la smṛti è raccomandata come mezzo più adatto per restaurare il dharma in una società decaduta, e non la śruti, che richiede una partecipazione alla tradizione per nascita e un grado di purezza oggi raro anche in India.[]

    Why do the avatāras manifest themselves exclusively in India?

      Śrī Śrī Svāmī Hariharānanda Sarasvatī “Karapātrī

      Why do the avatāras manifest themselves exclusively in India?1

      O Bhārata! Any time the order (dharma) decreases and disorder (adharma) increases, I manifest myself. From age to age (yuge yuge) I descend to protect the sage, to annihilate the wicked and restore the dharma.2

      Herein the following reflexion arises: doeth the Lord descends into the world to protect the dharma only in India or likewise in other parts of the world? And if He descends only in India, how can He be the Lord of everything? He is the controller and the fulcrum of the whole universe. His function is to eliminate from the entire universe the filth of perversion and re-establish virtue. That is, stopping the decadence of dharma and the rise of adharma, the principles of the universal law are restored, the sages are protected and the evil destroyed.
      However, why only in India doeth the Lord take a shape to carry out those tasks? The Lord, righteous and all-pervading, should accomplish these goals as avatāra in every part of the world. And if there are avatāras in every country, who are they? Therewith it must be clarified if religions (dharmas) have been established and maintained by the Lord Imself. If so, why do exist religions so different and hostile to each other, depending on temporal circumstances, and not only in different countries but also in the same country? Why such antagonism and so many differences if dharma is based on one and only almighty and omniscient Lord?
      The followers of the religions came in conflict among each other to the point of pursuing the destruction of the others’ dharma in order to make their doctrine prevail. How can we say that these doctrines are dharma and the Lord is truly their founder and keeper? Considering these question, it is first of all necessary to make clear which dharma is meant in the aforementioned excerpt from Gītā. Once this is understood, it will be then clear who are the sages and who are the wicked, because in the dharma established by Kṛṣṇa the qualities of both the righteous and the iniquitous are defined. It is today undeniable the great importance given to the universality and the extension of the Gītā teachings on dharma and karma, also in popular form. Although Gītā defines with extreme simplicity the boundaries of dharma, firstly making clear that karma is fully understandable only through the śāstras (śāstraikasamadhigamya), nevertheless also in the writings of modern critics the same idea of universality shines through. According to some, if only the Vedas can be considered authoritative texts and the dharma is the action deriving from indications of the vedic (śruti) and purāṇic (smṛti) orthodoxy, attaining to principles of the caste and of the stages of life (varṇāśrama), intelligible only through the scriptures, then, in this case, Gītā would represent only a reduced form, thence limited. This statement, however, does not fit to a text of universal value as the Gītā is. On the other end, compared to the rest of the world India is a small country in which respect and propagation of Veda and dharma are cultivated only in some environments. Until Gītā is considered subject to the same textual instructions (śāstra) and to the same dharma, then it will be nothing more than the scripture of a definite country, it will not be considered neither universal, neither unanimously shared.
      Following this assumption, in every country, depending on the historical time, authoritative texts are considered those in which the most brilliant thinkers codify the actions as in accordance or non accordance to the norm.
      Following the same scriptures, karma and dharma are those actions motivated by political, economical, individual or collective needs.
      Moreover, will be assumed as authoritative those writings of wise and respectable persons deserving unanimous consideration, who define prosperity and well-being in this life and in the other world for the creatures belonging to a certain country in a defined historical time.
      This mentality considers dharma every action (karma) produced by body, senses, mind or reason, intended to bring prosperity. Though asserting what aforesaid, they insist on the universality of the Gītā’s message. Considering the typical perspective of these modern thinkers, based on empirical proceedings, [one will realize that nevertheless] in their own way, they wish to recognize the greatness of  the Gītā, making its message (or rather, what they understand of it) universal. However, they pretend to do it denying its principles and meanings and therefore they are foreclosed on any attribution of universality. As a matter of fact, one can recognize the greatness of something only respecting its proper nature. One cannot claim to recognize its greatness when its very nature is betrayed, intellectuals know the difference between the material advantages and disadvantages that man of limited knowledge, strength and capacity of action can obtain. But many are those completely blind on how to know and achieve the otherworldly and metaphysical bliss. Depending on the different ages and places, enormous changes take place in activities and customs related to wealth and pleasures. Therefore it is impossible for the man to define a single way of behaviour on such matters. But the teachings of Prajāpati, Bṛhaspati, Śukra, Manu and other almost omniscient (sarvajña) Seers and Lawmakers, are the base on which some change or conservation can be easily and unerringly made. For the ignorant (alpajña) it is extremely difficult to understand which are the actions that, in the afterworld, will generate joy or sorrow. In spite of great differences of space, time and circumstances, variations in dharma and adharma are not limitless. In fact, if even in politics (nīti) it is impossible a disorderly change, in the dharma it is even more so. In any situation one must determine the entity to be defined (lakṣya) depending on the definition itself (lakṣaṇa). When defining an object directly verifiable through our senses (pratyakṣa), then the definition must be without defects, like lack of pervasiveness (avyāpti) or excessive pervasiveness (ativyāpti) or impossibility (asaṃbhava). But when something is not immediately perceivable (apratyakṣa), its determination will be done only through the definitions. In this case, when the definition is not well-fitting, the comprehension of what is defined (lakṣya) remains defective. But nowadays, in the society, what is correct or incorrect is decided on the behaviour of the majority. Considering the actual status of things, modern mentality is adapted to an unceasing change. One thing is to define the dharma following its original teachings, while another thing is to set the limits of dharma on an individual situation and behaviour. Following the Gītā perspective any kind of action or effort is not necessarily dharma because, without order, the action is conditioned by the three tendencies [guṇas] inherent to the manifestation. So, in sentences as “kuru karmaiva3 and others, the karma to which we naturally tend is the one to be accomplished as indicated by the scriptures. Therefore it is said that a śāstra is the measure and warranty of what to do and not to do: “Once known the principles dictated by the śāstra, let’s the karma be done”4.
      The śāstra is not a collection of disorderly rules established by the different societies in differet ages, because according to the times, a more spiritual or secular tendency might prevail.
      The society is composed by many individuals and there is no certainty about their capacity of discrimination. Also the best person can be wrong in the simplest things; in this time it is firmly truly believed what it is understood, even though, in hindsight, one realizes his own limits and mistakes. The influence of agitation produced by rajas and dullness due to tamas can blur the natural, crystal clear dominance of sattva in the intellect (buddhi).
      This last quality is clouded if it does not show a tension toward the Supreme and lacks in discipline (yoga). For this reason today ignorance and error pervade any rank of the society, also in a collective form. To define dharma and adharma no individual evaluation is needed, neither by the collectivity nor by the majority. The rules established by an individual or a society, also concerning ethics, politics or economy, will not produce a stable successful outcome. A true success comes only from the knowledge of the principles of politics, ethics and economy as described by Manu and the other all-knowing sages.
      For example, in medicine it has no value that the opinion of a doctor is validated by thousands of scientist, if they are expert in different topics. At the same time, in regard to dharma, any particular point of view ignoring the vedic teachings will have no permanent value. According to Gītā, the Vedas are the scriptures which establish which actions are to be done.
      When dealing with śāstra, the Gītā cites the Vedas: “I am the One which is known by all the Vedas”5, “ṚgSāma and also Yajur6, “Among the Vedas, I am the Sāma7. The disciple (Arjuna), the Guru (here represented by Kṛṣṇa), the Author and all the great men described in different contexts of the Gītā and of Mahābhārata, are characters of the vedic society and culture, in which they strongly believe. In the Gītā vedic techings, the Vedas themselves and all the textual tradition in accordance with the vedic principles, converge. All the actions narrated are in accordance with the textual prescriptions both for the mundane aspects and for the strict rules related to casts and stages of life. The Gītā is coherent with the śāstra, representing a course of action which, in the different aspects of existence, is exactly the one to be followed. (vidheya).
      Although śāstra and dharma are the root of prosperity, in this and the next world, and from them everyone can benefit, as a consequence of the general decline caused by the upheaval of the times, someone could define them as closed and resticted, but this is the evidence of an individual and limited interpretation. The conditions of reality do not worry about being liked or no by single creatures. Things that change depending on the worldly transformations are not real. The members of a society have the duty to follow the rules of the institution and those undisciplined who do not accept this, must be expelled. The fundamental principles of the society must not change for the sake of some insubordinate individuals. Legislators and rulers loyal to dharma and to the vedic culture duly expelled those infringing the rules which, being of divine origin and based on a stable foundation, are devoid of error.
      Those who think in a disharmonious and confused way ignore the correct path indicated by the śāstra because ṚgSāmanYajusMantras, Brāhmaṇas, Sūtras, Kalpas, Itihāsas, Purāṇas, all together are the true breath of Īśvara, eternal (nitya), with no beginning (anādi). Any spatial, temporal and circumstantial change is fixed from the beginning. Dharma cannot be intended as closed or resticted, even if today the number of those who pursue it, is greatly diminished.
      Very few are those who have directly realized the Supreme Identity or better yet, those who are interested to obtain it8. Nonetheless, fact remains that dharma is inherent to the essence of things and has an universal breath. But inspite of the completeness and universality of śāstra and dharma, with the progression of the cosmic cycle and the increase of the disorder, the majority of the countries and the persons have deviated from the path of righteousness. Also in India those faithful to dharma are a minority. We know from the śāstra that as in the svarga and in other planes of existence, also many parts of Earth (bhūmaṇḍala) were places of mere fruition (bhogabhūmi) and not of action (karmabhūmi). Therefore a law was established specifically for humans (mānava dharma) which contemplated respect, truth and other virtues9. Always India has been considered the land of sacrifice, karmabhūmi. There, the perennial Tradition fully flourished in its various facets,the varnāśrama, the sacrifice (yajña), the yoga and all the other phenomena described in the Veda. In India it was easy to attain perfection (siddhi) in the rituals, in spiritual practices and in knowlwdge. Thanks exactly to the rites here performed, Indra obtained his state of Lord. For this reason even the gods want to be born in India. As a lantern located in a place in the house can illuminate it all, only in the sole space of the heart, antarātman, the inner soul, reveals itself, lighting up and activating the whole body. Similarly, the land of Bhārata [India] is the center of the entire terrestrial sphere. According to Purāṇas, the Jambu dvīpa -the Indian subcontinent- is located at the center of the other islands. Mount Meru is placed on it and its most important extension is the land of Bhārata. For this reason India is the heart of the entire world.
      As the ātman, albeit all-pervading, finds its most appropriate place of manifestation in everyone’s heart, in the same way the rules given by the scriptures and by the Lord who has enacted them, although universal and all-encompassing, are specially manifested in India. The whole world is illuminated and, on made consistent to the norm thanks to the light of knowledge and the influence of dharma infused by India. The Manu code states:

      Etaddeśaprasūtasya sakāśādagrajanmanaḥ/ svaṃ svaṃ caritraṃ śikṣeran pṛthivyāṃ sarvamānavāḥ
      Every man in this world should learn the proper behaviour from the brāhmana born in this place.10

      Life can remain in the body even if hands or feet or other parts are missing, but it is impossible for the life to go on without the heart. So the world continues to exist, even if the other countries deviated from the path of dharma and from the Lord; but if the dharma would be lost in India, in the heart of the world, its destruction would be certain. This is exactly why, if India would move completely away from the dharma and the śāstra, the annihilation of the world would be unavoidable. As it is more important to protect the heart than the other parts of the body, similarly the Lord manifests Itself for the protection of dharma and śāstra [which are the heart of humanity]. Although so many countries have strayed away from the Primordial Tradition to the point of loosing any knowledge of the holy rites like agnihotra etc, and of the karma related to the three principal divisions of the society (traivārṇikakarma), yet a sort of reduced dharma, (śūdradharma), simply human, has remained. Through the listening of the Purāṇas and the Itihāsas those fallen societies can improve and start again to proceed in the direction of dharma.
      But the true teaching brings success only to those who agree with it, not to those who disagree. Those who reject the Veda, the śāstra, the gods and the vedic law, even if being brāhmana, they could not be taught by anyone. All creatures are part of the Lord and therefore, being dear to Him, they could never be ignored or excluded by Him and by His devotees. Also in those countries or societies that stubbornly resist to vedic dharma, with the purpose to keep the right path as much as possible, some high-profile individuals manage to establish and spread a loose form of order.
      Also in that case there is a regulatory act and a control of the lowest instincts.
      But it is necessary that somewhere the true dharma and the scriptures that teach it be preserved. Thus, in the land of Bhārata, the spiritual heart of the world, the Lord manifests Itself to protect the śāstra and the Primordial Tradition. In other countries it is said that somewhere God manifested a messenger or His own son, but only in India the Lord Himself descended, because the defense of the vedic dharma and its intellectual light makes possible the protection of the entire world. The light of dharma is not directly perceivable in any part of the body, but this does not mean that ātman is restricted or limited. Even if the Lord manifests Himself only in India to restore the dharma it is still not possible to advocate any particularism of its scriptures.
      Vedic dharma can be achieved where authoritative personalities whose judgments are consistently valid and not distorted, take action to attain the highest degree of prosperity for all the living creatures. Considering what was said, it will be understood why the avatāras manifest themselves only in India.

      Oṃ śānti śānti śānti

      1. Svāmī Śrī Hariharānanda Sarasvatī, “Bhārata hī Meṅ Avatāra Kyoṅ”, Bhakti Sudhā, Vṛndāvana-Dillī-Kolkattā, Rādhākṛṣṇa Dhānuka Prakāśan Sansthān, 2000. Edited by Corrado Puchetti. Engl. transl. by RC.[]
      2. Bhagavad Gītā, IV. 7-8.[]
      3. “Perform exactly the rite”, BhG IV. 15.[]
      4. BhG XVI. 24.[]
      5. BhG XV. 15.[]
      6. BhG IX. 17.[]
      7. BhG X. 22.[]
      8. BhG VII. 3.[]
      9. See BhG XVI. 1-2, et passim.[]
      10. Manusmṛti, II. 20.[]