30. La seconda conversione dell’Europa al Cristianesimo
La seconda conversione dell’Europa al Cristianesimo
Maewyin Succat, più tardi noto come S. Patrizio, nacque intorno al 385 in Britannia. Suo padre Calpurnio era un patrizio romano e sua madre Conchessa una britanna di famiglia sacerdotale druidica. A sedici anni fu rapito da pirati scoti, e portato in Irlanda. Nel periodo di prigionia egli rimase affascinato dalla verde isola e dai suoi fieri abitanti. L’Irlanda era divisa in cinque regni disposti come quel numero su un dado da gioco. La religione druidica vi era fiorente, rappresentata dalle caste sacerdotali dei druidi, bardi e fili che, oltre alle funzioni rituali e sapienziali, si dedicavano con passione alle arti, soprattutto a quelle della musica, della poesia e del canto. I cavalieri, tra i quali erano scelti i cinque Re d’Irlanda, erano una casta bellicosa, impetuosa, cultrice di ogni arte marziale, perennemente in guerra e, in tempo di pace, dedita alla pirateria.
Dopo pochi anni Patrizio riuscì a fuggire e a raggiungere la Gallia (oggi Francia), dove studiò per diventare prete cristiano nella città di Auxerre dei Burgundi. Una volta prete, si fece monaco nell’eremo di Lérins in un’isola della Provenza. Il suo amore per l’Irlanda, tuttavia, lo spinse a ritornare in quell’isola a predicare il cristianesimo. Egli espose la sua dottrina ai Re del luogo, al cospetto dei druidi. I druidi riconobbero che il cristianesimo predicato da S. Patrizio non era incompatibile con la tradizione ancestrale degli scoti. Così i Re decisero di convertirsi assieme a tutti i loro sudditi. I druidi, i sacerdoti celtici, divennero monaci, assumendo tutta la forma esteriore dell’essoterismo cristiano; però essi mantennero al loro interno l’antica iniziazione druidica. Ebbe così inizio quella che più tardi fu denominata chiesa Culdea.
I culdei, come i loro predecessori druidi, vivevano da eremiti in plaghe lontane dai centri abitati, coltivando la conoscenza e svariati tipi di scienze e arti. Ognuno seguiva le istruzioni del suo maestro, senza che ci fosse una regola comune. Pochi tra loro, poi, assunsero il sacerdozio, considerato un’attività troppo mondana e secolare. Le conoscenze metafisiche e cosmologiche dei druidi celtici furono così conservate e tramandate sotto forma cristiana. Con la conquista irlandese dell’attuale Scozia, la Chiesa culdea cominciò a diffondersi in tutte le isole britanniche. Quando quelle isole subirono la disastrosa invasione dei barbari angli e sassoni, i culdei svolsero la medesima funzione di “arca” per la sopravvivenza della tradizione iniziatica druidico-cristiana, esattamente come in Italia, Spagna e Gallia stavano facendo i monasteri latini.
Come è stato descritto nel capitolo precedente, la situazione del clero nella chiesa cristiana dipendente dal papa era decaduta al massimo della degenerazione. I preti spesso non conoscevano neppure il rito del battesimo e le formule sacramentali richieste. Il clero non aveva alcuna preparazione dottrinale e la sua condotta era del tutto riprovevole. Poiché si era stabilito il sistema delle decime, i fannulloni si facevano preti per poter vivere senza lavorare. A quell’epoca non era stato ancora stabilito il celibato dei preti, per cui approfittavano della situazione per vivere con numerose concubine. I preti che volevano fare carriera ecclesiastica, invece, si dedicavano a stringere amicizie con vescovi, con capi barbari, con signori delle villæ, diventando complici dei numerosi soprusi e crimini di quel periodo di disordine dopo la caduta dell’Impero. I monaci latini si difendevano da tanta corruzione tagliando il più possibile i rapporti con il clero esteriore.
Fu così che i monaci culdei intrapresero un’opera di ricristianizzazione dell’Europa continentale. Nel corso dell’intero VI secolo molti monaci scoti si trasferirono nel continente, dando così un esempio di vita spirituale ormai dimenticata. Come i druidi in Irlanda erano stati strettamente collegati alle famiglie dei cavalieri, così questi eremiti scoti, trasferitisi in Europa, strinsero legami con le famiglie patrizie di origine romana e con i monasteri benedettini, svolgendo in entrambi i casi una funzione d’insegnamento. Essi apportarono anche tecniche e abilità artistiche che contribuirono a ingentilire gli ambienti in cui s’installavano.
Nel secolo successivo, un’azione di correzione dottrinale del cattolicesimo fu intrapresa anche da monaci britanni discepoli di maestri scoti e, nell’ottavo secolo, anche da eremiti angli, ormai civilizzati. Tra questi menzioniamo il celebre Beda, il Venerable (673-735), santo erudito, che conosceva il greco e l’ebraico, oltre al latino. I suoi scritti furono dedicati alla spiegazione del simbolismo iniziatico dei testi classici, della Bibbia e della patristica. Scrisse anche di storia, di scienze, ma la cosa più notevole è che nei suoi scritti teologici si riprendono le dottrine apofatiche di Dionigi Areopagita e quelle neoplatoniche di Severino Boezio. In questa linea di trasmissione (paramparā) si deve inserire Scoto Eriugena (810-877), i cui scritti metafisici saranno poi seguiti dalla scuola dei maestri franco-scoti dell’abbazia parigina di S. Vittore e, infine, da Dante e da Meister Eckhart.
La riconversione dell’Europa occidentale raggiunse il pieno successo con S. Bonifacio (680-754): discepolo dello scoto Willibrordus, l’anglo Bonifacio (Wynfrith) partì con alcuni monaci culdei alla volta della Germania per convertire i popoli barbari che colà si erano stabiliti. Il Re dei Franchi Carlo Martello lo incaricò di evangelizzare l’Assia e la Turingia che da poco erano entrate a far parte del suo regno. S. Bonifacio si rese conto che i monaci culdei erano scollegati tra loro e che per questo la loro azione, anche se meritevole, procedeva lentamente. Si recò allora a Roma e chiese al papa di nominarlo vescovo; entrò quindi nell’ordine monastico benedettino. Con questa nuova carica, e con alle spalle l’organizzazione benedettina, egli ritornò in Germania. Lì organizzò i culdei nell’ordine di S. Benedetto, facendo riconoscere la sua autorità episcopale. Ben presto nominò diversi altri vescovi e diresse con polso fermo costoro e i monaci celti a lui subordinati.
La situazione della religione ancestrale dei popoli germanici era gravemente decaduta, anche per la scomparsa del loro sacerdozio. Bonifacio sfidò gli Dei germani, dimostrando con prodigi e miracoli l’inefficacia della loro religione. La sua azione si svolse a tutti i livelli. Alla sua autorevolezza si piegarono Re e principi, restaurò gran parte delle leggi del defunto Impero Romano adattandole alla nuova situazione. Spazzò via il vecchio clero corrotto e inviò suoi emissari in tutta la Germania, in Gallia (Francia), Italia e Spagna. I papi, che si succedettero a Roma, ascoltarono con reverenza i suoi insegnamenti e l’intero clero latino d’Europa, riconoscendo la sua supremazia spirituale, seguì le sue sagge ingiunzioni. In questo modo anche la gerarchia cattolica subì un certo raddrizzamento. Dalla sua abazia di Fulda egli restaurò il cattolicesimo anche dal punto di vista teologico, imponendo all’essoterismo cristiano dei punti di vista dottrinali che traeva dalle sue conoscenze iniziatiche. Senza la sua azione quasi certamente il cattolicesimo sarebbe scomparso. Svolse una funzione profonda a livello esoterico, religioso e di ordine temporale, che soltanto S. Bernardo potè eguagliare quattro secoli più tardi. Facendo incontrare il Re franco Carlo Martello con il papa Stefano II, egli pianificò con cura la resurrezione dell’Impero Romano d’Occidente.
Petrus Simonet de Maisonneuve