11. La Civiltà greca: il lato luminoso (III)
La Civiltà greca: il lato luminoso (III)
Esoterismo, i misteri: da tempo immemorabile l’esoterismo, il dominio iniziatico, nell’antica Grecia aveva assunto la forma dei Misteri. Come già spiegato nel terzo articolo (Iniziazione e Misticismo), Mistero significa qualcosa di incomunicabile e myste, l’iniziato, ha lo stesso significato e origine etimologica di muni, colui che rimane in silenzio. Occorre però distinguere tra mistero e segreto: il segreto è un’informazione che deve rimanere riservata, ma se rivelata può essere compresa e comunicata da chiunque; al contrario il mistero, se esposto pubblicamente e spiegato, rimane incomprensibile per tutti coloro che non sono qualificati a comprenderlo (jñānādhikārin), essendo incomunicabile per sua natura.
I Misteri erano delle Organizzazioni iniziatiche con un Gran Maestro chiamato “Ierofante” (ἱεροφάντης, leggi hierophàntes “colui che mostra le cose sacre”), il Guru principale, e un certo numero di mistagoghi (μυσταγωγοί, leggi müstagogòi), gli Upaguru. Ad eccezione dei Misteri Eleusini che avevano sede solo ad Eleusi, gli altri Misteri avevano i loro rappresentanti in quasi tutte le città greche.
I Misteri eleusini: una delle più antiche sedi di Misteri era a Eleusi. Sin dal tempo della civiltà micenea di popolazione acheo pelasgica (XVI-XI secolo a.C.), i Misteri Eleusini erano già famosi in tutta la Grecia: il mito di Demetra (sskrt. Devamātṛ) spiega le origini di questo santuario.
Demetra era la Dea della Terra e la protettrice dell’agri-coltura, specialmente del grano. La Dea aveva avuto da Zeus, Dio del cielo, una figlia di nome Persefone, “colei che dà crescita”. Un giorno Ade, il dio del regno dei morti, la rapì per farne la sua sposa e a tal scopo la trascinò negli inferi. A causa dell’assenza di Persefone, la terra non poteva più produrre nulla, con grave nocumento per uomini e animali.
Demetra disperata, vagò a lungo cercando la figlia e, durante il suo peregrinare, ricevette generosa ospitalità dal Re di Eleusi: per ripagarlo, la Dea iniziò il figlio del Re ai Misteri dell’agricoltura. In seguito, Demetra fece anche un accordo con Ade affinché Persefone potesse rimanere con lei sulla terra per sei mesi e per gli altri sei mesi con il marito, nel regno sotterraneo. Così iniziarono ad alternarsi l’estate e l’inverno. Ma quale era il significato iniziatico dei Misteri Eleusini?
L’uomo è come un chicco di grano; se non viene messo nella terra per marcire, la nuova spiga non crescerà: questo è il segreto della morte iniziatica, morire prima di morire, cioè durante la vita, così importante per tutti i Misteri Greci. Questa morte è la fine della condizione profana e il conseguimento della rinascita come iniziati. Per questo motivo, il nuovo iniziato ai misteri eleusini veniva chiamato neofita (νεόφυτος, leggi neòphytos), nuova pianticella.
La crescita spirituale dell’iniziato era raggiunta quando questi fosse stato in grado di produrre la spiga di grano in sé stesso, cioè acquisisse la capacità di avere discepoli diventando così un maestro. I Misteri Eleusini erano divisi in due fasi: Piccoli Misteri e Grandi Misteri. I Piccoli Misteri venivano celebrati alla fine dell’inverno e consistevano in una serie di prove iniziatiche di purificazione, di catarsi (κάθαρσις, leggi kàtharsis). I Grandi Misteri si svolgevano in autunno ed avevano al centro della loro ritualità la morte iniziatica a cui seguiva la trasmissione del metodo (μέθοδος, leggi méthodos, “la via per andare oltre”, cioè sādhana mārga). Il metodo consisteva in attività che coinvolgevano corpo, parola e mente (dròmena, legòmena e deiknỳmena). Un anno dopo l’Iniziazione ai Grandi Misteri, lo Ierofante insegnava al neofita il modo in cui ottenere la visione interiore (ἐποπτεία, leggi epoptèia, in sanscrito antardarśana). Gli iniziati che realizzavano conoscenze superiori, venivano poi riconosciuti come maestri e capaci di trasmettere l’iniziazione (μύησις, leggi mỳesis o τελετή, leggi teletè). Il grado successivo era quello degli “amici di Dio” (θεόφιλες, i teofili), quelli che dopo la morte avrebbero condiviso la dimora degli dei.
I Misteri dionisiaci: questi Misteri, sebbene diffusi in tutta la Grecia e in seguito in tutte le città dell’Impero Romano, non erano di origine ellenica. Infatti, si suppone che il culto di Dionisio da cui derivano, fosse di origine Tracio-Scita (śaka). Secondo il mito, Dioniso, il cui nome significa “figlio di Dio”, nacque più a est della Grecia, da Zeus e Semele. Dal momento che Zeus era sempre apparso alla sua amante in forma umana, quando Semele rimase incinta gli chiese di mostrarsi a lei nella sua forma universale. Ma la teofania del Dio fu così devastante che Semele morì travolta dalla luce di Zeus. Questi tuttavia riuscì a salvare il feto di suo figlio cucendolo nella sua coscia e dopo nove mesi da questa venne alla luce Dioniso (nell’immagine sotto).
Abbiamo già detto che la coscia in greco si chiama meròs, una parola che allude al Monte Meru della tradizione hindū. A causa di questa seconda nascita Dioniso fu anche chiamato Dithyrambus, “nato due volte” (dvija). Per evitare ulteriori pericoli, fu trasformato in un bambino e affidato alle sette ninfe Iadi, figlie di Atlas. Queste gli diedero una terza nascita che corrisponde all’iniziazione vera e propria configurandosi come una rinascita alla saggezza attraverso questi passaggi:
“Il primo maestro è la madre, il secondo è il padre, il terzo il guru”.
In cambio dell’insegnamento impartito a Dioniso, Zeus promosse le Iadi a diventare la costellazione che forma la testa dello zodiaco, Taurus. Grazie a questa conoscenza, Dioniso scoprì la vite e gli effetti del vino; questa bevanda inebriante ebbe un ruolo determinante nella ritualità dei suoi Misteri. Armato di viti e con un corteo di Satiri e Sileni, Dioniso partì alla conquista dell’India. Questa pacifica conquista rappresenta miticamente la penetrazione del Tantrismo nel Subcontinente. Ritornato dall’India cavalcando una tigre o un toro e indossando una pelle di leopardo, Dioniso arrivò per la prima volta in Grecia, ma poiché il suo corteo stravolgeva le vecchie usanze e scandalizzava la gente, non venne ben accolto.
Dovette combattere, anche violentemente, per affermare la sua divinità. I seguaci di Dioniso si riunivano di notte nelle foreste dove tenevano banchetti a base di vino e carne cruda, con orge che coinvolgevano uomini e donne. Al culmine di queste ritualità estreme, il Dio prendeva possesso dei suoi adepti, guidandoli a esperienze di samādhi violento, con comportamenti sfrenati. Non si sa molto dei Misteri Dionisiaci, perché se qualche profano avesse cercato di spiarne lo svolgimento, la pena comminata sarebbe stata la morte per smembramento. Tuttavia, siamo a conoscenza del fatto che anche in quei Misteri c’erano i tre gradi di Katharsis, Paradosis ed Epopteya. Il dionisismo ebbe parecchio successo tra le donne, chiamate Menadi (Baccanti, in latino), molto temute per la violenza della loro trance.
I Misteri orfici: Orfeo, come Dioniso, non era greco, ma di origine Tracia-Scita (śaka). A differenza di Dioniso era figlio di Apollo e ciò indica una rettifica iperborea apportata all’iniziazione dionisiaca.
Orfeo apprese l’arte della poesia e della musica da suo padre Apollo e il suo canto era in grado di domare le bestie e portare ordine nella natura. Quando cantava era come se fosse tornata l’Età dell’Oro. Prese parte a diverse imprese con i più famosi eroi greci, ma il suo ruolo fu sempre quello di pacificatore e protettore. Il nucleo dei Misteri Orfici è illustrato nel mito del suo amore per la Ninfa (sskrt. yakṣiṇī) Euridice: essendo morta per un morso di serpente, Orfeo discese negli Inferi per convincere Ade e Persefone a restituirgli l’amata moglie. Da questo episodio fu riconosciuto a Orfeo il potere di placare le divinità del regno dei morti. Fu concesso, dunque, a Orfeo di riportare Euridice sulla terra dei viventi a condizione che non si girasse a guardarla prima d’essere usciti dagli Inferi. Il suo amore però era troppo ardente e non poté trattenersi dal guardarla; così Euridice scomparve di nuovo. Consumato dal dolore, rifiutò di partecipare a un rituale dionisiaco e per questa ragione fu ucciso e smembrato dalle Menadi.
Anche i Misteri Orfici erano caratterizzati dai tre gradi iniziatici già menzionati: Katharsis, Paradosis ed Epopteia. Sull’Orfismo abbiamo più informazioni perché molti intellettuali che furono iniziati a questi Misteri ci hanno lasciato alcuni ragguagli sulla sua dottrina: all’inizio c’era solo il Caos e nel Caos c’erano tre principi separati: tempo, vita e sostanza. Il tempo modellò la sostanza attraverso la vita e quindi nel Caos apparve un Uovo cosmico d’argento. Quando l’uovo si spezzò in due, Fanes, il Dio che risplende da sé, apparve insieme ai germi di tutte le cose e di tutti gli esseri del mondo.
Fanes si unì alla notte e da loro nacquero il Cielo e la Terra; successivamente dall’accoppiamento di tutti gli dei, nacquero gli spiriti della natura, degli uomini, degli animali e delle piante. Il corpo composto dagli elementi era considerato la categoria più bassa della manifestazione; infatti, nei Misteri Orfici era considerato un carcere da cui liberarsi. Lo strumento per raggiungere la liberazione era l’amore. Per questa ragione questo sentiero iniziatico (sādhanā) fu anche chiamato “Misteri d’Amore”. Attraverso l’amore, ci si distingue dal corpo, dai limiti della condizione umana e si matura la tensione per ritornare a Fanes. Questo processo potrebbe richiedere più di una vita, perciò l’Orfismo insegna la purificazione attraverso successive rinascite, finché si realizza la Divinità nella vita finale. Questo processo di purificazione avviene cancellando le coercizioni del Destino, che corrisponde al concetto di “karma passato”. Facevano parte dei rituali di purificazione anche disposizioni come indossare abiti bianchi, seguire una dieta vegetariana ed evitare sostanze intossicanti.
I Misteri di Samotracia e i Misteri Cabirici: si sa molto poco di questi Misteri. La loro origine atlantidea, attraverso i Popoli del Mare è sicura; quelli di Samotracia erano di origine semitica. Cabiri erano “i due grandi Dei”; infatti in tutte le lingue semitiche (inclusi ebraico e arabo) kabir significa “grande”. I Misteri di Samotracia si diffusero ampiamente in tutte le città costiere dell’Impero Romano, poiché questa iniziazione era riservata ai marinai. Invece i Misteri Cabirici, meno conosciuti, furono l’iniziazione delle corporazioni (śreṇi) dei fabbri. Probabilmente essendo diretti alle classi sociali più basse non attirarono l’attenzione dei letterati e dei filosofi, da qui la quasi totale mancanza di informazioni. Sappiamo solo che in questi Misteri il maestro non era chiamato mistagogo, ma paragogo (παραγώγος, leggi paragògos, “che conduce oltre”).
Questi ambienti iniziatici e le scuole filosofiche ricollegate ai Misteri ci forniscono una visione più completa del destino postumo dei greci. Anche Omero che nel IX libro dell’Odissea descriveva la grigia e triste terra dei morti senza alcun premio o punizione, nel IV libro dei suoi Inni ne fornisce una visione più completa e soddisfacente.
L’Ade era immediatamente sotto la superficie terrestre e vi si poteva accedere attraverso grotte e caverne ben note. La distanza tra Cielo e Terra era uguale alla distanza tra Ade e Tartaro. Questa distanza consente di comprendere l’abissale diversità della punizione che si patisce rispettivamente in ciascuna delle due parti dell’Inferno: i morti che avevano commesso gravi colpe erano puniti nell’Ade; mentre coloro che avevano compiuto azioni infami e gravi contro l’ordine divino e cosmico erano destinati al Tartaro. Infine, gli eroi caduti in battaglia andavano alle Isole dei Beati, nel mezzo dell’Oceano Atlantico. Molto probabilmente questa è un’allusione al sommerso arcipelago di Atlantide, terra dei morti per le stirpi eroiche e nobili. Queste isole erano anche conosciute come “Giardino delle Esperidi”, cioè delle ninfe figlie di Atlante.
Quanto a coloro che avevano compiuto buone azioni, essi ottenevano come premio finale i Campi Elisi, in attesa di trasmigrare a un nuovo corpo. I Campi Elisi erano nel centro dell’Ade, su una bellissima collina molto soleggiata, riservata a coloro che avevano compiuto in uguale misura il bene e il male e a quelli che non avevano mai fatto né l’uno né l’altro.
Questo tipo di inferno più “mite” corrisponde alla descrizione sopra menzionata di Omero.
D. K. Aśvamitra