5. L’approccio storico
L’approccio storico
Con i precedenti articoli abbiamo cercato di fornire ai lettori di tradizione hindū 1 gli strumenti critici necessari per comprendere la situazione generale della civiltà occidentale; lo studio di aspetti e di periodi storici specifici sarà affrontato nei contributi che seguiranno. Acquisendo queste informazioni, i nostri lettori saranno in grado di sciogliere gli intricati nodi che rendono la civiltà occidentale così difficile da capire per lo spirito tradizionale2.
La prima anomalia riscontrata è che per la comprensione della situazione tradizionale in Occidente si deve ricorrere allo studio della sua storia. Al contrario, il Sanatana Dharma non ha bisogno di alcuno strumento storico per essere descritto; questo perché la conoscenza metafisica ne è la fonte, il centro e il fine, ed è per sua natura eterna, intuitiva, onnicomprensiva e “attimale”3, dell’italiano “attimo”, cioè “senza tempo”. Tale conoscenza certamente esistente all’inizio della civiltà occidentale, ha lasciato solo qualche traccia letteraria; così gli occidentali, avendo perso la loro conoscenza metafisica, sono rimasti imprigionati nel divenire, nell’azione, nel movimento; per tale ragione una siffatta visione, limitata alla sfera spazio-temporale e cosmologica, non può che riferirsi inevitabilmente al solo sviluppo storico. Gli stessi testi sacri delle religioni occidentali degli ultimi millenni non sono altro che racconti; del resto risultano tali anche i poemi epici 4, l’Iliade e l’Odissea che narrano rispettivamente la storia della Guerra di Troia e dei viaggi dell’eroe Odisseo5, che i Greci consideravano alla stregua di Libri sacri. I Libri sibillini, i testi sacri dei romani, poco più tardivi, erano solo strumenti interpretativi ad uso degli oracoli. Per questo motivo nell’Era imperiale, il poema di Virgilio, l’Eneide, assunse di fatto la funzione di Libro sacro. Questo poema epico, come i poemi greci a cui s’ispira, è il racconto delle gesta dell’eroe troiano Enea, i cui discendenti divennero i fondatori di Roma6. La medesima tendenza storicistica si riscontra anche nel ramo semitico delle religioni occidentali i cui testi sacri sono prevalentemente costituititi da eventi storici o presunti tali. L’Antico Testamento biblico è la storia del popolo ebraico dalla creazione di Adamo, il primo uomo, al VI secolo a. C. Il Nuovo Testamento, il Vangelo, è la storia della vita di Gesù Cristo e della sua missione tra gli ebrei. Il Corano è la storia dei profeti da Adamo a Muhammad7. In tutti i testi sacri del ramo semitico della Tradizione occidentale8 che i musulmani definiscono religioni abramiche, possiamo trovare alcune indicazioni rituali, morali, giuridiche; occasionalmente vi compaiono anche componenti simboliche, ma il carattere storico della narrativa di queste rivelazioni è comunque predominante9.
Con il passare dei secoli, l’importanza attribuita dagli occidentali allo storicismo è diventata una vera ossessione. Ciò che non è attestato da documenti scritti è come se non esistesse. Sulla base della concezione scientifica inventata dagli occidentali secondo le loro credenze, i documenti scritti sono l’indiscutibile prova della verità, come se la scrittura non potesse essere manipolata riportando bugie, attestando falsificazioni, trasmettendo ignoranza. Infatti, non appena la storiografia divenne un dogma secolare, la storia è stata sempre più spudoratamente contraffatta a beneficio delle ideologie e degli interessi dominanti. Un salto di qualità, in questo senso, lo ha determinato la scoperta della stampa, che ha permesso la diffusione capillare della distorsione storica attraverso i mass-media. Attualmente questa tendenza manipola in modo crescente e sistematico l’opinione pubblica con l’uso delle nuove tecnologie volutamente distribuite a basso prezzo anche tra semianalfabeti.
Il metodo storico, per operare più facili manipolazioni dei documenti scritti, utilizza la scienza filologica. Tutti sanno infatti che quando i filologi non capiscono una frase a causa della loro incapacità di comprensione, incompetenza o pregiudizio, la dichiarano una “interpolazione”. Un altro strumento usatissimo di falsificazione storica è mettere in discussione la paternità del documento. Quando la Tradizione dichiara che un libro è stato scritto da un famoso autore, spesso si mette in discussione l’autenticità di tale attribuzione per mezzo di strumenti filologici appositamente confezionati. A questo scopo, il testo viene confrontato con altre opere scritte dello stesso autore evidenziando tutte le parole insolite e le forme sintattiche inconsuete. Su questa base il testo è dichiarato falso e il nome dell’autore da allora sarà preceduto dal prefisso “pseudo”. Questo è sufficiente per screditare anche il contenuto del testo fasullo, privandolo in questo modo di ogni credibilità e autorevolezza. Gli storici e i filologi infatti non tengono in nessun conto se il testo è coerente con il contenuto di altri libri dello stesso autore e con il suo pensiero. Infatti, se un testo è veramente coerente che importanza può avere se è stato scritto da una o da un’altra persona?
In questo modo anche molti importanti trattati di Śaṃkara e di altri autori sono stati dichiarati inaffidabili.
Naturalmente l’indagine filologica non ci permette di indagare la storia dell’umanità prima dell’affermarsi della scrittura. Per questo motivo l’archeologia si è affermata come la seconda presunta fonte obiettiva di informazioni storiche.
Per i tempi protostorici, ovvero quelli privi di qualsiasi sistema grafico, alfabetico o altro di tal genere, viene utilizzata la documentazione basata sulla “cultura materiale”. Questa formula dichiara la debolezza dell’archeologia come strumento di ricerca storica. Infatti, attraverso la “cultura materiale”, al massimo è possibile inferire il livello tecnologico raggiunto dall’umanità antica, ma nulla riguardo alla sua conoscenza intellettuale. Nei villaggi rurali indiani si possono ancora incontrare numerosi saggi depositari della conoscenza più sublime che abitano case di mattoni riscaldate dal sole, con terra battuta come pavimento e tetti di paglia, che gli archeologi considererebbero case di primitivi o persino di quegli “ominidi” bestiali inventati dalla paleoantropologia.
Infine, la storiografia, fatto ancor più grave, è impotente a considerare il documento più diretto dell’intelligenza umana: la trasmissione orale.
Questo passaggio da bocca ad orecchio, perpetrato di generazione in generazione, non può essere guastato da tarlo e muffe, distrutto dal fuoco o dilavato da esondazioni. Tuttavia, mantenendo intatto il contenuto, è in grado di produrre modifiche minime per adattarsi ai cambiamenti del tempo. Questa trasmissione perenne è il Sanatana Dharma stesso che per la sua conservazione e adattabilità, beneficia della funzione del veggente Veda Vyasa (mitico ṛṣi10 che svolge la funzione di adattatore dei testi sacri e dello stesso Dharma per opporsi al decadere dei tempi; si contano ventotto Vyāsa). La tradizione orale non può essere sostituita dalle registrazioni offerte dalle tecnologie contemporanee, perché il destinatario della trasmissione deve essere qualificato.
Inoltre, l’artificialità degli strumenti tecnologici e la carenza intellettuale dell’intervistatore profano non consentono alcuna trasmissione comprensibile del messaggio. Pensiamo come esempio alla pubblicazione delle interviste a Śrī Rāmaṇa Maharṣi, prova evidente dell’impossibilità di una trasmissione profana. Ritornando al nostro argomento principale, riteniamo che ora le cose possano essere più chiare per i nostri lettori indiani, cosicché dal prossimo capitolo cominceremo a illustrare la Tradizione occidentale, la sua decadenza, corruzione e rovesciamento, usando anche noi degli strumenti storici. Questo perché l’Occidente, fin dalla sua emersione dalla preistoria, aveva già perso il senso dell’eternità e si dibatteva nella ragnatela del divenire che si era deliberatamente autoimposta11. Era perciò prevedibile che una tale attitudine mentale avrebbe alla fine prodotto una teoria come quella dell’evoluzionismo darwiniano12. Partendo da epoche primordiali, inizieremo pertanto a illustrare la storia del mondo occidentale e delle sue tradizioni com’erano considerai dagli antichi greci e romani, dagli ebrei e dai celti, arrivando, passo dopo passo, sino ai nostri giorni. In questo modo vedremo l’ascesa e la caduta degli Imperi, lo splendore delle Religioni scomparse, le vicissitudini degli sconvolgimenti etnici e sociali. Considereremo la nascita e la decadenza di civiltà e nuove religioni, la loro corruzione e la loro inversione in quello che nel corso dei millenni si dispiega come un vero piano diabolico13. Descriveremo la sempre più difficile sopravvivenza delle organizzazioni iniziatiche, alcune delle quali sono perdurate fino ad ora, e le persecuzioni che hanno dovuto subire. Ogni volta che se ne presenta l’opportunità, metteremo in relazione o a confronto situazioni simili a quelle dell’induismo.
Anzitutto, vorremmo informare i nostri lettori che anche nella prima civiltà greco-romana, si considerava che il tempo non si sviluppasse in modo rettilineo, ma in cicli storici concatenati l’un l’altro. Il poeta Esiodo (VII secolo a.C.) nel suo libro Le opere e i giorni racconta che in origine vi era stata un’Età dell’Oro (satya yuga). In questa era gli Dei crearono una razza umana pura e perfetta, difficile da distinguere da loro. Il tempo tuttavia, scorrendo inesorabilmente verso il basso, diede vita a una seconda Età, quella dell’Argento (treta yuga). Gli uomini di quell’epoca non avevano tutte le virtù della generazione d’oro. Cominciarono a sentirsi uguali agli Dei e ad agire con arroganza, rifiutandosi di compiere sacrifici. Così iniziò l’Età del Bronzo (dvāpara yuga). L’umanità si divise in due razze: giganti, violenti e ribelli contro divinità ed eroi, uomini pii pronti a combattere contro i malvagi che avevano cominciato a popolare la terra. I giganti furono sterminati dagli Dei e dagli Eroi, ma alla fine anche gli Eroi scomparvero, morendo nelle grandi guerre della tarda Età del Bronzo. Con il diluvio che si abbatté su tutta la terra inondandola, ebbe inizio l’attuale Età del Ferro (kali yuga): da allora in poi il male14 regnò e l’umanità divenne meschina, cattiva e debole. Iniziamo ora la narrazione della Tradizione occidentale partendo dall’Età dell’Oro e dall’umanità divina dell’Epoca primordiale.
Devadatta Kīrtideva Aśvamitra
- Riteniamo che questi studi possano essere di grande utilità anche per i lettori occidentali che dopo secoli di speculazioni, sovrapposizioni concettuali e ideologiche vogliano recuperare le chiavi di accesso alla loro Tradizione e alle realtà spirituali che trasmette; per questo facciamo nostro e rivolgiamo ai lettori l’invito di Dante:O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani. (Inferno IX, 61-63)[N.d.T.].[↩]
- Alla fine della nostra disamina storica tratteremo anche dell’America come dell’l’Estremo Ovest. Tuttavia, queste ex colonie dei vari regni europei non avevano precedentemente alcuna importanza tradizionale autonoma; al contrario, hanno assunto un ruolo decisamente antitradizionale e dissolvente, proprio a partire dalla loro indipendenza dalle patrie europee. Ciò non toglie che, nonostante l’egemonia culturale, economica e politica degli Stati Uniti, il centro dell’azione contro tradizionale, rimanga ancora saldamente nel cuore dell’Europa.[↩]
- Useremo questo neologismo, che corrisponde parzialmente al sskrt. ātmakṛta (composto di Ātman). L’attimo italiano (dal greco ἀτμός, leggi atmòs [“vapore”, “esalazione”; n.d.T.]) deriva dallo stesso etimo di ātman [“alito”, “respiro”, “soffio” da cui in senso figurato “Anima”; n.d.T.] e si riferisce a uno stato libero da vincoli temporali. Invece, “istantaneo” significa “insistente” e “momento” è una forma sincopata di “movimento”: entrambi questi due sinonimi rappresentano una frazione minima di tempo. È indicativo che nessuna altra lingua europea presenti un esatto sinonimo dell’italiano “attimo”.[↩]
- Si tratta delle fonti scritte più antiche dell’Occidente, databili attorno al IX e VIII secolo a.C. La Bibbia ebraica, infatti è stata elaborata dopo la fine della cattività babilonese, alla fine del VI sec. a.C.[↩]
- Anche l’India ha due epopee (Itihāsa), Rāmāyaṇa e Mahābhārata. Tuttavia, non fanno parte della letteratura Vedica, la categoria più alta di testi sacri o śruti. Inoltre, essendo smithis, gli Itihasa sono focalizzati sulla preparazione dottrinale dei kṣatriya e non dei brahmana. Tuttavia, a differenza dell’Iliade e dell’Odissea, Itihāsas contiene sezioni dedicate alla saggezza, come Bhagavad Gītā e Yogavāsiṣṭha. Nell’epopea greca possiamo trovare solo elementi simbolici di qualche interesse.[↩]
- Occorre segnalare tuttavia che nel sesto libro dell’Eneide, la discesa di Enea nel regno della morte ha importanti implicazioni di natura iniziatico-misterica.[↩]
- Tra le grandi civiltà solo l’Induismo ha la visione dell’eternità e la coscienza che il tempo è interno al cosmo; per questa ragione la storia dell’umanità appare nei suoi testi sacri soltanto come narrazione epica, inferiore per importanza al mito che riguarda il piano d’esistenza degli Dei (adhidaiva). Nel caso della tradizione estremo orientale, il Taoismo ha certamente un punto di vista svincolato dal condizionamento storico. Tuttavia, il suo corrispettivo essoterico, il Confucianesimo, ne è pesantemente vincolato.[↩]
- I guénoniani convertiti all’Islam, contrariamente a quanto affermato dal loro unico punto di riferimento tradizionale, seppur libresco, sono stati convinti che la loro sia una religione “orientale”. Dimenticano l’origine atlantidea che l’islam condivide con l’ebraismo e il cristianesimo. Con questo si annulla definitivamente anche la pretesa “primordialità” della trasmissione ḥanīf, inventata da alcuni presunti shuyukh occidentali solo dopo la scomparsa di R. Guénon.[↩]
- Se talora l’elemento epico compare qua e là nei testi sacri delle religioni monoteistiche, è sintomatica l’assenza totale del mito giacché esso non rappresenta una narrazione storica.[↩]
- Veggenti che riescono a “udire” le vibrazioni sonore primordiali, trasmettendone l’insegnamento [N.d.T.].[↩]
- Nei tempi moderni questa ossessione ha letteralmente invaso ogni campo di studio: nessuno impara più l’arte, il pensiero, la letteratura, la filosofia, la religione, ecc.; ma solo storia dell’arte, storia del pensiero, storia della letteratura, storia della filosofia, storia della religione e così via.[↩]
- Commenteremo più avanti questa credenza dogmatica contemporanea.[↩]
- A tale proposito ci sembra utile riportare questo passaggio tratto dalla recensione di R. Guénon a La Guerre occulte di Emmnuel Malynski e Léon de Poncins in Le Voile d’Isis, luglio 1936: “ […] è altrettanto vero che «nella storia è presente una corrente di satanismo» […], ma questa corrente non è solo diretta contro il Cristianesimo (ed è forse questa maniera un po’ troppo ristretta di considerare le cose, a causare molti «errori di prospettiva»), lo è anche, ed esattamente allo stesso titolo, contro tutte le tradizioni, siano esse d’Occidente o d’Oriente, compreso l’Ebraismo. Quanto alla Massoneria, forse stupiremo alquanto gli autori dicendo che l’infiltrazione delle idee moderne, a scapito dello spirito iniziatico, ne ha fatto, non tanto uno degli agenti della «cospirazione», quanto al contrario una delle prime vittime; e comunque, riflettendo su certi sforzi attuali di «democratizzazione» dello stesso Cattolicesimo, che a loro non sono certo sfuggiti, essi [gli autori] dovrebbero poter arrivare a comprendere, per analogia, che cos’è che noi intendiamo […] E arriviamo a dire che una certa volontà di fuorviare le ricerche, suscitando e alimentando diverse «ossessioni» […] fa anch’essa parte integrante del «piano» che loro si propongono di smascherare” [N.d.T.].[↩]
- Nelle religioni monoteiste il male sarà personificato dall’angelo malvagio, il diavolo. La parola diavolo deriva dal verbo greco διαβάλλω (diabàllo) che significa separare, porre ostacolo, porre frattura, oppure, in senso metaforico, calunniare, offendere, da cui balista. Per cui il diavolo è colui che crea, attraverso la menzogna, separazione, frattura e inimicizia tra uomo e Dio, tra uomo e uomo; è colui che crea, attraverso l’inganno una frattura nell’anima del singolo individuo. Marco Antonio Canini ripreso nel Vocabolario etimologico della lingua italiana di O. Pianigiani, offre un interessante spunto sostenendo che questa voce come la parola Dio, derivino entrambe dalla radice sanscrita DIV, DIU, “rilucere”, onde dyaus “aere luminoso”. Così, all’inizio la voce diàbolos significava semplicemente “buon genio” e non aveva il connotato cui siamo abituati oggi, tant’è che nella lingua zingaresca devel vuol dire “santo” e devla chiamasi la Vergine Maria [N. d. T].[↩]