Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja
14. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda
Agama Prakaraṇa
Kārikā I.4-6
Tṛpti significa pienezza. Appare come un pensiero di soddisfazione, sembra un piacere di soddisfazione, ma in realtà è la pienezza del proprio Essere: si può sperimentare il silenzio solo come silenzio del proprio Essere. Questo vale come indizio: non si può sperimentare il silenzio se non come proprio Essere e. allo stesso modo, la felicità non può mai essere sperimentata come oggetto. È qualcosa di cui si fa esperienza come di se stessi. Quando si è felici, si è felici, non si vede la felicità; quando si è soddisfatti, non è che si veda la soddisfazione, si è la pienezza. È uno stato dell’Essere, non del pensiero. A volte si pensano anche cose buone per sentirsi soddisfatti; quella soddisfazione, quella felicità, quel piacere, è sempre nella forma del proprio Essere. Pensi al denaro; è un pensiero, ma la soddisfazione che ne deriva è il tuo proprio essere, quindi c’è una differenza tra pensare ed essere. La soddisfazione è sempre nella forma di Essere.
Quindi la tṛpti sembra triplice (tripuṭi)1, ma è la stessa pienezza del proprio Essere. Siete silenziosi qui, siete silenziosi in America, siete silenziosi in Russia: questo non è un triplice silenzio, condizionato da tre situazioni. Sembra triplice, come i jīva appaiono essere molti. Sebbene sia un Essere illimitato, appare come molti jīva; è un unico calore, ma sembra molte scintille. L’unico Brahman sembra molti jīva, una pienezza sembra triplice. Tutto ciò che è triplice può essere innumerevole. Quando si mangia una banana si ha una soddisfazione particolare e quando si mangia una mela c’è una soddisfazione diversa; quindi per ogni oggetto la soddisfazione deve essere diversa. Si deduce che il triplice può essere innumerevole ma la pienezza non può essere molteplice: gli oggetti sono innumerevoli, i pensieri hanno varietà, gli oggetti hanno varietà, i desideri hanno varietà, i piaceri sensoriali hanno varietà, ma sciolgono il senso dell’individualità solo per un certo di tempo. Quando sei felice dimentichi la tua personalità come quando sei in silenzio: non crei il silenzio, solo risolvi il tuo rumore mentale quando c’è silenzio. Allo stesso modo in ogni piacere non si crea soddisfazione, l’insoddisfazione si scioglie, si dissolve il senso di insoddisfazione, il ricordo dell’insoddisfazione; si scioglie il ricordo della limitazione, il ricordo dell’inadeguatezza. In realtà ti anneghi in un senso di piacere, e in quell’annegamento affoghi il ricordo dei tuoi limiti. Il jīva non ha successo, è tutto un fallimento, il jīva è un lottatore. Il vero successo è quello in cui non è possibile il desiderio per un successo maggiore. Un successo maggiore non è possibile: se si vince una partita e si dice “voglio vincere anche la prossima”, vuol dire che è un piacere seguito da un desiderio. Se ogni piacere è seguito da un desiderio, ciò significa che c’è ancora competizione. Per questo il jīva cerca in ogni piacere sensoriale di dimenticare la lotta, di risolvere i tumulti mentali. Tuttavia così non si crea il silenzio, non si crea la soddisfazione. L’insoddisfazione si dissolve non attraverso la conoscenza ma con lo scioglimento (laya). A ogni piacere l’insoddisfazione ha laya, in ogni piacere sensoriale la mente ha laya, la memoria ha laya. Si chiudono gli occhi e si gode del piacere; così facendo, anche il senso dell’individualità per un po’ si dissolve; quindi la soddisfazione (tṛipti) non è triplice (tripuṭi) o molteplice (aneka). Non si vede la soddisfazione, si è soddisfatti; non si vede il silenzio, si è in silenzio; non si vede la felicità, si è in pace. Perciò tṛipti è sinonimo di Essere, la felicità è sinonimo di Essere. Chiamatela felicità, chiamatela soddisfazione, ma la parola di mia scelta è “pienezza” del proprio Essere.
Che cos’è la triplice tṛipti? Gli oggetti della veglia danno soddisfazione al vegliante. Anche se sembrano tutti oggetti, lo śāstra dice che sono falsi oggetti e, come falsi oggetti, sono Māyā. Tuttavia lo śāstra accetta anche questi oggetti come fossero oggetti reali, perché, in sostanza, quando una persona pensa con la mente, ogni oggetto è una percezione; è una percezione nella realtà che sembra un oggetto, come la percezione della corda che sembra un serpente vero. In realtà questa è la percezione di un errore: si vede qualcosa di sbagliato e quella stessa percezione errata sembra una cosa. È una percezione sbagliata che sembra una cosa vera e, poiché sembra una cosa vera, tu la consideri una cosa vera. La śruti afferma che non è una cosa vera, che è falsa. Perché è una cosa falsa? Perché è una percezione errata sulla Realtà, ossia su proprio Sé. Perciò tṛpti è sinonimo di Essere, la felicità è sinonimo di Essere; chiamala pure felicità, chiamala soddisfazione, ma la parola di mia scelta è “pienezza” del proprio Essere.
Se ogni oggetto è una percezione errata, allora dove la percezione è errata? È solo nel soggetto non oggettivato. Per esempio: se ogni oggetto del sogno è sognato, dove è sognato? Nel soggetto che sta sognando. Non solo il serpente è sognato, anche la corda è sognata nella Realtà. Quindi, anche nella veglia, se sono chiamati oggetti di veglia, sono percezioni della veglia. Gli oggetti grossolani danno soddisfazione al vegliante, gli oggetti del sogno danno soddisfazione al sognatore e l’Ānanda dà soddisfazione al Prājña, a colui che è in suṣupti. Eppure, in suṣupti non c’è alcun atto di fruizione; in veglia c’è un atto di fruizione e c’è un contatto sensoriale, esattamente come anche nel sogno c’è un atto di fruizione e un contatto sensoriale. Nel sonno profondo non c’è alcun contatto (sparśa), e in ciò sta la differenza.
Che cos’è la soddisfazione? Il contatto tramite i sensi non è soddisfazione. Lo è la dissoluzione della sofferenza (duḥkham); essere Ānanda è dovuto alla dissoluzione del duḥkham. Però una cosa è la dissoluzione del duḥkham, altro è la falsificazione del duḥkham: con la conoscenza il duḥkham è falsificato, mentre nel contatto sensoriale il duḥkham si dissolve, ha la sua dissoluzione (laya). C’è dunque una differenza tra dissoluzione del dolore (duḥkha laya) e falsificazione del dolore (duḥkha bādha)2. Stai guardando la corda, ma la vedi come un serpente. Quando chiudi gli occhi il serpente scompare, s’è dissolto, ha laya, non lo vedi. Tuttavia deve ancora essere falsificato. Quando, invece, vedi la corda il serpente ha bādha, è falsificato. Nella veglia, nella jāgrat avasthā, in ogni contatto sensoriale la sofferenza ha laya, scompare, si dissolve. Anche in sogno, a ogni contatto sensoriale di sogno il duḥkham del jīva ha laya; anche in suṣupti duḥkham ha laya; è la presenza della Realtà con il laya di duḥkham. Non è solo assenza di duḥkham: è uno stato di presenza della Realtà meno duḥkham. In sonno profondo duḥkham non è falsificato ma ha laya. In ogni piacere della veglia c’è solo la Realtà con la sofferenza che è andata in laya; nel sogno, in ogni piacere dei sensi c’è solo la Realtà con duḥkham che è andato in laya; così anche nello stato di sonno profondo c’è solo la Realtà con duḥkham che è andato in laya. Non definiamo lo stato di sonno profondo come uno stato di conoscenza, ma lo definiamo come uno stato di presenza della Realtà: è la presenza della Realtà, è la tua presenza meno duḥkham, è la tua presenza libera da duḥkham, è lo stato della vera natura della Realtà. Ogni piacere è uno stato della natura della Realtà. Anche il sonno profondo è uno stato della natura della Realtà. Quello stato è la presenza del Sé senza nient’altro, è uno stato non-duale: quando sei felice sei non-duale, sei Essere. Quando sei in silenzio sei non-duale: Essere è la natura della Realtà. Quindi, anche se si dice che la soddisfazione è triplice, la soddisfazione è di un solo tipo. La pienezza è eterna, non è che certe volte sia soddisfatta, altre volte non sia soddisfatta. No. Anche in uno stato di insoddisfazione ciò che c’è è solo la pienezza, la tua pienezza con un errore di insoddisfazione. In ogni percezione ciò che c’è è solo la tua presenza, questo è ciò che diciamo. Ogni percezione è lo stato della Realtà, è uno stato della Realtà con un errore. Ogni stato di insoddisfazione è uno stato della Realtà con un senso di insoddisfazione; anche ogni stato di soddisfazione è uno stato della Realtà senza un senso di insoddisfazione, un senso di insoddisfazione che si dissolve. La tṛpti non è una sensazione, la pienezza non è una sensazione. Invece, l’incompletezza è una sensazione; dunque, in ogni sensazione c’è Realtà con un senso o c’è Realtà senza senso. Lo stato di veglia è la presenza di te con la percezione, non definire lo stato di veglia come uno stato con te. No, è uno stato della tua presenza più la percezione; il sogno è uno stato della tua presenza con la percezione e il sonno profondo è uno stato della tua presenza senza alcuna percezione. Non c’è stato in cui tu non sia e ciò rende il Sé eterno: questo è la direzione a cui si volge la riflessione (manana). Ogni ricordo è la tua presenza più un pensiero di memoria, e anche l’incorporazione è uno stato di presenza cosciente con un senso di incorporazione, è uno stato di Essere cosciente con un senso di “io sono un brāhmaṇa, uno kṣatriya”, ecc. Non è affatto vero che “io sono un brāhmaṇa con una scintilla di coscienza”. Questo è il problema: non siamo un corpo con una sfumatura di coscienza, perché la Coscienza non ha dimensione. Chiamo calda la scintilla a causa dell’upādhi, come fosse una particella del calore chiamato fuoco; ma il fuoco è caldo, questa è la sua natura, e la Coscienza è illimitata per natura. Non può esistere una scintilla non calda, non può esistere un essere cosciente limitato. Pertanto, non considerare i pensieri come pensieri con un pizzico di coscienza, questo è errato. Non siamo per nulla un corpo con un po’ di Coscienza, non siamo una mente con un pezzetto di Coscienza: siamo Coscienza illimitata con un senso di incorporazione, più la percezione della veglia, più la percezione del sogno e meno la percezione del sogno della veglia nel sonno profondo, dove siamo semplicemente noi stessi. Perciò ogni esperienza è uno stato del proprio Essere, è uno stato della propria presenza. Persino l’ignoranza è uno stato della propria presenza perché è uno stato della tua presenza con il pensiero che “sono ignorante di me stesso”, con il pensiero di non conoscere il tuo stato illimitato. È lo stato del decimo uomo che non ha conoscenza di esserlo. Così ogni percezione non è uno stato di percezione, è uno stato della tua presenza con in più una percezione, quindi non ci può essere un pensiero in cui non sei presente. Perciò, anche se la soddisfazione appare triplice, in verità è solo di un tipo: la pienezza. La pienezza non ha varietà, la Realtà non ha varietà e neanche l’errore ha varietà. È il jīva che pensa a varietà di oggetti; la tua percezione di questo oggetto è un errore sulla Realtà: quell’oggetto è un errore sulla Realtà, ogni oggetto sognato è sognato, sognato, sognato. Gli oggetti hanno varietà ma il sognare non ha varietà, l’errore non ha varietà e anche la pienezza non ha varietà: la molteplicità è solo una nozione, una mancanza di comprensione. Ti dimostrerò che gli oggetti hanno varietà all’interno dell’avidyā, ma il senso della Realtà non ha varietà. Lo śāstra dice che l’intero jagat è falso, ma anche la falsità non ha varietà, ogni oggetto è falso. Questa molteplicità è una fantasia, tutto si riduce a te stesso, tutto si riduce al tuo Essere e il tuo Essere non è ulteriormente riducibile; né la pienezza può essere riducibile, la pienezza è irriducibile, l’infinità è irriducibile: tutto il limitato si riduce all’illimitato, il piccolo e il grande si riducono all’unico illimitato.
I.4. Sthūlam tarpayate viśvam praviviktam tu taijasam ǁ
Ānandaśca tathā prājñam tridha tṛpti nibodhata ‖
Il grossolano soddisfa Viśva; il sottile soddisfa Taijasa. Similmente, anche la beatitudine soddisfa Prājña. Apprendi che la soddisfazione è di tre tipi.
I.5. Triṣu dhāmasu yagbhojyam bhoktā yaśca prakīrtitaḥ ǁ
Vedaitadubhayam yastu sa bhuñjāno na lipyate ‖
Chi conosce queste due cose, cioè la fruizione che c’è nei tre stati e colui che ne è il fruitore, non ne è coinvolto nemmeno mentre fruisce.
I.6. Prabhavaḥ sarvabhāvanām satāmiti viniścayaḥ ǁ
Sarvam janayati prāṇaścetoṅśūn puruṣaḥ pṛthak ‖
È indubbio che tutte le cose che hanno esistenza hanno origine. Il Prāṇa crea tutti [gli oggetti]; Puruṣa proietta separatamente i raggi della Coscienza [le creature viventi].
Sa bhuñjāno na lipyate: questa frase deve essere compresa. Il tuo Essere non si rivolge ai piaceri dei sensi: devi capire che la pienezza non è il risultato di alcun piacere, la soddisfazione non è il risultato di alcun piacere. Se la soddisfazione fosse un risultato non si potrebbe mai ottenere perché ogni risultato ha un inizio e una fine. Dunque, la soddisfazione non è un risultato, la pienezza non è un risultato e, poiché è la tua stessa natura, non correre dietro alle cose. Devi comprendere che non correre dietro alle cose è anche dharma: il dhārmika non corre dietro alle cose, fruisce di tutto ciò che ottiene con la sua retta volontà, che è lo stesso dharma. Tuttavia, chi comprende la Realtà è dhārmika anche senza volerlo. Una persona dhārmika è tale per sua volontà, una persona buona è buona per scelta, mentre un jñāni è dhārmika non per sua scelta. Un Brahmajñāni è buono senza volerlo essere, non può usare la sua scelta contro il dharma, la sua volontà di scelta è stata rimossa dalla comprensione della Realtà. La Realtà solo ‘È’.
Se hai prestato attenzione a tutte queste Kārikā, ciò che vi è scritto sono solo i tre stati. Non hai altro da riflettere se non la tua presenza in relazione ai tre stati; anche se si tratta di cielo e d’inferno, tutto rientra nella tua percezione; la veglia è una percezione, una percezione che sta per tutti i tipi di percezione. Se vai nel pitṛloka e lì vedi tua nonna, quella è una tua percezione; se vai nello svargaloka, anche quella è una tua percezione, una percezione di senso. È come quando sogni: il sogno è una percezione di senso e lo stato di sonno profondo sta per tutto ciò che è non-percezione. È lo stato della tua presenza senza percezione: non dire che è uno stato di non-percezione: è uno stato della tua presenza senza percezione. Perciò non c’è altro pensiero se non i tre grandi stati; persino la vita e la morte rientrano in questi tre stati; Prajāpati in persona ha insegnato a Indra i tre stati, ma gli ha insegnato gli stati solo come presenza della Realtà. Suṣupti non è definito come stato di ignoranza né come uno stato di conoscenza, ma in quanto natura della Realtà. È all’interno di questa Realtà che appaiono lo stato di veglia e lo stato di sogno e, all’interno della Realtà, si dissolvono la percezione della veglia e la percezione del sogno. Quindi suṣupti, in quanto natura della Realtà, è lo stato della creazione e della dissoluzione (sṛṣṭi sthānam ca laya sthānam). Quindi non c’è bisogno di pensare a oggetti lontani: tutto sta all’interno dello stato di veglia e lo stato di veglia non deve essere inteso come stato di veglia, ma quale tua presenza assieme alle percezioni di veglia. Questa è la soluzione del problema. È la tua presenza con le percezioni della veglia, è la tua presenza con l’incorporazione della veglia. In tutti e tre gli stati sta il fruitore e ciò che deve essere fruito, il soggetto e l’oggetto. Chiamali pure fruitore e fruito, soggetto e oggetto, cosciente e inerte, cit e il jaḍam; tutti significano soggetto e oggetto, ovvero ciò che è solo visto e tu che non puoi essere visto, ma che puoi solo vedere. In tutti e tre gli stati il vedente è chiamato fruitore, il visto è chiamato fruito e, quindi, colui che comprende questi due –lo sperimentatore e lo sperimentato- non è contaminato dai tre stati. La percezione, una volta capita, non contamina colui che comprende, la percezione del serpente non macchia la corda; il falsificato non può contaminare. È il senso di realtà di una forma che contamina la persona; l’uomo è contaminato dal senso di realtà di ciò che non è reale e comprendere entrambi significa comprendere la falsità (mithyātvam) del fruito e Realtà (Satyatvam) del fruitore, del Cosciente. Anche l’atto di fruizione è un mithyā, ragion per cui la relazione soggetto-oggetto deve essere scissa con la rimozione dall’oggetto. Il solo soggetto è satyam e il solo oggetto è mithyā; la comprensione del mithyātvam del mithyā e del satyatvam del satyam libera la persona dall’essere contaminata dai tre stati. Quando i tre stati sono compresi non contaminano la persona. Quindi, in tutte le tue riflessioni devi solo vedere la tua presenza in relazione ai tre stati. Tutti e tre gli stati sono concepiti all’interno dello stato di incorporazione: pensi alla veglia nello stato di veglia, pensi allo stato di sogno nello stato di veglia e pensi al sonno profondo sempre nello stato di veglia, all’interno dell’incorporazione. Infatti, il sogno, mentre si stava all’interno dello stato di sogno, era come la veglia. Durante il sogno, il sogno non sembrava un sogno; lo chiami sogno a posteriori, ma quando il sogno era in corso non sembrava un sogno, era veglia. Nella veglia, a posteriori, chiami il sonno profondo in questo modo: pensi al sonno profondo e lo chiami sonno profondo, come fosse uno dei tre stati. Ma, all’interno del sonno profondo non hai sperimentato lo stato di sonno profondo come uno dei tre stati: era nirviśeṣam. Il sogno è considerato come sogno all’interno della veglia, così anche il sonno profondo è considerato sonno profondo nello stato di veglia. All’interno dell’incorporazione c’è l’idea del sogno e c’è l’idea della veglia; ma, invero, lo stato di sogno in quanto stato reale non è una reale incorporazione: si tratta di un’altra incorporazione, quella del sogno nella Realtà. Lo stato di sonno profondo, considerato dal suo punto di vista, è nirviśeṣam, non è uno stato di conoscenza né è uno stato di ignoranza.
Dopo aver detto tutto questo, il Kārikākāra prosegue dicendo che se si considerano questi oggetti come oggetti reali, allora li si chiama oggetti illusori (māyika), oggetti falsi. Anche se fondamentalmente sono solo percezioni, hanno l’aspetto di oggetti. Su questa base il Vedānta asserisce che anche questi oggetti, che vedi come oggetti, hanno un’origine. Hai un senso di realtà degli oggetti, e tutti gli oggetti sui quali hai un senso di realtà hanno una nascita, hanno un inizio e una fine. Quando inizia la percezione allora inizia anche l’oggetto della percezione, e quando la percezione finisce anche l’oggetto di percezione finisce. Sebbene l’uomo pensi che solo la percezione inizi e finisca e non l’oggetto, questo fa parte dell’errore, ma nell’esperienza non c’è alcuna prova dell’oggetto.
Tutti questi oggetti, che tu chiami oggetti con un senso di realtà, hanno tutti prabhāvaḥ (visibilità). Prabhāvaḥ significa che sono solo visti: accadono, nascono, appaiono, allo stesso modo in cui nasce un vaso, un’onda, un sogno. Non puoi dire che il sogno ‘è’, ma solo che appare, che è visto. Sarvabhāvanam: tutti gli oggetti sono creati. Ogni oggetto ha un inizio, appare nella Realtà e il suo apparire nella Realtà è chiamato il suo inizio; che appaia è il suo inizio. Ma dove appare? Solo nella Realtà. Tutti gli oggetti con un senso di realtà hanno un inizio; né esistono due tipi di cose, ovvero oggetti con un senso di realtà e oggetti senza un senso di realtà. Questo tipo di categorizzazione non esiste, perché tu guardi ogni oggetto con un senso di realtà, il che significa che l’intera creazione con un senso di realtà ha un inizio. Questa è la visione del Vedānta: l’intera creazione che vedi con un senso di realtà ha un inizio. Il fatto che appaia è il suo inizio, il fatto che non appaia è la sua fine; non potete determinare l’inizio e la fine in nessun altro modo: quando è visto, appare e quando non è visto, scompare. Quando appare è la tua conoscenza, anche quando scompare è la tua conoscenza, è la tua esperienza, l’esperienza di tutti; perciò tutti gli oggetti con un senso di realtà hanno un inizio. L’inizio degli oggetti deve essere compreso. Ti trovi a vederli e ti trovi a non vederli. Quando ti trovi a non vederli non c’è pensiero; anche il pensiero è parte della creazione, ogni pensiero è parte della creazione. Allorché la creazione scompare, ogni tuo pensiero scompare e la scomparsa del pensiero non può essere pensata; essere senza pensiero è ciò che si chiama scomparsa del pensiero. Sarvam janayati, tutto ciò che crea presta la sua esistenza all’apparenza. Prāṇa significa Parameśvara, l’origine di tutto, la vita di tutto. La vita dell’intero sogno è colui che sta vedendo il sogno, la vita del serpente è la stessa corda o, più correttamente, la corda è l’origine del serpente. L’origine immutabile del serpente è la corda e, ugualmente, l’origine immutabile sta alla base dell’apparizione di questa creazione.
Tutti i jīva non sono altro che lo stesso Essere cosciente con un senso di limitazione. Il Prāṇa, il Puruṣa, il Parameśvara, il completo, sta alla base di tutti i jīva che sono l’Essere cosciente con un senso di incompletezza; questo senso di incompletezza della stessa Realtà ti fa pensare di essere un jīva. Il senso di piccolezza lo rende una scintilla, l’upādhi lo rende una scintilla, mentre invece è fuoco. Essere caldo è la natura del fuoco ed essere illimitato e non-duale è la natura della Coscienza anche se sembra piccola a causa dell’upādhi. All’interno del senso di limitazione c’è il senso di piccolezza e all’interno del senso di limitazione c’è anche il senso di grandezza. Per questo, anche se una persona diventa grande è comunque limitata; se diventa Indra è comunque limitata come Indra, non è infinita. Piccolo è nel senso della limitazione, ma anche grande è nel senso della limitazione. Non ci si può fare nulla: anche se si diventa sempre più grandi si è ancora nella limitazione; quindi l’intera crescita è nel senso della limitazione, l’intera scala sociale è nel senso della limitazione e anche se si raggiunge il gradino più alto della scala si è ancora nella limitazione. Se questo non porta alla rinuncia (vairāgyam) cos’altro lo può fare?
Il problema dell’uomo non è la sua piccolezza, né la risposta a ciò è la grandezza: il suo problema è il senso di limitazione. Quando sono confinato nel piccolo sembro piccolo, quando sono confinato nel grande sembro grande, ma entrambi sono condizioni limitate. Ogni confinamento è una limitazione, mentre la Coscienza, per sua natura, non è confinata, è completa. La Coscienza, per sua natura, non è confinata, per sua natura è infinita. Perciò la pienezza, la completezza, la Realtà sta alla base dell’apparizione di tutte le forme che, davvero sono false. Ma tu non conosci la falsità del falso, perciò le prendi come reali e tutto ti sembra reale quando ti consideri una forma. Finché stai sognando, ogni oggetto sognato sembra reale, ma quando ti svegli gli oggetti sognati appaiono oggetti sognati. Allo stesso modo, quando ti risvegli alla tua esistenza, il risveglio non è un fenomeno “mistico”. Quando discrimini tra la tua esistenza e la tua forma e ne vedi la differenza, allora gli oggetti falsi devono sembrare falsi. Dopo aver visto la corda, anche se si vuole che il serpente sia reale, non può apparire come reale: in confronto alla corda il serpente deve per forza apparire falso.
Esistono due teorie chiamate satkāryavāda e asatkāryavāda. Satkāryavāda è quando il Vedānta accetta la Realtà come origine dell’universo: la creazione non può esistere senza un’origine; il molteplice non può esistere se non è tenuto insieme dall’uno, non c’è esperienza di molteplice. Senza l’uno, come si può avere il due? Infatti in ogni numero c’è l’uno; l’uno pervade tutti i numeri. Senza l’unico vedente non ci sono i molti; molteplice è il mio pensiero e l’uno è il mio essere. Questo è il satkāryavāda.
Asatkāryavāda è la teoria dei buddhisti che sostengono che tutto appare nel nulla. Asatkāryavāda è la teoria del vuoto (śūnyam), secondo cui tutto appare nel vuoto. In questo mondo c’è chi pensa in termini di satkāryavāda e altri che pensano in termini di asatkāryavāda. Ci sono anche persone che non pensano né in questo né nell’altro modo, cercano il loro piacere; lavorano, guadagnano, fruiscono, lavorano, guadagnano, fruiscono e non sono interessati a nessuna corrente di pensiero. Abbiamo quindi solo tre tipi di persone: i satkāryavādin, gli asatkāryavādin e i karmathin che dedicano alla fruizione dei risultati del karma (karmaphala bhoga).
Tra i tre, il Vedānta è più incline al satkāryavāda, accettando che tutte le apparenze abbiano un sostrato reale.
- Gioco di parole. La tripuṭi di fruitore, fruizione e fruito non è la felicità (Ānanda-tṛpti), sebbene ne sia il riflesso nel vyavahāra [N.d.C.].[↩]
- Allo stesso modo, in sonno profondo, in samādhi o nel pralaya c’è dissoluzione della propria ignoranza, ma non la falsificazione della propria ignoranza. Solamente la falsificazione dell’avidyā è il mokṣa. Invece, l’ignoranza non riconosciuta falsa, ma solo temporaneamente dissolta, riappare al risveglio o alla trasmigrazione in un altro kalpa [N.d.C.].[↩]