La Bhāvana Upaniṣad
Testo e Commento
6. Il corpo, formato da sette componenti grossolane, dalla pelle e dai capelli, è l’isola delle nove gemme.
Bhāskararāya sottolinea che le nove parti del corpo corrispondono alle nove gemme dell’isola. L’Upaniṣad Brahmayogi aggiunge: “Gli obiettivi della vita, che corrispondono agli attributi del corpo, sono gli oceani, nel senso che sono immensi, insondabili e vasti. In mezzo a questi oceani, il corpo umano è un’isola di nove gemme situata nel mezzo delle acque. Quali sono i poteri che sostengono l’isola? Sono le nove mudrā, a partire dalla yoni mudrā fino alla sarvasaṃkṣobhiṇī mudrā, che corrispondono alle nove Śakti che iniziano con la Mahātripura Sundarī e che terminano con Tripurā”. E, anticipando quanto afferma il prossimo śloka 7, egli così prosegue: “Le inclinazioni (saṃkalpa), che sono collegate alle sette componenti del corpo più la pelle, sono gli alberi che esaudiscono tutti i desideri (kalpavṛkṣa o kalpataru). I desideri sono molteplici (aneke) nel senso che sono modificazioni interne ed esterne (antarbhāhya vikāraiḥ) dovute alle innumerevoli inclinazioni (nānā vidha saṃkalpaḥ)”. Per capire meglio, con saṃkalpa si intende una inclinazione della mente con cui si nasce e che produce il desiderio corrispondente. Tale interpretazione mette in relazione le inclinazioni innate con le percezioni sensorie provenienti dall’esterno, relazione che stimola la produzione dei desideri. È interessante la lettura di Bhāskararāya che interpreta la mente in quanto il bosco degli alberi kalpataru.
Il corpo dell’individuo è un’isola in più di un senso. È strettamente confinato in una struttura concreta e le sue funzioni sono severamente limitate dalle limitazioni naturali. Ma tutto intorno si estende un illimitato mondo di spazio e di tempo, che si presenta all’individuo umano come dominio in cui intrecciare le sue relazioni. Ciò si realizza attraverso i fini stabiliti appositamente per lui, proprio come l’oceano arriva alla terra lungo la linea della spiaggia; e questi fini dell’uomo (puruṣārtha) portano il corpo limitato a contatto con l’incommensurabile mondo che lo circonda.
La ricchezza del simbolismo espresso dal rituale tantrico si dispiega chiaramente nella cosmologia del Tantrarāja Tantra (28). Viviamo su uno spazio terrestre (bhūmi) che si estende per circa cinquemila yojanā1 dalla montagna che sta al centro, il Meru, fatto di oro puro. Attorno a questa terra vi sono i sette mari. Avvolge l’intera massa ‘la ruota del tempo’ (kāla cakra), che si muove sempre in senso orario (prādakṣiṇya krama) intorno allo spazio terrestre fisso, messo in movimento dal potere della volontà della grande Devī, che risiede al centro del Meru, diffondendo intorno la sua luce. I nove pianeti che regolano le attività sulla terra sono posti sulla ‘ruota del tempo’. Al di fuori di essa (non essendo sotto la sua influenza) c’è il grande spazio celeste (mahā vyoma), dove risiede Caitrā, la sedicesima nityā. Le altre quindici nityā stanno nei sette mari che circondano l’estensione terrestre: il mare salato, quello di vino, poi quello di succo di canna da zucchero, il mare di burro chiarificato, quello di yogurt, il mare di latte e, infine, di acqua dolce. All’interno del grande spazio vi sono quattro oceani, di succo di canna da zucchero, di vino, di burro e di latte e acqua mischiati. Sulla riva di questi oceani o, meglio, sulla spiaggia dell’oceano di succo di canna da zucchero (ikṣu sāgara), siede la divinità dal volto di cinghiale, Vārāhī, mentre, rivolta alle acque, sta la sua divina compagna Kurukullā, le due attendenti della Devī. Nel mezzo di questi oceani si estende la grande isola delle nove gemme (nava ratnām mahādvīpam). Il corpo umano è identificato con l’isola delle sette gemme nel cui centro si trova il giardino Kalpakodyāna2 dove la Dea risiede in tutto il suo splendore. Il sādhaka che medita su quel giardino deve includere nella sua meditazione anche le stagioni scandite dal kāla cakra. Infatti il pensiero deve rivolgersi anche alla ruota del tempo, perché il simbolismo dello Śrī Cakra dipende da questo. Per questa ragione Bhāskararāya nel suo commento introduttivo si riferisce alla “meditazione segreta sullo Śrī Cakra compresa nel Kāla Cakra” (rahasya bhūtam kāla cakrāntargata Śrī Cakrasya bhāvanā nāmnīn). Tale pensiero identifica il ciclo del tempo (kāla cakra) al ‘circolo del mondo’ (loka cakra). Tale eguaglianza è evidenziata dal fatto che entrambi i cakra sono composti da sedici unità (śoḍaṣī). Ogni nostra relazione dipende dalle due dimensioni di tempo e spazio.
La divisione del tempo in anni (abdi) corrisponde alla divisione spaziale del mondo in isole (dvīpa). La durata del tempo è tradizionalmente divisa sulla base delle sedici fasi della luna; vale a dire i quindici giorni lunari (tithi) più la sedicesima fase che comprende tutte le altre e che segna la continuità tra esse. Queste sono definite nityā o, più esattamente, tithi nityā. La sedicesima nityā, conosciuta come Citrā, non è coinvolta nell’aspetto fenomenico del mondo spazio-temporale. È detta risiedere, come s’è già affermato, nel grande etere (mahāvyoma) fuori dal ciclo del tempo (kāla cakra) che, a sua volta, circonda il mondo spaziale (bhūmi). Nityā significa ‘le perenni’ e sono così chiamate per la loro continuità ininterrotta, malgrado l’alternata crescita e decrescita della luna. Va ricordato che la Devī è proprio la luna di cui le sedici fasi sono il suo aspetto individualizzato. Ella risiede nell’isola, che altro non è che l’orbita lunare.

Dal punto di vista relazionale, il tempo è diviso in nove parti: ghatikā, la durata corrispondente a ventiquattro minuti; yāma, lo spazio temporale di tre ore; ahorātram, la giornata composta del dì e della notte; vāra, il giorno della settimana; tithi, il giorno lunare; pakṣa, la semilunazione di due settimane; māsa, il mese lunare; ṛtu, le sei stagioni di due mesi lunari3; e abda, anno.
Analogamente, lo spazio del mondo è diviso in nove gemme, che rappresentano i nove pianeti. Sono chiamati graha, ossia ‘quelli che catturano’ le relazioni mondane4. Le gemme sono: il topazio (puṣparāga); lo zaffiro (nīla); l’occhio di gatto (vaiḍūrya); il corallo (pravāla o vidruma); la perla (muktā); lo smeraldo (marakata); il diamante (vajra); la granata (gomeda); il rubino (padmarāga). Sono disposti in nove direzioni da ovest a sud.
Le nove gemme sono associate alle nove ‘signore del reame’ (cakreśvarī): il topazio con ‘la signora del tempo’ (kāla cakreśvarī), lo zaffiro con ‘la signora dei sigilli dell’autorità’ (mudrā), l’occhio di gatto con ‘la signora delle matṛkā’, il corallo con ‘la signora delle pietre preziose’ (ratna), la perla con ‘la signora dell’estensione del mondo’ (deśa), lo smeraldo con ‘la signora dei maestri della realtà’ (tattva), granata con ‘la signora dei pianeti’ (graha), il rubino con ‘la signora delle forme solide’ (mūrti). Ognuna di queste è nelle nove unità. Le nove unità di tempo sono state già menzionate. Le nove mudrā sono Sarva saṃkhsobhaṇa (la mudrā della messa in moto del divenire universale), Sarva vidravini (la mudrā del mantenimento dell’universo), Sarva akarṣaṇa (la mudrā della differenziazione dell’universo), Sarva vaśaṁkara (la mudrā dell’onnipervadenza dell’universo), Sarva unmādana (la mudrā della possessione amorosa dell’universo), Sarva mahānkuśa (la mudrā della protezione dell’universo), Sarva khecarī (la mudrā dell’annullamento delle malattie dall’universo), Sarva yoni (la mudrā della beatitudine principiale dell’universo) e Sarva bīja (la mudrā del mantra che rimuove l’illusorietà dell’universo). Le nove mātṛka sono i nove gruppi di segni del sistema grafico devanāgarī che comprende vocali e consonanti. Delle nove gemme (ratna) si è parlato sopra. Le noveregioni (deśa) sono in accordo con i nove ratna. I nove guru sono Prakāśananda Nātha e gli altri che sono stati elencati in corrispondenza delle nove aperture del corpo. I nove tattva sono riuniti in tre gruppi ognuno dei quali rappresenta i tre aspetti della conoscenza: il soggetto conoscente (jñātṛ), l’oggetto da conoscere (jñeya) e il rapporto conoscitivo tra i due (jñāna). I nove astri (graha) sono Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, il nodo o sizigia ascendente (Rahu) e quello discendente (Ketu). I nove solidi (mūrti) sono i seguenti costituenti del corpo: pelle, sangue, muscolo, peli, grasso, ossa, midollo, seme maschile e femminile (śukra), vitalità o forza vitale (ojas o prāṇa).
Le nove gemme sono fatte per corrispondere ai nove costituenti del corpo: topazio-muscolo; zaffiro-capelli; occhio di gatto-pelle; corallo-sangue; perla-seme; smeraldo-midollo; diamante-ossa; granata-tessuto grasso; rubino-vitalità. C’è una versione alternativa in cui il rubino corrisponde all’essenza vitale (rasa), lo zaffiro ai capelli; la perla al muscolo, il corallo alla pelle, l’occhio di gatto al sangue, il topazio al seme, il diamante all’osso, la granata al tessuto grasso e lo smeraldo al midollo.
Nella letteratura āyurvedica solo sette di queste parti sono riconosciute come costituenti corporee (dhātu) e questo è accettato da tutte le scuole del pensiero indiano; ciò esclude i capelli e la pelle. La Bhāvana Upaniṣad parla, tuttavia, di sette ‘dhātu del corpo incominciando con la pelle’ (tvagādi sapta dhātu). Si comprende che si dovevano enumerare nove parti del corpo corrispondenti alle nove gemme. Le due parti aggiunte in seguito, la pelle e i peli, dovevano essere, perciò, menzionate a parte. Tuttavia, Bhāskararāya ha eliminato questa difficoltà facendo notare che l’iniziale tvak, la pelle, doveva essere presa separatamente; in tal caso l’espressione seguente ādi, ‘iniziando con’, deve essere interpretata come la congiunzione ‘e’. In questo modo l’insieme dello śloka va letto come ‘la pelle, i capelli e i sette dhātu’.
L’idea della corrispondenza tra le nove gemme e le nove parti del corpo è probabilmente derivata da un particolare ritualistico di consacrazione, quando le nove gemme sono immerse nell’acqua medicamentosa nella misura di un khari, equivalente a 196 litri circa (Tantrarāja Tantra, 2.63). Durante la meditazione sullo Śrī Cakra i nomi delle nove gemme sono invocati come bastioni che proteggono il grande giardino degli alberi che esaudiscono i desideri (kalpakodyāna) con la recitazione della formula: puṣpa rāga ratna prākārāya namaḥ, ‘saluto ai bastioni fatti di gemme color dei fiori’.
7. Le intenzioni (saṃkalpaḥ) sono gli alberi che esaudiscono i desideri; la luce della mente è il giardino di tali alberi; e i sapori percepiti dalla lingua, dolce, aspro, amaro, piccante, astringente e salato, sono le sei stagioni.
Le tre affermazioni stabiliscono un unico tema: la mente del devoto è il giardino più straordinario, fuori dal consueto, e le sue intenzioni possono essere il mezzo efficace per la realizzazione spirituale, che sono in vero i favolosi alberi celesti che esaudiscono i desideri di coloro che ad essi si rivolgono. Il precedente vākya parla dello stesso corpo come ‘l’isola delle nove gemme’ (navaratna dvīpa). Avendo fornito un corpo di tale eccellente possibilità, è bene che si eserciti la propria mente nella giusta direzione, in modo da realizzare gli obiettivi della vita. La mente, agendo all’interno del corpo, aspira al giardino celeste, dove le sei stagioni sono eternamente presenti. Ogni intenzione che sorge nella mente partecipa della qualità celestiale, quando è nutrita dalla grazia del maestro.
Le tre affermazioni parafrasano la criptica asserzione nel Tantrarāja Tantra:
Le intenzioni (saṃkalpaḥ), cioè gli alberi che esaudiscono i desideri, sono i pensieri considerati più veri (35.4).
L’immagine evocata nei testi tantrici, che trattano della meditazione della Devī Lalitā–Rājarājeśvarī, colloca la sua residenza nel parco degli alberi che esaudiscono i desideri. Il termine kalpataru, proviene dalla radice klṛp, progettare, prefiggersi, per designare il mitico albero del cielo (svarga), che ha il potere di portare a compimento tutto ciò che uno desidera (kalpasya saṁkalpasya dātā); i suoi risultati durano fino alla fine del kalpa (kalpa sthāyi), periodo di tempo equivalente a un giorno di Brahmā5.
Dell’isola delle nove gemme (ratna dvīpa) si è già detto. In quell’isola c’è un grande parco (mahodyāna) formato da diverse specie di alberi. Vi sono soprattutto numerosi alberi di santāna (mango), kalpaka (erythrina stricta), harichandana (sandalo), mandāra (ibisco), pārijāta (erythrina variegata), bilva (ægle marmelos) e kadaṃba (neolamarckia cadamba). Il giardino è recintato da quattro bastioni costruiti con le nove gemme summenzionate. L’area centrale del parco ospita un’ampia sala fatta di corallo (māṇikya maṇḍapa). La sala è sostenuta da mille pilastri fatti di pietre preziose (sahasra ratna stambha maṇḍapa). All’interno di questo luogo recintato vi sono tre vasche o pozzi (vāpikā), la ‘vasca dell’immortalità (amṛta)’, la ‘vasca della beatitudine (ānanda)’ e la ‘vasca della volizione (vimarśā)’. In queste piscine vi è il grande prato di fiori di loto (mahā padmāṭavī) e in mezzo si trova il ‘palazzo del gioiello che esaudisce i desideri (cintāmaṇi gṛha)’. Il palazzo ha una porta (āmnāya) per ognuna delle quattro direzioni. Dentro si trova un grande trono fatto di gioielli (mahā siṃhāsana). Il trono ha sopra una culla (mañca), le cui quattro gambe sono Brahmā, il Dio creatore), Viṣṇu, il Dio della preservazione, Rudra, il Dio distruttore, e Īśvara, il Signore di tutte le creature). Il piano (phalaka) della culla rappresenta Sadāśiva, il Dio eternamente propizio, principio non agente (akartṛ) di pura coscienza, e perciò rappresentato sotto forma di un cadavere (Sadāśiva preta). Sulla culla siede Lalitā circondata da nove spiriti guardiani (nava śakti): Vibhūti (splendore), Unnati (elevazione), Kānti (illuminazione), Hṛṣṭi (soddisfazione), Kīrti (gloria), Sennati (cortesia), Vyuṣṭi (prosperità), Utkṛṣṭa (eccellenza) e Ṛiddhi (supremazia o perfezione).
Il luogo dove siede Lalitā–Mahā Tripura Sundarī è descritto come lo yoga pīṭha (seggio dello yoga) e ha la forma di un fiore di loto rosso come appare nel disegno dello Śrī Cakra (śrī cakrāṅkitam aruṇa tāmarasa padma rūpam yoga pīṭham), che simboleggia propriamente il loto del cuore (hṛdayāravinda) del devoto.
Il simbolismo di quanto è stato descritto è evidente. La Devī che è adorata nello Śrī Cakra è veramente l’intero universo in tutte le sue modalità. Il sādhaka deve identificare questo centro nel proprio corpo che è realmente lo Śrī Cakra, l’universo in miniatura (piṇḍāṇḍa). Egli è aiutato in questa identificazione obbedendo al suo maestro come la reale personificazione della Devī. Il grande prato dei fiori di loto (mahā padma vana) è il loto dai mille petali (sahasrāra), localizzato all’apertura che sta al culmine della propria testa. La corrispondenza delle parti dello Śrī Cakra con i cakra della costituzione umana è già stata indicata. È stato esplicitamente spiegato qui il simbolo su cui l’iniziato tantrico deve puntare fermamente le sue intenzioni prima di cominciare la contemplazione dell’identità tra la Devī, lo Śrī Cakra e il proprio corpo.
Le intenzioni (saṃkalpa), espresse o pensate correttamente, possono essere, quindi, i mitici alberi dell’abbondanza. La parola tecnica saṃkalpa significa essenzialmente una pulsione spontanea che proviene dai risultati (saṃskāra e vāsanā6) del karma operato in esistenze precedenti, che induce a formulare il desiderio (kalpayati sarva kāmam saṃpādayati) di produrre un effetto, di promuovere un movimento, di raggiungere un obiettivo, con il fine di goderne. Kalpa vuole dire desiderio: con l’aggiunta del prefisso saṃ, la parola significa l’intenzione orientata al suo compimento. Solamente partendo dalle intenzioni o inclinazioni, che si hanno fin dalla nascita, il desiderio può svilupparsi e dare inizio all’azione finalizzata all’ottenimento del risultato.
Le intenzioni emergono come potenzialità nel campo luminoso (tejas) che Bhāskararāya interpreta correttamente come la mente (manas) sull’autorità della śruti. L’Upaniṣad Brahmayogin prende la parola nel senso più ampio di anima (jīva), perché essa può proiettare molteplici immagini al di fuori di se stessa; perciò, a suo parere, è l’anima a essere incantevole come un giardino. Ma nel contesto tantrico, la parola “tejas” si riferisce a ciò che è prodotto dal fuoco-calore del corpo che in se stesso risplende e che illumina e oggettiva il mondo circostante (śārīrāgni saṃbhūta padārtha viśeṣaḥ). È la coscienza che prende conoscenza dei fenomeni esterni. È la mente nel senso più ampio, che in senso specifico è il jīva stesso.
La più importante interpretazione su tejas si trova nei testi di medicina āyurvedica. Suśruta7, ad esempio, intende tejas nel senso di essenza energetica (sāra od ojas) di tutti e sette i costituenti del corpo umano, nel senso di forza o vigore (bala). Secondo questo grande medico del passato, tejas rafforza la capacità visiva, accresce l’energia del corpo, facilita la facoltà digestiva, migliora l’aspetto, procura splendore al viso. È direttamente relazionato al metabolismo nei costituenti del corpo. Il primo dei sette costituenti è il chilo (rasa), che si forma quando il cibo assunto è correttamente digerito ed equamente assimilato. La digestione del cibo dipende dai gusti (rasa) che costituiscono il suo aspetto essenziale. E i gusti sono tradizionalmente in numero di sei e sono differenziati inizialmente dalla percezione della lingua. I gusti sono anche associati alle sei stagioni: 1 vasanta (primavera, circa8 marzo-aprile) dolce; 2 grīṣma (estate, maggio-giugno) aspro; 3 varṣa (piogge, luglio-agosto) amaro; 4 śarad (autunno, settembre-ottobre) piccante; 5 hemanta (inverno, novembre-dicembre) astringente; 6 śiśira (mesi freddi, gennaio-febbraio) salato. Le stagioni sono determinate dall’intrecciarsi dei mesi lunari nel corso dell’anno solare. Tali intrecci sono rappresentati nel corpo dai canali iḍā e piṇgalā, avvolti in doppia spirale attorno al canale centrale (suṣumṇā), lungo il quale si trovano i sei cakra, dall’anāhata all’ājñā, spazi cavi descritti come aperture (randhra). Questi sei centri sono le sedi delle divinità attendenti, come le Dākinī e altre. L’insegnamento segreto dei Tantra insiste sull’importanza della comprensione dei simboli circa la corrispondenza tra le stagioni e le loro collocazioni (ādhāra) nei sei cakra retti dalle divinità attendenti.
Il gusto (rasa) è spiegato nello Yoginīhṛdaya (mantra saṅketa, 41) riferito al suo aspetto grossolano (sthūla), compreso nell’elemento acqua, e quello sottile (sūkṣma), insito nell’elemento terra. Questi due aspetti sono determinati dai digiti lunari in alcuni centri siti nel corpo. Naturalmente, è messa bene in evidenza la relazione del senso del gusto con il nettare (amṛta), l’essenza dell’orbita lunare.
Una ulteriore spiegazione di cos’è tejas appare in alcuni śloka nel Tantrarāja Tantra (30. 51-55). Nel mūlādhāra di tutti gli esseri viventi, risiede il fuoco (agni); nell’anāhata, all’altezza del cuore, sta il sole (sūrya); l’apertura del culmine della testa (brahmarandhra) è la dimora della luna (candra). Tutti e tre sono corpi luminosi di luce propria. La Devī (Lalitā), in quanto principio primordiale e perenne di pervasione e di continuità (ādyā nityā), è presente in tutte queste sorgenti di luce, integrandole e unificandole alla mente del devoto. È in tal senso che i testi identificano tejas, inteso come mente e jīva, al piacevole giardino della Devī.
Riguardo al percorso per raggiungere il divino parco, la Bhāvana Upaniṣad non fa menzione di alcun dettaglio che si ritrova nel Tantrarāja Tantra (5. 24-25; 27). Nel Kalpakodyāna, prima di raggiungere le nove gemme ci si imbatte in cavalli ed elefanti, per poi raggiungere le mura di gemme. Un fossato pieno d’acqua (parikhā) circonda la sala centrale tempestata di pietre preziose (māṇikya maṇḍapa). I cavalli simboleggiano dieci strumenti, cinque di conoscenza, rappresentati da orecchi, pelle, occhi, lingua e naso, e cinque d’azione, bocca, mani, piedi, ano ed organi di procreazione. Gli elefanti rappresentano i dieci oggetti di tali organi: l’udito, il tatto, la vista, il gusto, l’odorato, la parola, la prensione, la locomozione, l’evacuazione e il piacere. Il fosso pieno d’acqua simbolizza la compassione (karuṇā) per tutti gli esseri, e la sala di gemme, che sta al centro, rappresenta la concentrazione di ogni potenza necessaria per ottenere l’identificazione con la Dea Madre.
- Una yojanā è la distanza uguale a quattro krośa. Ogni krośa equivale a circa quattro chilometri.[↩]
- Letteralmente ‘parco degli alberi kalpataru’.[↩]
- Le sei stagioni tradizionali dell’anno hindū sono le seguenti: vasanta, primavera; grīṣma, la stagione calda; varṣā, la stagione delle piogge; śarad, autunno; hemanta, inverno; śiśira, la stagione fredda.[↩]
- Si tratta delle innumerevoli relazioni a cui è sottoposta la vita corporea, tra cui enumeriamo, a titolo di esempio, spazio-tempo, causa-effetto, soggetto-oggetto, generale-particolare ecc.[↩]
- Ciclo massimo che comprende mille mahāyuga; ogni mahāyuga annovera quattrodici manvantara, ciascuno dei quali è composto da quattro yuga. Il presente kaliyuga ha la durata totale di 432.000 anni solari. La dottrina dei cicli cosmici del sanātana dharma, come si può notare, ha un orizzonte molto più vasto di quello descritto dalle religioni occidentali, le quali, essendo state tutte fondate in un dato periodo del kaliyuga, hanno una concezione ciclica e una durata confinata all’interno di una ristretta frazione dell’età oscura. Questa è la ragione per la quale esse paventano l’imminenza di quella che per loro è la ‘fine del mondo’. D’altronde molte altre civiltà e tradizioni apparse nel corso del kaliyuga hanno già subito la fine del ‘loro mondo’.[↩]
- I saṃskāra sono gli effetti invisibili (adṛṣṭa phala) di azioni compiute in precedenza, mentre le vāsanā rappresentano piuttosto i risultati di intellezioni.[↩]
- Autore delle Suśruta Saṃhitā, testo fondamentale soprattutto per la chirurgia āyurvedica. È menzionato nel Mahābhārata come figlio del Rājaṛṣi Viśvāmitra.[↩]
- Le variazioni rispetto al calendario gregoriano dipendono dalle differenze con l’anno lunisolare in uso in India.[↩]