La Bhāvana Upaniṣad
Testo e Commento
2. Il corpo è formato da lui con nove uscite.
Il Tantrarāja Tantra connette questa affermazione a quanto è stato detto prima:
Il maestro è la potenza primordiale; egli è considerato come intelletto. Le nove uscite del suo corpo corrispondono alle nove aperture corporee. (TT 35.1-2)
Il maestro identificato con il principio Śakti, che è la prima emanazione di Śiva, ed è ‘forma mentale’, rappresenta il principio di volizione (vimarśa), come differenziato da Śiva stesso, che è pura illuminazione (prakāśa). La relazione tra Śiva e Śakti è il grande tema di tutto il tantrismo: ciò ci induce a ripetere quanto s’è già detto.
Il principio Śiva, come primo manifestato, è differenziato dal principio fondamentale di pura e trascendente coscienza (parāsaṃvit) in quanto è il principio di coscienza attiva (cit), che fornisce la struttura soggettiva per ogni esperienza, cioè la nozione di ‘io’ (aham), senza però ancora nessun coinvolgimento nel dominio oggettivo. Il principio Śakti, d’altro lato, sviluppandosi direttamente dal principio Śiva, è l’energia cosmica che determina il dominio oggettivo, corrispondente alla nozione di ‘questo’ (idam). La manifestazione fenomenica procede effettivamente dal principio Śakti che, per questa ragione, è descritto come la Dea Madre, Devī Mātā) come le tre modalità di energia: volontà (icchā), conoscenza (jñāna) e azione (karma).
I principi Śiva e Śakti sono indistinti e in perfetta armonia nell’ultimo stadio di dissoluzione cosmica (saṃhāra o pralaya). Durante la creazione (sṛṣṭi), al contrario, la dicotomia di ‘io’ e ‘questo’, vale a dire delle rispettive funzioni di Śiva e Śakti, tende ad essere divaricata al massimo, mentre nella fase di conservazione (sthiti) il bipolarismo è mantenuto stabile. Le funzioni gemelle risultanti da questa polarizzazione sono illuminazione (prakāśa) e volontà (vimarśa), che pervadono la totalità della realtà fenomenica come pure l’esperienza di relazione (vyāvahārika bhava) di ogni essere vivente. La relazione tra i due principi è come quella tra il lampo e il suo bagliore. I raggi della luce, procedendo in ogni direzione, sono la causa dello sviluppo del cosmo per mezzo dei trentasei tattva.
La funzione di volizione (vimarśa) è spiegata come il principio di illuminazione che diviene consapevole di se stesso come coscienza attiva (percipiente, pramātṛ) o, meglio, diventa cosciente di se stessa come soggetto. Si riscontra anche un significato più esteso di volizione: essa rende proprio anche un oggetto estraneo; rende se stesso ciò che è distaccato da se stesso; unifica i due processi d’identificazione e di distacco e separa ciò che così era stato unificato. Volizione significa soprattutto rendere consapevolmente duale in termini di consapevolezza del mio ‘io’ (ahaṁtā) e consapevolezza dell’oggetto, del ‘questo’ (idaṃtā).
Il commento al Tantrarāja Tantra, seguendo anche le indicazioni di Bhāskararāya, prende la volizione per rappresentare il canale centrale della costituzione umana, conosciuto come suṣumṇā. L’idea di canali (nāḍi) all’interno del corpo grosso e sottile, è importante non solo per i Tantra e per lo Yoga, ma anche nel pensiero vedico. Le Upaniṣad parlano di un numero di cento e un canali che nascono e si ramificano dal principale centro dell’esistenza umana, il cuore (hṛdaya), in quanto sede dell’anima. Sono descritti come estremamente sottili e minuti come un capello spaccato per lungo in mille parti. Ognuno di questi canali porta e convoglia la forza vitale (prāṇa), e tutti insieme non solo sostengono la vita, ma sono responsabili di tutte le funzioni corporee, mentali e spirituali. Tra essi, quello che sale verso l’alto è il più importante in quanto permette di raggiungere la più elevata meta dell’esistenza umana, l’immortalità (amṛtatva). Mentre cento e più canali tengono avvinto l’individuo, questo centrale è ascendente e liberatorio; troviamo il primo riferimento al suo nome nella Maitrī Upaniṣad (VI.21).
L’idea di canali di energia appare soprattutto nei testi tantrici e nelle pratiche yogiche. Vi è detto che il numero dei canali che regge la vita e sostiene l’organismo è di tre milioni e mezzo. Il corpo sottile dell’essere umano è composto di cento e uno di tali canali, che si dipartono dal cuore, dalla ‘fossa basale’ e da altri centri (cakra). Si dice che si divida in altri cento canali minori e che ognuno di questi, a sua volta, si ramifica formando così un complesso insieme di 700 milioni, attraverso cui scorrono le correnti vitali.
Del canale ascendente, conosciuto come suṣumṇā, si è già detto. Al suo interno, seguendo l’andamento della spina dorsale (meru daṇḍa), scorre un canale più sottile, chiamato citriṇī, che rappresenta l’energia lunare nel corpo umano. Esso è racchiuso in un’altra nāḍī, la vajriṇī, che è l’energia solare nel corpo. Questi tre canali concentrici rappresentano il principio del fuoco (agni), composto dai tre guṇa. Suṣumṇā corrisponde a tamas, citriṇī e vajriṇī rispettivamente a rajas e sattva. Essi hanno origine dal centro di base, il mūlādhāra cakra, detto anche kanda yoni1, o adhara kuṇḍa2, che nel corpo rappresenta l’elemento terra, e raggiungono la sottile apertura sulla sommità della testa (brahmarandhra), sede della pura coscienza, passando attraverso le aree che simboleggiano gli altri elementi (svādhiṣṭhāna-acqua, maṇipūra-fuoco, anāhata-aria, viśuddha-etere e ājñā-mente).
Dunque la suṣumṇā è l’arteria sottile più importante per l’esistenza umana, comprendendo le tre tendenze sostanziali (guṇa), le tre regioni (triloka) del sole, luna e fuoco, i cinque elementi, che, in questo modo, offre anche la possibilità di giungere alla meta suprema. Simboleggia la prakṛti particolarizzata nell’essere umano. Alla sua sinistra, ma fuori dal merudaṇḍa, vi è un altro canale chiamato iḍā, che ha origine dalla stessa sorgente della suṣumṇā, ma che sbocca nella narice sinistra. Alla sua destra, ugualmente fuori dal merudaṇḍa, vi è il canale conosciuto come piṅgalā, che s’origina da dove parte iḍā e che termina alla narice destra. Se suṣumṇā rappresenta il principio del fuoco, iḍā, maschile e di colore bianco, rappresenta il principio lunare, e piṅgalā, femminile e di colore rosso, il principio solare. I tre canali sono uniti alla base, cioè al mūlādhāra, e per questo sono chiamati tre correnti intrecciate (yukta triveṇī), che simboleggiano la notte di luna nuova (āmāvāsyā) quando sole, luna e fuoco s’incontrano nella comune radice (mūla) tenebrosa. Da lì si diramano normalmente come fiumi separati. Si immagina che tali correnti siano la sottile e organica rappresentazione dei fiumi Gaṅgā, ossia il Gange (iḍā), Yamunā (piṅgalā) e del fiume nascosto Sarasvatī (suṣumṇā).
Il canale centrale è strettamente connesso con l’energia cosmica che giace dormiente in ogni essere vivente, kuṇḍalinī, immaginata come un serpente attorcigliato, assopito nel centro basale, che, con la sua testa, ottura il canale centrale. È la proiezione del principio di Śakti nell’uomo, ossia la volontà (vimarśa), localizzata nel loto dai mille petali (sahasrāra kamala) al culmine della testa. Essendo bloccato il canale centrale, ciò causa una separazione nella relazione tra i due principi che, in realtà, sono sempre uniti. Il metodo prescritto nel Tantra e nello Yoga è di risvegliare kuṇḍalinī, che, svolgendo le sue spire, ascenderà lungo il canale centrale per raggiungere il loto dai mille petali. In questo modo è eliminata la dicotomia tra i due principi. La volontà della Śakti si attua nel canale centrale.
Il canale centrale, quindi, rappresenta, come il maestro, lo strumento (upāya) per raggiungere il più alto traguardo dell’uomo. In questo senso il maestro è identificato alla suṣumṇā, in quanto mette in atto la potenza di vimarśa. Il paragone è lungi dall’essere esaurito. Infatti il canale centrale, agendo in differenti zone, è responsabile delle diverse funzioni del corpo, generalmente raggruppate come segue: l’organo del gusto, la lingua, all’altezzadel svādhisțhāna; l’organo della vista, i due occhi, nel maņipūra; l’organo di escrezione e quello di riproduzione, l’ano e i genitali, nell’anāhata; l’organo dell’udito, i due orecchi, nel viśuddhā cakra. Queste sono le nove porte del canale centrale per l’attuazione della volontà. La loro funzione di porte o aperture per le forze vitali è quella di permettere il contatto con il mondo esterno.
Analogamente a queste nove porte della suṣumṇā, anche il maestro, essendo identificato al canale centrale, ha nove forme con cui trasmette al discepolo l’insegnamento e l’influenza spirituale (anugraha). Conformemente all’importanza che il tantrismo attribuisce ai numeri tre e nove, si afferma che il maestro (che è identico al principio Śiva) fluisce in tre correnti (ogha), così chiamate per la continuità in successione e per la velocità con cui il discepolo è preparato. Ognuna di queste correnti ha tre forme: in questo modo il guru fornisce nove guide per condurre il discepolo all’illuminazione e alla liberazione. La prima corrente è definita divina (divyaugha) perché le tre forme del maestro che fluiscono in essa sono al di là del comune piano della relazione (vyavahāra), condividendo le caratteristiche del principio reale Śiva. La terza corrente è quella delle forme umane (mānavaugha), che sono a portata di mano dei discepoli perché appaiono come individui umani e vivono in mezzo a noi. La seconda corrente è quella delle forme dell’individuo perfetto (siddhaugha) che sono a metà strada tra il divino e l’umano. Sono in realtà forme divine, ma possono apparire in mezzo agli esseri umani per fungere da guida. Convenzionalmente i tre nomi in ogni ‘corrente’ rappresentano la serie dei propri maestri delle tre ultime generazioni, ossia il maestro attuale (guru), il suo maestro (paramaguru), e il maestro di questi (parameṣṭhi guru). Al di là di questi tre, i nomi dei maestri precedenti solitamente non sono ricordati né sono recitati ritualmente.
Le diverse paramparā forniscono denominazioni diverse di queste nove guide; ma si tratta solo nomi simbolici e suggestivi. La lista accettata nella tradizione kādi che si rifà alla Bhāvana Upaniṣad, è la seguente:
I. La corrente divina comprende: 1. Prakāśa, l’illuminazione, corrispondente al tattva Śiva; 2. Vimarśa, la volizione, corrispondente a Śakti; 3 Ānanda, la beatitudine e la consapevolezza corrispondente al principio parāsaṁvit.
II. La corrente dell’individuo perfetto (siddha) comprende: 4. Jñāna, la conoscenza dell’essenziale identità, tra ‘io’ e ‘questo’, corrispondente al tattva śuddhavidyā; 5 Satya, la verità sull’illuminazione e la sua volizione, corrispondente a Īśvaratattva); 6. Pūrņa, realizzazione o felicità, che corrisponde a sadāśiva.
III. La corrente umana comprende: 7. Svabhāva, la natura o costituzione, corrispondente al principio limitato niyati; 8. Pratibhā, conoscenza intuitiva, ossia vidyā; 9. Subhaga, il ‘ben fornito’, che corrisponde al tattva kalā. I nomi dei guru, così recitati, usualmente terminano in ānanda nātha.
Le nove porte del canale centrale, menzionate sopra, sono identificate con le nove parti del corpo del maestro3:
I. L’orecchio destro con Prakāśa, il sinistro con Vimarśa, la lingua con Ānanda;
II. L’occhio destro con Jñāna, il sinistro con Satya, i genitali con Pūrņa;
III. La narice destra con Svabhāva, la sinistra con Pratibhā, e l’ano con Subhaga. Dato che il maestro è stato identificato con il canale centrale si deve ricordare che queste nove porte sono i diversi affioramenti della volontà dal canale centrale (vimarśa).
Il canale centrale è anche il sentiero attraverso cui il primo ed eterno suono, sorgendo nella cavità basale (ādhāra), muove verso l’alto, come attraverso una canna di bambù cava. La canna ha dieci nodi (parva), che rappresentano dieci tappe di ascesa, formando così tra essi nove spazi (avakāśa), chiamati aperture (randhra).
Ci si deve soffermare su queste aperture per le loro ulteriori implicazioni. La parola sanscrita randhra, oltre a significare uscita, vuol dire anche apertura d’entrata, nel senso che permette di entrare. Le aperture sono passaggi attraverso cui le cose desiderabili o salutari (upādeya) sono portate all’interno dal mondo esterno, e dalle quali sono espulse quelle indesiderabili o malsane (anupādeya). Il ruolo del maestro, per il bene del discepolo, consiste nell’incoraggiarlo verso la meta (artha pravṛtti) e nel trattenerlo dall’andare fuori strada (anarthāduparati). Così agisce lo sguardo compassionevole (kaṭākṣa) del maestro. Queste aperture d’entrata e d’uscita sono realmente l’espressione della volontà del maestro.