Śrī Śrī Svāmī Ātmānandendra Sarasvatī Mahārāja
Karma e karma yoga nell’insegnamento della Bhagavad Gītā
Śrī Śrī Ātmānandendra Svāmījī è stato discepolo del grande advaitin Pūjya Svāmī Satchidānandendra Sarasvatī Mahārājajī, e il primo a succedergli al Pīṭham di Holenarasipura. Le sue rare pubblicazioni, che mettono in risalto la sua predilezione per la riflessione sullo Bhagavad Gītā Śaṃkara Bhāṣya, mettono in risalto le caratteristiche altamente intellettuali e lo stile e la forma piana e comprensibile dell’insegnamento ricevuto.
Abbiamo scelto di pubblicare un estratto della sua opera sull’argomento della distinzione tra il semplice karma e l’utilizzo dello stesso al fine di compiere il karma yoga. Si è, infatti, ritenuto opportuno illustrare più approfonditamente il tema dell’uso del rituale presso la tradizione hindū, per correggere diverse e frequenti interpretazioni erronee e illusorie che riguardano la sfera dell’azione e, in particolare, del rito. Anzitutto è necessario ricordare al lettore occidentale che la struttura del sanātana dharma è ben differente da quella dei monoteismi. Il fatto che non vi si ritrovi la bipartizione essoterismo-esoterismo fa capire che in India le categorie dei rituali esteriori e dei rituali iniziatici non sono così divaricate, essendo entrambi parti della sezione tradizionale dedicata all’azione (karma kāṇḍa). Nel caso dei riti vedici, per esempio, colui che mette in atto il rituale in forma ripetitiva e, per così dire, “meccanica”, compie un’azione esteriore, seppure agisca spinto da fervore devozionale. Colui che, invece, esegue gli stessi riti dopo una specifica iniziazione e seguendo gli insegnamenti del Guru, compie un’azione iniziatica. Ovviamente entrambe le ritualità messe in azione saranno efficaci, ma in modi e gradi differenti. A.K. Coomaraswamy, della cui incomprensione su tutto ciò che supera il simbolismo più letterale del rito si è già scritto su questo Sito, anche in questo caso ha diffuso un ulteriore grave errore. Egli sosteneva (“Atmayajna: Self-Sacrifice”, Harvard Journal of Asiatic Studies, vol. 6, n° 3-4, 1 February 1942, pp. 358-359) che chi compie il rito senza la corrispondente conoscenza fa parte del karma kāṇḍa, mentre chi compie il rito conoscendone l’efficacia è già nel jñāna kāṇḍa. Nulla di più errato; non c’è dunque da stupirsi che coloro che seguono lo studioso anglo-singalese siano arrivati al punto di farneticare circa presunti “effetti metafisici dei riti iniziatici”.
Maitreyī
1. Karma e karma yoga nell’insegnamento della Bhagavad Gītā
Svāmī Ātmānandendra chiarisce in modo inequivocabile la differenza tra chi percorre una via a tappe con il desiderio (kāma) di raggiungere un cielo, foss’anche il Brahmaloka, o di ottenere l’unione con la divinità universale (Hiraṇyagarbha) che lo ha creato assieme all’intero mondo, da chi segue lo stesso itinerario rituale senza desiderare alcuna ricompensa, alcuna meta,…
2. Karma e karma yoga nell’insegnamento della Bhagavad Gītā
Solamente la conoscenza annulla l’azione e l’illusione a cui essa appartiene. Solamente la conoscenza permette di fissarsi nella Realtà eterna, non nata e immortale. Colui che attraverso la via delle opere (karma mārga) rifiuta tutti i poteri (siddhi), gli stati supernormali (vibhūti), tutte le perfezioni (sādhya), tutti i premi (lakṣya), tutti i mondi (loka), tutto…