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Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja

7. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda

Agama Prakaraṇa

Mantra 3b

Tutto questo è Oṃ, il nome (abhidhānam) e tutto questo è Brahman, il nominato (abhidheyam); ciò significa che c’è una reale unicità, mukhya ekatvam. Ciò che è noto all’uomo è la correlazione tra il nome e il suo significato. Tra la parola vaso e l’oggetto vaso c’è una correlazione, sono sempre correlati. Non si può dire che l’oggetto vaso possa esistere indipendentemente dalla parola vaso; non può mai esistere indipendentemente dalla sua descrivibilità. In quanto oggetto è sempre descrivibile con un nome. Ciò che non è descrivibile con un nome è nirviśeṣam, ma ogni oggetto esiste solo in quanto descrivibile. Quindi la sua descrivibilità è il nome e l’oggetto è il nominato: abhidhānam abhidheyam. La correlazione tra il nome e il nominato è nota e ciò che la śruti insegna è che abhidhānam abhidheyam che sembrano correlati, sono realmente uno e la loro reale unicità è il messaggio della śruti. Se il nome e il nominato sono realmente uno, lo possono essere solo come nirviśeṣam. Il nome equivalente al nominato perde la sua nominabilità e la reciproca equazione cancella entrambi. La reale unicità altro non è che colui che vede. È il vedente che vede il nome ed è il vedente che vede il nominato. Entrambi hanno origine e appaiono nel proprio essere. In sonno profondo si sta in quanto nirviśeṣam e in quel nirviśeṣam appare la creazione che è descrivibile. La correlazione inizia nel nirviśeṣam. Perciò l’unicità reale del nome e del nominato non è un altro oggetto; è il soggetto, il nirviśeṣam. La natura del soggetto è nirviśeṣam, il soggetto illimitato, l’Ātman illimitato. Il mukhya ekatvam non è fuori dal Sé. Come la reale unicità del nome dell’oggetto descrivibile, così anche l’origine dell’universo, insegnata come origine (kāraṇam), è descrivibile perché ha relazione (sambandham). Perciò la creazione è abhidheyam: l’origine, in quanto origine, è abhidheyam, l’abhidhānam dell’origine è Oṃ e gli abhidhānam degli innumerevoli oggetti, gli innumerevoli nomi, si riducono a Oṃ, e l’immensa creazione si riduce all’origine. Quindi ci rimane solo un abhidhānam e un abhidheyam; riportando la creazione verso la sua origine, esse è reso falso, non c’è altro modo. Falsificare non è solo credere che sia falso; Quando si riporta l’onda all’acqua, è l’idea del suo essere onda che viene resa falsa: non è onda, è acqua. Far risalire la creazione alla sua origine è il modo per renderla falsa. Perciò l’universo si riduce a Brahman-origine e tutti i nomi a un nome chiamato Oṃ. Tra Oṃ e l’origine non c’è correlazione; la śruti dice che Oṃ è Brahman e Brahman è Oṃ. Cioè fra l’origine e Oṃ c’è una reale unicità e se l’origine è OṃOṃ è l’origine. Se il nome è il nominato, c’è reale unicità, e Oṃ e ciò che denomina, entrambi sono riportati al nirviśeṣam. Così quel nirviśeṣam, la reale unicità dell’Oṃ conosciuto e dell’origine insegnata (quindi, l’idea dell’origine), cioè il nirviśeṣam di entrambi è il pratyagātman. Il mukhya ekatvam di Oṃ e di Brahman insegnato come origine, non è esterno perché qualsiasi cosa esterna è oggettivabile e ciò che è oggettivabile è parte della creazione. Ayam Ātma Brahman, proprio questo Ātman è nirviśeṣam: è il nirviśeṣam che è insegnato come origine dell’universo, è il nirviśeṣam che appare come universo; ed è lo stesso nirviśeṣam che appare come jīva, e proprio quello stesso nirviśeṣam è insegnato come origine. Quando è insegnato come origine, in quanto origine, diventa nominabile. Perciò la reale unicità di Oṃ e Brahman non è esterna al proprio essere perché non è evidente, in quanto nessun oggetto è evidente come nirviśeṣam; ogni oggetto è evidente in quanto ha attributi ed è oggetto del pensiero. Ogni oggetto è un oggetto di percezione, di pensiero, di ricordo, ma il nirviśeṣam non è oggetto di pensiero. È questo Ātman nirviśeṣam che è insegnato come catuṣpādaNirviśeṣam non è catuṣpāda;ma è insegnato così. È insegnato in quanto catuṣpāda in modo che i tre pāda siano riportati al Quarto, che è il Sé. Non è il jivātman che ha quattro pāda: è l’Ātman illimitato e per questo è detto so ’yam Ātman catuṣpāda. Quell’Ātman, che è Brahman, ha quattro pāda. Il vegliante e lo stato di veglia, presi come un tutt’uno sono un pāda, Il sognatore e lo stato di sogno sono un altro pāda; il sonno profondo, come loro assenza o come origina (kāraṇam), è il terzo pāda, in quanto Īśvara e tutti e tre risalgono al nirviśeṣam in cui sono resi falsi. La creazione, come pure la relazione origine-creazione, ogni cosa è riportata al nirviśeṣam. Quando il saviśeṣam è fatto risalire al nirviśeṣam è reso falso. Il saviśeṣam non è riportato al saviśeṣam, perché in questo modo non sarebbe reso falso. Come nel sonno profondo l’intera mente è dissolta nel nirviśeṣam, che non è mente, che non è pensiero. Il pensiero è riportato all’Essere che non è un pensiero. La mente è riportata al proprio Essere che non è mente. Non è estroverso; la mente è estroversa, il pensiero è estroverso, ma quello che è estroverso è riportato al proprio Essere. Non si riporta la parola: anche se si dice che la creazione è riportata all’origine, si intende che è insegnata come origine, ma è nirviśeṣam. Così si riporta la relazione origine-creazione al nirviśeṣam. Quando ogni cosa è riportata al nirviśeṣam,allora è falsificata, non c’è altro modo per renderla falsa. Che mi sia scomoda, non la rende falsa, che sia fonte della mia sofferenza (duḥkham) non la rende falsa; devo scoprire la realtà di ciò che vedo. E, riportata alla sua propria origine, la creazione è resa falsa. Bisogna capire il significato di ‘rendere falso’: vuol dire riportare il saviśeṣam al nirviśeṣam. Anche se diciamo che la creazione è riportata alla sua origine, l’origine per sua natura è nirviśeṣam. Perciò, quale Ātman è catuṣpāda? Non l’Ātman nel corpo, il corpo essendo una parte di un pāda. È il Paramātman, è l’Ātman, il Brahman che ha quattro pāda, è il Sé che è illimitato, la propria esistenza che ha quattro pāda. Il pensiero non ha quattro pāda, è soltanto una parte di un pāda. Così anche il jīvatva è una parte di un pāda e il jīva non ha quattro pāda. Questo Ātman advitīya è l’Ātman nirviśeṣam, il Sé illimitato; è nirviśeṣam, ma insegnato come se avesse quattro pāda. Si deve sempre capire la differenza fra Essere ed Essere insegnato. È insegnato in quanto catuṣpāda per correggere l’errore. I tre pāda sono riportati al Quarto, che è proprio il Sé. È uno e ha quattro quarti. Il primo è il jāgarita sthāna; la veglia, che non è un’entità inerte, è una percezione. Stato significa solo percezione. È chiamato stato nella forma di percezione; un oggetto non è chiamato stato. Quando vedo il sogno, percepisco il sogno; la mia percezione del sogno è chiamata stato di sogno in quanto è la mia percezione. Anche la veglia è uno stato, perché è una percezione. Se fosse una cosa che si può raggiungere non sarebbe uno stato, sarebbe solo un cambiamento di luogo: se vai in America è un cambiamento di luogo. Restando qui, se si pensa di essere in America, ma non si è andati lì, è comunque uno stato di percezione. Un alcolizzato ha visioni; anche quello è uno stato di percezione ed è chiamato stato. Una cosa è differente da uno stato: si deve guardare sempre la vita come uno stato, non come una cosa che sta lì. Quando vedi il blu del cielo, è uno stato di percezione, un’illusione è uno stato di percezione. L’acqua che si vede nel miraggio, è uno stato di percezione, è uno stato di confusione. Quindi, un certo tipo di pensiero è uno stato. Perciò la vita è uno stato, la veglia è uno stato; la percezione, per la verità, sembra sempre come se fosse una cosa. C’è un senso di realtà riguardo la percezione, come un ubriaco che vede cose che non ci sono, ma che ritiene reali. Quindi, vederle è percezione e anche pensare che ci siano realmente è percezione. Vedere il serpente è percezione e anche pensare che sia reale è percezione. Quella percezione è uno stato. Noi lo chiamiamo universo, e la śruti lo chiama stato; è uno stato di veglia, è un’avasthā e stato significa stato di percezione. Il sogno è uno stato di percezione e il sonno profondo è uno stato di esperienza. Non c’è alcun problema nell’usare la parola esperienza: si può dire che la veglia è uno stato di esperienza, che il sogno è uno stato di esperienza, ma è un’esperienza erronea. La percezione erronea è descritta come esperienza erronea e non è nient’altro. Il miraggio lo puoi chiamare percezione, giudizio erroneo o anche esperienza erronea; la differenza delle frasi non rende differente il fatto. La veglia non è una cosa, è una percezione e questa percezione è nel Sé illimitato. Nel Sé illimitato c’è una percezione di stato di veglia che include il tempo che anche è una percezione; invece noi guardiamo i dettagli dello stato di veglia come se fossero cose. “Io sono venuto in questo luogo da qualche altra parte, vedo lo stato di veglia in me.” Non raggiungiamo gli oggetti del sogno, chiudiamo gli occhi e li sogniamo in noi, cioè ‘li vedo in me’; non è possibile vedere qualcosa al di fuori di se stesso. Non c’è alcun ‘al di fuori’ del proprio essere, perciò jāgarita sthāna, la verità che ha la percezione dello stato di veglia, chiamata percezione esterna, cioè oggettivazione, la verità che vede una percezione della veglia e che oggettiva qualcosa che non qualifica il suo Essere, quell’Essere illimitato è chiamato jāgarita sthāna. Lo stato di veglia che sperimenta è chiamato jāgarita sthāna. Colui che sperimenta lo stato di veglia è chiamato jāgarita sthāna yasya. Non è il Sé che viene al mondo della veglia, la veglia non è un mondo, è uno stato di percezione. È bahiṣprajña, la stessa Realtà con conoscenza esterna, con percezione, con conoscenza oggettivata. Questo essere illimitato che è jāgarita sthāna yasya come sperimentatore della veglia, proprio il Sé illimitato con prājña oggettivato, è lo stesso essere illimitato e comprensivo dell’intero stato di veglia e non è confinato nel corpo. Tale confinamento è preso per un punto di vista, preso come un dato certo, ma se lo si osserva attentamente in quanto essere cosciente, non c’è alcun confinamento; tu sei comprensivo di tutto quello che vedi. Come l’acqua è comprensiva dell’onda e non può essere confinata all’onda perché la comprende: è lo stato di onda che è confinato all’acqua, l’onda non può esistere senza essere acqua, perciò è confinata all’acqua. Ma l’acqua può esistere senza essere onda. Rifletti su questa frase. L’acqua può esistere senza essere onda, ma l’onda non può esistere senza essere acqua; quindi è il fatto di essere onda che è confinato all’acqua. Similmente, ciò che percepisco è confinato alla mia presenza, è sempre compreso in chi percepisce. La propria esistenza è come l’acqua e lo stato di percezione, che pare essere un oggetto di percezione, è come l’onda. Perciò, in quanto comprensivo di ogni cosa, è detto ‘con sette membra’ (saptāṅga). Il Bhāṣyakāra mette in luce un punto molto importante, per cui, dissolvendo i tre pāda nel Quarto, essi sono falsificati: non c’è altro modo. Quando i tre pāda sono resi falsi, è falsificato anche il proprio senso di limitazione, il proprio saṃsāra è reso falso. Se dicessimo che il primo pāda è stare solo nel corpo trascurando il mondo (jagat), allora questo prendere corpo potrà essere dissolto, ma il jagat rimarrebbe. Perciò non si deve lasciare alcun dettaglio fuori dai tre pāda. L’intero anātman dovrebbe essere compreso nei tre pāda e l’intera Realtà è il Quarto pāda, l’Uno, il Fatto. Perciò non si può dividere lo stato di veglia in ‘io’ e ‘il mondo’, è uno stato indivisibile. Come nel sogno, non si può dividere lo stato di sogno; gli oggetti del sogno sono sognati, il corpo del sogno è sognato come anche i sensi e la mente del sogno. Ogni cosa del sogno è sognata. Come si potrebbe dividere il sogno? Gli oggetti del sogno non possono essere esclusi dal sognatore, colui che vede il sogno non può escludere quello che vede, perché tutto ciò che egli vede è solo un sogno in se stesso. Egli non sta sognando gli oggetti del sogno nello spazio del sogno, perché anche lo spazio del sogno è sognato. Quindi gli oggetti del sogno, lo spazio del sogno, sono sognati. Dove sono sognati? In se stesso, perché non c’è alcuna prova che si vedano gli oggetti da qualche altra parte, in quanto l’idea di ‘qualche altra parte’ è una percezione. Quindi io vedo le cose in me, nel mio Essere, non nel corpo, ma nell’Essere; perciò il bahiṣprajña, il vegliante, deve essere sia jāgarita sthāna sia bahiṣprajña e deve essere descritto come saptāṅgaSaptāṅga significa che è comprensivo dell’intero stato e che non è confinato al corpo della veglia. La parola saptāṅga non deve essere tradotta come ‘che ha sette membra’, anche se letteralmente significa questo. Le sette membra, invece, significano che l’intera creazione è il suo corpo, che è comprensivo dell’intero stato di veglia. In quanto limitati alla forma, siamo chiamati viśva, cioè piṇḍātman, che significa una manciata, qualcosa di limitato. In quanto confinati in questo corpo siamo di una piccolezza insignificante. In quanto comprensivi dell’intero jagat siamo Virāṭ, l’essere cosciente comprensivo dell’intero universo. Se non si dice che l’intera veglia include l’intero universo di veglia, se lo stato di veglia è inteso solo come incorporazione, allora il corpo sarà ricondotto al nirviśeṣam, ma l’universo sarà lasciato fuori. Qualsiasi cosa che non sia parte del primo pāda sarà lasciata fuori come fosse una realtà parallela a nirviśeṣam. Quindi, non solo bisogna riportare la propria incorporazione al nirviśeṣam, ma anche l’universo. Capire la veglia come uno stato riporta l’intero stato al nirviśeṣam. Allora è il Sé illimitato che guarda, in quanto ekonavimaśati mukha, con diciannove facoltà. Non dire che è il jīvātman individuale che ha diciannove bocche, è il Sé illimitato che sembra avere diciannove bocche e, avendo diciannove bocche, è il Sé illimitato che è chiamato jīvātman. Il Sé illimitato sembra avere diciannove bocche in quanto jāgarita sthāna o bahiṣprājña; in quanto ekonavimaśati mukha è chiamato jīvātman. L’acqua, vista come onda, è chiamata onda, l’onda non è una qualche onda, è l’acqua chiamata onda; quindi onda è solo un nome. La chiamo onda e la prendo per certa in quanto onda; Interagisco con essa in quanto onda, ma essa è eternamente acqua. La vedo come onda, è uno stato della mia percezione, del mio pensiero, è una mia conclusione. Se si considera la veglia un luogo, si avrà sempre l’illusione di venire da qualche altro posto. Anche il sognatore che pensa di essere venuto da qualche posto, di fatto solo vede il sogno in sé, non si sposta, non si muove affatto. È illimitato: come potrebbe muoversi? Così l’Essere conscio e illimitato vede il sogno in se stesso; similmente, la veglia è uno stato di percezione e il sogno è uno stato di percezione, non una cosa. Non vado lì né me ne vado da lì, è visto in me ora. Talora è visto, talaltra non è visto; talora è sognato, talaltra non è sognato. Guarda la veglia come uno stato (sthāna). Partendo dal pensiero che sia solo un mucchio di cose per poi arrivare a pensarlo come un unico stato di percezione, ci vogliono molti anni. Non è facile per un profano correggere questo pensiero. Anche quando si trova nello stato di veglia, l’uomo pensa che il sogno sia uno stato di cose e le definisce cose false. Non dice che è una falsa percezione; in qualche modo preferisce pensare in termini di cose e non di percezioni. Questo è il problema! Egli pensa al blu del cielo come a una cosa che c’è, invece è una percezione; pensa al miraggio come una falsa acqua, non dice che è una falsa percezione. Il sogno non è un dominio di oggetti falsi, è uno stato di falsa percezione, è una percezione erronea. Una volta che si arriva a dire che si tratta di una percezione si è percorso un lungo tragitto nel Vedānta. La veglia e il sogno sono stati di percezione e se ho chiaro che non c’è una cosa che sta lì e che invece è uno stato di percezione, ho percorso un grande cammino nel Vedānta, capendo che la veglia non è una cosa; infatti, capire la veglia in quanto stato di percezione è la porta per la comprensione. La veglia non è una cosa in cui vado e da cui esco; anche l’idea di entrare e di uscire è uno stato di percezione e di illusione. Gli spostamenti sono sognati; gli spostamenti sono percepiti dove non ci sono. In realtà c’è solo quiete nell’Essere e perciò non è il jivātman che ha diciannove facoltà. Mi ritrovo a giudicarmi erroneamente di essere una forma e prendo per certo questo mio erroneo giudizio di essere forma. Non discuto la mia percezione. Le diciannove facoltà sono: cinque jñānendriya, cinque karmendriya cinque prāņamanasbuddhiahaṃkāra e citta. Manas vuol dire sentire, scegliere, buddhi determinare, citta è ricordare, ahaṃkāra significa la nozione di essere la forma individuale. Mi ritrovo a giudicare erroneamente d’essere una forma, prendo questo erroneo giudizio per certo e non metto in dubbio la mia percezione. Invece, è il Sé illimitato che guarda il jāgarita sthāna, è il Sé illimitato che guarda bahiṣprājña, che guarda le sette membra e le diciannove bocche (ekonavimśati mukha) e il tempo grossolano. È uno stato, lo si percepisce in quanto fruitori degli oggetti della veglia, ma di fatto si fruisce solo delle percezioni della veglia. Tutti i tuoi piaceri sono le tue percezioni, vedi un oggetto e ascolti una musica che diventano tuoi piaceri. Udire è un piacere, vedere è un piacere, gustare e toccare è un piacere e gli oggetti diventano oggetti di piacere; ma, in realtà, anche gli oggetti sono percezioni. Quindi tutti i tuoi piaceri non sono fuori della tua percezione e perciò è il Sé illimitato che guarda il jāgarita sthāna, è il bahiṣprājña. Non può esserci trasformazione per diventare questo (idam), uno stato non è il risultato di una trasformazione. La percezione non è il risultato di trasformazione, la percezione è sempre in forma di distorsione, è una percezione distorta. Se qualcosa si trasforma, allor è differente, se io diventassi davvero un sognatore, allora non potrei diventare un vegliante, non potrei liberarmi da esso come il latte che, quando diventa yogurt, perde la sua identità di latte. Nella trasformazione c’è una perdita di proprietà e di sostanza. Il bambino che eri diventa giovane, l’infanzia se ne va e diventi un adulto a discapito della tua infanzia; e diventi vecchio a discapito della tua maturità e giovinezza. Questa è una trasformazione; ma il sogno non è una trasformazione, è una percezione. Se la veglia fosse il risultato di trasformazione sarei fissato a essa. Ma mia identità di veglia non è il risultato di trasformazione, perché, se così fosse, sarei fissato e invece la mia percezione si dissolve. Quindi non è trasformazione, ma solo percezione. Trasformazione significa rimanere fissati a essa. Quindi, di che cosa fruisce l’uomo? Fruisce solo della sua percezione. Egli ha denaro e il denaro gli offre cose. Di cosa fruisce? Fruisce nel vedere le cose, nell’ascoltare la musica, nel gustare, odorare, toccare; cioè le cinque percezioni. Tutti i piaceri e le pene sono percezioni dei sensi. Non voglio dire che esse nascano dai piaceri dei sensi, anch’essi sono percezioni, perché il risultato di percezione è percezione. Quindi l’intero ambito delle relazioni è una percezione. Come in un sogno sali su un albero ed è la ragione per cui cadi; e questo è un risultato e il risultato ulteriore è che ti rompi una gamba e finisci in ospedale. Questo è un ulteriore risultato. Quindi l’intera catena di relazione cause-effetti è una percezione; la causalità è percezione, non è reale, non è fuori dalla percezione. In quanto confinato, è chiamato viśva, in quanto comprensivo dell’intero stato, è chiamato Vaiśvānara, chiamato anche ViraṭVaiśvānara significa colui che guarda il jāgarita sthāna, il Sé illimitato che guarda il bahiṣprājña, che guarda il saptāṅga, che è percepito come ekonavimaśati mukha, che è percepito come sthūla bhuka, che è percepito come un individuo, ma che di fatto è Vaiśvānara, è il senza confini, illimitato in quanto vegliante, illimitato in quanto primo pāda. Il Sé illimitato visto erroneamente è il primo pāda dell’illimitato Sé. Proprio l’erronea percezione del fatto è esattamente il pāda del fatto. Come nella moneta quadrangolare della rūpiya ci sono quattro quarti, il primo quarto è visto in essa, è immaginato nell’uno, così vedo in esso quattro quarti che, in realtà, è Uno. Nell’Uno ci sono quattro quarti, ma non puoi dividere l’uno, puoi solo fare kalpana delle frazioni dell’Uno. Le frazioni sono immaginate perché, supponendo che tu divida Uno in due, come lo chiami? Metà? Devi mantenere l’Uno intatto nel tuo pensiero. Una rūpiya ha quattro quarti e quattro quarti sono immaginati nell’Uno e l’Uno rimane Uno. Similmente, gli stati di veglia, sogno e sonno profondo sono kalpita e il nirviśeṣam, il fatto, è akalpitam.

Vaiśvānaraviśva asau narasa, egli è viśva, egli è naraḥ, sembra un uomo, sembra limitato, ma è comprensivo di tutto l’universo dello stato di veglia. In breve, se dici viśva, allora è chiamato piṇḍātmanVaiśvānara significa che è comprensivo. Viśva significa sentirsi limitato, Vaiśvānara significa insegnato come comprensivo. È Vaiśvānara che, altrimenti, è chiamato Virāṭ. Se è chiamato prathama pāda, il primo pāda dell’illimitato, si tratta d’un errore riguardante il Sé illimitato. Il secondo errore è l’errore della svapna avasthā e la suṣupta avasthā è il terzo errore. Come la percezione del serpente è il pāda riguardo alla corda: la corda vista come serpente è il primo pāda, la corda vista come ghirlanda è il secondo pāda, la corda insegnata come la causa del serpente è il terzo pāda. La corda, in quanto corda, è il quarto pāda. Ed è chiamato pāda perché lo si menziona assieme ai pāda. È chiamato Quarto, Turīya, altrimenti è nirviśeṣam. Non è come le zampe della vacca che sono davvero enumerabili in quattro. Un errore riguardo il Fatto è il pāda del Fatto; questa è l’essenza di quanto è stato detto. Un’erronea percezione riguardo il Fatto è il pāda del Fatto, un’altra erronea percezione riguardo il Fatto, è un altro pāda e lo stesso Fatto insegnato come la realtà dietro i due errori, è il terzo pāda; il Fatto in quanto tale è il nirviśeṣam. Il Fatto compreso come origine degli errori è il nirviśeṣam. Quando gli errori sono riportati al Fatto e quando anche la relazione origine-creazione è riportata al Fatto, alla luce del Fatto gli errori sono resi falsi. Anche la relazione origine-creazione è resa falsa avendo dietro solo il Fatto. Si deve apprezzare questa meraviglia: un errore è reso falso quando lo si riporta al Fatto. Perfino la relazione origine-creazione è riportata al Fatto. Non si può rendere falso il falso in altro modo. Non si può negare l’errore; l’errore è capito come errore alla luce del Fatto; nella giusta luce l’errore è capito come erroneo, altrimenti non si potrebbe mai capire l’errore in quanto errore. In contrasto con la giusta soluzione, la soluzione errata è chiamata errata. Senza la soluzione esatta, la soluzione erronea non può essere riconosciuta come erronea. Quindi l’errore è riconosciuto falso alla luce della corretta conoscenza e questa riporta la mia percezione al Fatto, vedendo il Fatto correttamente e non in modo distorto.

Come l’essere cosciente della veglia è comprensivo dell’intero stato di veglia, e l’essere cosciente del sogno è comprensivo dell’intero stato di sogno, similmente l’essere cosciente del sonno è comprensivo dell’intero sonno profondo. Quindi il saptāṅga che è menzionato nello stato di veglia come una qualità del vegliante, è una ‘parte per il tutto’ (upalakṣanam), cioè sta anche per il sognatore e per il dormiente. Il sofferente è una incorporazione della pace, è l’incorporazione della pace nello stato d’ignoranza. L’ignoranza è una cosa o è uno stato? è uno stato di ignoranza, come l’analfabetismo è uno stato, non una cosa. Similmente anche l’alfabetizzazione è uno stato di conoscenza. Il bello è che la persona che attraversa lo stato di veglia, di sogno e di sonno, è libera da tutti gli stati e la śruti afferma che questi sono solo i tuoi pāda, tu sei il nirviśeṣam. Non c’è altro modo per rendere falsi gli stati.