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Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja

6. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda

Agama Prakaraṇa

Mantra 3a

Tutto è Oṃ, tutto è Brahman, il che significa che Oṃ è Brahman. Questa equazione non è secondaria, non è una equazione di correlazione, ma di unicità, mukhya ekatvamOṃ è Brahman: Oṃ non è correlato a Brahman, è Brahman. Nell’adhyāsa sembra che Oṃ sia correlato a Brahman, ma la śruti viene in aiuto e afferma che fra l’abhidhānam e l’abhidheyam non c’è correlazione: entrambi, il nome e il nominato, sono nel nirviśeṣam, perciò, in quanto nirviśeṣam, sono lo stesso. Sono di fatto uno in quanto nirviśeṣam e anche la relazione origine-creazione è una in quanto nirviśeṣam. Quando c’è mukhya ekatvam c’è nirviśeṣamNirviśeṣam è il dissolvimento della dualità. Una relazione non si risolve in un’altra relazione, ma tutte si risolvono nel nirviśeṣam. Quel nirviśeṣam è insegnato dal punto di vista adhyāropa come origine, ma è solo una descrizione; è nirviśeṣam ed è libero da pensiero e parola. Capendo il mukhya ekatvam della parola e dell’origine, Oṃ e Īśvara, si falsifica quella relazione. Se non c’è veramente correlazione, c’è solo unicità e allora la correlazione viene corretta e nell’unicità c’è solo il nirviśeṣam. Proprio come c’è mukhya ekatvam tra Oṃ e l’origine della creazione, tra abhidhānam abhidheyam, similmente ogni oggetto e la sua descrizione hanno mukhya ekatvam: il corpo e la sua definizione, i sensi e la loro definizione, i pensieri e gli oggetti e la loro definizione, sono solo uno. Se sono letteralmente uno, la loro correlazione viene corretta come quando si afferma “Questo non è un serpente, è una corda”; e allora l’idea del serpente è falsificata e ci si libera del pensiero che sia un serpente. Così, ci si libera del punto di vista di vivere in un mondo di correlazione. Quando la śruti afferma che non c’è correlazione fra il nome e la creazione, fra definizione e origine, c’è solo unicità, cioè nirviśeṣamMukhya ekatvam non significa ‘come se fosse uno’, non è un’unicità apparente. È un’unità reale. Anche la correlazione inseparabile è ekatvam; anche se è gauṇa ekatvam [‘come se fosse uno in quanto avente le stesse caratteristiche’] nel dominio di correlazione, è una unicità effettiva. Perciò il jīva si libera della correlazione. Se Oṃ e l’origine sono realmente uno, allora anche jīva e jagat sono realmente uno, sono nirviśeṣam. Si deve capire che ovunque ci sia una relazione, non è realmente una relazione, è un’unicità, in cui il jīva si libera dell’idea di se stesso come correlato alle cose, della correlazione vedente e visto, uditore e udito, pensatore e pensato, soggetto e oggetto, perché tutte queste sono comprese nella correlazione di abhidhānam e abhidheyam. In abhidhānam abhidheyam ci sono tutti i tipi di correlazione, quindi quando la correlazione abhidhānamabhidheyam viene corretta ed è dichiarata falsa, allora ogni correlazione è falsa: vedente e visto, uditore e udito, pensatore e pensato, soggetto e oggetto, jīva jagat, tutto è falsificato e ciò che è unicità è l’Essere, nirviśeṣam. Essere è nirviśeṣam. Così tutto è Oṃ;e il secondo mantra dice “Tutto è Brahman” per affermare che tra Oṃ e Brahman non c’è correlazione: sono uno e uno stesso. Dov’è quel Brahman? È invisibile? No, perché “Ayam Ātmā Brahma”, la propria esistenza è Brahman, la propria identità cosciente è illimitata. Brahman non è propriamente un nome né lo è Ātman; di fatto la Realtà non ha affatto un nome; vuole solo descrivere la natura della Realtà. L’Ātman evidente è illimitato: Brahman significa illimitato, infinito, l’Essere infinito. E, se è infinito, deve essere il mio proprio Essere, il soggetto, perché nessun oggetto è infinito. Ogni oggetto è finito e se si pensa a un oggetto infinito oltre a tutti gli oggetti finiti si sbaglia, perché anche questa descrizione ‘al di là del finito’ è spaziale e ciò che è spazialmente presente è finito. Qualsiasi cosa possa essere oggettivata direttamente, indirettamente o dedotta da ‘dietro questa parola c’è un senso sottile’, anche questa è oggettivata e ogni cosa oggettivabile è finita. Più pensi alla limitatezza di tutto ciò che è oggettivabile, più la tua attenzione va verso te stesso, perché ogni cosa altra da te è finita, non devi indagare per saperlo. Riguardo la limitatezza degli oggetti non devi indagare, perché è evidente. Ti liberi dagli anātman e la tua attenzione si rivolge a te stesso. Nessun oggetto è infinito, nessun oggetto è origine di finitezza, nessun oggetto è totale e libero da tempo e spazio. Ogni oggetto è oggetto del pensiero; è visto, localizzato nello spazio, nella memoria, nel tempo e ogni oggetto dà un piacere temporaneo; perciò limitatezza e non eternità vanno assieme. Quello che è finito è anche non eterno e quindi, quando arrivi a conoscere che ogni oggetto è finito, non devi analizzarlo, lo conosci già; non devi perdere tempo con il conosciuto, devi impiegare il tuo tempo per capire il non conosciuto. Ogni piacere è non eterno, ogni gusto è non eterno, non devi perdere tempo a sperimentare nuovi piaceri, perché ‘sono piaceri dei sensi’ e tutti i piaceri che sono a disposizione nella creazione sono piaceri dei sensi. E se un piacere dei sensi è non eterno, tutti i piaceri dei sensi sono non eterni perché la loro qualità è la stessa. Anche i piaceri dei cieli sono non eterni, in quanto anch’essi sono piaceri dei sensi, perciò non devi perdere tempo con il conosciuto. Allora ciò che avviene è che più conosci il mondo, più la tua attenzione si rivolge a te stesso. La śruti dice che il tuo corpo è finito, i tuoi sensi sono finiti e si escludono reciprocamente, come anche i tuoi pensieri. Ogni qualvolta c’è una mutua esclusione c’è limitatezza e quindi l’esclusività non è una virtù, è solo limitazione. Invece, la śruti dice che la tua natura cosciente è onnicomprensiva e perciò sei infinito e bisogna distinguere fra il tuo Essere e il tuo corpo che è finito, perché l’infinito che sei, in qualche modo viene identificato al finito e così hai la nozione che ‘io sono finito’. Invece tu sei, per natura, infinito e l’attenzione va dagli oggetti a te stesso, perché gli oggetti ti sono conosciuti, sono tutti non eterni, finiti e non sono la risposta alla tua domanda. Se sei un cercatore serio, la tua attenzione si rivolge a te stesso perché non vuoi sprecare il tuo tempo con il conosciuto, ma vuoi conoscere la tua Realtà. La limitatezza del corpo è conosciuta, come pure quella dei pensieri e di ogni particolare della creazione. Colui che vede tutti i dettagli, compresa la relazione vedente-visto, è conosciuto come finito, come limitato. Ogni relazione è limitata perché si dissolve, e anche questo è conosciuto. Al contrario, la śruti dice che la tua realtà non si dissolve mai, è eterna, non esclude nulla, include tutto proprio come l’acqua include tutte le onde. Perciò, per essere pacificato, fa che la tua attenzione sia sempre rivolta a te stesso per scoprire la tua Realtà, cercando di discriminare fra il tuo Essere infinto e il tuo corpo finito. Per capire l’infinito bisogna discriminare tra infinito e finito, tra oggettivabile e non oggettivabile, tra cosciente e inerte. Non si pensi che ‘sforzandosi si riporta l’attenzione sempre più indietro’: questo non funziona. Qui non funziona alcun tapas, alcuno sforzo; il conosciuto è già conosciuto, non devi conoscere altro. Perciò, per riportare la tua attenzione a te stesso, dovresti basarti sulla conoscenza. In questo mondo c’è qualcosa che tu non conosca già, qualcosa che sia infinito? La mia risposta è «Nulla!»: non devi sapere niente di più. Per la tua sopravvivenza devi conoscere molte cose, ma come vedāntin non devi conoscere nulla oltre a ciò. Come cercatore della verità, non è necessario conoscere niente di più sul mondo, se non che ogni oggetto è non eterno, che è limitato e che non è ciò che cerchi. Quando vai a fare la spesa, se ciò che stai cercando non è disponibile in quel negozio, questo è tutto ciò che devi sapere; non c’è bisogno di conoscere i particolari del negozio, solo tiri via; non devi indagare sul negozio. Similmente, quello che il jīva cerca, non è disponibile nella creazione, non è una parte della creazione, proprio come il silenzio non è parte della creazione; Dio non ha creato il silenzio, Dio è silenzio. Allo stesso modo, l’esistenza non è creata, l’esistenza sempre È. Nel Vedānta non serve alcuna sādhanā, si deve solo capire; se alla fine vuoi proprio usare la parola sādhanā, allora capire correttamente le cose è sādhanā.

Questo Sé è infinito. Essere infinito non è una grandezza spaziale; Essere è infinito, la limitatezza è la natura di ogni cosa che si oggettiva. La limitatezza non esiste altrove; non si può pensare alla limitatezza al di fuori dell’oggettivazione. È chiamato finito ciò che è oggettivo e perciò, infinito è il mio Essere. Infinito è la non oggettivabilità della propria esistenza, infinito è la presenza non oggettivabile del proprio Sé, quindi l’infinito non è una grandezza spaziale. Lo spazio fisico non è letteralmente infinito: appare senza confini, ma non è infinito. Non include l’esistenza del vedente; colui che vede lo spazio gli è distinto per natura; la cosa inerte non include la Coscienza, l’onda non include l’acqua: è l’acqua che include l’onda. La forma non include la sostanza, è la sostanza che include in se stessa la forma; è l’acqua che include in se stessa tutte le onde. Il limitato non include l’infinito, è l’infinito che include tutti i limitati. Questo Sé è il non oggettivabile ‘tu’ (tva), perché la tua esistenza è non oggettivabile. In quanto non oggettivabile, sei infinito. La limitatezza non esiste da qualche parte fuori dell’oggettivazione e l’infinito non appartiene a nulla che sia oggettivabile; appartiene al soggetto non oggettivabile, il pratyagātma. Questo pratyagātma, il Sé non oggettivabile, è chiamato Sé interiore. Non è interiore spazialmente perché lo stesso spazio non è fuori o dentro: è visto nella Realtà. Questo pratyagātma, chiamato Sé interiore, l’Essere non oggettivabile, ha quattro pāda. La propria esistenza ha quattro pāda. Anche una vacca ha quattro pāda che però si escludono mutuamente. Invece, la moneta [quadrangolare] di una rūpya in cui ci sono quattro quarti, include il primo, il secondo, il terzo e il quarto rimanendo unica. Perciò, lo stato di veglia, lo stato di sogno e lo stato di sonno profondo e la realtà di tutti e tre, sono i quattro quarti. Pāda significa un quarto, ma questi quattro quarti sono nell’uno; l’uno rimane intatto e ci sono tre quarti che sono tre errori, mentre il quarto è il Fatto in se stesso. Per prima cosa devi capire che l’Ātman ha quattro pāda: non che qualcos’altro ha quattro pāda. La propria esistenza, nell’ignoranza, sembra avere quattro pāda. La śruti insegna che hai quattro pāda: ciò significa che tu sei l’uno e tutti gli stati d’esperienza sono un quarto, un quarto e un quarto; e un quarto è nell’uno e, perciò, un quarto è kalpitam, è un concetto immaginato. Il primo quarto è un pensiero, il secondo quarto è un pensiero, il terzo quarto è un pensiero, e il quarto non è altro che uno; uno è il Fatto, è la propria esistenza. Quindi, cogli questo punto: il primo, il secondo e il terzo sono kalpitam e l’uno è il Fatto, non è kalpitam: l’errore non è fuori del Fatto. Così, tra la propria esistenza e gli stati c’è un Fatto e una relazione kalpitam. Bisogna riflettere su questo. I primi tre pāda sono chiamati pāda perché, falsificandoli, si arriva a conoscere l’uno che è chiamato Quarto pāda. Il Quarto non è altro che l’uno, non è un quarto, è solo chiamato Quarto. I primi tre stati, cioè jāgratsvapna e suṣupti, sono chiamati pāda perché sono chiamati karaṇa sādhanā (mezzi per capire). Con karaṇa sādhanā s’intende un mezzo con cui si arriva a conoscere l’uno, il Quarto. Poiché si conosce la corda falsificando il serpente, la falsificazione del serpente è il metodo per capire la corda. Perciò c’è qualcosa che è falsificato e qualcos’altro che è capito. La corda è l’uno, il Quarto pāda in quanto è capito, e il serpente è chiamato pāda perché, falsificandolo, si conosce la corda. Perciò, “pādyatey anena iti pāda”, è chiamato karaṇa sādhanā, strumento per capire. Anche l’uno è chiamato pāda, perché è ciò che è capito; rimani come sei e sei senza errore. Capire significa che non si è la forma, la forma è differente. In questo modo si è indipendenti dallo stato di veglia, di sogno e di sonno profondo. Perciò i primi tre pāda sono karaṇa sādhanā, cioè strumenti per capire. Com’è che lo stato di veglia è un mezzo, falsificando il quale si conosce il Quarto pāda, l’uno? E com’è che falsificando lo stato di sogno s conosce il Quarto pāda, l’uno? E com’è che falsificando lo stato di sonno profondo, si conosce il Quarto pāda, l’uno? Il Quarto pāda, l’uno, è conosciuto ed è chiamato pādyatey karma sādhanā (il Fatto capito). Il Fatto, che è conosciuto, è pāda e anche ciò che mi aiuta a capire è pāda. E perciò, chi ha quattro pāda? La propria esistenza. È l’essere infinito che ha quattro pāda e non l’individuo della veglia, perché quest’ultimo è parte di un pāda. In questo modo ‘So yam Ātman catuṣpāda’. Il primo pāda è jāgarita sthāna, l’essere infinito appare come il vegliante. Jāgarita sthānasthāna significa un luogo, ma lo stato della veglia non è un punto dello spazio, è uno stato, perché lo spazio della veglia è nello stato di veglia e non è affatto vero che lo stato di veglia sia nello spazio della veglia; bisogna capovolgere questa idea. Il mio stato di veglia non è un fenomeno dello spazio della veglia; non mi sveglio nello spazio, perché esso è parte del mio stato di veglia, la veglia appare nell’Essere infinito. Perciò, jāgarita sthāna è bahuti samāsa (un insieme composito). Colui che fruisce dello stato di veglia, il vegliante, in realtà è Brahman. ‘So yam Ātman catuṣpāda’, e questo è Brahman. Questo Brahman è questo Ātman che ha quattro pāda e il primo pāda è il vegliante. Perciò chi diventa il vegliante? L’infinito Essere illimitato appare come vegliante, perché lo stato di veglia è il primo pādaBahiṣprājñaḥ, significa ‘colui che ha la conoscenza degli oggetti esterni’. La parola ‘esterno’ deve essere qui intesa come ciò che è oggettivato; l’oggettivato è l’esterno e il soggetto è interno. Il soggetto è interno, ma non spazialmente; nella Realtà io sto come Bahiṣprājña, colui che è cosciente degli oggetti esterni. Pāda significa essere un individuo? No, significa saptāṅga. Il primo pāda dell’essere illimitato è l’intero stato di veglia, perché l’essere cosciente sembra confinato nel corpo della veglia, ma non lo è: egli è comprensivo dell’intero universo. In quanto comprensivo dell’intero stato di veglia è chiamato saptāṅga, che significa che ha sette membra. Quali sono queste sette membra? Il cielo è la sua testa, il sole e la luna i suoi occhi, l’aria è il suo respiro, l’intero spazio è il suo stomaco, l’intera acqua è la sua vescica e pṛthivī, la terra, è i suoi piedi. In questo modo l’intero universo è considerato Vaiśvānara. Ciò significa che il primo pāda della nostra esistenza non è limitato; il primo pāda di Brahman è lo stato illimitato. Lo stato di veglia non ha limiti perché, in quanto essere cosciente io non sono limitato: in quanto confinato in questo corpo io sono un individuo ‘così e così’; ma in quanto comprensivo sono tutto l’universo, perché la Coscienza non è confinabile ma è onnipervasiva. Come il fuoco per natura è caldo, e non deve decidere di essere caldo e come non si può avere un fuoco freddo, similmente non si può avere un Essere cosciente limitato. Perciò la Coscienza è onnipervadente e onnicomprensiva per natura. È comprensiva del corpo, della mente, dell’intero stato di veglia e come tale è chiamata Vaiśvānara, altrimenti chiamato Virāṭ. Così Virāṭ o Vaiśvānara è il primo pāda di Brahman. Il primo pāda non è la mente individuale, ma è l’intero stato di veglia. Non si può dividere lo stato di veglia: tutto è nello stato di veglia. I dettagli, all’interno dello stato di veglia, non esistono al di fuori di essa. La nostra vita di veglia non esiste al di fuori dello stato di veglia; la mia casa di veglia, non esiste al di fuori dello stato di veglia. Perciò l’intero stato è indivisibile, non può essere fatto a pezzi. Quindi, visto come tale, non è una cosa inerte, è un Essere cosciente illimitato. Perciò l’intero stato di veglia è chiamato Virāṭ dalla śruti. L’uomo pensa che sia un blocco inerte, ma la śruti lo nega. Il Brahman illimitato, è visto come stato di veglia, perciò è Puruṣa e non è una cosa: è un Essere. Il Brahman illimitato, visto come vegliante e universo di veglia, è chiamato Vaiśvānara, è uno stato. Generalmente guardiamo le cose come dettagli indipendenti, ma sono solo un unico stato e nessun oggetto può essere tagliato fuori dalla veglia; perciò ogni oggetto della veglia è stato di veglia, è Vaiśvānara. Il tavolo è Vaiśvānara perché non può esistere al di fuori dello stato di veglia e lo stesso Brahman è chiamato saptāṅga. Se si spiega il primo pāda di Brahman come una cosa limitata, se il pāda è limitato e se la realtà è illimitata, anche l’errore deve essere illimitato. Se la corda è lunga dieci piedi, anche il serpente deve essere lungo dieci piedi; se la sabbia è una vasta estensione, allora anche il miraggio appare come un vasto lago; se Brahman è illimitato, anche Vaiśvānara, cioè lo stato di veglia, che è solo una percezione, anch’esso è nella Realtà infinito, perciò l’errore è senza limiti. Il Fatto è infinito, l’errore è senza limiti. Ma perché fare questa differenza? È come la corda lunga dieci piedi e l’errore del serpente che è un errore lungo dieci piedi. Similmente, anche qui il Brahman è un Fatto infinito e Vaiśvānara, il primo pāda della veglia, è un errore senza limiti. Infatti l’errore non può essere infinito, in quanto infinito significa che è innegabile. Invece l’errore senza limiti può essere negato. L’infinito è la Realtà di tutto, ma lo stato di veglia non è la Realtà di tutto, può essere dissolvibile, è rimpiazzabile [dal sogno e dal sonno profondo]. L’infinito non può essere rimpiazzabile, mentre lo stato di veglia lo è. Perciò, cambiamo la descrizione: è uno stato senza limiti, è indivisibile; quindi il Brahman visto come stato di veglia è senza limiti e visto come l’individuo vedente è chiamato Vaiśvānara. La relazione vedente-visto, questa correlazione, è chiamata Vaiśvānara. Perciò non è un blocco inerte di materia. È l’uomo che la pensa così e gli scienziati vogliono conoscere da dove questo blocco di materia proviene e formulano varie teorie, come il big bang ecc. Invece, la śruti dice che l’intero stato di veglia è una percezione nel tuo Essere, perciò è un Essere cosciente. Jāgarita sthāna significa il Brahman che ha lo stato di veglia. Lo stato di veglia non è nello spazio della veglia, ma appare nella Realtà. Invece di dire che ogni cosa è nello spazio di veglia si deve dire che tutto ciò che si vede nello spazio di veglia è confinato nello stato di veglia, e lo spazio di veglia non esiste al di fuori dello stato: lo stato di veglia non è altro che il Brahman che appare o che è visto come stato di veglia. Virāṭ significa l’intero stato di veglia assieme al vegliante. Non si deve prestare ascolto alle spiegazioni che alcuni danno su Virāṭ. Dicono che ‘Virāṭ è tutti i veglianti messi assieme’. Non è così. Non è una collazione di tutti i veglianti: tutti i veglianti messi assieme non sono Virāṭ. Lo stato di veglia senza limiti, il Brahman come stato di veglia è chiamato Vaiśvānara e non è un blocco inerte. Quindi chi è questo Vaiśvānara? Brahman. Chi è questo Brahman? Nirviśeṣam insegnato erroneamente o come l’origine dell’errore. La corda è vista come serpente e quando è insegnata, è insegnata come l’origine del serpente, come la realtà dietro al serpente. La mia immaginazione (kalpanā) è che sia un serpente, ma è insegnata come la realtà del serpente. Questa è śāstra kalpanā. Entrambe sono immaginate (kalpitam), ma in realtà la corda è corda, è nirviśeṣam. Quindi Vaiśvānaraè cosciente degli oggetti esterni dello stato di veglia (jāgarita sthāna bahiṣprājña). Bahiṣprājña, che oggettiva le cose, significa che ‘egli conosce le cose esterne’; e le cose esterne significano che è cosciente dello stato di veglia. Oggettivare le cose è chiamato bahiṣprājña. L’oggettivazione è di due tipi tra loro in comparazione: bahiṣprājñaantaḥprājña, interna ed esterna. Quando chiudo gli occhi e oggettivo, quello è chiamato antaḥprājña: quello è il sogno. Chiudo i miei occhi della veglia e lo stato di sogno è come se fosse più sottile dello stato di veglia. Antaḥprājña: anche quello è oggettivato. Nello stato di veglia io chiamo il sogno antaḥprājña, ma anch’esso è bahiṣprājñaperché lo stai oggettivando. Quindi, abbiamo visto che jāgarita sthāna, lo stato della veglia, non appare nello spazio di veglia, lo stato di veglia non appare nel tempo di veglia, lo stato di veglia non appare nel corpo di veglia. Ogni dettaglio della veglia è nello stato di veglia e lo stato di veglia appare nella Realtà. Non ci svegliamo nello spazio; ci svegliamo nella Realtà e quando chiudiamo gli occhi siamo la stessa Realtà. Non ci sono eventi nello spazio, sono tutte percezioni nella Realtà.