Svāmī Prabhuddhānanda Sarasvatī Mahārāja

5. Commento alla Māṇḍūkya Upaniṣad e alle Kārikā di Gauḍapāda

Agama Prakaraṇa

Mantra 1-3

Senza conoscere un alfabeto non si può costruire un linguaggio; la grammatica viene in seconda battuta in quanto l’alfabeto, con la sua pronunzia corretta, è la cosa fondamentale. Nemmeno del Vedānta si può fruire senza che siano chiari i suoi fondamenti. Si può fruire di qualcosa solo quando la si può capire perché allora a essa si sarà interessati. Quando si riconosce la logica delle cose, allora inizia la fruizione. Nel Vedānta tale sequenza è più pratipatti krama, una sequenza intellettuale, piuttosto che una sequenza temporale (kāla krama); e la sequenza intellettuale rende molto chiaro il pensiero. Per esempio, senza i genitori non c’è figlio, cioè prima ci sono i genitori e poi il figlio: questa sequenza è kāla krama, sequenza temporale. Pratipatti krama significa che senza una causa non c’è effetto, senza un’azione non c’è risultato. Ma se si pensa solo in termini di prima e dopo, “prima c’è il karma e poi c’è il risultato”, questo è kāla krama. Nel Vedānta non c’è kāla krama, nell’apparizione non c’è kāla krama, ma solo pratipatti krama. Cioè, presupponendo il soggetto c’è l’apparizione dell’oggetto; presupporre la propria coscienza presente nella percezione dell’intero universo, presupporre la propria coscienza presente nella percezione del corpo e nella percezione dell’universo, questo krama è pratipatti, e non kāla. Il kāla krama è la successione temporale come avviene nella storia. Invece il Vedānta insegna il pratipatti krama dell’intera creazione. Cioè afferma che senza presupporre la presenza dell’origine, non ci può essere alcuna creazione; questo è un fondamento indiscutibile. Quando si capisce che non c’è kāla krama, allora molte domande svaniscono dalla mente e non si pensa più in termini di tempo. Lo stesso tempo appare nella Realtà che è libera dal tempo. Capire che il tempo è il senza tempo, questo è pratipatti krama.

La Māṇḍūkya non è facile da capire e da fruire senza conoscere questi fondamenti. Bisogna pensare con il linguaggio dello śāstra. L’essere cosciente si ritrova con la percezione della corporeità come anche con la percezione dell’universo e dei tre stati. La parola ‘percezione’ può significare anche ‘esperienza’, perciò la vita, il corpo e l’universo sono percezioni. Il corpo pare essere un oggetto di percezione e così anche l’universo, ma il Vedānta spiega che il corpo e l’universo sono solo percezioni e non oggetti di percezione e che sono una erronea percezione sulla Realtà, sull’illimitato Brahman, che è la propria natura. Così, nella visione del Vedānta l’universo è una percezione della propria natura da correggere. In parole povere, la percezione ha un’origine che è la propria natura. Gli esseri umani sono molto mediocri, perciò la śruti spiega l’universo come una creazione in Brahman, che è la propria natura. Se l’universo è descritto come percezione, allora è chiamato adhyāsa sulla Realtà, se è descritto come sṛṣṭi è māyā sṛṣṭi. Si deve sempre ricordare che l’universo è sempre una percezione spiegata dalla śruti in quanto sṛṣṭi, creazione. Proprio come l’erronea percezione non comporta alcun cambiamento nel fatto, così la creazione non comporta alcun cambiamento nell’origine.

Il metodo che la śruti adotta per spiegare la creazione e per indicare la sua origine, è chiamato prakriyā. Nella śruti ci sono sṛṣṭi prakriyāavasthātraya prakriyāsamanya-viśeṣa prakriyāabhidhānam abhidheyam prakriyā. Tutte le prakriyā usano il comune metodo chiamato adhyāropāpavāda nyāya. Indicare l’origine in relazione all’universo è adhyāropa apavāda dṛṣṭi e indicare l’origine come libera da quella relazione è apavāda dṛṣṭi svarūpa dṛṣṭi.

Se sei un genitore in relazione al figlio, questo è adhyāropāpavāda dṛṣṭi; in relazione alla sposa sei lo sposo; questa è adhyāropāpavāda dṛṣṭi. Ciò significa che l’intero stato di veglia lo vivi solo nell’adhyāropāpavāda dṛṣṭi. Non c’è una svarūpa dṛṣṭi. Nel sonno profondo sei libero da tutte le relazioni, e quello è svarūpa. Nello stato di veglia, se ti rivolgi allo svarūpa, chiamato svarūpa dṛṣṭi, significa che prendi in considerazione il svarūpa. Quando si è in relazione con qualcosa, quello è chiamato adhyāropa dṛṣṭi, e quando si è liberi da quella relazione, quello è la svarūpa dṛṣṭi. Non c’è un terzo punto di vista: ci sono solo adhyāropa apavāda. Quello che è reale in comparazione al mio corpo, ai miei pensieri, al mio saṃsāra, che è in relazione a tutto questo, quello che è la Realtà è l’origine non duale. Ma la relazione esiste solo in quanto errore. E non qualifica la Realtà, perciò la Realtà, dal punto di vista della Realtà, è solo quella chiamata apavāda svarūpa dṛṣṭi. Dunque, tutte le prakriyā seguono un’unica prakriyā detta adhyāropa apavāda nyāya, che significa indicare l’origine in relazione all’universo come adhyāropa dṛṣṭi, e la stessa origine, libera da quella relazione, è apavāda o svarūpa dṛṣṭi.

La Māṇḍūkya Upaniṣad segue abhidhānam abhidheyam prakriyāAbhidhānam significa descrizione con una o più parole. Abhidheyam significa qualsiasi cosa descrivibile a parole. Ogni dettaglio della creazione è abhidheyam perché ha jāti [categoria d’appartenenza], guṇa [qualità o proprietà], kriyā [azione] e sambandha [relazione]. Può averne una di queste o più di una o tutte e quattro. Anche se ne ha una sola è comunque sempre descrivibile. In questo modo l’intera creazione è abhidheyam. Brahman, in quanto origine dell’universo, è descrivibile a parole, perché ha sambandha con l’universo, in quanto sua origine. Descrivere Brahman come origine dell’universo in relazione a esso è adhyāropa dṛṣṭi. Ciò significa che solo basandosi sull’adhyāropa dṛṣṭi, Brahman è abhidheyam e Oṃkāra diventa abhidhānamOṃkāra è il nome per il Brahman. Fra l’abhidhānam e l’abhidheyam c’è una relazione infrangibile; uno non può esistere senza l’altro. Proprio come gli occhi sono sempre correlati alla vista, gli orecchi al suono, il jīva al jagat, così abhidhānam è in relazione ad abhidheyamOṃkāra è Brahman come origine e sono correlati in questa correlazione chiamata gauṇa ekatvam [unità qualificata]: è un unico dominio inseparabile. Il punto di vista del Vedānta è che l’abhidhānam Oṃkāra e l’abhidheyam Brahman, hanno una unicità reale, intendendo che la correlazione è solo un errore, non è reale. Questa reale unicità è chiamata mukhya ekatvam [unità più alta]. Il Vedānta dice che Oṃ è Brahman, il nome è il nominato, il nominato è il nome; perciò il nome perde la sua nominazione e il nominato la sua nominabilità; entrambi hanno una realtà comune chiamata nirviśeṣam; quel nirviśeṣam non ha nessuna della quattro relazioni e per questo è nirviśeṣam.

I primi due mantra indicano che fra Oṃ e l’origine, il Brahman,c’è mukhya ekatvam, dicendo nel primo mantra che “Tutto è Oṃ” e nel secondo che “Tutto è Brahman”. Quindi c’è una unicità che è nirviśeṣam.

Se c’è una reale unicità tra Oṃ e Brahman, allora c’è una reale unicità fra il nome o descrizione e ogni parte della creazione. Ciò significa che l’intera creazione, con la sua descrizione, è fatta di nirviśeṣam. È il nirviśeṣam che è insegnato come origine dall’adhyāropa dṛṣṭi e come nirviśeṣam dalla svarūpam dṛṣṭi. Così l’intera vita non è un dominio di correlazioni, ma un dominio di nirviśeṣam che sembra un dominio di relazioni, ma che di fatto è nirviśeṣam. L’abhidhānam abhidheyam prakriyā spiega l’universo come abhidheyam e indica anche il Brahman-origine come abhidheyam dal punto di vista dell’adhyāropa; e per svarūpa dṛṣṭi sia la creazione sia l’origine sono nirviśeṣam,in cui creazione, materia, nome, e forma e tutto ciò che è abhidheyam è reso falso e il conoscitore sta come nirviśeṣam libero dal pensiero.

Mantra 3

  1. Jāgarita sthāna bahiṣprajñaḥ saptāṅga ekonavimśati mukhaḥ sthūla bhuk Vaiśvānaraḥ prathamḥ pādaḥ ǀ

    Il primo pāda è Vaiśvānara il cui campo è lo stato di veglia (jāgarita sthāna), in cui la Coscienza è rivolta agli oggetti esterni. Possiede sette membra e diciannove bocche e fruisce degli oggetti grossolani.

Il terzo mantra afferma che l’esperienza dimostra che la propria esistenza è l’illimitato Brahman. La parola Brahman non è propriamente un nome: Brahman significa ‘illimitato’. Nemmeno Ātman è un nome; significa il soggetto, il pratyagātman, il Sé interiore. In suṣupti, l’uomo è nirviśeṣam e, non appena apre gli occhi, proprio da lì inizia la sua percezione del corpo e dell’universo; questa esperienza è la prova che la percezione avviene nel nirviśeṣam. Ciò significa che la sostanza per il saviśeṣam è il nirviśeṣam e il nirviśeṣam in quanto sostanza, è chiamato l’origine; ma è solo insegnato come l’origine (kāraṇam), pur rimanendo nirviśeṣam. Perciò il terzo mantra afferma che Ātman è Brahman. Che l’Ātman sia Brahman è evidente nella propria esperienza, ma non vi si presta attenzione. Il Vedānta indica al jīva solo questa prova, in modo che possa riconoscere il suo nirviśeṣatvam. Questo nirviśeṣam-Ātman ha quattro pādajāgrat, il primo pādasvapna, il secondo, suṣupti, come origine dei due è il terzo e suṣupti in quanto non duale è il Quarto. La stessa suṣupti, nel secondo caso, è intesa non più in quanto terzo stato, perché non c’è memoria degli altri due. Il sonno profondo non è sperimentato come terzo stato; quando ci si basa sull’esperienza, esso è il Quarto. Se, invece, lo si definisce uno stato di oscurità, allora appare come terzo. Se lo si definisce ‘lo stato dell’origine’ è il terzo. Ma non è sperimentato né come oscurità né come origine: è sperimentato come non duale e, in quanto tale, è nirviśeṣam, il Caturtham.