Vai al contenuto

4. Puruṣa Sūkta

Mantra X.90.7

tam yajñam barhiṣi praukṣan jātam agrataḥ

tena Deva ayajanta sādhyā ṛṣayaḥ ca ye

Gli Dei, essendo responsabili della creazione secondaria (uttara sṛṣṭi), incominciarono il sacrificio (yajña) in cui il Puruṣa primordiale, progenitore dei deva, era la stessa oblazione rituale. Prima di effettuare l’oblazione, il Puruṣa fu posto sul seggio rituale di erba darbha, consacrato e irrorato. Poi i deva, i sādhya e i ṛṣi lo offrirono come oblazione.

1 tam yajñam barhiṣi praukṣan puruṣam jātam agrataḥ

Il Puruṣa è qui descritto come se fosse apparso con una forma specifica (jātam) proprio all’inizio della creazione, ed è identificato al sacrificio (yajña). Ma Sāyaṇa interpreta il termine yajña del primo verso del mantra nel senso di yajña sādhana bhūta, ossia ciò che serve ed è strumentale a realizzare il sacrificio, cioè l’animale da sacrificare (paśu). Essendo il suo un approccio sacrificale (adhiyajña), ovviamente è inteso che l’animale da sacrificare deve essere procurato prima dell’inizio dello yajña; la vittima, dunque, deve esserelegata al palo sacrificale (yūpa) e aspersa con acqua per essere consacrata. Le parole agrataḥ jātam e barhiṣi praukṣat, secondo lui, si accordano con la parola yajñam intesa nel senso di ostia designata.

Anche la parola barhi è in accordo con adhi yajña. Gli oggetti usati durante lo yajña, utensili, recipienti e le vittime stesse, devono essere posti solo su stuoie di paglia in tre strati, tecnicamente chiamate trivṛt barhi; l’erba darbha è tagliata a questo scopo nella misura prescritta; e i tre strati stanno a rappresentare la madre, il padre e il figlio. Su tale seggio, debitamente consacrato, è stato posta e aspersa (praukṣan) la vittima che deve essere sacrificata. In questo caso si tratta del Puruṣa che s’era manifestato prima dell’apparizione degli Dei (agre jātam).

Tuttavia, il significato di yajña sādhana bhūta per yajña sembra alquanto infondato. Il precedente mantra identifica il Puruṣa (il vairāja Puruṣa) con yajña; e nel Ṛg Veda la parola yajña è spesso sinonimo di Viṣṇu. Yajña, nel contesto ṛgvedico, non sempre indica il rituale che troviamo nello Yajur Veda. Derivato dalla radice yaja (yajatī), ha solo il senso di devozione, di adorazione, venerazione, offerta di preghiere, e non necessariamente sacrificio. Quindi, in ṚV (III.30.15), lo stesso devoto è chiamato yajña.

Più interessante è l’uso della parola yajña un po’ più avanti, in ṚV (III.32.12). Indra, che è degno di adorazione e di onore (yajñiya), è invocato per proteggere (ava) l’adoratore (yajñam) con gli strumenti propri della devozione che l’adoratore possiede (yajñena); è la devozione di chi adora che protegge l’arma adamantina di Indra (yajñah te vajram avat). Lo stesso Sāyaṇa interpreta qui il termine yajñam in questo senso. E il ben noto mantra, l’ultimo di questo Sūkta (X.90.16), con yajña vuole designareViṣṇu, e con yajñena intende esprimere il senso di ‘devotamente’.

In tali riferimenti non c’è alcuna allusione a un sacrificio o a una indicazione di un rituale. E Sāyaṇa ammette che lo yajña menzionato in questo mantra ha tutte le caratteristiche di un pensiero (ayajanata mānasa yāgam niṣāditavanta iti arthaḥ).

A questo riguardo è anche interessante leggere lo Śatapatha Brāhmaṇa (XIII.2.7.13), dove Agni, Vāyu e Sūrya sono descritti come animali sacrificali (paśu). Inoltre, abbiamo visto che, secondo questo mantra, il Puruṣa sacrificato dagli Dei è identificato adAgni e a Sūrya. In questo modo, la dottrina del sacrificio (yajña) nel suo insieme comprende sfumature diverse1.

2 tena Deva ayajanta sādhyā ṛṣayaḥ ca ye

Dei, sādhyā e ṛṣi compirono il sacrificio usando come vittima quel Puruṣa che è l’essenza del sacrificio (yajña) o il sacrificio fatto Puruṣa (yajña-puruṣa).

Il sacrificio necessita di officianti: essi furono gli Dei e la vittima, che necessariamente deve essere sacrificata, fu il Puruṣa. Gli Dei sono per definizione splendenti, agenti illuminanti, spiriti generosi e abitanti del cielo. Il sacrificio che essi misero in atto fu esclusivamente mentale. Come s’è detto precedentemente, nell’interpretazione di Bhaṭṭa Bhāskara, i Deva rappresentano unicamente le correnti vitali (prāṇa) del creatore Prajāpati. Essi sono gli organi di senso e la mente che sono sottili in tutte le nostre operazioni.

I più antichi tra questi Deva erano designati come sādhya. L’espressione sādhya significa ‘compiuto’, ‘utilizzato o controllato’. Deriva dalla radice sādha che significa ‘compiere’. Essi devono essere attivati al fine di compiere qualcosa. Più tardi furono considerati una categoria di esseri dimoranti nella regione intermedia (bhuvar loka) tra terra e cielo. Il loro numero varia tra i venti e i diciassette. Ma in questo mantra, i sādhya sono le energie che rendono possibile la realizzazione delle azioni che ognuno vuol fare.

Nei più antichi testi di Nirukta, il termine sādhya era enumerato tra quelli che designano i raggi del sole. Per questa ragione Skandasvāmin descrive la funzione dei sādhya come quella di asciugare completamente la terra (rasāharaṇādikam).

Bhaṭṭa Bhāskara interpreta sādhya e ṛṣī come due categorie dei Deva che eseguirono il sacrificio. L’Aitareya Brāhmaṇa (I.16) afferma che i sādhya furono i primi tra gli Dei a prendere forma in cui, però, riconosce una caratteristica solare della loro natura, necessaria agli officianti dei rituali sacrificali; infatti, essi sono coloro che permettono di portare a compimento le azioni.

È significativo che il Bṛhad Devatā (I.116; II.12) includa i sādhya, in compagnia di āptya, vasu e viśvedeva, nel gruppo degli Dei che appartengono al regno degli Āditya. Lo stesso testo (BD VII.143) dice che Prajāpati, il creatore, desideroso di creare tutti gli esseri, celebrò il sattra di tre anni con l’aiuto dei sādhya e dei viśvedeva. Sāyaṇa segue questa traccia e descrive i sādhya, cioè Prajāpati e altri, come capaci di realizzare la creazione. Tuttavia, qui i sādhya rappresentano solo le energie di Prajāpati (indriya e prāṇa). Lo Śatapatha Brāhmaṇa (X.2.2.3) stabilisce esplicitamente che i sādhya sono proprio i prāṇa, che al principio furono gli strumenti per l’atto della creazione. Stavano dentro il corpo di Prajāpati e fornirono l’immortalità (amṛtatva) e la purezza (śuddhi) necessarie per la creazione. Anche Bhaṭṭa Bhāskara interpreta i sādhya come i prāṇa che compiono tutto. È grazie ai sādhya che Prajāpati ha potuto creare; ed essi lo fecero Sādhya. La Taittirīya Samhitā (VI.3.5.1) afferma che all’inizio della creazione non c’era nulla di attivo esclusi i sādhya e che essi sacrificarono Agni, vale a dire il Puruṣa, Prajāpati o Virāj) in Agni per mezzo di Agni. Tutta la creazione ha avuto inizio da questo.

La Chāndogya Upaniṣad (III.10.2) specifica che queste erano le forme di energia nella sfera solare.

L’espressione ṛṣayaḥ è quasi sinonimo della parola sādhyāḥ. In genere il termine ṛṣi sta per un saggio, un veggente o un sapiente, il cui significato viene da ṛṣa gatau, sapienza ottenuta, il gatyārthaka dhātu o componente sopravvenuta nel senso di jñānārthaka, potere conoscitivo. Oppure viene dalla radice dṛṣ, vedere (ṛṣayaḥ draṣṭāraḥ; Uṇādi Sūtra, IV.116). In questo secondo caso i ṛṣi rappresentano le funzioni sensitive, che percepiscono (indriyāṇi). Sāyaṇa prende ṛṣayaḥ come conoscitori dei mantra che aiutano i sādhyā. Secondo lo Śatapatha Brāhmana (VI.1.1.1), tuttavia, ṛṣayaḥ significa prāṇāḥ (prāṇa vā ṛṣayaḥ); ma questo è distinto da sādhyāḥ perché in esso è implicito il tapas.

Gli estratti dallo ŚB (6.1.1.1.5) che seguono ci aiuteranno a capire il ruolo dei prāṇa nel processo creativo.

Al principio c’era solo il non esistente. Cosa, invero, era questo non esistente? Quello erano i ṛṣi. Essi, all’inizio erano non esistenti. Ma chi erano questi ṛṣi? I ṛṣi erano le correnti vitali, i prāṇa. Erano quelli che si dedicavano (ṛṣan) con sforzo (śrama) e ascesi (tapas) e per questo sono chiamati ṛṣi.

Ciò che stava al centro di tali correnti, la principale energia vitale (mukhya prāṇa), era lo stesso Indra.

Egli era chiamato Indra perché da lì attivava (inddhayat) tutte le altre correnti vitali grazie allo straordinario potere (indriyeṇa) della sua energia); e questo le rese tutte operative. Indra è il suo nome segreto. I sette puruṣa2 vennero in essere dalle sette correnti vitali.

Poi, le sette correnti vitali decisero che con siffatti puruṣa multeplici e diversificati non potevano creare. Così modellarono quei sette in un puruṣa unico. Sopra l’ombelico (nābhi), furono sistemati due puruṣa, altri due sotto l’ombelico, due puruṣa furono posti ai lati (pakṣa). Il puruṣa rimasto fu utilizzato come fondamento reale (pratiṣṭhā) per gli altri sei.

Ora, tutto ciò che era ricco, nobile (śrīḥ) ed essenza (rasa) di ciascuno dei sette puruṣa fu raccolto in alto, diventando la testa (śiraḥ); e tutte le correnti vitali cercarono rifugio in questa parte. Il corpo è, quindi, conosciuto come ‘luogo di tutti’ (śarīra).

Questo puruṣa composito divenne Prajāpati, creatore e protettore di tutti gli esseri; e questo Prajāpati, che è Agni, presiede a tutti i riti sacrificali.

Prajāpati composto dai sette puruṣa, creò poi tutti gli esseri. Avendo creato tutti gli esseri, andò in alto e ascese al regno del sole. Ma non c’era nulla lì che potesse essere sacrificato; gli Dei, dunque, riportarono giù questo Prajāpati e fecero di lui l’oggetto del sacrificio (ŚB X.2.2.1).

Per questa ragione i veggenti dissero: “Gli Dei compirono lo yajña (il sacrificio) per mezzo dello yajña (il puruṣa o Prajāpati)”. Chi presiede al sacrificio è Agni, e il Puruṣa o Prajāpati è Agni stesso.

Mantra X.90.8

tasmāt yajñāt sarvahutaḥ sambhṛtam pṛṣat ājyam

paśūn tāṅ cakre vāyavyān āraṇyān grāmyāḥ ca ye

Da questo yajña, dove ogni cosa era stata sacrificata, fu raccolto il burro multiforme e rappreso: con esso furono creati tutti gli uccelli e gli animali sia selvatici sia addomesticati.

  1. tasmāt yajñāt sarvahutaḥ

Questo sacrificio in cui è sacrificato il Puruṣa, che simboleggia la totalità dell’esistenza, è conosciuto come sarvahut o sarvamedha; oppure anche puruṣa medha (sarvātmakaḥ puruṣo yasmin yajñe hūyate, soyam sarvahut). E, di nuovo, questo sacrificio è mentale (mānasād yajñāt) per sua caratteristica.

Però, come dice lo Śatapatha Brāhmaṇa (XIII.7.1-2), questa è una sessione sacrificale di dieci giorni, in cui l’ultimo giorno è occasione per il rito di portata universale (viśvajid atirātra), il cui risultato è l’ottenimento di tutto ciò che si desidera (sarvasyāptyai). È importante anche il rituale del settimo giorno (āptoryāma), perché è in quell’occasione che ogni cosa è sacrificata: cioè tutti gli dei visualizzati mentalmente dal creatore assieme a tutte le cose ad essi connesse, animate o inanimate (ātma devatyāḥ). Questo spiega, quindi, la definizione di sarvahut o sarvahoma.

Lo stesso testo dà informazioni di base in ŚB (XIII.7.1.1): Brahmā (ossia Puruṣa o Prajāpati), nato da se stesso, si impegnò nell’ascesi, nella meditazione profonda, ma dopo un po’ realizzò che la pura austerità aveva un’utilità limitata. Quindi dichiarò: “Offrirò il mio sé come oblazione sacrificale in tutti dopo che ho realizzato che la semplice ascesi è di scarsa utilità”. Poi aggiunse: “Offrirò il mio sé come oblazione sacrificale in tutti gli esseri, e riceverò tutti gli esseri in me stesso come oblazione sacrificale”. Egli fece questo, e come risultato della decisione di tale reciproco sacrificio, ottenne il dominio su tutti gli esseri, l’autosufficienza e la signoria su tutti i mondi.

Cosa significhi l’espressione ‘tutti gli esseri’ (sarva) nel contesto del sacrificio è indicato in Vājasaneya Saṃhitā dello Yajur Veda bianco (XXXII). Bisogna ricordare che il Puruṣa Sūkta si trova anche nella VS (XXXI) che ha 22 mantra, e che l’ottavo mantra del RV è il sesto della VS dello ŚYV.(XXXI.6). Qui si trova la spiegazione di perché questo ‘sacrificio in tutti’ sia presente in VS (XXXII.1.16). Il Puruṣa o Prajāpati, che è sacrificato, è tutti questi: Agni, Āditya, Vāyu, Candra, lo splendente Brahmā e le acque primordiali. Tutti gli Dei sono contenuti nel corpo di Prajāpati. Essi sono tutti come oblazioni in un solo spirito, Agni o Puruṣa (sarvam juhoti). Questo è il modo in cui egli divenne ‘Tutto’ (sarva). Gli Dei sono solo specifiche manifestazioni o aspetti di quest’unico Puruṣa. Il tempo, che è il principio primo della creazione, è infatti un prodotto di questo Puruṣa. Chi può comprenderlo, afferrarlo con la propria capacità di comprensione? Non può essere afferrato all’inizio né alla fine né in mezzo. È indifferenziato nello spazio. Spazio e tempo si sviluppano fuori da lui per sua volontà. È la sola realtà, e quindi non può esserci nulla che eguagli lui o la sua maestà. È descritto come il ‘grembo d’oro’ (hiraṇya garbha), il totalmente reale e nulla esiste separatamente da lui. È il regolatore interno di tutti gli esseri. È il vero centro di tutta l’esistenza, che esisteva prima che l’esistenza si dispiegasse nello spazio e nel tempo. Pervade tutto lo spazio esterno e dimora nello spazio interiore degli esseri viventi. È colui che fa sviluppare tutto nel passato, nel presente e nel futuro possibile; tra tutte le creature è quello primigenio (VS XXXII.1-4).

2 sambhṛtam pṛṣat ājyam

Sāyaṇa interpreta pṛṣad ājyam con il significato di burro liquefatto o chiarificato, che sta per l’oblazione mescolata con yogurt (dadhi miśram ājyam). Cioè puruṣa ‘mischiato’ alle creature. Bhaṭṭa Bhāskara, tuttavia, pensa che pṛṣad significhi multiforme (vicitram) come latte munto da differenti animali come la vacca, la bufala, la capra, ecc. mescolato insieme; o può indicare lo stato di trasformazione del latte nello yogurt, ecc. L’importanza di ājya (burro chiarificato) nello yajña è spiegato in Aitareya Brāhmaṇa (II.37); lo yajña è un carro per gli Dei, e ājya e prauga3 sono come le briglie che controllano il movimento del carro. Ājya è detto essere il nutriente principale che irrobustisce terra e cielo. È chiaro come qui l’oblazione sia il vero spirito della creazione manifestata, la quale procede dall’onnicomprensivo sacrificio.

Questo, in modo figurato, è chiamato anche ‘cibo’ (anna), dal quale dipendono tutte le creature. Il burro chiarificato è il cibo del fuoco che rappresenta il sacrificio. E il termine sanscrito anna significa sia ciò che è consumato da tutti gli esseri sia ciò che consuma tutti gli esseri. Le oblazioni nel fuoco sacrificale (burro chiarificato, fascine, dolci, ecc) non sono solamente ciò che il fuoco consuma, ma sono il nutrimento del fuoco. L’espressione pṛṣad ājya indica la varietà di cibo che Prajāpati creò all’inizio.

Leggiamo in ŚB che, non appena fu installato, il fuoco sacrificale produsse cibo in forma di acqua (āpas) e piante (oṣadhi). La sostanza essenziale in tutt’e due queste forme di nutrimento (burro chiarificato e offerta) da versare nel fuoco è descritta come ājya. Dunque, questa è la reale sorgente e sostegno di ogni vita.

Rasa, il succo, è l’elemento essenziale e la quintessenza dell’intero universo; è la base per tutte le forme e per tutte le azioni, ed è, perciò, quello per cui tutte le creature provano piacere. È il sapore della vita. In questo senso è l’oro (hiraṇya) nel grembo della creazione (hiraṇya garbha) e l’essenza invisibile in tutti gli esseri (puruṣa).

Sempre lo stesso testo ŚB specifica che questo rasa, che è ājya, è di natura mentale e che il sacrificatore (yajamāna) del rasa è un bipede (dvipād), nel senso che egli dà come riceve. L’ājya comeaffiora dal fuoco sacrificale (puruṣa) diviene pṛṣad (latte munto da diversi tipi di animali, quindi variegato, e perciò descritto come tutto (sarvam); esso, a sua volta, è versato di nuovo come oblazione nello stesso fuoco (cioè nel puruṣa). Questo è in armonia con le seguenti parole già spiegate: yajñena yajñam ayajanta Devaḥ.

3 paśūn tān cakre vāyavyān

Dal cibo, che fu allora prodotto grazie al sacrificio, furono creati animali di tutte le specie. La parola paśu per animale suggerisce l’idea di costringere, incatenare, legare, impastoiare, allo scopo di addomesticarli, di farli lavorare o di sacrificali (pāśayati). L’Atharva Veda (XI.2.9) parla di cinque tipi di paśū: bovini, cavalli, umani, capre e pecore.

Il numero cinque (pangkti, quintuplice) è importante nell’ambito della creazione: il sacrificio stesso è descritto come quintuplice, come anche il Puruṣa e gli animali. Ogni cosa è quintuplice, dice la Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad. (I.4.13).

Anche la creazione è quintuplice (prapañca): lo Śatapatha Brāhmaṇa (XII.3.4.1) narra che il creatore Prajāpati guidò il Puruṣa Nārāyaṇa al sacrificio, e che dal sacrificio emersero cinque linee di creazione: 1) i paśu; 2) i ṛk, yajus e sāman; 3) il puruṣa e i brāhmaṇa, i rājanya, i vaiśya e gli śūdra sorti dai suoi arti; 4) Candra, Sūrya, Indra, Agni eVāyu dalle facoltà sensitive del Puruṣa; 5) l’atmosfera, il cielo, la terra e le direzioni dello spazio dal corpo cosmico (virāṭ deha) del Puruṣa. Queste cinque linee di creazione sacrificale sono anche chiamate pañca rātra di Virāṭ puruṣa.

Gli animali (paśu) di tutte le specie qui sono descritti come appartenenti a Vāyu (paśūn vāyavyān). Ciò è spiegato in Taittirīya Brāhmaṇa (II.2.1-3) in quanto Vāyu è il Dio reggente della regione mediana (antarikṣa); perciò la divinità di questo dominio è il protettore di tutti gli esseri animati.

Lo ŚB (IV.4.1.15) dà una spiegazione diversa: Vāyu, in verità, è la guida per gli animali; Vāyu è la forza vitale ed è grazie alla vita che essi vanno e vengono.

4 āraṇyān grāmyāḥ ca ye

Gli animali (paśu) che furono creati appartengono a due ampie categorie: quelli selvatici (āraṇya) e quelli addomesticati (grāmya). TA (III.11) menziona queste due categorie di animali. In ognuna di esse vi sono sette specie maggiori:

  1. āraṇya: a) animali con lo zoccolo fesso (dvikhura); b) animali da preda (śvāpada); c) uccelli (pakṣi); d) rettili striscianti (sarīsṛpa); e) elefanti (hasti); f) scimmie (markaṭa); g) animali acquatici (riverine, nādeya).
  2. grāmya: a) bovini (go); b) cavalli (aśva); c) capre (aja); d) pecore (āvi); e) esseri umani (puruṣa); f) asini (gardabha); g) cammelli (uṣṭra). Questa classificazione concorda con il testo che stiamo commentando.

Mantra X.90.9

tasmāt yajñāt sarvahuta ṛcaḥ sāmāni jajñire

chandāmsi jajñire tasmāt yajus tasmāt ajāyata

Da questo yajña che tutto consuma (sarvahutaḥ) furono create le tre raccolte dei Veda, come pure le forme metriche in cui si espresse la visione del veggente.

1 ṛcaḥ e sāma

Le tre divisioni del Veda, la Ṛcaḥ, che rappresenta Agni e la terra, cioè (Vyāhṛti e bhūḥ), il Sāman, che sta per il sole e il cielo (Āditya e suvaḥ), e lo Yajus, ossia il vento e l’atmosfera (Vāyu e bhuvaḥ), corrispondono ai tre modelli di espressioni verbali4, usati alternatamente durante il rituale del fuoco, com’è stabilito in Śatapatha Brāhmaṇa (X.5.1-2). Si tratta degli inni, dei canti e delle parti in prosa, che insieme costituiscono il sacro Udgītha. Tale termine è interpretato come fosse composto di tre parti: ut simboleggia i canti, le declamazioni in prosa e tha gli inni (Chāndogya Upaniṣad, I.3.7).

Chanda

Le forme metriche (chanda) che emergono da questo sacrificio simbolico sono principalmente le seguenti: differiscono tra loro per il numero di sillabe che compongono i versi:

                                                                     Akṣara (sillabe)                     Pāda (versi)

1 Viparītā-hrasīyasi                                               19                                       3

2 Ati-nicṛt                                                                20                                        3

3 Pāda-nicṛt                                                             21                                        3

4 Vardhamānā                                                         21                                        3

5 Pratiṣṭhā                                                                21                                        3

6 Uṣṇiggarbhā                                                         24                                         3

7 Yava-madhyā                                                       24                                         3

8 Gāyatrī                                                                   24                                        3

9 Padapangki                                                         25 (26)                                    5

10 Kakupnyangkushā                                             27                                         3

11 Uṣṇik                                                                    28                                         3

12 Kakup                                                                   28                                         3

13 Uṣṇik-garbhā                                                      28                                         4

14 Tanu-śirā                                                             28                                         3

15 Anuṣṭup-garbhā                                                 29                                         4

16 Tāvirāṭ                                                                  30                                         3

17 Virāṭ                                                                      30                                         3

18 Mahāpada-pangkti                                             31                                         6

19 Kṛti                                                                        32                                         4

20 Anuṣṭup                                                                32                                         4

21 Naṣṭa-rūpi                                                            32                                         3

22 Virāṭ                                                                      33                                         3

23 Bṛhatī                                                                    36                                         4

24 Abhisāriṇi                                                             39                                         4

25 Vairāja-triṣṭup                                                     39                                         4

26 Pangkti                                                                  40                                         5

27 Virāṭ-sthāna                                                         40                                         4

28 Viparītā                                                                 40                                         4

29 Pragātha                                                               40                                         4

30 Viparitā-virāṭ-sthānā                                         41                                         4

31 Virāṭ-rūpā                                                             41                                         4

32 Jytotiṣmatī                                                             44                                         4

33 Jyoti                                                                        44                                         4

34 Triṣṭup                                                                    44                                          4

35 Yava-madhyā                                                         44                                          5

36 Pangkyuttarā                                                         44                                          5

37 Jagatī                                                                      44                                          4

38 Mahāpangkti                                                          48                                          6

39 Ati-jagatī                                                                52                                          5

40 Shakvarī                                                                  56                                          7

41 Ati-Śakvarī                                                             60                                          5

42 Aṣṭi                                                                         64                                           5

43 Atyaṣṭi                                                                    68                                           7

44 Dhṛti                                                                       72                                           7

45 Atidhṛti                                                                  72                                           8

Il mantra può anche riferirsi all’emersione d’una sequenza: dal sacrificio per primi emersero gli inni (ṛcaḥ) e i canti (sāmāni); da questi le forme metriche (chanda) e da queste, poi, i passaggi che corrispondono al compimento del rituale (yaju). Tutti i sacrifici sono derivati da questi passaggi ritualistici. L’espressione tasmāt è stata usata tre volte, ma è solamente nel primo caso che la parola allude al sacrificio che tutto consuma (sarvahutaḥ); la seconda volta l’espressione è usata a proposito degli inni e dei canti, e la terza per le forme metriche.

Mantra X.90.10

tasmāt ashvā ajāyanta ye ke cha ubhayādataḥ

gāvo ha jajñire tasmāt tasmāt jātā ajāvayaḥ

Da questo (il sacrificio che tutto consuma chiamato sarvahutaḥ) emersero aśvā (stalloni come animali da traino), ubhayādaḥ (animali con due file di denti, sopra e sotto, ossia bestie da soma come asini e muli), gāvaḥ (bestiame, animali che forniscono cibo e sostentamento) e ajāvayaḥ (capre e pecore).

Se la parola gāvaḥ significa animali quadrupedi, essi sono inclusi tra i grāmya o categoria addomesticata, indicata nel mantra 8. Non c’è, dunque, ragione che in questo mantra i nomi indicanti animali debbano riferirsi ad animali veri e propri. Il significato dei termini deve essere cercato altrove.

Bisogna notare che, secondo lo Śatapatha Brāhmaṇa (X.5.1,2 e VI.3.1,11), il creatore Prajāpati, dopo l’emergere delle tre forme della sacra parola e le corrispondenti tre forme di Agni, entrò nelle acque assieme a queste tre forme che esprimono la conoscenza (vidyā). Egli realizzò che tutte le cose e gli esseri erano celati in queste tre forme della parola sacra (X.4.2.21-22).

Di conseguenza, il creatore decise di erigere il suo corpo in forma di altare sacrificale sulla base di queste tre forme della sacra parola. L’altare sacrificale fu, quindi, il primo seme della creazione. Poiché era il primo e anche il più importante, fu chiamato Agni (da agri) (ŚB VI.1.1.10-11).

Il mantra precedente aveva descritto l’emergere delle tre forme del testo sacro, e il presente mantra naturalmente continua questo argomento, focalizzando l’attenzione sull’aspetto creativo di Prajapāti in quanto Agni. In consonanza con il mantra, da Prajapāti (o lo yajña che è sarvahutaḥ) sorse aśva, il cavallo. Lo ŚB (XIII.3.1.1) ci dice che gli organi di percezione di Prajāpati si dilatarono e caddero giù come gocce; poi crebbero di misura e quindi furono chiamati aśva (da aśū, vyāptau, che sono universalmente pervadenti).

Altrove lo stesso testo parla di lacrima creativa come caduta dagli occhi di Prajāpati, e tale lacrima (aśru) divenne ashva (VI.1.1.11).

Il vocabolo aśva etimologicamente ha questi significati: il senso di pervasione (da aśū, vyāptyartha) e quello di mangiare o consumare (da aśa, bhojanārtha). L’animale è chiamato aśva perché percorre rapidamente le strade (aśvaḥ kasmād aśnute adhvānam), come se le divorasse (mahāśano bhavati). Ma l’espressione usata nel mantra non sta a significare propriamente questo animale. Leggiamo in Taittirīya Brāhmaṇa (III.9.16.1) che aśva si riferisce a Varuṇa (varuṇo vā aśvam); e testi come ṚV (I.50.1; I.115.1) e TS (II.2.12.1; II.4.12.1) usano la parola aśva in riferimento a Sūrya. Un mantra nel ṚV (I.164.34) informa sulla potenza di aśva che piove, dove aśva sta per Varuṇa o Sūrya.

La parola al plurale usata in questo mantra particolare si riferisce all’origine multeplice e alla natura multiforme del divino aśva.

Non c’è dubbio che il cavallo fosse un animale molto utile nel periodo vedico in quanto facilitava gli spostamenti (Nirukta, 9.2, aśvo voḷhā, sukham ratham iti kalyāṇa nāma). In epoca più recente era anche un animale sacrificale (medhyāśva o yajñāśva, elogiato in ṚV I.162.1). È annoverato tra le vittime sacrificali: cavalli, tori, bovini, mucche e pecore. Questi animali sono simbolo di vigore ed energia, e l’offerta era fatta ad Agni identificato a Sūrya, Viṣṇu e Puruṣa. Quel sacrificio era solo simbolico. In questo mantra l’origine di questi animali come offerta sacrificale richiama quella del Puruṣa, che poi non è altri che Agni.

Il mantra può anche essere interpretato come la descrizione del Puruṣa in quanto fonte unica e comune di ogni creatura vivente: cavalli, animali che hanno incisivi in entrambe le mandibole, superiore e inferiore (ubhayādataḥ), vacche (gāvaḥ), capre e pecore (ajāvayah) che rappresentano gli animali addomesticati e utili all’uomo. Ma non bisogna dimenticare che ubhayādataḥ può significare il tempo, più specificatamente il presente in quanto compreso tra passato e futuro e che gāvaḥ può rappresentare la terra (gamiṛ gamanārtha, asyām bhūtāni gacchanti iti; Nirukta, II.5), la parola (mādhyamikā vāk) o il sole. Può anche rappresentare la regione intermedia o atmosfera (antarikṣa).

L’espressione aja (na jāyate, notpadyate) rappresenta la schiera, la truppa dei Marut, oppure uno dei Rudra; avi (ava rakṣaṇe) significa sole (Sūrya) o montagna (parvata). Aja è anche il nome delle acque che formano le nuvole e ha il significato di movimento o di essere spinto giù (gati kṣepaṇārtha); le nubi sono scosse dai Marut e ne escono le acque. Avi è anche un nome per le acque (Nirukta, II,24), derivato dalla radice (uscire, gati, e pervadere, vyāpti). I raggi del sole (gāvaḥ) sono i responsabili affinché le nuvole piovano a dirotto (ajāvayaḥ). La metafora in questo mantra coinvolge il simbolismo del trimundio (ajāvayaḥ): cielo (aśvā), regione intermedia (ubhayādataḥ) e terra (gāvaḥ), e le acque che sono presenti in tutti e tre i mondi (ajāvayaḥ). È stato già spiegato che Nārāyaṇa (il ṛṣi autore del sūkta) è principalmente associato alle acque.


  1. Il Nirukta (XII.41) così parafrasa le parole del mantra: Agninā Agnimayajanta Devaḥ.[]
  2. Prāṇa, apāna, samāna, vyāna, udāna, mukhya prāṇa, più il puruṣa stesso [N.d.C.].[]
  3. Nome di un inno recitativo, che indica anche le stanghe del carro che sporgono anteriormente [N.d.C.].[]
  4. Recitazione, canto e declamazione [N.d.C.].[]