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Svāmī Prakāśānandendra Sarasvatī Mahārāja

22. La luce della Realtà

Conclusione

A. Sunto delle argomentazioni precedenti

163. La Dottrina di Sat Cit Ānanda

Per scoprire la Realtà e indagare la vita, abbiamo usato i tre punti di vista dell’Esistenza, della Coscienza e della Felicità. Come tre persone coinvolte in un avvenimento raccontano le loro rispettive storie, così Esistenza, Coscienza e Beatitudine che appaiono nel mondo presentano le loro rispettive storie davanti all’esperienza che fa da Giudice. La storia dell’una è simile a quella delle altre due e dopo averne sentita una, le altre due sono come un’eco. L’esito finale è che Esistenza, Conoscenza e Felicità sono solo una Realtà che appare in tre forme differenti. Questo è il siddhānta (dottrina) di SatCit e Ānanda.

164. Posizione dei Vedāntin nei confronti di alcune opinioni

Alcuni che indagano la conoscenza, dubitano che ci sia un qualcosa chiamato Realtà. Altri dicono che ciò che ci appare è la Realtà e non c’è altra realtà oltre a questa. Altri ancora sostengono che l’uomo vive in una parte infinitesimale di questo vasto mondo per un breve tempo e poi muore. Quindi gli è impossibile, con il suo minuscolo intelletto, conoscere la Realtà. Altri dicono che questo mondo apparente è sempre in costante cambiamento, come un fiume, e quindi non c’è altra realtà che questo fluire di cambiamento.

  1. Per i Vedāntin le precedenti opinioni non sono esatte. Anch’essi riconoscono che ciò che è in continuo cambiamento è l’apparente mondo di nome e forma, ma affermano che c’è una Realtà soggiacente a tutti questi cambiamenti che si può scoprire e vedere.
  2. La loro ferma conclusione si basa sulle Upaniṣad. Sebbene esse insegnino rituali, credenze e meditazioni, il loro vero scopo è la conoscenza della Realtà di Ātman come Brahman.
  3. Conoscenza significa retta conoscenza in armonia con l’intuizione e non speculazione o teoria. Essa è l’argomento centrale delle Upaniṣad. Quindi agli insegnamenti upaniṣadici non si deve credere ciecamente solo perché sono vedici, ma perché fanno appello all’intuizione universale.
  4. Quindi ognuno può scoprire la verità nella propria intuizione, soltanto compiendo l’indagine secondo il metodo insegnato dalle Upaniṣad.

165. Il metodo dei tre stati usato dai Vedāntin

La dottrina vedāntica insegna un unico metodo per indagare la verità. Questo consiste nell’osservare i tre stati e vagliarne l’intuizione con il ragionamento per arrivare alla conclusione. Tutte le dottrine diverse dal Vedānta considerano la veglia quale stato principale e guardano gli altri stati da questo unico punto di vista, avendo perciò una prospettiva limitata. Invece i Vedāntin che esaminano equamente i tre stati per mezzo dell’intuizione universale, li paragonano tra loro, ne eliminano il velo con la riflessione, e vedono la Realtà in tutto. Quindi la loro conclusione nasce da una visione comprensiva e non confutabile perché la verità che insegna oltrepassa la condizione temporale. Le altre dottrine si basano solo sull’esperienza della veglia. Quindi l’esperienza di cui parlano è limitata e non comprensiva. Essi procedono nell’indagine senza nemmeno sapere che cos’è uno stato. Śaṃkara, sul risultato della loro indagine, afferma:

Secondo il loro metodo, l’Advaita non può essere accettato perché essi esaminano le varie forme dell’Ātman che sono legate solo ai loro corpi individuali (e non all’intero stato) (MUŚbh 3).

166. L’essenza della dottrina vedāntica

La dottrina vedāntica può essere riassunta in un singolo verso śaṃkariano:

Brahmasatya jaganmithyā jīvo Brahmaivanāparaḥ / Jīvanmuktastutadvidvān //

Brahman è la Realtà, il mondo è falso e il jīva non è che lo stesso Brahman. Chi capisce questa verità è liberato anche in vita.1

Vediamo in dettaglio:

  1. Brahmasatya: c’è una Realtà che è Esistenza, Conoscenza e Felicità. È chiamato Brahman, che significa ‘il più grande’, ed è libero dalle limitazioni di spazio, tempo e causalità. Ha un altro nome, Bhūmā, infinito, che significa il ‘supremo insuperabile’ (niratiśaya Mahat). La śruti dice:

[…] dove uno non vede null’altro, non sente null’altro, non conosce null’altro, quello è infinito (ChU VII.24.1).

È anche chiamato imperituro (Akṣāra). Non è soggetto a cambiamenti di nascita, crescita, degenerazione e morte. Quindi è chiamato Sat, essere, quello che realmente esiste. Puruṣa o la Persona totale, è un altro suo nome ed ha questo nome perché pervade tutto. Il nome Puruṣa conviene a Brahman, perché pervade tutte le limitazioni di tempo, di spazio e di stati, e perfino appare come essi. Gli altri non sono affatto Puruṣa. Se li chiamiamo puruṣa, allora dobbiamo chiamare Brahman Puruṣottama, la Persona suprema o la migliore tra le persone. Esso ha anche un altro nome, Ātman, che significa la propria reale natura. Solo il Brahman è l’Ātman di tutti gli esseri senzienti e insenzienti della terra, come anche degli oggetti inerti, dato che è la loro natura essenziale. L’idea soggiacente a tutti questi nomi è che Brahman è infinito. Non c’è posto, tempo o oggetto che non pervada. Oltre a Esso non c’è nulla. Tutto questo è implicito nella frase ‘Brahman è la Realtà (Brahman Satyam)’.

  1. Jaganmithyā: qui sorge un dubbio:

Domanda: se solo Brahman è reale, da dove vengono il mondo e i jīva? Il mondo contiene molteplici creature e cose, ed è anche costituito da spazio, tempo e causalità. I jīva in questo mondo hanno vari interessi e livelli di conoscenza, compiono azioni e sperimentano i loro frutti. Come avviene tutto ciò? Se tutto questo esiste, come si può dire che solo Brahman è la Realtà?

Risposta: per chiarire questo dubbio dobbiamo esaminare i tre stati. Questo mondo visibile appare solo nella veglia e non in sogno. In ogni sogno pare esserci un mondo differente, ma il mondo della veglia non appare in nessuno dei sogni. Questo prova che io, gli altri, le creature mobili e immobili, gli oggetti inerti, la terra, il cielo ecc. dello stato di sogno sono completamente differenti. Nessuna delle cose della veglia appare lì. Noi, con le nostre associazioni limitanti (upādhi), corpo, prāṇa, mente, sensi ecc., assumiamo nel sogno una forma completamente differente. Questo non significa che il ‘noi’ della forma della veglia si trasformi davvero nella forma del sogno, come un bruco si trasforma in farfalla o come un uomo si trasforma in una donna a causa di una maledizione, come leggiamo nei racconti purāṇici. In altre parole, la forma dello stato di veglia non è il materiale con cui è fatta la forma del sogno, né c’è una sequenza da forma a forma. Infatti, la nostra forma della veglia è lasciata totalmente qui e nulla è trasportato là. Lì appare un mondo totalmente nuovo, con le sue coordinate di tempo e spazio, che non ha nulla da spartire con quello della veglia. Dato che il mondo della veglia non appare nel sogno né quello di sogno nella veglia, essi sono limitati ai loro rispettivi stati. Quindi possiamo dire che non c’è alcun mondo se non negli stati e che il mondo è solo un’apparenza (apparizione) in questi rispettivi stati. Il nostro Ātman, che testimonia queste apparenze, è in tutti e tre gli stati, e non è limitato dagli stati che contengono tempo, spazio e causalità. Perciò questo Testimone (Sākṣin) può solo essere Brahman, mentre il mondo che appare transitoriamente, è falso (mithyā). O, invece di chiamarlo falso, lo si può dire reale solo se considerato nella sua natura essenziale di Brahman. È lo stesso che tu chiami falso il mondo nel suo aspetto di apparenza o reale nella sua natura essenziale di Brahman.

  1. Jīvo Brahmaivanāparaḥjīva non è altro che Brahman stesso.

Domanda: il dubbio sui jīva rimane ancora senza risposta. Ci sono molti jīva limitati da spazio, tempo e causalità, che incessantemente compiono azioni e sperimentano i loro frutti.

Risposta: dopo aver conosciuto che il mondo è falso, è facile trovare una risposta. I jīva appaiono essere molti solo a causa delle associazioni limitanti di corpo, sensi, prāṇa, intelletto ed ego. Queste upādhi appaiono solo in veglia e non in sogno2 e mai in sonno profondo, perché tutte s’immergono in Ātman. Quindi l’apparenza di molti jīva è solo dal punto di vista della veglia. Ma, dal punto di vista comprensivo, c’è solo un Ātman senza secondo.

  1. Jīvanmuktastutadvidvān: chi intuisce questa verità è liberato anche in vita. Che io sia come qualsiasi altro jīva è solo dal punto di vista della veglia. Che cosa si intende con jīva quando si dice che i jīva sono molti?
  • Se la parola jīva significa io (aham), io non può essere plurale. Io non è neanche un oggetto.
  • Lasciando da parte questo significato di io e prendendolo come soggetto (viṣayin), anche in questo caso non può essere ‘molti’ perché quello che oggettiva ogni cosa è il soggetto, che è solo uno.
  • Se il significato di io è Sākṣin, anche questo è solo uno e non lo si può immaginare al plurale.

In conclusione, la molteplicità è solo un’istintiva credenza dell’uomo comune nella sua vita di relazione, questa pluralità mancando di prova sperimentale e razionale. Neanche l’individualità reggerà al vaglio dell’esperienza e della ragione. Noi consideriamo che il jīva sia lo sperimentatore di felicità e sofferenza in veglia e in sogno. Non abbiamo il sostegno dell’esperienza per sostenerlo, perché l’io della veglia e l’io del sogno non sono gli stessi; e nel sonno profondo non c’è affatto. Allora chi è che sperimenta i tre stati? Non è altro che il Sākṣin che è realmente il Brahman. Quindi, pensare di essere un conoscitore, un agente dell’azione e un fruitore dei suoi risultati è solo un errore. Dal punto di vista dei tre stati, non siamo della natura di conoscitore: siamo la Conoscenza stessa. Non siamo agente e fruitore, ma solo la Pura Felicità immutabile. Quindi la realtà è che siamo Pura Esistenza, Coscienza e Felicità. Chi conosce se stesso così non ha alcun legame con il saṃsāra: quindi è sempre Libero.

167. La nostra natura essenziale è omogenea e senza divisione

In questo mondo c’è divisione tra vero e falso, conoscenza e ignoranza, felicità e sofferenza. L’esistenza, la conoscenza e la felicità appaiono proprietà di certi oggetti che sembrano avere un inizio e una fine. Ma la divisione e le differenze sono solo apparenze. Sebbene appaiano come se le vedessimo e sperimentassimo nella veglia, esse nel sonno profondo diventano uno con Sat, Cit Ānanda. Poiché nel sonno profondo questi nomi e forme s’immergono nella nostra natura, è chiaro che sono sempre uno con l’Ātman. Sebbene tale Ātman appaia in veglia con divisioni e differenze dovute ai nomi e alle forme, questi sono certamente concetti falsi. È solo il pregiudizio della veglia che induce a pensare che non ci sia nulla in sonno profondo, che ci siano oblio, mancanza di felicità e sofferenza.

168. Il metodo dei tre stati è solo uno strumento per conoscere la Realtà

Sperimentando il saṃsāra, la Realtà non si trasforma nel jīva e nel mondo nella veglia;e nemmeno si deve pensare che in sonno profondo, in qualche modo, ogni cosa si dissolva in una Realtà e rimanga nascosta lì. Non ci sono relazioni spaziali e temporali tra gli stati. In realtà sono solo false apparenze: non esistono uno vicino all’altro nello spazio né avvengono in una sequenza di tempo. Tutti i pensieri sul sogno e sul sonno profondo sono solo dello stato di veglia. Soltanto in contrasto con il sonno profondo e con il sogno abbiamo l’idea della veglia. Senza la comparazione, nessuno degli stati è in sé veglia, sogno o sonno profondo. Così i tre stati sono solo un sogno. Perciò non ha alcun fondamento pensare che la Realtà esista in una forma particolare in uno stato e si trasformi in un’altra forma negli altri stati.

Domanda: alcuni sostengono che il mondo della veglia è formato dai cinque elementi grossolani, che si trasforma in forma sottile in sogno e in forma causale in sonno profondo.

Risposta: questo è solo un’immaginazione assurda senza alcuna base d’esperienza. Sūreśvara afferma:

L’Ātman, che è la Realtà, è sempre Pura Coscienza e Felicità in sonno profondo, come anche in sogno e in veglia ed è sempre privo del mondo (BV IV.3.1907-1908).

La differenza per cui non vediamo alcun mondo nel sonno profondo e lo vediamo in veglia e sogno, è solo dal punto di vista della veglia. Come abbiamo detto prima, i tre stati sono solo sogni.

Jīva ha questo sogno (di tutti e tre gli stati) quando ha un sonno (nidrā) in cui non conosce la Realtà. […] Quando si risveglia da questo sonno senza inizio, egli capisce che (nella sua natura risvegliata di Ātman) né nasce né muore, né dorme né sogna, è sempre senza secondo (MUGK I.15-16).

Il Vedānta non dice che ci sono veramente tre stati. Insegna solo che la persona che pensa di stare realmente sperimentando i tre stati, è in realtà il Sākṣin, che è la vera Realtà in cui gli stati sono erroneamente immaginati. Questo è l’insegnamento trasmesso dalla nostra catena di maestri che afferma che la Realtà, libera dal mondo, è spiegata dettagliatamente dal metodo di adhyāropaapavāda.

169. Esperienza del momento presente: una critica

Domanda: questo potrebbe generare l’obiezione di uno scettico. Tutti gli stati passati sono solo ricordi, quelli futuri sono mere aspettative e le nostre esperienze sono confinate soltanto nello stato presente. Se la conclusione vedāntica si fonda solo sul sogno e sul sonno profondo, come può avere una solida base? Ora noi non siamo in sogno o in sonno. Siamo in veglia, che neppure è stabile perché, eccetto il presente, ogni cosa può essere inclusa o nella memoria o nell’aspettativa. Il passato è andato e il futuro non è ancora nato e noi abbiamo solo il presente. Tuttavia, appena esaminiamo il momento presente, anche questo scivola subito nel passato. Stando così le cose, come possiamo trarre una conclusione vera basata su stati così inaffidabili?

Risposta: per quanto intelligente sembri questa obiezione, la dottrina vedāntica non è incrinata da tale argomentazione. L’argomentazione per cui solo il momento presente è affidabile e il passato e il futuro, essendo ricordo e aspettativa, non possono essere base per determinare la realtà, non comporta che si debbano trascurare il sogno e il sonno profondo considerandoli inaffidabili. Questo perché anche nel momento presente in cui ‘sono sveglio’, c’è sempre un’esperienza di sogno e di sonno profondo diversa dalla veglia. Senza avere il pensiero di sogno e sonno profondo in contrapposizione, non possiamo mai avere il pensiero di uno stato di veglia. Non è possibile includere il sogno e il sonno profondo come memoria o aspettativa, considerandoli passato e futuro del momento presente di veglia, perché sappiamo che il ricordo e l’aspettativa devono appartenere alla presente serie temporale3. È grazie all’interruzione della veglia da parte del sogno e del sonno profondo che abbiamo il pensiero della veglia. Se non fosse in contrasto con sogno e sonno profondo, la veglia diventerebbe infinita, e allora cesserebbe di essere veglia e diventerebbe solo Pura Esistenza e Pura Coscienza. Un esame della veglia rivelerebbe che ciò che chiamiamo veglia precedente e futura, è di fatto parte di una continua veglia. Quindi, gli eventi passati della veglia possono essere ricordati nella veglia presente e la veglia futura può essere aspettata, essendo una continuazione della presente. Diversamente da questo, non sperimentiamo il sogno e il sonno profondo come accadessero nel passato e futuro della presente serie temporale di veglia. Sebbene sogno e sonno siano esperienze presenti, è evidente che nel sonno profondo non c’è tempo e nel sogno c’è una differente serie temporale. Perciò dobbiamo includere anche queste esperienze in ciò che chiamiamo esperienza del momento presente. Osserviamo tutto quello che esiste nel momento presente:

  1. il conoscitore del sogno, del sonno profondo, della veglia del presente momento;
  2. l’io che conosce.

Nessuno può evitare questi due. Io sono quello che è Testimone di tutti e tre gli stati. Non è che ci sia un io per la veglia, un altro per il sogno e un altro per il sonno profondo, così facendone tre conoscitori. Il sonno profondo sono solo io in forma di Coscienza Pura, perché in quell’esperienza l’io è lì senza alcun oggetto. Il sogno e la veglia (come oggetti) non stanno mai assieme, perché quando uno si manifesta l’altro sparisce. Quindi è senza senso pensare che tali stati, che si escludono mutuamente, esistano simultaneamente in uno stesso momento. Ogni stato svanisce quando l’altro si manifesta. Dato che il presente momento appartiene solo alla veglia e che la veglia non esiste nel sogno né il sogno nella veglia, l’idea del momento presente svanisce. In conclusione ciò implica che nulla esiste eccetto l’io-Testimone, la Pura Coscienza. Se prendiamo il sogno come ricordo, il momento presente appare come veglia. Tuttavia, se il sogno è guardato dal punto di vista del sogno, il momento della veglia non è diverso dal sogno. Se guardiamo dal punto di vista del sonno profondo, ogni cosa è spazzata via, lasciando solo la Pura Coscienza, perché pensare che ‘sto ora sperimentando il sonno profondo’ è contraddittorio. Questo perché non c’è momento presente in un sonno senza tempo. Non è un ricordo, come s’è stabilito prima. Questo prova che solo la mia natura appare come tre stati, ognuno dei quali è uguale all’altro. Sia esso sogno, veglia o sonno profondo, sono tutti null’altro che Pura Coscienza. Così la conclusione è che gli stati sono soltanto meri strumenti per conoscere la Realtà e non sono affatto indipendenti, proprio come il riflesso nello specchio è dipendente dal volto originale.

170. Confutazione delle teorie sull’apparenza di oggetti erronei (khyātivāda)

Le teorie che descrivono come gli oggetti erronei (mithyā vastu) appaiano sono chiamate khyāti. Nelle scuole indiane ci sono varie teorie di khyāti: l’akhyāti, l’anyathākhyāti, l’ātmakhyāti, l’asatkhyāti e l’anirvacanīyakhyāti. Ci sono teorie simili anche nella filosofia occidentale, ma non le prendiamo in considerazione in questo libro, perché nessuna di esse arriva a una conclusione, basandosi solo sulla logica della veglia. Tuttavia i lettori arriveranno a convincersi che:

  • l’oggetto erroneo non è diverso dalla Pura Esistenza;
  • la falsa conoscenza non è differente dalla Pura Coscienza;
  • la sofferenza non è differente dalla Pura Felicità.

La nobile dottrina che emerge dal nostro metodo d’indagine è che la Pura Esistenza-Coscienza-Beatitudine appare divisa in reale e irreale solo dal punto di vista della veglia; e che le apparenti esistenza, ignoranza e sofferenza sono solo le manifestazioni della Realtà. In altre parole, l’aspetto di nome e forma dell’apparenza è solo una manifestazione della Realtà. Gli aspetti della Realtà, cioè Esistenza, Coscienza e Felicità, sono inerenti a quelle manifestazioni. Sūreśvara afferma:

Il nostro metodo d’insegnamento aiuta a unire la falsa apparenza con la Realtà di Sat Cit Ānanda, com’è con quella della corda. La nostra dottrina non teme di essere contraddetta perché si basa sulla visione comprensiva dell’Intuizione Universale (BV II.3.41).

171. Essendo la Realtà oltre la logica non la si deve sperimentare come unione

1. Obiezione: alcuni dicono che la conoscenza è una cosa e la realizzazione è un’altra. Certi vedāntin hanno sostenuto che dopo aver capito l’unità dell’Ātman con l’aiuto dei mahāvākya, è necessario realizzarla. Secondo loro, a tal fine si dovrebbe praticare la meditazione yogica. Anche ai nostri giorni, alcuni sostengono questo punto di vista.

2. Obiezione: altri dicono che la verità non si deve capire con la logica secca, quindi non è utile studiare e discutere gli śāstra. Invece, si dovrebbero abbandonare i pensieri e comportamenti saṃsārici e adottare la meditazione su Paramātman e un comportamento in consonanza. Solo con questa pratica si realizza la verità.

Risposta: siamo d’accordo che, perché insorga la conoscenza, la mente deve essere libera da impurità. Affinché la mente diventi pura, sono necessarie disciplina e virtù quali l’assenza di presunzione (amānitvadi), ecc. Tuttavia, non è esatto dire che si dovrebbe avere anche una realizzazione differente dalla conoscenza e che la realizzazione richieda necessariamente la meditazione yogica o la meditazione immaginifica. Perché la realizzazione non è essere posseduti da un sentimento o da un’idea. Anche se si ottiene tale esperienza, questa non può essere permanente; e, anche se lo fosse, non è l’ottenimento della Realtà.

La realizzazione ottenuta con la meditazione yogica, cioè con la soppressione di tutti i pensieri o con la ripetizione della conoscenza, sarebbe l’esperienza di una persona e non un argomento di dottrina. Dare importanza a esperienze personali degli yogin è contrario alla nostra regola fondamentale secondo la quale la Realtà deve essere stabilita solo sulla base dell’intuizione universale. I racconti di rare esperienze personali in cui gli yogin possono cambiare e creare i loro sogni a volontà; oppure che quando dormono sono coscienti del mondo (yoga nidrā); o che conoscono la loro prossima nascita; o che sono capaci di percepire le cose e gli eventi del passato e futuro, provano soltanto che essi non sono adatti a capire che cos’è la Realtà né a indagarla e trovarla. Inoltre i nostri predecessori hanno chiaramente affermato che la dottrina Yoga è contraria al Vedānta e che per raggiungere la meta del Vedānta non è necessario il samādhi yogico. Śaṃkara afferma:

La loro confutazione si basa solo sulla falsa pretesa che la Liberazione finale possa essere ottenuta con la conoscenza del Sāṃkhya o con la pratica yogica, indipendentemente dal Veda. Perciò la śruti ammette soltanto la conoscenza vedica dell’unità dell’Ātman come mezzo di Liberazione finale. […] Invece i sāṃkhya e gli yogin, essendo dualisti, non concepiscono l’unità del Sé (BSŚBh II.1.3).

Quindi non seguono il Veda. Riguardo il samādhi yogico, Śaṃkara dice:

Obiezione: lasciateci dire che un’altra sādhanā [cioè la pratica che rimarrebbe da fare dopo l’insorgere della conoscenza del mahāvākya] è la soppressione dei pensieri. L’idea sarebbe che, dato che la soppressione delle modificazioni della mente è una sādhanā addizionale alla conoscenza che nasce dal mahāvākya, è consigliata come mezzo da seguire per mokṣa com’è stabilito negli Yoga Śāstra.

Risposta: non è così: perché bisogna capire […] qual è il significato di mokṣa; ossia conoscere il Brahman come Ātman è indicato nelle Upaniṣad quale mezzo per la più elevata meta della vita umana (BUŚBh I.4.7).

Unirsi alla natura di Esistenza, Conoscenza e Felicità non è la meta della vita umana. Infatti, tutti gli esseri umani, come tutti gli animali e gli oggetti inerti, sono già Pura Esistenza, Coscienza e Felicità. È solo per il fatto di non conoscere questo che sembriamo avere tutti i mali del saṃsāra. Abbiamo l’errato pensiero d’essere limitati all’ego della veglia, legati nell’inevitabile prigione del corpo, prāṇa, mente, intelletto ed ego. Tutto questo è avidyā. Questo legame scompare nel sonno profondo e in altri stati come il samādhi, ma solo finché durano. Non appena ci si sveglia, l’intera fantasmagoria riappare inevitabilmente. Similmente, quando gli yogin escono dal loro samādhi, l’ego e il resto, cioè soggetto, oggetto e le loro relazioni, tutte queste divisioni si ripropongono inesorabilmente. Molti jīva come noi riappaiono e così il mondo visibile riappare come reale davanti a noi. Non scendiamo nei dettagli del samādhi e delle visioni ed esperienze divine, ma è sufficiente sapere che tutto ciò, che è prodotto o acquisito come risultato di qualsiasi disciplina o pratica, non sarà eterno.

B. Il beneficio di conoscere la suprema Realtà

172. Superamento delle dispute e differenze con altre dottrine

A questo punto, quello che è richiesto non è né l’oblio né la distruzione delle differenze, ma l’annullamento della loro realtà. Se indaghiamo dal punto di vista comprensivo, capiremo che tutte queste divisioni sono apparenze dovute al punto di vista di avidyā, e che questo mondo di divisioni e differenze non è mai stato diverso dall’ĀtmanSaccidānanda. A tal fine abbiamo insegnato il metodo dei tre stati.

Domanda: quali sono i benefici della conoscenza vedāntica?

Risposta: il primo beneficio è che il Vedānta offre una dottrina conclusiva oltre ogni dubbio e disputa. È privo del difetto di incompletezza perché non tralascia nulla, come dice il commento di Śaṃkara alla Māṇḍūkya:

Il punto di vista dell’indagine vedāntica prende in considerazione tutti e tre gli stati, in cui sono incluse le categorie, le idee e gli oggetti immaginati dai maestri di tutte le altre scuole (MUGKŚBh IV.88).

Tutte le altre scuole sono basate solo sulla logica della veglia e, quindi, hanno una visione incompleta. La loro limitata logica secca è superata dal punto di vista vedāntico. Essendo tempo e spazio solo negli stati, non c’è timore che l’indagine sui tre stati sia contraddetta in alcun tempo. Perciò, la conclusione finale di questa dottrina è senza dubbio definitiva. Poiché le altre dottrine prendono in considerazione solo una parte degli oggetti conosciuti e limitano il loro punto di vista a quello, non contraddicono l’Advaita, il cui punto di vista, invece, è tanto comprensivo da includere i loro punti di vista parziali. Quindi Gauḍapāda afferma che con esse non ci possono essere né dispute né polemiche (MUGK IV.2). Così il primo vero beneficio di questa conoscenza è che questa dottrina raggiunge il suo scopo.

173. Risultati per il conoscitore della verità e benefici per il mondo

Il secondo beneficio è che una persona, la cui mente rimane nella conoscenza della Realtà, trova un’infinita soddisfazione. Nella mente di chi non la conosce, l’identificazione con la veglia è un nodo insolubile. Ha una concezione errata della propria reale natura e del mondo esterno. Da ciò risulta l’idea di essere un agente e un fruitore di esperienze, di dover compiere azioni e ottenere oggetti di fruizione favorevoli ed evitare quelli spiacevoli in questa vita come nelle future in altri mondi. Come conseguenza di questo pensiero, il desiderio rimane profondamente radicato nel cuore. Invece, coloro che conoscono l’Ātman come Brahman e quindi hanno superato l’azione, l’agente e i frutti dell’azione, non avranno mai più alcun desiderio né doveri obbligatori da compiere. Sanno di non essere fruitori di esperienze, ma solo dell’eterna Beatitudine. Quindi nessun risultato del karma passato li tocca. I karma passati producono frutti solo quando germinano e, perché le impressioni del karma passato germinino, è necessaria l’azione e la fruizione che li nutre come acqua e concime. Nell’illuminato non c’è alcuna possibilità che il karma passato germini né che pianti i semi di nuovo karma. Perciò la śruti dice:

Quando Ātman è compreso come Brahman, tutti i desideri del cuore scompaiono, tutti i dubbi sono chiariti, tutto il karma passato, presente e futuro è distrutto (MuU II.2.8).

Quel Sākṣin-Coscienza con il quale si testimoniano gli stati di veglia e di sogno, è grande e onnipervadente ed è l’Ātman di ognuno. Una persona che conosce questo non soffre né si addolora (KU II.1.4).

Quando una persona capisce che tutte le creature e le cose sono solo Ātman, allora per chi vede l’unità in questo modo, non c’è illusione e dolore (ĪU VII).

Per chi è senza corpo non ci possono essere esperienze di piacere o dolore (ChU VIII.12.1).

Tutti questi e altri testi della śruti inneggiano al più alto beneficio per la persona che è libera dall’ignoranza. Cos’altro dire? Di quelle grandi persone che sanno al di là di ogni dubbio che i cosiddetti tre stati sono solo false apparenze nel proprio Ātman-Saccidānanda, si dice:

Il realizzato non soggiace a morte né a malattia né a sofferenza. Guardando ogni cosa, vede solo il Tutto (ChU VII.26.2).

Anche Sūreśvara afferma così:

Non c’è nascita né vecchiaia né morte né malattia né angoscia né desiderio né paura né guadagno né perdita, niente da conoscere, da fare, da ottenere: tutto ciò è riconosciuto falso sotto tutti gli aspetti (BV II.9.276-277).

Essendo il Brahman, è già immerso nel Brahman (BU IV.4.6).

Il terzo beneficio è così descritto:

Domanda: qual è il beneficio che la gente ottiene dai jñāni?

Risposta: sebbene gli illuminati siano appagati sotto ogni aspetto, non sono affatto oziosi. Śrī Kṛṣṇa ha detto:

O Arjuna! Non c’è alcun dovere nei tre mondi che io debba compiere. Per me non c’è nulla che debba essere compiuto. Tuttavia, io sono sempre coinvolto in azioni (BhG III.22).

Così il saggio dovrebbe compiere tutte le azioni come l’ignorante, ma senza attaccamento, solamente allo scopo di essere esempio da seguire per la gente (BhG III.25).

Egli, diventando un esempio per gli altri, li ispirerà a compiere i loro rispettivi doveri (BhG III.26).

Qualsiasi azione compia, il saggio non perde la sua consapevolezza di non essere agente dell’azione, ma solo il Sākṣin (BhG V. 8).

Per lui tutte le azioni, gli agenti e i loro frutti, tutto questo è solo il Brahman (della natura di Saccidānanda) (BhG IV.24).

Mentre compie varie azioni, come vedere, udire, toccare, camminare, mangiare ecc., ha una chiara consapevolezza di non compiere nulla (essendo solo il Sākṣin) (BhG V.9).

Senza discriminare la gente di alta o di bassa estrazione, una vacca, un elefante, un cane e perfino un mangiatore di cani, egli li vede tutti ugualmente come Brahman (BhG V.18).

Senza considerare amico uno e nemico un altro, il saggio dall’intelletto stabile e libero dall’illusione riconosce tutti equanimemente come Brahman (BhG V. 20).

Il saggio diventa il modello da seguire per i cercatori della Verità, possedendo spontaneamente le virtù e le discipline quali l’assenza di odio, ecc., com’è stabilito nel XII capitolo della Bhagavad Gītā nei versi 13-19 e, per l’assenza di orgoglio ecc., com’è anche detto sempre nel medesimo capitolo nei versi 7-11. Anche la gente comune che non cerca la Liberazione otterrà quello che desidera venerando i saggi. Ciò è possibile perché sono uniti al Brahman e perciò la loro volontà è diventata una con quella di Īśvara e le loro benedizioni sono le benedizioni di Īśvara. La Muṇḍaka Upaniṣad dice:

L’uomo dalla mente purificata ottiene quei mondi che desidera mentalmente e quelle cose fruibili che desidera. Perciò chi è desideroso di prosperità dovrebbe venerare il conoscitore del Sé (MuU III.1.10).

  1. In Svāmī Satchidānandendra Sarasvatī, Bhikṣuḥ Vedānta Ḍiṇḍimaḥ, Bangalore, Adhyātma Prakāsha Kāryālaya, 2002, § 87 p. 49 [N.d.C.].[]
  2. In questo caso si assume il punto di vista della veglia, per il quale il sogno è falso; perciò anche gli upādhi del sogno sono false [N.d.C.].[]
  3. Anche se il momento presente scivola nel passato, il pensiero di uno stato di veglia che include il passato-presente-futuro non va via. Ciò che scivola via va nel passato, ma non esce dallo stato di veglia, perché il passato appartiene alla mente e al conoscitore della veglia. Ciò che deve ancora avvenire, viene al presente solo dalla veglia e non da fuori di essa, perché il futuro è in relazione con la mente e con il conoscitore della veglia. Quindi, l’intero continuo fluire del futuro al presente e al passato costituisce soltanto una mente di veglia e appartiene solo a un conoscitore di veglia.[]