54. La pseudo religione riformata e il suo pseudo esoterismo
54. La pseudo religione riformata e il suo pseudo esoterismo
Prima di affrontare il tema proposto nel titolo, dovremo accennare al problema dei rapporti tra la nuova scienza umanistica e la religione. Già in Lullo e in Cusano avevamo trovato che lo scibile s’era spaccato in due domini schierati in due campi contrapposti. O, per meglio dire, la scienza laica si era dichiarata superiore alla fede. L’una era appannaggio di una ristretta élite intellettuale, mentre la fede era concessa al popolino per soddisfare le sue elementari esigenze di quiete pubblica e privata. Tale scienza, come è stato dimostrato nei precedenti capitoli, appariva sempre più mescolata alla magia al punto da non poterne distinguere i confini. D’altra parte la magia, come la stessa scienza profana, altro non è che un sapere sperimentale rivolto ai fenomeni grossolani e sottili considerati come ‘realtà oggettiva’ od ‘obiettiva’, perciò ‘veri’. Al contrario, secondo questo punto di vista, la fede religiosa riguarderebbe solamente ipotesi non dimostrabili, credenze, immaginazioni. La mentalità scientifica diffusa dall’umanesimo produsse una nuova curiosità di scrutare i cieli con una malsana mescolanza di astrologia e astronomia, di esplorare le terre emerse alla ricerca di popoli e luoghi reali e di fantasia, di intervenire nella composizione della materia per analizzarla e modificarla tramite fisica, chimica e alchimia.
Per quanto confusa, era ancora nella memoria degli eruditi del Rinascimento la presenza di un esoterismo iniziatico al sopra e al di là della religione esteriore. L’esoterismo, che aveva rappresentato la vera sapienza del medioevo, aveva dato ordine alla Chiesa e all’Impero e aveva fornito alle persone qualificate i mezzi per una realizzazione interiore. La tragica fine dei templari aveva segnato il rapido tramonto delle vie iniziatiche dell’Europa occidentale che in qualche modo si rifacevano al loro Ordine, lasciando il Papato e l’Impero come due conchiglie vuote. I rinascimentali si rendevano conto della decadenza e della corruzione della Chiesa, mentre si rivolgevano all’Impero e soprattutto ai regni nazionali, nella speranza di un rinnovamento. Si sentiva principalmente, dunque, la mancanza di una iniziazione cavalleresca e delle conoscenze cosmologiche che essa comportava. Tuttavia, le loro idee in proposito erano totalmente distorte.
Il rinnovamento dell’essoterismo tendeva a un ritorno alla presunta purezza evangelica, il che significava l’abrogazione totale della tradizione. Si trattava di una purezza evangelica filtrata attraverso la lente umanistica che già aveva perduto ogni tipo di trasmissione. Due erano le direttive principali per questa riforma della religione. La prima tendenza era una riforma dall’interno, rappresentata da Erasmo da Rotterdam, con la quale si voleva mantenere le forma esteriore della struttura ecclesiastica, ma la si voleva modificare secondo parametri moralistici e senza tener d’acconto della stratificazione dell’insegnamento tradizionale accumulatasi nei secoli. La seconda era la riforma dall’esterno contro la Chiesa, rappresentata da Lutero e dai suoi emuli, con le catastrofiche conseguenze che abbiamo già affrontato in questa sede.
Il rinnovamento dell’esoterismo o, per meglio dire, la sua rifondazione ex novo, fu oggetto di una serie di progetti confusi e di ispirazione più che sospetta. Anzitutto si doveva procedere con l’abrogazione della teologia fondata sull’aristotelismo. Già questo dimostra quanto gli eruditi e i maghi rinascimentali avessero le idee distorte, poiché la conoscenza teologica appartiene in toto al dominio essoterico. La perduta sapienza esoterica doveva, quindi, essere sostituita dalle magie dell’ermetismo e della qabbalah, mischiate variamente tra loro sempre in forma sincretica. Il problema di fondo è che questi eruditi del rinascimento, pur avvertendo la mancanza dell’iniziazione, ormai non sapevano più in che cosa consistesse e quali fossero i suoi fini. Aprendo alla magia e alla stregoneria, misero in libertà pericolose influenze psichiche che contribuirono a devastare ancor più le menti degli europei.
Il miglior esempio per questo progetto di riforma della tradizione, privo di qualsiasi trasmissione spirituale, è rappresentato da Enrico Cornelio Agrippa (1486-1535). Discepolo del prudentissimo abate Tritemio e condiscepolo di Paracelso, fu un continuatore della qabbalah non più cristiana ma protestante, sulla scia di Reuchlin. In Italia cominciava a soffiare un vento antiprotestante nel tentativo di riportare un po’ di ordine nel cattolicesimo. Questa tendenza costringeva gli umanisti paganeggianti a rientrare nei ranghi cattolici o, per lo meno, a dissimulare le loro idee ereticali. In segno di dispregio Agrippa evitò il più possibile di citare Pico della Mirandola o Francesco Zorzi, per riferirsi preferibilmente ai suoi compatrioti luterani tedeschi: Reuchlin, Dürer, Cranac, Johannes Frobenius e altri. Insisté, assieme all’amico Albrecht Dürer, per indurre Erasmo ad abiurare il cattolicesimo, rimanendo disgustato, però, dalle diplomatiche risposte del filosofo olandese; un protestante integralista, dunque, che in realtà riprendeva senza molta originalità i temi del neoplatonismo fiorentino della generazione precedente. La Yates, nei suoi studi di rivalutazione dell’occultismo protestante, lo descrive come un fine pensatore di grande cultura, ma non riesce a portare alcuna prova in favore di questa sua visione di Agrippa. Quello che appare evidente e che lo distingue da Ficino, Pico e Zorzi è proprio la sua aggressività e la sua proterva fede nella magia dichiarata nei suoi scritti. Nonostante la sua conversione al protestantesimo, egli ben presto fu sospettato di magia nera e di stregoneria. Si diffuse la voce che il cane nero, che lo accompagnava nei suoi instancabili spostamenti, fosse un diavolo. Tuttavia, Agrippa trovò ovunque ospitalità e protezione da parte di ambienti occultisti. Tale fenomeno è stato correttamente interpretato come prova dell’esistenza di una rete di società segrete ermetico-qabbaliste che il rinascimento aveva diffuso nascostamente in tutta l’Europa occidentale. Fece visita a Tritemio, che considerò come uno dei suoi principali maestri. Poi si recò in Inghilterra dove frequentò il primo circolo umanistico dell’isola, fondato da Thomas More. Fraternizzò con John Colet, un erasmiano che già preannunciava le idee luterane. Quando nel 1511 si recò in Italia, egli già aveva compiuto le sue scelte ideologiche: entrò in contatto con Francesco Zorzi, con il cardinale giudaizzante Egidio da Viterbo e con il rabbino convertito al cattolicesimo Agostino Ricci, ma rimase deluso dalla prudenza e dall’equilibrio delle scelte degli umanisti italiani. Più tardi, in Germania, Agrippa divenne un ardente sostenitore di Lutero e di Calvino. Si recò poi in Francia dove, nel 1526, diede alle stampe il suo libro De vanitate scientiarum. L’altro libro, che lo rese famoso tra gli umanisti, fu il De Occulta philosophia, pubblicato nelle Fiandre nel 1533. La Yates, tramite il suo approccio esclusivamente storico, non si capacita della differenza di prospettiva tra i due testi, pur essendo fondamentalmente partigiana di entrambe le posizioni, in linea con il Warburg Institute. Nel De vanitate scientiarum Agrippa critica tutte le scienze e le arti; non solo quelle medievali del trivium, del quadrivium e la teologia scolastica, ma anche quelle nuove scienze sperimentali che erano affiorate nel corso del XV secolo. La critica si amplia dunque alla magia, alla qabbalah, all’alchimia, tutte denominate ‘superstizioni monastiche’. Ogni scienza, dunque, è sapienza vana, secondo Agrippa, eccetto il messaggio del Vangelo. Si devono dunque abrogare dalla mente tutte le conoscenze cosmologiche e teologiche per affidarsi al messaggio originale di Gesù Cristo. Naturalmente il Vangelo era protestanticamente passibile di libera interpretazione personale.
Al contrario, nel De Occulta philosophia, Agrippa sosteneva che la filosofia occulta, ossia, la pratica della magia, di basava sulla tripartizione dell’universo. Il mondo composto dai quattro elementi era il dominio della magia naturale; il mondo celeste era il dominio della magia ermetica astrale basata su una numerologia pseudo pitagorica; infine il mondo sopracceleste o angelico, dominio della magia cerimoniale di origine qabbalistica. Nel primo si agisce per magia simpatetica con gli spiriti elementali, nel secondo con i demoni stellari, nel terzo con le gerarchie angeliche. Come appare evidente da questa sintesi, nel messaggio del De Occulta philosophia non c’è nulla che non fosse stato già detto da Ficino, Pico e altri; ma in Agrippa cade il velo che cercava di mascherare il sostrato magico e stregonesco. Agrippa, dunque, svolse una funzione di divulgazione e di propaganda dei temi fino allora tenuti riservati o dissimulati con cura.
Cerchiamo ora di spiegare ciò che la Yates non trovava comprensibile, ossia l’apparente incongruenza tra i contenuti dei due scritti del mago tedesco. La verità è molto semplice se si conosce la struttura essoterica delle religioni monoteistiche, in particolare del cattolicesimo. Con la riforma protestante si volle riproporre tale struttura in una forma completamente riformata. La componente essoterica, doveva mutarsi in una vaga religiosità priva di riti e di dottrine, per rifarsi alla Bibbia senza alcuna autorevole indicazione o certa guida critica: ognuno si doveva immaginare ciò che Dio gli suggeriva nel testo sacro, traendone banali norme di comportamento. Ogni scienza era reputata superflua, eccetto per la pratica concorrenziale nel perseguimento del benessere e della posizione sociale. Questo è il protestantesimo ‘religioso’ o essoterico valido per tutti i fedeli riformati. All’interno della comunità e, in qualche modo, celato agli occhi degli esteriori, è stabilito il nuovo ‘esoterismo’ o, come meglio si autodefiniva, la filosofia occulta, vale a dire la magia pratica, astrale o cerimoniale. La pseudo religione era, dunque, dotata in questo modo di uno pseudo esoterismo. Questa struttura era stata descritta nell’Utopia di Thomas More e, una generazione più tardi, nelle diverse New Atlantis di Francesco Bacone, Civitas Solis di Tommaso Campanella e altre ancora. In seguito, questo fantasioso progetto diede origine alle più folli realizzazioni di comunità ideali, sempre nell’ambito delle mille sette protestanti, in particolare nel Nordamerica. L’élite filosofico-magica, dedita all’interno della propria cerchia a pratiche arcane di invocazioni di elementali, spiriti e ‘angeli’, appare agli esteriori come un gruppo affidabile di saggi, anziani, filosofi. Agli altri spetta il lavoro e la preghiera affinché Dio procuri successo nel mondo e sicurezza nella società, sempre compatibilmente con la predestinazione. Insomma, una sorta di ora et labora adattato alle formiche operaie.
Abbiamo scelto Agrippa come personaggio indicativo per rappresentare questa triste china dell’Occidente e per i suoi numerosi collegamenti in tutta Europa; ma lo studio di qualsiasi altro mago rinascimentale della prima metà del XVI secolo avrebbe dato risultati analoghi.
La Francia, anch’essa pesantemente inquinata dall’occultismo rinascimentale, fu però anche teatro di una reazione particolarmente intelligente. Jean Bodin (1530-1596) nel suo libro De la démonomanie des sorciers dimostrò la contiguità tra l’infiltrazione magica presso gli ambienti colti e la diffusione della stregoneria a livello popolare. Con grande lucidità denunciò la qabbalah cristiana del marchese della Mirandola e di fra’ Francesco de Zorzi, nonché quella protestante di Reuchlin e Agrippa, di essere una falsificazione del vero esoterismo qabbalistico ebraico e di rappresentare una inquietante deviazione in senso magico-evocatorio e stregonesco. Con piena consapevolezza Bodin descrive il piano di demolizione della tradizione medievale, indicando proprio in Agrippa l’agente più nefasto. L’epoca era cambiata e la controriforma stava arginando i pesanti danni causati dalla frenetica azione antitradizionale protestantica dei paesi germanici e anglosassoni.
Maria Chiara de’ Fenzi