48. La “Qabbalah cristiana”
La “Qabbalah cristiana”
Dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.) e dalla conseguente rivolta antiromana di Bar Kokhba (132-135 d.C.) l’esoterismo giudaico si era mantenuto vitale presso le comunità della Diaspora. L’influenza dello gnosticismo e del neoplatonismo si era esercitata soltanto presso la comunità di Alessandria d’Egitto che, in seguito all’invasione araba della metà del VII secolo, si trasferì in gran parte a Bisanzio. È altresì vero che la distruzione del centro della religione israelita e il passaggio delle consegne rituali dal sacerdozio ai dottori della legge o rabbini aveva ridotto la portata dell’esoterismo, incline a incorporare la teurgia e la scienza della fabbricazione di amuleti e talismani. Inoltre, sebbene in aspra polemica con il cristianesimo, sofferto come uno scisma con tendenze ereticali, il giudaismo non poté esentarsi da assumere alcune dottrine messianiche. Infatti, nel periodo talmudico (IV-VI sec. d.C.) l’antica concezione riguardante il messia (ebr. mašīaḥ) cambiò rispetto alle dottrine veterotestamentarie. Durante e dopo la cattività babilonese, con messia si intendeva in particolare la figura di un qualsiasi Re unto che, per volontà divina, avesse riscattato e liberato dalla servitù il popolo d’Israele, vincendo e soggiogando tutte le altre nazioni. Nell’era volgare, invece, il termine messia assunse una nuova accezione apocalittica ed escatologica. Il messia sarebbe disceso dall’alto dei cieli per distruggere i nemici del giudaismo, e per concludere la storia dell’attuale umanità, instaurando il regno di Yehovah in un nuovo ciclo di pace e giustizia. Queste credenze si diffusero nel giudaismo rabbinico popolare fino a tutto il primo medioevo, senza essere recepite sensibilmente dall’esoterismo.
Al contrario, nella qabbalah teurgica medievale con messia s’intendeva il raggiungimento di un elevato grado spirituale corrispondente alla conoscenza dell’angelo della faccia, Meṭaṭron, il demiurgo che convogliava sulla creazione i dettami di Dio. Tuttavia, l’ottenimento di quel livello di sapienza iniziatica non si estendeva al di fuori dell’esperienza interiore e personale. Chi aveva realizzato il grado di messia era dunque svincolato da qualsiasi funzione esteriore regale, sacerdotale o profetica, attivata nell’ambiente essoterico al fine di affermare la sovranità del giudaismo sul mondo.
Sul finire del medioevo, dalla qabbalah si separò una nuova corrente, apparentemente antitetica a quella iniziatico-teurgica. Avraham ben Šemu’el Abulafia (Saragozza1240- Comino 1291) fu il primo a infrangere la barriera che distingueva la concezione iniziatica da quella popolare sul messia. Fu un erudito dotato d’una personalità notevole che mutò e sconvolse i tradizionali parametri iniziatici della qabbalah. In gioventù si era recato in Palestina per prendere contatto con le dieci tribù perdute d’Israele che, si diceva, avessero fondato in Asia un possente Impero. Il suo scopo era quello di richiedere il loro intervento armato per liberare gli ebrei d’Europa, vendicarli della loro marginalità, punire severamente i cristiani e assoggettarli all’Impero mondiale giudaico. Abulafia dovette recedere dalla sua ‘missione’ davanti al dilagare delle orde mongole in tutto il Vicino Oriente. Questo episodio dimostra l’interesse per le applicazioni secolari o addirittura politiche della sua concezione messianica. Egli, per la prima volta nella storia, sostenne che chi avesse raggiunto, con la pratica iniziatica, il grado spirituale di messia avrebbe dovuto anche dichiararsi pubblicamente tale e assumere la guida delle comunità ebraiche per la loro liberazione. Naturalmente, egli si dichiarò messia e partì per una misteriosa quanto sconsiderata missione a Roma per farsi riconoscere dal papa. Questo interesse per l’assimilazione dei cristiani fu una costante nell’azione mondana di Abulafia. Non desiderava convertirli, ma assimilarli al giudaismo come gli antichi ger tošab, facendosi riconoscere il messia della seconda venuta. Si tratta della prima comparsa tardo medievale d’un progetto d’innesto giudaico sul cristianesimo. Ammiratore della filosofia antiqabbalista di Maimonide, Abulafia cercò in tutti i modi di accordare il pensiero di quest’ultimo con gli insegnamenti tradizionali. Per riuscirci inserì nella qabbalah una componente mistica e visionaria fino ad allora sconosciuta. Egli alterò anche il metodo (sskrt. prakriyā), adottando una nuova pratica di visualizzazione delle lettere ebraiche che avrebbe ricevuto per rivelazione diretta. Dal punto di vista dottrinale, egli assunse il punto di vista di Maimonide, per cui l’intelletto possibile (sskrt. buddhi) sarebbe di natura sopraindividuale e, come tale, avrebbe la possibilità di identificarsi all’Intelletto attivo (sskrt. mahan ātman) della medesima natura. Abulafia non attribuì grande importanza all’uso della teurgia e magia, come avevano fatto i qabbalisti precedenti. Tuttavia, sostenne che, tramite l’esperienza della mistica estatica, l’essere umano poteva godere delle qualità divine, compresa quella di creatore.
Le caratteristiche di questa riforma mistica della qabbalah daranno inizio al messianismo visionario giudaico i cui sviluppi si dimostreranno sempre più inquietanti. Rifacendosi a dati d’origine antica, il messianismo apocalittico produsse due figure: quella del profeta che annuncia la venuta del messia e il messia stesso. Tra i profeti si possono annoverare Avraham Eli’ezer ha-Lewi (1460-1529), Dawid Re‘uveni (1490~1541) e Natan di Gaza; e tra gli autoproclamati messia Šelomoh Molko, Šabbetay Ṣewi (1626-1676) e Jacob Frank (1726-1791).
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Nello stesso periodo di Abulafia si distingueva per l’originalità dei suoi scritti Raimondo Lullo (1232-1315). Barone maiorchino e scudiero di re Giacomo II delle Baleari, a quarant’anni ebbe varie visioni di Cristo che lo decisero a dedicarsi alla conversione di giudei e mori. A tal fine intraprese numerosi viaggi sulle due sponde del Mediterraneo. Pur avendo frequentato a Rodi, grazie ai suoi natali, i cavalieri del Tempio, finì per diventare un ammiratore di Filippo il Bello di Francia e a partecipare attivamente nel 1311 al concilio di Vienne. Vicino allo spirito della cavalleria, ma disposto a contrastarla in favore dei sovrani assoluti, fu sempre alleato dei francescani nell’azione di propaganda missionaria, senza però mai assumere nemmeno il terz’ordine. Lullo studiò teologia a Parigi e raccolse una imponente biblioteca di manoscritti religiosi e classici. Volle anche informarsi sull’islam, studiando l’arabo, e sul giudaismo, frequentando ambienti qabbalisti, numerosi a Palma de Maiorca. Oltre al comune monoteismo, egli notò che le tre religioni semitiche riconoscevano che il mondo grossolano era composto da quattro elementi e che questi determinavano quattro condizioni dell’esistenza corporea: freddo, caldo, umido e secco. I quattro elementi estendevano il loro dominio in senso ascensionale fino alle sfere planetarie e alle stelle fisse, condizionando con le loro ricadute anche la vita sulla terra. A scopo missionario, decise, dunque, di accantonare le discussioni teologiche ch’erano motivo di disaccordo e di partire dai dati fisici condivisi da cristiani, giudei e musulmani. Su quella base fondò un sistema che oggi si chiamerebbe ‘interreligioso’, che egli definì ‘arte’, capace di interpretare i destini degli uomini per intervenire a modificarli. A questo fine, evidentemente influenzato dalla ‘via dei nomi’ di Abulafia, usando le lettere dell’alfabeto latino in luogo di quelle ebraiche, Lullo concepì un meccanismo mentale in grado di spiegare tutte le realtà, teologia, logica, scienze e arti. È inutile far notare che aver trovato terreno comune tra religioni esteriori, diverse e ostili tra loro, nella materialità degli elementi grossolani rappresenta la prima comparsa di quella mentalità scientista che si manifesterà scopertamente nel periodo rinascimentale per diventare, successivamente, dominante. Il metodo scientifico, infatti, non differisce dall’empirismo della magia pratica, come è provato dal fatto che gli scienziati furono anche maghi almeno fino all’inizio del XIX secolo. Al tempo stesso trovare un terreno d’intesa grossolano per superare le differenze dottrinali tra religioni diverse cominciò a minare dalle fondamenta la concezione secondo cui civiltà e tradizione si identificavano. Le teorie di Lullo misero per la prima volta in conflitto scienza e fede, profanità e sacralità, analisi e sintesi, parteggiando evidentemente in favore delle prime a discapito delle seconde. Anche la sua fervente religiosità, affine a quella degli ordini pauperistici, in realtà nasconde una presa di distanza dal corpo ecclesiale.
Il lullismo ebbe subito un grande successo in tutta la cristianità latina, accolto come una filosofia alternativa alla teologia scolastica. Nel corso del XIV secolo anche i seguaci di alchimia e magia si richiamarono ai suoi scritti e fiorirono opere fatte circolare come sue. Nel secolo successivo, il cardinale Nicolò da Cusa (1401-1464), uno dei primi umanisti, trasmise al Rinascimento la tendenza magico-scientista delle teorie lulliane dal cuore stesso della Chiesa cattolica. In armonia con Lullo, sperava di unire cristianesimo, giudaismo e islam dimostrando la verità logica della Trinità.
Bisognava però attendere la presa di potere a Firenze da parte della famiglia de’ Medici per arrivare al rinascimento. A seguito della caduta di Costantinopoli (1453) e della perdita di quella fonte di sapienza, nel 1462 Cosimo I incaricò Marsilio Ficino di fondare l’Accademia Neoplatonica per il recupero di qualsiasi documento culturale proveniente dal collassato Impero d’Oriente. Di Marsilio Ficino ci occuperemo prossimamente. Quello che in questo contesto ci interessa è la figura e l’opera del suo più stretto collaboratore, Giovanni Pico marchese della Mirandola (1463-1494). Nell’Accademia costui rappresentò la corrente che si rifaceva più direttamente al pensiero di Raimondo Lullo. A differenza del pensatore maiorchino, Pico studiò l’ebraico riuscendo a dominare quella lingua. Si era convinto che il nome di Gesù, in ebraico Yehošu’a, interpretato secondo i valori e i significati delle lettere ebraiche, significasse messia. Inoltre egli interpretava tale nome come il tetragramma, l’impronunciabile nome di Dio, nel cui centro era inserita una lettera šin, che aggiungeva l’idea di azione a quella di essere. Questa sua interpretazione lo spingeva nel tentativo di convertire gli israeliti al cattolicesimo e, allo stesso tempo, di convincere la chiesa della sacralità della lingua ebraica e del misticismo di origine qabbalista. L’iniziativa non raggiunse lo scopo di convertire il popolo ebraico, ma sortì due risultati: la nascita del sincretismo denominato Qabbalah cristiana e il disegno di una riforma del cattolicesimo in chiave veterotestamentaria. La filosofia pichiana si rifà al metodo interpretativo delle lettere alfabetiche rotanti fondato da Abulafia e tramandato da Lullo. Pico applicò tale metodo all’ astrologia di origine neoplatonica, a cui aggiunse la cosmografia delle dieci sefirot. Dal punto di vista operativo tutto si traduceva nell’evocazione di angeli o magia qabbalistica, che egli distingueva dalla magia pratica. Con quest’ultima, a suo parere, si rischiava di manipolare influenze demoniche.
“E un aspetto di questa vicenda che non sembra essere stato sufficientemente posto in risalto è il fatto che, tramite l’introduzione della Kabbalah cristiana da parte di Pico, un movimento ebraico moderno e contemporaneo investì l’evolversi della mentalità e della spiritualità europea. Questo rappresentò sicuramente una novità, un significativo emergere dal medioevo.”
Appare dunque evidente che tra la fine del medioevo e l’inizio del rinascimento, si riparò alla mancanza di un autentico esoterismo cristiano sostituendolo artificiosamente con la magia o spontaneamente con il misticismo. L’unica sopravvivenza esoterica fu indiscutibilmente quella delle iniziazioni di mestiere che, però, rimanevano escluse dagli ambienti mistici e magico-scientifici della nuova borghesia. Fu proprio il rinascimento a sconsacrare l’arte e a sottrarla alle corporazioni, per affidarla agli estri di individui ritenuti superiori e “geniali”. Anche la chiesa, avendo assorbita la mentalità rinascimentale, rinunciò ad affidare alle gilde la costruzione dei luoghi di culto e della scultura e della pittura di icone, determinando una frattura che in seguito sarebbe diventata insanabile.
Gian Giuseppe Filippi